"DIVINI ILLIUS MAGISTRI" (31 dicembre 1929)
In quest’Enciclica papa Ratti affronta il problema dell’educazione della gioventù, e mette i fedeli in guardia dalle pretese degli Stati assoluti e totalitari di voler provvedere, solo essi e totalmente, alla formazione dei giovani, escludendo le famiglie e la Chiesa quasi che il Fine ultimo dell’uomo non sia Dio, ma soltanto il Potere civile e il benessere temporale.
Il Papa, pertanto, insegna che gli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio e ordinati a Dio come al loro Fine ultimo, nell’abbondanza del progresso materiale odierno (1929), “avvertono l’insufficienza dei beni di questa terra per conseguire la vera e piena felicità. Quindi essi sentono in sé lo stimolo verso una perfezione più alta di quella puramente temporale e materiale e vogliono conseguirla specialmente attraverso l’educazione” (PIO XI, Enciclica Divini illius Magistri, in Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici, Milano, Dall’Oglio Editore, ed. V, 1959, 1° vol., p. 845).
Tuttavia alcuni di essi errano poiché pensano di poterla conseguire estraendola o educendola (educare dal latino ex-ducere) dalla sola natura umana, astrazione fatta dall’ ordine soprannaturale, e con le sole proprie forze, senza l’aiuto della grazia divina. Costoro sbagliano perché invece di ordinare tutto a Dio, primo Principio e Fine ultimo di tutto l’universo, si ripiegano su se stessi, attaccandosi esclusivamente alle cose di questa terra (ivi). Proprio per questo motivo è importante non errare sulla questione dell’educazione e sulla questione del Fine ultimo dell’uomo, con il quale tutta l’opera dell’educazione è strettamente connessa.
Il Papa spiega che “l’educazione consiste nella formazione dell’uomo, quale egli deve essere e come deve comportarsi in questa vita terrena per conseguire il Fine sublime per il quale fu creato. Quindi non può esistere una vera educazione che non sia ordinata al Fine ultimo” (ivi). Ora nel presente stato di vita si arriva al Fine ultimo tramite l’Incarnazione, Passione e Morte del Verbo. Perciò “non può darsi adeguata e perfetta educazione all’infuori dell’educazione cristiana” (ivi).
L’educazione cristiana tende ad assicurare alle anime degli educandi il Sommo Bene, Dio. Da parte sua lo Stato deve tendere ad ottenere il massimo di benessere comune temporale per i cittadini, subordinato al benessere soprannaturale e spirituale al quale provvede la Chiesa fondata da Cristo. Pio XI insegna che “per non errare in quest’opera di somma importanza è necessario avere un’idea chiara dell’educazione cristiana, e cioè: a chi spetta la missione di educare, quale è il soggetto dell’ educazione, quali le circostanze necessarie dell’ambiente, quali il fine e la regola propria dell’educazione cristiana” (ib., p. 846).
Primo punto: a chi spetta la missione di educare? Si chiede il Pontefice e risponde che “l’educazione è opera sociale e non solitaria o individuale. Ora le società necessarie in seno alle quali nasce l’uomo sono tre; due società d’ordine naturale: la famiglia e lo Stato; e una di ordine soprannaturale: la Chiesa” (ivi). La famiglia, che è istituita da Dio al fine di procreare e educare la prole, ha una priorità di natura rispetto allo Stato (che è un insieme di più famiglie) e quindi una priorità di diritti sulla prole e la sua educazione. Tuttavia la famiglia è una società imperfetta (che non ha in sé tutto ciò di cui ha bisogno per far ottenere ai suoi membri il loro fine), invece lo Stato è una società perfetta, avendo tutti i mezzi necessari al fine. Quindi in ordine al bene comune, lo Stato ha la preminenza sulla famiglia, che raggiunge la sua perfezione nella società civile.
La terza società, nella quale l’uomo nasce alla vita soprannaturale, è la Chiesa, che è una società perfetta di ordine spirituale, la quale dà ai suoi membri tutti i mezzi per giungere al paradiso. “Quindi l’educazione, la quale riguarda tutto l’uomo individualmente e socialmente, nell’ordine della natura e in quello della grazia, appartiene a tutte e tre queste società, in misura proporzionata e corrispondente alla coordinazione dei loro rispettivi fini” (ivi).
In primo luogo essa appartiene in modo sovreminente alla Chiesa per due titoli di ordine soprannaturale che Dio ha conferito solo ad essa e quindi superiori a qualsiasi altro titolo di ordine naturale.
Il primo titolo soprannaturale consiste nella missione di magistero che Dio dette alla Chiesa: “Andate e ammaestrate tutte le Genti” (Mt., XXVIII, 18).
Il secondo titolo è la Maternità soprannaturale della Chiesa, che genera e nutre le anime nella vita della grazia soprannaturale, con i suoi sacramenti e il suo insegnamento.
Secondo punto: qual è il soggetto dell’educazione?
Il Papa risponde che “essa si allarga a tutte le Genti senza limitazioni; né vi è potere terreno che possa legittimamente contrastarla o impedirla” (ib., p. 849). Inoltre essa si estende, innanzitutto, a tutti i fedeli e poi anche ai non fedeli, “essendo tutti gli uomini chiamati ad entrare nel regno di Dio e a conseguire l’eterna salvezza. La famiglia, continua il Papa, concorre con la missione educativa della Chiesa, poiché entrambe procedono da Dio. Infatti alla famiglia, nell’ordine naturale, Iddio comunica immediatamente la fecondità, principio di vita e quindi principio di educazione alla vita. La famiglia, dunque, ha immediatamente da Dio la missione e quindi il diritto di educare la prole; diritto anteriore a qualsiasi diritto dello Stato.
S. Tommaso d’Aquino spiega il motivo della inviolabilità di questo diritto della famiglia: “Il figlio naturalmente è qualcosa del padre onde è di diritto naturale che il figlio, prima dell’uso di ragione, sia sotto la cura del padre. Quindi sarebbe andare contro la giustizia naturale, se il fanciullo prima dell’uso di ragione fosse sottratto alla cura dei genitori, o di lui si disponesse in qualche modo contro la volontà dei genitori” (S. Th., II-II, q. 10, a. 12). E siccome l’obbligo della educazione dei genitori continua sino a quando la prole sia in grado di provvedere a se stessa, perdura il medesimo diritto dei genitori. Quindi il Papa condanna la pretesa dello Stato assoluto di sostenere che la prole, prima che alla famiglia, appartenga allo Stato e che lo Stato abbia sull’educazione della gioventù un diritto assoluto (ib., p. 751). Il Pontefice confuta l’obiezione del pan-statismo secondo cui l’uomo nasce cittadino e quindi appartiene prima allo Stato. Infatti, spiega Pio XI, l’uomo prima di essere cittadino
deve esistere e l’esistenza non gliela dà lo Stato, ma i genitori. Tuttavia i diritti della Chiesa e della famiglia sull’educazione della gioventù sono partecipati allo Stato da Dio, non per titolo di paternità, che è spirituale per la Chiesa e naturale per la famiglia mentre non sussiste per lo Stato, ma per l’autorità che lo Stato possiede quanto alla promozione del benessere comune temporale, che è il fine proprio dello Stato.
Ora, questo fine dello Stato, ossia il bene comune di ordine temporale, consiste nella pace e sicurezza che le famiglie e i singoli godono nell’esercizio dei loro diritti. Quindi la funzione del Potere civile ha una duplice funzione: proteggere e promuovere la famiglia e l’individuo e non assorbirli o sostituirsi ad essi. Pertanto in ordine all’educazione è dovere dello Stato proteggere, nelle sue leggi, il diritto della famiglia anteriore al suo sull’educazione cristiana della prole, e, per conseguenza rispettare il diritto soprannaturale della Chiesa. Inoltre è dovere dello Stato proteggere l’educazione morale e religiosa della gioventù. Infatti Dio ha fondato la sua Chiesa per la salvezza eterna degli uomini e, quindi, non si può sostenere che lo Stato non è soggetto a Dio e alla sua legge naturale e divina (ib., p. 857). Il Pontefice raccomanda agli educatori di non dimenticare che il soggetto dell’educazione cristiana è l’uomo tutto intero: spirito e corpo, cioè l’uomo ferito dal peccato originale, redento da Cristo, ma in cui restano nella natura umana gli effetti del peccato originale, particolarmente l’indebolimento della volontà e le tendenze disordinate. Perciò gli educatori debbono correggere le inclinazioni disordinate e ordinare le buone tendenze, sin dalla più tenera infanzia e soprattutto bisogna illuminare l’intelletto e fortificare la volontà con le verità soprannaturali e i mezzi della grazia (ib., p. 860).
Il Pontefice condanna, quindi, il naturalismo pedagogico, che cerca di diminuire la formazione soprannaturale nell’opera dell’educazione pubblica. Egli condanna, altresì, i metodi educativi che vorrebbero dare al fanciullo una libertà e autonomia sconfinata e che diminuiscono l’autorità dell’educatore, “attribuendo al fanciullo un primato esclusivo di iniziativa e un’attività indipendente da ogni legge superiore, nell’opera della sua educazione” (ivi).
Questi metodi, secondo Pio XI, invece di liberare il fanciullo, come essi asseriscono, lo rendono schiavo del suo orgoglio e delle sue passioni disordinate. Poi il Papa passa a studiare il fenomeno delicatissimo del naturalismo applicato ai costumi. Egli condanna l’educazione sessuale indiscriminata, poiché ritiene falsamente di poter premunire la gioventù dai pericoli dei sensi con mezzi puramente naturali, esponendoli alle occasioni di peccato (ib., p. 861). Quest’errore è una conseguenza del non voler riconoscere le ferite lasciate dal peccato originale nella natura umana. Tuttavia i genitori possono, con molta prudenza e spirito soprannaturale, trattare queste materie con la prole che comincia a crescere (ivi).
Le vie del divino Amore non si percorrono senza Maria; è un assurdo il contrario, poiché senza la sua valida mediazione non si ha quel vigore di fede che lo alimenta e lo sostiene. L’anima non si sposa a Dio senza Maria, e non ha il purissimo vino dell’amore senza di Lei. Per questo i poveri protestanti non hanno e non possono avere vie di santità; sono divisi da Dio, e non possono celebrare le loro mistiche nozze di amore perché non hanno la Madre divina. Sac. Dolindo Ruotolo
Terzo punto: le circostanze dell’ambiente, ossia tutto ciò che circonda l’educando.
Il Papa insegna che il “primo ambiente naturale e necessario dell’educazione è la famiglia. Onde, normalmente, l’ educazione più efficace e duratura è quella che si riceve in una famiglia cristiana bene ordinata e disciplinata, illuminata dal buon esempio dei genitori” (ivi).
Purtroppo, Pio XI, lamenta il “lacrimevole scadimento odierno (1929!) dell’educazione familiare. […]. Il che non è tanto effetto della eccessiva severità, quanto principalmente dell’impazienza, dell’ ignoranza dei modi più acconci alla correzione fruttuosa e anche della oramai troppo comune rilassatezza della disciplina familiare, onde crescono negli adolescenti passioni indomite” (ib., p. 863).
Il Pontefice riprova anche la coeducazione, ossia l’educazione mista di ragazzi e ragazze, fondata pur essa sulla negazione implicita del peccato originale, scambiando la legittima convivenza umana con la promiscuità e l’eguaglianza livellatrice dei due sessi. Infatti “il Creatore ha ordinato la convivenza perfetta dei due sessi soltanto nell’unità del matrimonio. I due sessi sono destinati a completarsi reciprocamente nella famiglia e nella società, appunto per la loro diversità, la quale perciò deve essere mantenuta e favorita nella formazione educativa, con la necessaria distinzione e corrispondente separazione (ib., p. 862).
Pio XI rivendica, storicamente, che la famiglia e la Chiesa sono state, ben prima dello Stato, le istitutrici delle scuole. Dunque “la scuola, considerata nelle sue origini storiche, è di sua natura istituzione sussidiaria e complementare della famiglia e della Chiesa, e pertanto deve non contraddire, ma accordarsi positivamente con la famiglia e la Chiesa. Infatti la scuola se non è tempio è tana” (ib., p. 864, Come non dargli ragione a partire dallo stato di degrado in cui si son ridotte le nostre scuole, nelle quali ogni 4 giorni, secondo le ultime statistiche, gli allievi aggrediscono un docente?
Quindi il Papa condanna la scuola neutra o laica, dalla quale viene
esclusa la religione, poiché praticamente essa diviene irreligiosa e
atea e ricorda che secondo i Sacri
Canoni “la frequenza delle scuole
acattoliche o miste, quelle cioè
aperte indifferentemente ai cattolici
e agli acattolici è vietata ai fanciulli”
(ivi).
Infine il Papa tratta il fine
dell’educazione, che è quello di
“cooperare con la grazia divina nel
formare il vero e perfetto uomo cristiano. […]. Il vero cristiano, frutto
dell’educazione cristiana, è l’uomo
soprannaturale, che pensa, giudica
ed opera costantemente e coerentemente, secondo la retta ragione
illuminata dalla luce soprannaturale degli esempi e della dottrina di
Gesù Cristo” (ib. p. 870).
Augustinus
SANCTA MARIA,
ILLUMINATRIX CORDIUM,
ORA PRO NOBIS!