Notizie sulle opere compiute
dal beato Tomaso in India
[1] La fede evangelica narra che il beato Tomaso con gli altri discepoli fu scelto all'ufficio dell'apostolato e fu chiamato dal Signore Didimo, che vuol dire gemello [aveva una sorella gemella]. Sebbene sia apparso diffidente a proposito del Signore risorto, per il fatto che agli altri discepoli, i quali affermavano di aver visto il Cristo, egli disse che non avrebbe creduto se prima non avesse messo le sue mani nelle ferite e nei luoghi delle piaghe, fu tuttavia rimproverato subito dal Maestro che gli era apparso.
Confermato nella fede, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito santo, inviò Taddeo, uno dei settanta discepoli, presso il re Abgar della città di Edeliena, per curarlo dalla sua infermità secondo le parole che gli erano state scritte dal Signore: cosa che Taddeo compì accuratamente, non appena giunse, imponendo sul re il segno della croce e guarendolo così da ogni infermità.
Mentre avveniva questo, Tomaso si trovava a Gerusalemme: qui dietro l'impulso divino gli fu ordinato di entrare nell'India, al fine di mostrare la luce della verità ad un popolo che giaceva nelle tenebre.
Ricordo di aver letto tempo fa un libro, nel quale si trattava del suo viaggio e delle opere da lui compiute in India; poiché la sua attendibilità è sospetta e da alcuni non è accettata, lasciando da parte le cose inutili, ricorderò da questo libro ciò che è accertato, per fare cosa gradita ai lettori e per rafforzare la Chiesa.
[2] Il beato Tomaso, essendo stato avvertito ripetutamente dal Signore, come abbiamo detto, di entrare nelle regioni dell'India meridionale, egli quasi come Giona fuggì dal cospetto del Signore, differì la partenza, e non adempì ciò che era disposto dall'alto; gli apparve perciò il Signore in una visione notturna, dicendogli:
"Non temere, Tomaso, di dirigerti in India, poiché io sono con te e non ti abbandonerò; là ti glorificherò e porterai a termine un buon combattimento, rendendomi testimonianza al cospetto degli uomini di quella terra; di lì ti prenderò con gloria e ti stabilirò con i tuoi fratelli nel mio regno. Sappi infatti che è necessario che colà tu soffra molto per me, affinché con il tuo insegnamento conoscano tutti che io sono il Signore".
Il beato apostolo disse: "Di grazia, Signore, non mandare colà il tuo servo; quella regione è lontana e difficile, e gli abitanti del luogo sono iniqui ed ignorano la verità".
In quei giorni c'era a Gerusalemme un negoziante indiano di nome Abban, mandato dal re Gundasero allo scopo di trovare in Siria un perito in architettura. A costui Dio apparve in forma umana e disse: "Perché, uomo, sei venuto qui da tanto lontano?". E quegli: "Sono stato mandato - disse - dal mio signore, il re dell'India, per cercare un architetto che possa innalzargli palazzi". Il Signore gli rispose: "Io ho un servo che se tu vorrai, potrai acquistare". E subito condusse il negoziante alla casa di Tomaso, e additandolo disse: "Questi è il mio servo architetto, di cui ho parlato. Mettetevi d'accordo sul prezzo. Non appena lo avrà accettato, conducilo dove vuoi". Ciò fatto, il negoziante prese il santo Tomaso e lo condusse alla sua nave.
[3] Saliti sulla nave, dopo tre mesi, giunsero nell'India meridionale. Il negoziante rimase stupito per la velocità, soprattutto perché quel viaggio, che altre volte si compiva appena nel giro di tre anni, ora era stato compiuto in tre mesi. Scesi dalla nave, entrarono nella prima città dell'India e udirono suonare musiche e videro tutta la cittadinanza che applaudiva con grande gioia. Interrogarono uno del popolo di cosa si trattasse e questi rispose: "Il nostro re sposa oggi l'unica sua figlia. Per questo c'è allegria in questa città; penso che gli dèi ti abbiano condotto in questo posto perché fossi presente ai festeggiamenti".
Mentre essi parlavano insieme di tali cose, risuonò improvvisa la voce di un banditore che si spandeva poi per tutta la città esclamando: "Ascoltate, voi tutti che vi trovate qui, ricchi e borghesi, pellegrini e poveri. Avvicinatevi al palazzo del re e saziatevi, godete e siate allegri. Se qualcuno si sottrarrà a questa comune festa sappia che è reo verso sua maestà". Udito ciò il negoziante disse all'apostolo Tomaso: "Andiamo anche noi, per non essere colpevoli verso il re". Entrati nel palazzo, fu loro ordinato di stendersi sul divano. L'apostolo Tomaso si pose in mezzo mentre tutti erano rivolti verso di lui, sapendo che era uno straniero. A queste nozze c'era anche una fanciulla ebrea, che cantava salmi; la quale avendo udito che il beato Tomaso pregava e benediceva Iddio, capì che era della sua regione e si voltava sempre verso di lui, e non desisteva dal guardare e ammirare il suo volto. Ed anch'egli, comprendendo che si trattava di una Ebrea, la guardava molto volentieri. Vedendo questo il coppiere del re, mosso da gelosia, allungò uno schiaffo all'apostolo dicendo: "Tu fissi una donna così?". Egli levando al cielo le mani disse: "Il Signore abbia misericordia di te nel giudizio futuro, figlio. Ma ora renda subito ciò che merita alla destra che ingiustamente mi ha percosso". Era intanto ormai imminente la notte, ed a quelli che stavano a tavola ad un tratto venne a mancare l'acqua per le abluzioni di rito. Per la qual cosa molti si diressero ad attingerne, ma, tardando essi a venire, corse anche il coppiere. Ed ecco che mentre si avvicinava alla fontana gli si fece incontro un grosso leone, che prese il ministro, lo stritolò e lo fece a pezzi; un cane che era lì presente, ne afferrò la mano destra e la portò a casa fra i convitati che mangiavano. Domandandosi essi chi mancasse dei servitori, vennero a sapere che il coppiere era stato ucciso alla fontana e che il leone ne aveva mangiato il corpo, ad eccezione della mano destra che era stata presa da un cane e portata nel convito. A questa notizia la fanciulla ebrea si alzò di scatto e si gettò ai piedi dell'apostolo gridando a gran voce: "Veramente costui è un servo del Dio vivo, perché tutto quello che ha detto si è subito compiuto". Anche il re, udite queste cose, si prostrò ai suoi piedi dicendo: "Ti prego, uomo di Dio, di supplicare il tuo Dio a favore dell'unica mia figlia che oggi ho affidato ad un uomo: e chiedo che tu vada colà e benedica il giovane e la fanciulla".
Ma egli si dimostrava renitente; allora il re costrinse l'apostolo ad andare fino al talamo nuziale.
Qui il beato apostolo stese le mani e pregò per essi dicendo: "Ti supplico, Signore, affinché tu spanda la tua benedizione su questi giovani, e ti degni suggerire al loro cuore ciò che è bene essi facciano". Terminata l'orazione, varcò la porta e, mentre tutti uscivano fuori, il giovane ritornò al talamo; ed ecco apparirgli il Signore con un aspetto simile a quello dell'apostolo Tomaso, il quale si pose a sedere sul suo letto. Il giovane timoroso domandò: "Non sei tu uscito poco fa? Come sei di nuovo entrato qui?". E quegli a lui: "Non sono Tomaso, ma suo fratello; egli, infatti, vi ha affidato a me, perché vi preservi da ogni male. Perciò ascoltate la mia parola. Abbandonate ogni preoccupazione temporale, e credete al Dio vivo predicato dal mio fratello Tomaso: vivete castamente, allontanate da voi ogni cura di questa vita mortale, affinché, divenuti tempio di Dio per la santità della mente e del corpo, possiate acquisire la vita eterna che si protrae senza fine". Così dicendo li benedisse e si ritirò dalla stanza.
[4] Al mattino il re, andato a visitarli, trovò il giovane seduto e la fanciulla vicino a lui, senza verecondia alcuna, così come esige l'ordine nuziale. Il re domandò loro: "Per qual motivo ve ne state così seduti?". E il giovane a lui: "Rendiamo grazie al Signore nostro Gesù Cristo, il quale si è degnato di chiamarci alla sua conoscenza, sicché abbandonate le tenebre seguiamo la luce della sua verità". Alla fanciulla il re domandò: "Perché tu senza alcuna verecondia per l'onore delle nozze, tieni alti gli occhi?". Ed ella: "Queste nozze sono transitorie: perché io sono stata sposata al re dei cieli, il cui talamo è risplendente di grandi monili, le cui nozze sono caste, alla cui mensa non mancano vivande, nella cui casa c'è gioia perenne, giocondità sempiterna e letizia perpetua. Il suo volto è desiderabile da tutti quelli che credono in lui; dalle sue vesti emana il soave odore di profumi diversi; nel suo giardino i gigli biancheggiano perennemente, rosseggiano le rose, le viole e i crochi fioriscono con perpetui germogli". Mentre ella così parlava, il re si strappò le vesti, dicendo: "Ricerca con cura quel mago che io spontaneamente ho fatto entrare nella mia casa per essere privato dei miei figli. Ecco infatti che sotto l'influsso dei suoi malefici ora si dicono cristiani".
Indignato, mandò delle guardie alla ricerca dell'apostolo, ma non lo ritrovarono. Infatti aveva già proseguito con il negoziante verso più lontane regioni dell'India. I giovani intanto si misero a predicare con costanza la parola del Signore, sì che tutto il popolo per loro mezzo si convertì al Signore; anche il re, padre della fanciulla, pentitosi sinceramente, credette nel Signore Gesù Cristo; e saputo che il beato apostolo dimorava in una regione più lontana dell'India, andò con tutti quelli che avevano creduto, e lo raggiunse; prostratosi ai suoi piedi, pregò di confermare tutti con la grazia del Battesimo. Ciò udendo, l'apostolo gioì e rese grazie al Signore. Dopo un digiuno di sette giorni li battezzò in nome della Trinità.
Allora il re pure pregò che gli fossero rasi i capelli: fu ordinato diacono e restò costante nell'insegnamento dell'apostolo.
[5] Nel frattempo il negoziante andò dal re annunciandogli di aver trovato l'uomo che gli era stato comandato; il re, tutto lieto, ordinò che glielo si conducesse davanti, e gli domandò: "Qual è la tua specialità, quale arte conosci?". "Sono servo disse l'apostolo - di un architetto. Sono specializzato nel lavorare in legno, nell'arte di tagliare le pietre ed in tutto ciò che mi viene debitamente comandato". Il re esclamò: "Da tempo ricercavo uno che conoscesse tale arte".
E condottolo fuori della città gli mostrò un luogo dicendo: "Se sei un vero architetto, mi dovrai costruire in questo luogo pianeggiante un palazzo. Quando avrai fatto questo, constaterò se sei perfetto anche in tutte le altre cose".
L'apostolo rispose: "Il luogo nel quale sarà edificato il palazzo, ove il re abiterà in eterno, è molto adatto; c'è una grande pianura, resa fertile dall'acqua, e gode anche di un'aria salubre". Stabilita la misura della costruzione e lasciata una grossa somma di denaro, il re se ne partì in un'altra città pregando l'apostolo di portare subito a termine quel palazzo.
Presa la somma di denaro, il beato Tomaso se ne andò in giro per le città annunciando la parola di Dio, distribuendo l'oro del re agli indigenti e sanando tutte le infermità del popolo di quella regione. Trascorsi alcuni giorni, il re mandò dei servi dall'apostolo per vedere la costruzione dell'edificio e sentire se aveva ancora bisogno di qualche cosa. Giunti dall'apostolo fecero quanto loro aveva ordinato il re; l'apostolo disse: "L'edificio è già al termine, sono solo necessarie alcune cose al tetto, che il re mi manderà". Udito ciò dall'apostolo, i servi lo comunicarono al re, il quale mandò del nuovo denaro a Tomaso scongiurandolo di coprire subito l'edificio.
[6] Dopo molto tempo il re, pensando che la costruzione fosse stata completata, andò in quella città ed interrogò i suoi amici, desideroso di sapere qualcosa del palazzo edificato da Tomaso; ma quelli risposero: "Nessun edificio nuovo ha costruito in città, bensì egli va erogando alla gente il tuo oro, predica alla patria il nuovo Dio del quale mai si è udito parlare, e dopo questa vita promette non so qual altra vita eterna, asserendo che vivranno eternamente gli uomini che crederanno nel nome del suo Dio; scaccia i demoni, sana gli infermi, risuscita i morti, e non accetta ricompensa alcuna. Donde è chiaro che egli è un mago ed esercita false seduzioni"
All'udire ciò, il re indignato ordinò che gli fosse condotto davanti e gli disse: "Mostrami l'edificio che hai costruito, altrimenti morirai". E quegli: "L'edificio, che tu o re mi hai ordinato, è già finito, ma non lo puoi vedere ora, bensì nel secolo futuro, quando vi abiterai felicemente". Il re acceso di ancor maggiore furore: "A quanto pare, sei venuto qui - disse - ad ingannarci". E subito ordinò che fosse rinchiuso in un carcere, unitamente ad Abban, il negoziante.
Il fratello del re sapute queste cose, che cioè il denaro pubblico era stato scialacquato, senza alcun profitto, indignato e dolente del danno subito insieme al fratello, divorato dalla febbre, mise il capo su di un lettino, chiamò il re e gli disse: "Sono giunti i giorni della mia morte. Affido a te la mia casa, sappi che esalo lo spirito. Ti supplico affinché tu ordini immediatamente di decollare quel mago per la nequizia del quale soffro tutto ciò". Ciò detto tacque; e giaceva con gli occhi chiusi, senza prendere cibo e senza proferire parola.
Ma al terzo giorno, aprì gli occhi, chiamò di nuovo suo fratello e gli disse: "Ho ferma speranza che, se ti chiederò qualcosa, tu non me la negherai. Ti prego di passare in mia dotazione il palazzo che quello straniero ti ha edificato". E tra lo stupore, soprattutto perché Tomaso non aveva edificato alcun palazzo, cominciò a spiegarsi dicendo che era stato guidato da due uomini e che gli era stato mostrato il palazzo; e seguitò poi parlando della sua ampiezza, delle finestre, dello splendore, del tetto; i due uomini che lo conducevano gli dissero: "Questa è la dimora che l'apostolo di Cristo, Tomaso, ha costruito per tuo fratello".
Dopo queste parole il re disse al suo fratello: "Se questo edificio ti piace, dagli denaro e te ne costruirà uno simile. Io però non abbandonerò la dimora, che con tanta fatica mi sono procurato". Andato poi di gran corsa al carcere liberò l'apostolo, supplicandolo perché gli perdonasse l'offesa inflittagli, chiedendo con insistenza di ricevere il distintivo della beata croce e di credere al suo Dio. Il beato apostolo ordinò loro un digiuno di sette giorni, e predicò la parola del Signore. Al settimo giorno, battezzò il re e suo fratello, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo; e dopo di loro battezzò ancora molta gente. Mentre il re e suo fratello uscivano dal lavacro, vide un giovanetto in veste bianca, con una grande lampada, che diceva: "Pace a voi!". E subito scomparve dai loro occhi.
[7] Più tardi, mentre l'apostolo usciva dalla città, gli si fece incontro una donna, posseduta da uno spirito impuro. Appena vide l'apostolo, lo spirito la sbatté per terra dicendo: "Che c'è tra me e te, o apostolo del sommo Dio? Sei venuto prima del tempo a scacciarmi fuori dalle nostre sedi". Il beato Tomaso gli rivolse subito la parola così: "Nel nome di Cristo mio Signore, ti ordino di uscire da lei senza danneggiare il suo corpo". Il demone uscì immediatamente esclamando: "Tu oggi mi scacci da questa donna, ma io ne troverò una più famosa, nella quale entrare". Uscito il demone, la donna risanata si prostrò ai piedi dell'apostolo, invocando il segno della salvezza.
Egli poi andò a una vicina fonte, la benedisse e battezzò la donna con molti altri. Poi benedisse il pane e lo distribuì a tutti dicendo: "La grazia del Signore sia con voi". Poiché erano molti quelli che ricevevano di questa grazia venne anche un fanciullo il quale stese la mano per prendere anche lui della grazia del Signore, ma la sua destra fu immobilizzata e non la poté portare alla bocca. Allora l'apostolo disse "Ecco che tutti quelli che prendono di questo pane sono guariti; ma tu, o giovanetto, mi vuoi dire qual delitto hai commesso, perché ti accada ciò?". E quegli tremante rispose: "L'altro ieri, mentre predicavi, udii che nessun adultero avrebbe avuto parte nel regno del tuo Dio. Mentre poi ritornavo a casa vidi mia moglie che commetteva adulterio con un altro uomo, e subito presala, la colpii di percosse in modo tale che ormai è in casa morta". L'apostolo comandò che gli fosse portata dell'acqua in un'anfora, ne lavò le mani del giovane e lo guarì; poi gli domandò: "Mostrami il luogo dove giace tua moglie morta". Appena la vide, l'apostolo si prostrò in preghiera e disse: "Signore Gesù Cristo che con parole benevoli ti sei degnato di promettere che qualunque cosa ti si chiede l'avresti elargita con benigna pietà, risuscita questa morta, affinché per mezzo del suo ritorno alla vita, molti credenti siano risuscitati alla vita eterna". E presa la mano della donna, la risuscitò.
Alla vista dell'apostolo, lei si gettò ai suoi piedi rendendo grazie a Dio. Di fronte a questi fatti molti cominciarono a credere e furono battezzati dall'apostolo, e gli offrivano doni che egli subito erogava ai bisognosi. Tale fama correva per la città, e giunse così ancora più numeroso il popolo indiano, presentando infermi e adagiandoli nelle piazze dove sarebbe passato l'apostolo. Egli imponeva su di loro il segno della croce beata, e nel nome del Signore nostro Gesù Cristo li sanava tutti perfettamente.
[8] Alla notizia di queste cose, un principe del re Mesdeo, venne da lui e gli disse: "Sono venuto a sapere, da giusta fonte, che tu sei un vero medico, che curi i mali di tutti, ma non accetti ricompensa alcuna. Mia moglie e mia figlia di ritorno dalle nozze furono assalite dal demonio ed ora sono terribilmente tormentate. Ti prego di venire a benedirle. Ho fiducia infatti, che hai il potere di salvarle in nome del tuo Dio". Allora il beato apostolo, accomunandosi al dolore di quell'uomo, disse: "Se tu credi, tua figlia e tua moglie saranno risanate". E quegli: "Se non avessi avuto fede, non sarei venuto da te". L'apostolo chiamò allora il suo diacono, quegli che era stato re della prima città dell'India dove l'apostolo era stato invitato a nozze, e gli disse: "Va', e fa' venire da me tutti i credenti".
E allorché giunsero, disse loro: "Ecco che ora io parto da voi! Voi però restate saldi nella fede e custodite quanto avete ricevuto da me. Amate il Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale siete rinati nel Battesimo. Lascio a voi questo diacono. Mai più vedrete la mia persona". E, stendendo le mani, li benedisse: "Custodisci, disse, di grazia, Signore, il gregge che per mezzo mio ti sei degnato di radunare affinché nessuno ritorni al demonio, ma tutti, protetti dalla tua potenza, meritino di raggiungere la vita eterna e regnino in eterno con te. Con il Padre e lo Spirito santo sia a te onore e gloria nei secoli dei secoli". Tutti risposero "Così sia", e il beato apostolo li baciò ad uno ad uno, poi salì sul carro con il principe del re Mesdeo e partì con lui. Il popolo intanto lo rimpiangeva molto, ed era triste per la sua assenza.
[9] Mentre l'apostolo si avvicinava alla casa di colui col quale andava, uno spirito cattivo martoriò le donne e furono straziate violentemente. Allorché sopraggiunse l'apostolo, lo spirito impuro diceva: "Perché ci perseguiti, Tomaso, apostolo del Dio vivo? Ci avevi scacciati dall'altra India, ed ora non c'è più un posto dove possiamo fuggire dal tuo cospetto". L'apostolo capì che questo era il demonio che egli aveva scacciato da una donna nella seconda regione dell'India, e gli disse: "In nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che io predico, uscite ed andate in una terra deserta e non torturate più uomini". I demoni uscirono subito dalle donne. Queste caddero come morte; ma l'apostolo le prese per mano, le levò su e benedisse il pane, lo spezzò, e lo diede loro in cibo.
Il beato Tomaso predicava per tutta l'India, annunziando il Signore Gesù Cristo non solo con discorsi ma anche con le opere, ed istillava così la fede nei cuori barbari. Colui che per un po' di tempo fu incredulo ed aveva dichiarato: "Se non vedrò la fessura dei piedi non crederò", riunì una innumerevole quantità di credenti in Dio.
Penso che sia stata una provvidenza del Signore quella più accurata ricerca sulla risurrezione di Cristo che egli volle fare: doveva, infatti, seminare la parola del Signore a gentili rozzi e selvaggi, e poté così parlarne con più precisione, e consolidare nella fede e nella ragione coloro che erano esitanti. Trovò dunque in India uomini e donne che accoglievano la parola di Dio, e tra loro ogni giorno sanava molti infermi.
Venuta a conoscenza dei segni che compiva il santo apostolo, una donna di nome Migdonia, moglie di Carisio, parente del re Mesdeo, si recò presso di lui, ma non poteva avvicinarglisi a causa della folla; i suoi servi presero a percuotere gente e allontanavano molti, ma l'apostolo li vide e proibì loro di fare così. Fattosi un passaggio, la donna si avvicinò e gli si gettò ai piedi, esclamando: "Abbi pietà di noi, apostolo del Dio vivo, perché siamo come delle bestie che non hanno il ben dell'intelletto". L'apostolo rispose: "Ascolta, figlia! Non confidare nelle ricchezze che hai; piuttosto distribuiscile tutte ai poveri, affinché, trascorsa rapidamente questa vita passeggera, possa raggiungere l'eterna. Abbandona gli idoli muti e sordi, e riconosci il Dio vivente". Dopo che le ebbe parlato sulla fede fino a sera, la donna ritornò a casa contrassegnata con il segno della croce. Entrata nella camera pianse dirottamente, supplicando il Signore di trovare perdono per i suoi delitti, ed era sempre triste. Quando giunse suo marito le chiese la causa della tristezza. Gli risposero i servi: "La nostra signora è nella sua stanza". Il marito entrò dunque da lei: "Perché - le domandò - sei triste; Perché è turbato il tuo cuore? So che ti sei avvicinata a quel mago, e hai ascoltato quelle parole vuote che non valgono niente. Lascia dunque i vani pensieri, alzati e andiamo a mangiare insieme". Ma lei rispose: "Questa notte abbi pazienza a mio riguardo: non prenderò né cibo, né bevanda, né riposerò con te nel tuo letto". Egli allora si ritirò e andò a mangiare con i suoi amici Al mattino ritornò da lei e gli disse: "Migdonia, ascolta il mio sogno. Immaginavo di sedere a tavola con il re Mesdeo quando sopraggiunse un'aquila che rapì dal piatto due bellissimi uccelli e se ne andò; poi ne rapì altri due e li portò nel suo nido. A questa vista il re tirò un dardo e la trafisse, ma non riuscì a farle male". Udito ciò, la moglie gli disse: "Hai visto un fatto dal significato profondo". Allorché il marito se ne andò al palazzo, la moglie si recò di nuovo dal beato Tomaso; lo trovò che insegnava alla folla, le si prostrò ai piedi e disse: "Ho ascoltato la tua predicazione e tutte le parole percepite dal mio orecchio le conservo in un cuore illibato". E rimase là ad ascoltare la predicazione fino a sera. Avvicinandosi la notte, ritornò a casa sua senza prender cibo e non dormì con suo marito. Per la qual cosa Carisio, suo marito, al mattino dolendosi che sua moglie si separasse da lui, indossò vestiti dimessi e si presentò al re. Vedendolo così sfigurato il re gli domandò: "Per quale motivo assumi tale atteggiamento dimesso?". Ed egli: "Perché ho perso mia moglie a causa di un mago che Sapore introdusse in questa regione per mandarla in rovina".
[10] Subito il re comandò di far chiamare Sapore. I servi andarono e lo trovarono seduto presso l'apostolo ad ascoltare la parola di Dio; e Migdonia era ai loro piedi. I servi gli dissero: "Ecco che il re è adirato contro di te, e tu te la spassi nell'ascoltare vane parole? Vieni, perché egli ti chiama". Levatosi, pregò l'apostolo di intercedere per lui. L'apostolo gli disse: "Non temere, ma spera nel Signore perché egli stesso sarà nostro aiuto e non temeremo di essere danneggiati da alcun uomo".
Entrato Sapore dal re, gli fu domandato: "Chi è quel mago che hai fatto venire in casa tua, che turba la regione ed il popolo tutto?". Sapore rispose: "Sai benissimo, o re, l'afflizione che ho sofferto a causa di mia moglie e di mia figlia: torturate dal demonio, sono state da lui risanate. Ed ora anche molti infermi sono guariti da lui; e tutto ciò che chiede al suo Dio egli glielo concede".
Udito ciò, il re Mesdeo ordinò che gli fosse condotto dinnanzi l'apostolo. Ma poiché i servi non gli si potevano avvicinare a causa della folla, Carisio irruppe in essa con furore e gli disse: "Alzati, maliardo, e vieni alla presenza del re: non valgono a niente le tue magie". E legatagli una fune al collo, lo trascinava dal re dicendo: "Venga pure Cristo a salvarti dalle mie mani". Così trascinato, giunse al cospetto del re, il quale gli domandò: "Qual è la tua stirpe e la tua patria, in nome di chi compi queste opere?". Il beato apostolo rispose: "Il mio Dio è il tuo Dio, il creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che in essi si trova; a lui solo è dovuto il culto e non a idoli muti e sordi". A queste parole il re restò grandemente adirato, e comandò che fosse torturato e rinchiuso in carcere ferito.
Mentre veniva rinchiuso, egli rendeva grazie a Dio, essendo ritenuto degno di soffrire tali cose per il suo nome.
Carisio ritornato a casa sua diceva: "Ora mia moglie si unirà a me, poiché ho tolto di mezzo il mago da questo popolo". Giunto a casa la trovò stesa per terra col capo rasato, e le domandò: "Dolcissima moglie, quale insania ti passa per la mente per fare questo? Forse che il mago sarà più potente di me? Non vedi che tutta l'India mi venera e che col re faccio ciò che voglio? E poi ho anche molto denaro". E la moglie a lui: "Tutte queste cose sono terrene e ritorneranno alla terra. Invece sarà beato colui che si darà alla vita eterna". Udito ciò, Carisio si addormentò nel suo letto.
[11] Migdonia invece prese dell'oro, lo diede ai custodi, e poi entrò in carcere; qui baciò i piedi dell'apostolo e ascoltò la parola del Signore. Ritornata a casa sua, mentre suo marito era dal re, si prostrò per terra nella sua camera e prese a supplicare Dio con le lacrime, dicendo: "Sii propizio, Signore, alla mia insipienza, perché possa ritornare alla salvezza eterna". Vedendo ciò la nutrice le disse: "Che è questa perversità del tuo cuore? Abbandoni tuo marito per merito del quale sei tenuta in gran conto, e ti affliggi con digiuni e veglie, sedotta dalle parole di un mago?". E quella a lei: "Questa non è perversità! E' una ragione sana e giusta, che l'uomo sappia riconoscere il suo creatore e meriti di raggiungere la vita eterna. Volesse il cielo che tu credessi in Cristo, così da essere partecipe dei nostri combattimenti". E quella: "Se ne vedrò la ragione sufficiente, ti seguirò". Allora Migdonia rispose: "Gli dèi che tu ora onori, sono niente; il vero Dio è Gesù Cristo per il quale sono stati fatti i secoli; per redimere l'uomo che aveva plasmato, egli si fece uomo, morì e fu sepolto, discese agli inferi, donde trasse coloro che erano tenuti prigionieri da una pessima morte. Ritornato di là ci insegnò la risurrezione. E così salì al cielo, dove siede alla destra di Dio Padre onnipotente, ed ora elargisce a quanti credono in lui i doni celesti. I suoi tempi non hanno fine, la sua gioia è imperitura, la sua luce non tramonta mai. Egli in verità regna col Padre e con lo Spirito santo ora e per tutti i secoli dei secoli".
Udite queste parole, la nutrice Narchia, subito credette nel Signore: andarono insieme al carcere, diedero del denaro ai custodi ed entrarono per ascoltare dall'apostolo la parola di Dio. Egli era molto lieto della fede di Migdonia, per mezzo della quale anche altri si convertivano al Signore. Siccome chiedevano il Battesimo con insistenza, l'apostolo disse a Migdonia: "Va' a casa tua, prepara il necessario, e io verrò a battezzarvi!". Quando le donne se ne andavano il beato apostolo le seguì nella casa di Migdonia, e qui la battezzò unitamente alla sua nutrice e a molti altri. Ritornò poi in carcere e la porta fu chiusa.
[12] Quando Carisio era gravemente addolorato per la conversione della moglie, il re mandò sua moglie con il figlio Zuzane perché consolasse la cognata Migdonia, la facesse recedere da quella vita, ricongiungendola al proprio marito. Entrata in casa di Migdonia, le disse: "Perché, sorella dilettissima, ti lasci trarre in inganno da un mago che predica nella nostra patria un nuovo Dio? Recedi da questo depravato pensiero e sii allegra nella tua casa con l'uomo al quale i tuoi genitori ti sposarono. Non abbandonare i patrii numi, perché non abbiano ad adirarsi contro di te". A queste parole ella rispose: "Mi sono lasciata ingannare fino ad ora seguendo idoli vani, che non camminano, non parlano e sono inani, e ho ignorato la parola di Dio, il quale fece il cielo, la terra e tutto ciò che essi contengono. Anzi anche i metalli, il legno e le pietre, con cui gli idoli sono fusi e scolpiti, è con la sua parola che sono stati creati, ed anche noi siamo sue creature. Non è giusto perciò, sorella dilettissima, che abbandoni questo creatore per adorare una creatura che ci è stata data a nostro servizio". Dopo che Migdonia ebbe finito di dire queste cose, Zuzane, figlio del re, disse: "E chi mai ha creato tutte queste cose, se non i nostri dèi? Giove infatti governa il cielo, Giunone regge l'aria, Nettuno domina il mare, Plutone giudica negli inferi, Febo illumina il giorno e Berecinzia la notte". Migdonia, sorridendo, rispose: "Tutti costoro che stai ricordando, figlio carissimo, sono condannati all'inferno, perché non riconobbero il Dio vivo. Se, infatti, fai ricorso alle antiche favole, li troverai dediti alla lussuria e vedrai che hanno perpetrato gli stessi mali che oggi i giudici condannano negli uomini malvagi. E poi sono morti, non vivono. Il nostro Dio invece permane in eterno E chi avrà creduto in lui passerà da questa morte temporale alla vita eterna". Mentre Migdonia diceva queste ed altre simili cose, la moglie del re, sinceramente colpita, disse a suo figlio: "Ben a ragione la nostra sorella ha lasciato suo marito e le ricchezze terrene per guadagnarsi la vita eterna. Potessimo noi pure vedere quest'uomo il quale ci facesse conoscere la verità". Ella con gioia si recò dall'apostolo e gli raccontò tutto ciò che era avvenuto. Anche lui poi gioiva e predicava senza stancarsi la parola del Signore; impose loro la mano, le benedisse e comandò che si allontanassero. Ma la moglie del re non andò più da suo marito e suo figlio non riferì nulla al padre a proposito di ciò che aveva ascoltato.
[13] Quando al re Mesdeo furono riferite tutte queste cose che cioè sua moglie e suo figlio s'eran convertiti all'apostolo, adiratissimo, ordinò che gli fossero condotti la moglie e il figlio. Non riuscendo a persuaderli ad allontanarsi da quella via, comandò di rinchiudere la moglie in un luogo oscuro e di legare il figlio in carcere insieme all'apostolo. Anche Carisio rinchiuse sua moglie e la di lei nutrice in una piccola cella tenebrosa. Poi il re ordinò che gli fosse condotto subito Tomaso con le mani legate dietro la schiena, e gli domandò: "Chi è questo tuo Dio che separa, per causa tua, le nostre mogli?".
Gli rispose Tomaso: "Tu che sei re, desideri, forse, servizi vili? Se dunque tu che sei uomo ti studi di avere servi e ancelle puri quanto più hai da credere che Dio ami servizi castissimi e purissimi. Se quindi io predico che Dio nei suoi servi e nelle sue ancelle ama ciò che tu pure ami nei tuoi servi e nelle tue ancelle, perché sono accusato?". Allora il re: "Io - disse - ho permesso che mia moglie liberasse dal precipizio sua cognata Migdonia, e tu hai rinchiuso nel precipizio anche lei".
Rispose l'apostolo: "Non si tratta di un precipizio. Precipizio è invece ritirarsi dalla castità e abbandonarsi ai piaceri. Chi si allontana dai piaceri e ritorna alla castità, costui risale dal precipizio alla salvezza, e passa dalle tenebre alla luce". Gli disse il re Mesdeo: "Come tu hai separato i loro animi dalla unione del nostro matrimonio, con gli stessi artifici fa' che, con la stessa intenzione, ritornino ad essere nostre spose come lo furono prima". Rispose l'apostolo: "La richiesta del re è sbagliata". E il re: "In che cosa erra la mia richiesta?". E l'apostolo: "Ho innalzato una torre eccelsa, e tu ora dici a me, costruttore, di distruggere, proprio io, la sommità? Ho scavato profondamente nella terra ed ho tratto dall'abisso una fonte e tu ora mi dici di sommergerla? Io piuttosto rivolgerò ad esse le parole del mio Signore: "Se uno ama il padre o la madre, i figli o la moglie più di Dio, non è degno di Dio". Tu sei un re temporaneo, eppure qualora la tua volontà non sia eseguita infliggi una pena temporale; Dio invece è un re eterno, e se si disprezza la sua volontà, la punizione sarà eterna. In verità, o re, dopo che tu avrai ucciso il corpo, non potrai uccidere l'anima: il vero Dio invece può mandare nel fuoco eterno e l'anima e il corpo". A queste parole, Carisio, che stava presso il re, intervenne asserendo: "Se tarderai a uccidere questo mago, egli manderà in rovina anche noi".
[14] Allora, pieno d'ira, il re ordinò di infuocare lance di ferro e togliere i sandali dell'apostolo, affinché stando sopra le lance a piedi nudi venisse meno dal dolore. Ma prima che fosse inflitto tale supplizio all'apostolo, scaturì dell'acqua e le lance furono spente. L'apostolo disse al re: "Il Signore ha fatto questo non per me, ma per te, affinché tu creda. A me invece il Signore può dare una pazienza tale da non temere il tuo fuoco, anche senza acqua". Carisio allora disse al re: "Comanda che egli sia messo in una fornace delle terme". Il re ordinò anche questo, ma le terme non poterono più riscaldarsi e non avevano neppure il più piccolo grado di calore, e il giorno seguente l'apostolo se ne uscì incolume. Carisio disse di nuovo al re: "Comanda che egli sacrifichi al dio Sole, incorrerà così nell'ira del suo Dio, che lo libera da ogni pena che gli s'infligge". Mentre s'adoperava affinché entrato nel tempio sacrificasse al dio Sole, Tomaso ridendo in faccia al re disse: "Dimmi, o re, chi è più bello tra te e la tua immagine? Senza dubbio sei più bello tu, che la pittura che ti rappresenta. Perché dunque voi mettete da parte il vostro dio per adorare la sua rappresentazione?". C'era infatti una statua in oro del sole, con una quadriga aurea di cavalli, con le briglie sciolte, come se stesse compiendo una velocissima corsa verso il cielo. Mentre il re spingeva l'apostolo ad adorare la statua, questi gli disse: "Sbagli, o re, se credi, come ha asserito Carisio, che il mio Dio si adiri nel caso che io adori il tuo dio. Soprattutto desidero che tu sappia che egli si adirerà contro il tuo dio e lo toglierà di mezzo appena lo avrò adorato". Domandò allora il re: "Il tuo Dio, che i Giudei mandarono a morte, sarà mai capace di togliere di mezzo l'invittissimo Sole?". Rispose l'apostolo: "Vuoi dunque che ti si provi che ciò può avvenire?". Carisio interruppe: "Ha trovato delle scuse per non adorare il Sole, e per non sacrificargli". Gli ribatté l'apostolo: "Prima io lo adorerò, e se poi il mio Dio non lo annienterà, allora gli sacrificherò". Consenzienti il re e Carisio, lo introdussero nel tempio accompagnandolo al ritmo delle danze rituali.
[15] Intanto delle vergini cantavano accompagnandosi con cetre, altri con flauti, altri con timpani, altri portavano bracieri e turiboli. Dopo che furono entrati, l'apostolo disse al simulacro: "A te, demone, che abiti in questo simulacro e dài responsi agli uomini stolti e delusi che vedono il simulacro, in nome del mio Signore Gesù Cristo, che fu crocifisso dagli Ebrei, io ordino di uscir fuori e di porti qui davanti a me e sia visto, e di fare poi quanto ti comanderò". Appena uscito il demone si pose davanti a lui; ma era visto dal solo apostolo, il quale gli disse: "Io adoro di cuore il mio Signore Gesù Cristo. Ma appena metterò a terra le mie ginocchia e ti comanderò di distruggere l'idolo, supplicherò il mio Signore che mandi il suo angelo a relegarti e condannarti nell'abisso". Gli rispose il demone: "Io ti prego, apostolo di Dio, affinché non mi releghi nell'abisso e mi permetta di uccidere tutti costoro". E l'apostolo a lui: "Ti ordino, in nome di Gesù Cristo, mio Signore, di non ledere alcun uomo, ma solo questa statua; e di distruggerla non appena piegherò le ginocchia". L'apostolo parlava col demonio in lingua ebraica, e nessuno capiva di che cosa o di chi parlasse.
Rivoltosi poi al re disse: "Rifletti bene, o re! Tu consideri cotesto simulacro invittissimo, e giudichi il mio Dio un uomo ucciso dagli Ebrei; ebbene se il tuo è più forte, e io non sarò capace a distruggerlo invocando il nome del mio Signore, non solo adorerò il demone che vi si nasconde, ma gli sacrificherò; se però il famoso tuo dio precipiterà a terra in pezzi, sarà evidente che tu devi abbandonare l'errore ed accogliere la verità". E il re a lui: "Fino ad ora hai osato parlare con me come da pari a pari, ma ora se non adori e sacrifichi al dio Sole, io ti farò recidere le vene". Rispose l'apostolo: "Ecco che io adoro, ma non il simulacro; ecco che io adoro, ma non il metallo; ecco che io adoro, ma non l'idolo. Adoro invece il mio Signore Gesù Cristo, nel nome del quale a te, demone, che ti nascondi in questo stesso idolo, dico di distruggere metallo e simulacro, senza danneggiare alcuno".
Immediatamente come cera al fuoco, l'idolo si sciolse liquefacendosi. Davanti a questo avvenimento, tutti i sacerdoti, costernati, emisero grida terribili e il re fuggì con Carisio. Intanto un sommo sacerdote percosse l'apostolo, e ne seguì una gran baraonda tra la folla; ma la maggior parte della gente era per l'apostolo. A causa di ciò Mesdeo, re dell'India, gettò in carcere l'apostolo Tomaso, suo figlio Zuzane e molti altri.
[16] Né cessava l'apostolo, anche se in carcere, dal confermare i fedeli, dicendo: "Credete nel Dio che predico; credete in Gesù che vi evangelizzo, che è l'aiuto dei suoi servi e il ristoratore degli affaticati; in lui esulta l'anima mia, perché ho concluso il tempo e porto in me colui che ho bramato ardentemente di vedere. La sua bellezza mi sprona a dire chi egli sia: ma la sua grandezza supera i sensi, oltrepassa l'intelligenza, sicché io non sono capace di comprendere e di esprimere ciò che bramo dire di lui. Ma tu, o Signore, che sei solito riempire l'anima povera, riempila di ciò che mi manca e sii con me fino a quando verrò da te e ti vedrò".
Appena Zuzane udì queste cose, avvertendo che l'apostolo diceva che il suo tempo era compiuto, ed egli sembrava prossimo a partire da questo mondo, prima che abbandonasse il corpo desiderava chiedergli una medicina per sua moglie Manazara, ammalata di artrite, e chiese che gli permettesse di recarsi da lei. Dopo avere eluso il custode e promesso che sarebbero ritornati, decise di andare a casa sua insieme all'apostolo. In quella occasione gli voleva anche presentare la domanda del diaconato, e quindi della benedizione levitica. Rammentò che lui pure voleva servire Dio, che già da tempo ne aveva fatto voto nel suo animo, ma che dal padre era stato poi costretto a prender moglie a vent'anni, che pur essendo stato con lei per tre anni non ebbe figli e non conobbe mai altra donna tranne sua moglie, che già da tempo si asteneva dal dormire con lei, anche perché ella pure s'impegnava a essere casta e desiderava ascoltare le parole di Tomaso, senza però averne la possibilità a causa della sua infermità; se l'apostolo avesse voluto guarirla, egli si sarebbe interessato per ottenere il permesso di andare. Tomaso gli rispose: "Se hai fede vedrai le meraviglie di Dio e come egli cura i propri servi".
[17] Mentre discorrevano di queste cose, una donna di nome Trepzia, moglie del re, Migdonia, moglie di Carisio, amico del re, e la nutrice Narchia, dopo aver consegnato al custode trecentosessanta monete d'argento, furono introdotte dall'apostolo.
Qui trovarono Siforo, comandante delle milizie del re, e Zuzane, la moglie e la figlia di Siforo che con altre persone erano intente alle parole del Vangelo. Quando le tre donne furono al cospetto di Tomaso, l'apostolo le interrogò come e col permesso di chi erano entrate, chi avesse loro aperto il carcere e come fossero uscite dal luogo dove erano state rinchiuse. Rispose Trepzia: "Non sei stato tu che ci hai aperto la porta e ci hai detto: "Uscite ed andate in carcere, per accogliere i fratelli che sono colà, poiché il Signore ha dimostrato in noi la sua gloria?". Mentre poi ci avvicinavamo alla porta, non ti sei mostrato subito, ma dal rumore della porta abbiamo avvertito che eri entrato qui. In verità abbiamo piegato il custode remunerandolo, per entrare da te ed ottenere, se possibile, quanto impetriamo con una certa somma, e cioè che tu ti ritiri in qualche luogo per un po' di tempo, fino a quando sarà sbollita l'ira del re".
Tomaso domandò a Trepzia in che modo era stata cacciata in carcere da suo marito, quale ne era stata la causa e per qual motivo egli non aveva perdonato neppure a sua moglie. Trepzia rispose: "Tu vuoi sapere da me in che modo sono stata messa in prigione, tu che mai mi hai abbandonata, che non ti sei assentato una sola volta? Mi meraviglio che tu ignori in che modo sono stata mandata in carcere. Ma se lo vuoi sentire, ecco: Il re Mesdeo diede l'ordine che io fossi introdotta da lui, e mi disse: "Quel mago non ha ancora su di te un potere completo. Infatti ho sentito parlare di azioni che compie con olio, pane ed acqua magica. Quindi non avendoti ancora potuto avvicinare con queste arti magiche, tu ne sei tuttora immune. Perciò obbedisci ai miei ordini, altrimenti tu pure sarai gettata in prigione". Ma poiché io non acconsentivo e gli dicevo che facesse quel che gli pareva; ché egli aveva potere sul mio corpo, ma che la mia anima non l'avrei lasciata perire con esso, ordinò che fossi rinchiusa in un luogo oscuro. Poiché anche Carisio aveva posto sotto accusa la moglie, ordinò di rinchiudere Migdonia insieme alla di lei nutrice, Narchia. Ma tu poi ci hai fatto uscire perché venissimo da te: ed eccoci qui per ricevere da te la grazia della benedizione".
[18] A queste parole di Trepzia, l'apostolo riconobbe subito i benefici di colui che assunse in molti casi l'aspetto umano per consolare gli afflitti ed eliminare le pene dei doloranti. Prese perciò a ringraziare il Signore Gesù che aveva confermato i deboli, reso stabili i vacillanti e infuso speranza agli sfiduciati. Mentre i prigionieri stavano parlando di queste cose nel carcere, sopraggiunsero i custodi a dire di spegnere le lucerne, perché qualcuno, vedendoli stare insieme e parlare, non li denunciasse al re. Spente pertanto le lucerne, i custodi se ne ritornarono ai loro posti. Ma l'apostolo, visto che tutti erano avvolti nelle tenebre, cominciò a chiedere al Signore la luce: "Illuminaci tu, Signore, dal momento che i servi ci fanno stare nell'oscurità. Tu, Signore, degnati di illuminare i tuoi servi col tuo santo lume, un lume che nessuno possa rapire o estinguere". Subito tutto quel luogo risplendette come in pieno giorno. Anche gli altri rinchiusi per diversi motivi in carcere, presero a vegliare. Infatti non potevano dormire i servi di Dio che Cristo teneva desti, non permettendo che piombassero nel sonno colui che dice: "Sorgi, tu che dormi risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà".
Dopo che i presenti si erano scambiate alcune cose, Tomaso ingiunse a Zuzane: "Va' a prepararci tutto ciò che è necessario per il ministero". Alla domanda di Zuzane in che modo avrebbe potuto uscire dal carcere, o chi avrebbe aperto dal momento che tutto era chiuso e i custodi immersi nel sonno, Tomaso rispose "Credi in Cristo e va'! Troverai le porte aperte". Gli altri lo seguirono. Mentre stavano già a metà cammino, si fece loro incontro la moglie di Zuzane, Manazara, diretta al carcere; riconosciuto il marito, disse: "Mio marito Zuzane?". Ed egli riconosciutala, le domandò dove mai andasse, tanto più di notte, e come avesse potuto alzarsi, lei che prima non poteva minimamente sollevarsi. Lei rispose "Questo giovanetto del Signore, imponendomi le mani mi ha risanata. Sono stata poi spinta da un sogno a recarmi dallo straniero, detenuto in carcere; e mi sto affrettando affinché, secondo la visione avuta in sogno, possa riavere la completa guarigione". Zuzane domandò chi fosse quel giovanetto che era stato da lei. Manazara rispose: "Anche tu non lo vedi, mentre egli mi regge e sostiene la destra?".
[19] Accadevano queste cose, allorché tra costoro che parlavano giunse Tomaso, poi anche Siforo, comandante della milizia, sua moglie e sua figlia, e infine Trepzia, Migdonia e Narchia, che stavano andando tutte a casa di Zuzane.
Manazara, visto l'apostolo, lo adorò ed esclamò: "Sei venuto qual medico a guarirmi dalla mia infermità! Ti ho visto pure questa notte che mi affidavi a questo giovanetto affinché mi guidasse in carcere. Invece di aspettare che venissi da te, a motivo della grande tua bontà non hai sopportato che io soffrissi ancora e ti sei messo in cammino verso di me".
Diceva ancora questo allorché si voltò per cercare il giovanetto: costui, infatti, si era improvvisamente sottratto agli occhi di lei, e non era facile vedere colui che poco prima era visibile. Angosciata perché s'era allontanato colui che la sosteneva, prese ad esclamare: "Non posso camminare da sola, non c'è più il giovanetto che mi avevi mandato". E l'apostolo a lei: "Ecco che ormai sarà Cristo a camminare con te, proprio lui sarà il tuo compagno di viaggio e la tua guida". Messasi pertanto a correre tutta festosa verso casa, la donna precedeva tutti gli altri; dopo che l'apostolo e gli altri vi giunsero, la casa subito risplendette di molta luce.
Tomaso allora cominciò a pregare: "Tu, Signore, aiuto degli infermi, speranza e fiducia dei poveri, rifugio e riposo dei sofferenti, consolazione di quelli che piangono, porto degli sballottati dalle onde, risurrezione dei morti, redenzione dei peccatori, tu che per noi hai subìto la passione corporea, tu che sei penetrato nella dimora della morte e nello stesso inferno, perché fossimo liberati dalle impronte della morte. I prìncipi della morte si stupirono che fossi giunto alla morte, ed essi non abbiano potuto trattenerti, anzi gemettero perché mentre essi restavano privi dell'antica possessione, ti videro ritornare trionfatore. Giustamente perciò ti onoriamo, Signore Gesù, essendo venuto a noi con quella tua paterna e perfetta sostanza, perché potessimo vedere in noi le viscere della tua misericordia verso di noi. Tu ti sei fatto ministro dei tuoi servi, arricchitore della tua possessione; povero, ma non indigente; ricco, ma senza disdegnare il povero; tu hai digiunato per quaranta giorni al fine di riempire con l'eterno alimento benedetto le anime degli affamati: assisti, ti prego, i tuoi servi Zuzane, Manazara e Trepzia; degnati di condurli nel tuo gregge, di annoverarli tra i tuoi santi e di soccorrerli in questa regione di sbandamenti. Sii il medico di quanti languiscono in questa servitù, sii il riposo nelle fatiche, stabilità tra le cose labili. Sii, infine, l'aiuto dei corpi e la vita delle anime, affinché siano templi della tua misericordia e abiti in essi lo Spirito santo".
[20] Terminata questa benedizione, prese il sacramento e rese grazie al Signore dicendo: "O Signore Gesù, questo tuo sacramento sia per noi vita, in remissione dei peccati. Infatti, è per noi che è stata celebrata la tua passione. E' per noi che tu hai bevuto quel fiele, affinché in noi morisse tutta l'amarezza dell'avversario. E' per noi che tu hai bevuto anche l'aceto, affinché ne derivasse forza alla nostra stanchezza. E' per noi che sei stato sputacchiato, affinché versassi su di noi la rugiada immortale; sei stato percosso da una fragile canna, per sostenere la nostra fragilità per la vita perpetua e per l'eternità. Sei stato coronato di spine, per coronare con la corona d'alloro sempre verde della tua carità coloro che credono in te. Sei stato avvolto inoltre in una sindone, per rivestire noi con il velo della tua virtù. Hai voluto essere seppellito in un sepolcro nuovo, per ripristinare in noi una nuova grazia e tempi nuovi".
Terminata questa preghiera, distribuì l'Eucaristia ai summenzionati, dicendo: "Questa Eucaristia ci conceda la vita, viscere di misericordia, la grazia della salvezza e la salute per le nostre anime". Mentre essi rispondevano: "Così sia!", si udì una voce che ripeteva anch'essa: "Così sia!". Al suono di questa voce, caddero tutti per terra. E di nuovo la voce risuonò dicendo: "Non temete, abbiate soltanto fede".
[21] Allora tutti fecero ritorno: Tomaso alla sua cella, Trepzia, Migdonia e Narchia anch'esse al loro carcere. Ma prima che uscissero, l'apostolo parlò loro così: "Ascoltate le mie ultime parole, perché non resterò più a lungo in questo corpo: sono chiamato verso il Signore Gesù, verso colui che mi ha redento, verso colui che s'umiliò oltre ogni limite, al fine di risollevare tutti fino all'ultimo: in lui ho imparato a sperare. Se, infatti, ha chiamato me, indegno, al sacro ministero, tanto più ora, dopo averlo servito nella verità, posso sperare la ricompensa. Egli è buono e giusto; il Signore sa la ricompensa da dare secondo i meriti di ognuno. Ricco di doni, largo di grazie, non è affatto parco di benefici. Egli s'è degnato di elargire a me, indegno, molti doni al di là del mio merito. I suoi miracoli devono spingervi a lodarne l'autore. Ché io non li compivo per mia propria virtù. E' in nome del Signore mio Gesù Cristo ch'io li impetravo, non li esigevo. Poiché io non sono Cristo, ma servo di Cristo; né sono io l'arbitro, bensì il ministro di colui che mi ha mandato. Perciò terminata la mia corsa, vi ammonisco, affinché quando mi vedrete in potere degli uomini e tra i tormenti, non venga meno la vostra fede. Io infatti adempio la volontà del mio Signore, ed è giusto che io voglia ciò che comanda il Signore. Infatti, se egli ha accettato di morire per noi, tanto più noi, contro la volontà del Signore, non dobbiamo temere la morte di questo corpo. Tanto più poi che questa morte non è una rovina, bensì la liberazione del corpo. Perciò non prego che sia differita la morte. Credete, infatti, che io potrei differirla, se volessi; ma al contrario, prego di esserne assolto al più presto affinché, andatomene, possa contemplare colui che è splendido e misericordioso, colui che in ricompensa delle opere e delle fatiche, per le quali non mi sono risparmiato, qual Signore liberalissimo, mi darà il premio".
[22] Dette queste cose, tutti fecero ritorno al carcere tenebroso. Giunto in carcere Tomaso pregò: "Signore Gesù, che per noi molto hai sofferto, si chiudano queste porte come lo erano prima e si formino di nuovo i sigilli negli stessi posti". Lasciati gli altri, l'apostolo si diresse alla cella per rinchiudervisi. Le donne, intanto, non potevano desistere dal piangere, sapendo che Mesdeo non si sarebbe fatto scrupolo di ucciderlo. Frattanto, giunto alla sua cella, l'apostolo trovò i custodi che discutevano tra di loro dicendo: "Come siamo capitati male con questo mago! Ecco che ha aperto le porte delle carceri con arti magiche, e volle condurre tutti con sè. Affinché con i suoi incantesimi non scivolino fuori con lui anche gli altri, riferiamo la cosa al re, parlandogli anche di sua moglie e di suo figlio". Tomaso ascoltava queste cose e se ne stava zitto. Essi, dunque, all'alba andarono dal re, e gli chiesero di togliere di mezzo quel mago, senza chiuderlo più altrove, per il fatto che con il suo potere magico apriva ogni luogo chiuso. Annunciarono poi che le porte del carcere erano state aperte e che di ciò essi s'accorsero mentre si stavano alzando; che anche la moglie del re era entrata da lui con altri e che non se ne allontanavano. Udite queste cose, il re controllò subito i sigilli che aveva fatto mettere alle porte ma li riscontrò uguali a come erano prima. Agitato, disse ai custodi che s'erano ingannati asserendo di aver visto entrare in carcere Trepzia e Migdonia, dal momento che i sigilli non erano stati toccati. Ma essi asserivano di aver detto il vero. Allora Mesdeo si sedette nella sala del tribunale, chiese che gli fosse portato davanti l'apostolo e l'interrogò se fosse libero o schiavo. E Tomaso a lui: "Sono servo di uno, ma di uno solo, sul quale non hai potere". Gli chiese di nuovo Mesdeo perché fosse venuto nel paese. L'apostolo rispose: "Per salvare molti"; gli disse inoltre che gli era debitore per il fatto che sarebbe passato all'al di là per mano di Mesdeo. Allora il re gli domandò chi fosse il suo Signore, quale il suo nome e di quale regione. Tomaso rispose: "Il mio Signore è il tuo Dio, è il Signore del cielo e della terra. Di lui tu non puoi udire il nome: ma quello che gli è stato attribuito in questo mondo è Gesù Cristo". Al re che lo minacciava per il fatto che non glielo manifestava, mentre tolto di mezzo quel maleficio tutta l'India ne sarebbe stata purificata, Tomaso rispose: "Tutti questi malefici se ne andranno con me: sappi però che non per questo mancheranno". Onde il re meditava in quale modo avrebbe potuto uccidere Tomaso. Temeva il popolo, per il fatto che moltissimi, anche dei più influenti, ammiravano le sue opere e credevano in Gesù.
[23] Il re pensò di dovere agire astutamente nei confronti di Tomaso. Uscì dalla città insieme a Tomaso e circondato di soldati. Il popolo pensava che uscisse perché Tomaso doveva mostrargli qualcuna delle sue opere. Tenevano dunque gli occhi su di lui ritenendo che il re volesse imparare qualcosa da lui e che egli avrebbe ammaestrato il re. Ma uscito di circa mezzo miglio, il re lo consegnò a quattro soldati, ai quali aggiunse un uomo più robusto, con l'ordine di condurlo sul monte vicino e di ammazzarlo colà con la spada. Dato quest'ordine ai soldati, il re se ne ritornò subito in città. Ma il popolo comprese e li inseguiva con l'intenzione di rapire Tomaso. I soldati allora presero Tomaso e si posero due a destra e due a sinistra; quello più robusto lo teneva per mano e andava davanti. L'apostolo intanto annunciava i grandi e divini misteri che nella sua stessa uscita si manifestavano: diceva di essere condotto da quattro soldati, perché era composto da quattro elementi, e possedeva i quattro princìpi generativi; diceva che il Signore Gesù era stato percosso da uno solo, perché sapeva che uno solo è il suo genitore, il Padre. Giunto al luogo della passione, dopo aver esortato gli altri a conservare la fede nel Signore Gesù e a coltivare la pietà, supplicò anche Zuzane di dare del denaro alle guardie affinché gli fosse concesso il tempo di pregare. Questi diede loro una larga mancia, ed egli prese a rendere grazie che nel mondo era stato custodito da Cristo e dallo stesso ora richiamato: egli gli era stato il sostegno, nei pericoli, il consolatore nella tristezza, l'aiuto nelle fatiche, il predecessore nel cammino percorso in questo mondo.
[24] "Tu - disse - Signore, mi avevi annunciato che io sono tuo: per questo non presi moglie, mi dedicai tutto a te, affinché né l'uso dell'unione matrimoniale, né la consuetudine diminuissero o distruggessero la grazia del tuo tempio. Hai ritratto l'animo avido da ricchezze mondane con una provvigione ed elargizione celeste, insegnandomi che nelle ricchezze ci sono perdite, non vantaggi. E perciò hai fatto sì che, contento nella povertà, cercassi la verità inesauribile delle ricchezze spirituali, e investigassi i tesori nascosti in Cristo: soddisfatto delle tue ricchezze, non ne desiderassi altre. Perciò sono divenuto povero, bisognoso, pellegrino e servo nelle catene, nei digiuni, nella fame e sete, nel lavoro, nei pericoli, affinché la fiducia non perisse e la speranza non venisse confusa. Guardami, perciò, o Signore; non ho nascosto il tuo denaro, ma lo spesi sopra la mensa e lo divisi tra i banchieri. Chiamato, venni alla tua mensa né mi scusai dal partecipare al tuo convito con la necessità di visitare un campo o con la necessità di prendere moglie, né gli preferii un paio di buoi. Invitato alle tue nozze, indossai la veste bianca; aspettando il ritorno del Signore non mi sono scordato dell'olio; ho custodito la mia casa tutta la notte e non fui spogliato dai ladri; mi cinsi i sandali ai piedi perché non svanissero le impronte. Osservai la prima, la seconda e la terza veglia per vedere il tuo volto e contemplare il tuo splendore una volta infranta la notte. Non ho vivificato il mio morto, quando veniva meno non l'ho riempito, ed anzi castigai l'incantenato che tu mi hai dato, uccisi il mio prigioniero per non vincolare colui che ricevetti libero. In terra ricevetti obbrobri, sperando la ricompensa in cielo. Se dunque ho espletato un servizio fedele, assistimi, o Signore, affinché non mi si presentino i ladri, né gettino contro di me le loro reti. La tua gloria circondi il tuo servo, affinché rivestito da tanta grazia, le forze avverse non osino imbrigliarlo. Ho forse obbedito loro, mentre tentavano di sbarrarmi il cammino? Vanno incontro ai loro seguaci e non permettono loro di procedere oltre. Assistimi, o Signore, affinché passi oltre in pace e nella grazia. Possa dirigere nella verità il tuo servo e indirizzare alla tua casa il mio cammino, e il demonio non si scagli contro di me. I suoi occhi siano accecati dal tuo splendore. Ammutolisca la sua bocca per quello che dice, lui che in me non trova nulla degno delle sue opere".
Detto questo, rivolse la parola ai soldati: "Venite ed eseguite l'ordine di colui che vi ha mandato". Gli si avvicinarono quattro soldati e lo trafissero con le lance; il beato apostolo cadde e morì. I fratelli lo seppellirono tra le lacrime nel sepolcro regio, nel quale erano stati sepolti i re, circondato da molti e preziosi aromi ed indumenti.
[25] Apparve quindi subito a Siforo e a Zuzane, i quali non volevano andare in città e sedevano tutto il giorno al sepolcro; disse loro: "Perché sedete qui a custodirmi? Non sono qui! Sono asceso ed ho ricevuto tutto ciò che ho sperato. Perciò alzatevi, andate via da qui, fra breve vi riunirò con me". Mentre a proposito dell'apostolo capitavano queste cose, la regina Trepzia e Migdonia condotte davanti a Mesdeo e Carisio erano martoriate, ma non si sottomettevano alla loro volontà.
Ad esse apparve l'apostolo dicendo: "Non vogliate errare, il Signore Gesù presto vi darà aiuto!". Mesdeo e Carisio non potendo vincere l'animo delle loro mogli, le lasciavano libere di seguire la loro volontà. I fratelli si radunavano con molta gioia e letizia. Siforo era il sacerdote e Zuzane il diacono, ordinati dall'apostolo quando salì il monte per morirvi. Questi usufruivano di molti aiuti da parte del Signore, e ogni giorno la fede si radicava sempre più. Ad essi il Signore concesse anche questa grazia.
Il figlio di Mesdeo era posseduto dal demonio, né v'era alcuno che lo potesse liberare. Mesdeo allora decise così: "Andrò ad aprire il sepolcro, toglierò delle ossa dal corpo dell'apostolo, le metterò sopra mio figlio, certo guarirà". Mesdeo saliva il monte con questi pensieri, quando gli apparve Tomaso e gli disse: "Non hai creduto nei viventi e credi nei morti? Ma non temere! Il Signore Iddio avrà misericordia di te, ti mostrerà le viscere della sua misericordia, a causa della sua bontà". Appena Mesdeo giunse sul monte, aprì il sepolcro, ma non trovò le ossa perché già da tempo alcuni fratelli avevano rapito le sante reliquie e le avevano sepolte nella città di Edessa. Tuttavia la terra e l'immondezza che il re poté trovare nel sepolcro, e sulle quali erano state adagiate le reliquie dell'apostolo, Mesdeo le portò via e le legò sul figlio dicendo: "Ora credo in te, Cristo, perché si allontanò da me colui che turba gli affetti degli uomini, e che mi impediva di vederti subito". Appena mise sul figlio quanto aveva trovato nel sepolcro, subito fu guarito, in quello stesso istante. Una grande gioia pervase i fratelli, per la conversione del re a Gesù Cristo, re celeste, al quale sia onore e gloria nei secoli eterni. Così sia.
AMDG et BVM