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giovedì 25 settembre 2014

2. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ


LIBRO SECONDO

Come il ministero può essere snaturato


CAPITOLO I
IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Il ministero ecclesiastico è una creazione di Nostro Signore; ma perché è affidato agli uomini può avvenire che a causa della loro natura soggetta a tante debolezze, non sia conservato nella completa integrità della sua natura.
Nostro Signore è Dio e insieme uomo ed ecco che ci sono stati degli uomini che hanno disgiunto in lui la divinità e l'umanità per poi negare l'una o l'altra e, conseguentemente distruggere questo grande mistero per quanto era in loro potere, e inaridire il fiume di grazie di cui è la sorgente. San Giovanni dice che questa è un'opera dell'Anticristo: "Ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio" (1 Gv. 4,3). Poiché gli uomini cercano di scindere il mistero dell'Incarnazione e annientarne le conseguenze, non c'è da stupire che la stessa cosa avvenga per il ministero che è una conseguenza e un'imitazione del mistero della divina Incarnazione.

CAPITOLO II
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Dal momento che il ministero consiste essenzialmente in tre cose: la preghiera, la predicazione e i sacramenti, evidentemente la sua natura sarebbe mutata, alterata, annientata se accadesse che una di queste tre cose fosse soppressa o alterata. Chi non vede, infatti, che l'opera della salvezza degli uomini sarebbe necessariamente arrestata se cessasse la preghiera, se la predicazione divenisse muta e se i sacramenti non fossero più amministrati? Lo stesso accadrebbe se non solamente le tre cose sparissero insieme, ma anche se solo una di esse venisse a mancare. Andiamo più lontano e affermiamo che, pur sussistendo le tre parti essenziali del ministero, il ministero sarebbe infruttuoso se queste non avessero il posto voluto da Dio, cioè se l'ordine stabilito dal Signore non fosse esattamente conservato e osservato. A chi si daranno i sacramenti e a quale scopo si daranno se non precede la predicazione onde far nascere la fede nelle anime che è il principio delle opere necessarie alla salvezza? E la predicazione avrebbe la potenza che Dio le vuol dare a questo scopo se non fosse preceduta dalla preghiera che attira la grazia dall'alto e sopra il predicatore e sopra l'uditorio?

CAPITOLO III
SEGUITO DEL PRECEDENTE

Nel ministero c'è il corpo e l'anima, per cui mancando d'una delle due cose è snaturato in se stesso.
Il corpo del ministero è cosa abbastanza conosciuta; ma l'anima, lo spirito interiore che deve dargli vita è cosa troppo poco conosciuta. Vi sono molti che credono d'aver compiuto il ministero quando ne hanno compiuto tutte le opere esterne: ma la parte del ministero che si chiama "la preghiera" spesso è considerata l'opera della persona del sacerdote, mentre non è l'opera della persona, ma dello stesso ministero, come abbiamo già osservato (Libro I, Capo IV).
Ciò è importantissimo. Il sacerdote che si persuade che potrà adempiere il suo ministero, compiendo riguardo ai fedeli tutto ciò che possono cristianamente desiderare da lui e chiedergli; e dice a se stesso: Se non sono uomo interiore, uomo di preghiera, ciò riguarda me soltanto, e le conseguenze che ne derivano sono soltanto mie; grandemente si sbaglia e questo errore ci sembra essere oggi assai comune.
Il ministero, in questo caso, è un ministero senz'anima, un ministero senza vita e, troppo sovente un ministero di morte: "Ministratio mortis" (II Cor. 3,7).

CAPITOLO IV
COME IL MINISTERO È SNATURATO IN QUANTO ALLA SUA PRIMA PARTE: LA PREGHIERA

Abbiamo detto come il sacerdote mancherebbe al suo ministero se considerasse la preghiera un obbligo non del ministero della Chiesa, ma del cristiano che è in lui.
Il sacerdote non può né deve separare in sé stesso il cristiano dal sacerdote, né il sacerdote dal cristiano. Benché sia vero dire ch'egli è cristiano per sé e sacerdote per gli altri, nella realtà non è meno vero che in lui è il cristiano che è sacerdote.
I doveri del cristiano e i doveri del sacerdote sono una cosa sola, come il cristiano e il sacerdote sono in lui una sola persona.
Sarebbe perciò un grande errore il non pensare la preghiera come il massimo, più importante e più indispensabile obbligo del sacerdote. Egli deve la preghiera a Dio, alla Chiesa, alle anime, a sé stesso: a Dio del quale è una creatura; alla Chiesa della quale è ministro; alle anime delle quali è servo; alla sua anima della quale dev'essere, dopo Dio, il salvatore.
Egli la deve perpetua: "Bisogna pregare sempre" (Lc. 18,1).
La deve nelle ore canoniche e nella forma canonica.
Nella forma canonica. Questa generalmente si accetta perché c'è un obbligo formidabile e si sa che si commetterebbe peccato mortale, lasciando una sola ora canonica. Ma che bisogna recitare le ore canoniche nelle ore canoniche generalmente non si sa. Tuttavia che cosa significano le parole del breviario: Ad Matutinum, ad Primam, ad Tertiam, ad Sextam, ad Nonam, ad Vesperas, ad Completorium?
Si dirà che in altri tempi era così. Certamente, ma perché e come mai oggi non è più così?
Attualmente si recita Mattutino alla vigilia, cioè si fa della preghiera della notte e del mattino una preghiera della sera, o meglio, una preghiera del "fra poco".
Perché forse non s'è trovato più facile alzarsi più tardi che di buon mattino?
Si dice: è per avere tempo per la meditazione. Ma forse che i nostri padri non conoscevano la meditazione?
Forse non vi dedicavano del tempo? Siamo perciò più dediti alla meditazione di quanto lo erano i nostri antichi?.
Oh! Un fatto è certo: noi meditiamo meno dei nostri padri e abbiamo addosso una dose di pigrizia e d'immortificazione che certamente i nostri padri non conoscevano.
Le preghiere del giorno che i nostri padri avevano così saggiamente distanziato da tre a tre ore per richiamarci senza posa all'adorazione della SS. Trinità, oggi si recitano in una sola volta; e ciò, si afferma, per essere più liberi.
Più libero! Ma che cos'è questa libertà che si affranca dalla puntualità nella preghiera? E per che cosa si impiegherà questa libertà? A correre e a discorrere? A giocare e a ridere? Ah! La libertà! I nostri padri ne avevano un altro concetto. Essi venivano meno, ammirando la definizione che ne aveva dato Sant'Agostino: "Libertas est Charitas" (De Natura et gratia, Lib. I, Cap. LXV).
La carità! Amare Dio e il prossimo, amare Dio e pregarlo: amare il prossimo e lavorare alla sua salvezza, questa era la carità secondo i nostri padri.
È dunque vero che oggi s'intende in altro modo la libertà e così il dovere della preghiera. Quasi dappertutto non si fa più la preghiera canonica nelle ore canoniche e ciò non è una delle cause per le quali il ministero produce pochi frutti press'a poco dappertutto?
E se il ministero è così importante a salvare chi per la cui salvezza è stato istituito, non bisogna forse concludere che dal momento in cui non attinge il suo scopo dev'essere considerato come un'istituzione malauguratamente viziata, diciamo la parola, snaturata?

CAPITOLO V
COME IL MINISTERO È SNATURATO NELLA SUA SECONDA PARTE: LA PREDICAZIONE

Ci sono più modi per snaturare il ministero in ciò che concerne la parola di Dio. Innanzitutto non predicando affatto e meritando in questo modo il nome che lo Spirito Santo in passato diede a certi pastori negligenti quando li chiamo "cani muti, incapaci di abbaiare" (Is. 56,10).
Il Signore chiamava con questo nome le sentinelle d'Israele, uomini ciechi e ignoranti, cani che non sapevano abbaiare.
Uomini dagli occhi aperti soltanto alla vanità, uomini sempre addormentati, amanti dei loro sogni: "I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi" (Is. 56,10).
Nulla da aggiungere a queste parole dello Spirito Santo.
Si snatura il ministero, predicando come parola di Dio ciò che non è parola di Dio. Dice il Signore a Geremia: "I profeti hanno predetto menzogne in mio nome; io non li ho inviati, non ho dato ordini, né ho parlato loro. Vi annunziano visioni false, oracoli vani e suggestioni della loro mente" (14,14).
Infine, anche predicando la parola di Dio, le si potrebbe far subire certe alterazioni che l'Apostolo San Paolo aveva dinanzi agli occhi quando chiamava corruttori, falsificatori e alteratori della parola di Dio certi predicatori: "che mercanteggiano la parola di Dio" (2 Cor. 2,17 e 4,2). Spiegando queste parole dell'Apostolo, G. Estio dice: "Mercanteggiano, ossia trattano con inganno la parola di Dio coloro che non la dispensano illibata e pura, come è stata trasmessa, ma la guastano e la falsificano mescolandovi la sapienza del mondo o la dottrina giudaica; sicuramente servendo ad essa cercano non la gloria di Dio, ma il compiacimento dei propri comodi; mentre ingannano gli uomini cercano di piacere loro e, per piacergli, adattano la parola di Dio ai loro sentimenti" (in Cor. IV, 2).
Per concludere questo capitolo, diciamo che la parola di Dio dev'essere predicata con lo Spirito di Dio, e lo Spirito di Dio non sarà con noi se noi non siamo uomini di preghiera. ciò ancora una volta dimostra come il ministero dipende tutto intero dalla preghiera che San Pietro pose prima di tutto: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4).

CAPITOLO VI
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO NELL'AMMINISTRAZIONE DEI SACRAMENTI

Abbiamo detto (Libro I, cap. VII) qual è il compito dei sacramenti nell'economia della religione e, conseguentemente nel ministero ecclesiastico. I sacramenti non danno le disposizioni necessarie per riceverli, è evidente perciò che il ministero sarebbe snaturato se chi dà i sacramenti non avesse tutta la sollecitudine necessaria per far nascere queste disposizioni, tutta l'attenzione indispensabile per riconoscerle là dove sono e tutta la fermezza voluta per non dare i sacramenti dove non vi sono le disposizioni richieste da Dio stesso.
Con quanta facilità ci si immagina ai nostri giorni di avere le disposizioni a un sacramento poiché si ha la volontà di riceverlo e la bontà di accettarlo! Non so se questo modo di pensare sia proprio di un gran numero di anime, ma è cosa certa che dove esiste è completamente fuori delle condizioni perché il sacramento possa portare qualche frutto.

CAPITOLO VII
CIÒ CHE PUÒ ESSERE IL MINISTERO QUANDO È SNATURATO

Il ministero può fallire al suo scopo per una moltitudine di cause diverse, come l'abbiamo dimostrato con quanto precede; che può essere allora il ministero se non abitudine, empirismo, o una specie di industria?
Ci spieghiamo. L'abitudine è una specie di ministero ecclesiastico che consiste nel rispondere a ciò che è domandato e a fare di volta in volta ciò che si presenta. Ossia, si fa quanto si deve fare, in virtù di un certo ordine materiale, di un'usanza e di un'abitudine che non merita biasimo in se stessa. Ad un ministero così fatto manca poco meno di quanto manca ad un cadavere: l'anima, lo spirito.
L'empirismo... Ahimè quale parola in una materia tanto grave! La parola infelicemente richiama alla memoria quegli uomini che con un solo rimedio s'impuntano a guarire tutti i mali e son detti ciarlatani. Quando nel ministero si segue un metodo analogo a quello dei ciarlatani, vi si mette del buon volere (non diciamo della buona volontà nel senso teologico della parola): si vuole il bene, ci si dà da fare per il bene, ma è un da fare mosso da una volontà poco e male illuminata. Si possono fare dei grandi passi con la speranza che finalmente si imboccherà la buona strada; ma non si sa chiaramente che cos'è la buona strada e quali sono le condizioni per camminarvi con sicurezza.
Noi chiamiamo una specie d'industria un certo ministero ecclesiastico nel quale si fa un grande spreco dello spirito: s'inventano mille modi, si mettono in movimento mille espedienti, s'impiegano mille e mille arti, ma vi è un male in tutto lo spirito che si esplica: la mancanza dello spirito di Dio.
Abbiamo tra le mani un libro scritto recentemente, assai lodato ed anche coronato di un certo successo. Un libro che è un vero metodo dell'industrialismo in fatto di ministero. Contiene espedienti di cento maniere, per il sindaco e per il suo vice, per il castellano e la castellana, per il notaio e per il medico, per il maestro e per la guardia campestre, ecc. ecc.
Dopo aver letto questo libro ci siamo detti: ecco delle cose che San Pietro e San Paolo non sapevano. Poi ci venne alla mente questa riflessione: è meglio sapere soltanto ciò che sapevano San Pietro e San Paolo!

CAPITOLO VIII
LE CONSEGUENZE DEL MINISTERO SNATURATO

Quando il ministero è snaturato, il sacerdote che non riesce a convertire le anime è portato ad affermarsi piuttosto al ministero che a sé stesso. Lontano dal dirsi: non sono un uomo di preghiera; non tratto la parola di Dio come di Dio; non vigilo perché i sacramenti che sono santi siano santamente ricevuti. Ma dirà molto facilmente a sé stesso che i mezzi che gli sono stati affidati sono impotenti, e che, logicamente non può nulla e che non c'è nulla da fare. Dopo ciò egli potrà cadere in una specie di pigrizia spirituale, che gli impedirà di vedere e il male che sta di fronte ai suoi occhi, e il bene da farsi, né i mezzi da prendere per far sì che il suo ministero sia utile al prossimo e a sé stesso.
Se il male aumenterà potranno sorgere nell'anima del sacerdote dei dubbi intorno all'opera di nostro Signore nel creare il ministero; e il ministero divenuto impotente tra le sue mani, potrà essere considerato da lui impotente a causa di nostro Signore.
Ancora un passo: il sacerdote dapprima avvilito, poi esitante nella fede, cadrà nello scoraggiamento, potrà perdere la fede e precipitare in colpe che non hanno più nome, quando sono le colpe di un sacerdote: "Non peccata, sed monstra", dice Tertulliano.
Certamente in tutti questi scalini di discesa c'è una logica, beninteso senza fatalità: che Dio voglia allontanare una si fatta caduta dal sacerdote!

1. Omni die dic Mariae 
Mea laudes anima: 
Ejus festa, ejus gesta 
Cole devotissima.


mercoledì 24 settembre 2014

1. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ

Di EMMANUEL ANDRÈ
Titolo originale: Traité du Ministère Ecclésiastique - Versione dal francese di D.C. Masetti OSB
Imprimatur: Monte Oliveto Maggiore, 29 Giugno 1979 - † Angelo M. Sabatini, Abate Ordinario

INTRODUZIONE



Il ministero ecclesiastico è un'opera straordinaria della bontà di Dio; perciò per scriverne convenientemente occorre possedere una grande fede per penetrare i disegni di Dio stesso, e una grande carità per scrivere intorno alle meravigliose invenzioni di Dio per l'eterna salvezza degli uomini. 


Pur sapendo quanto ci manca di questa fede e di questa carità osiamo trattare di un argomento così grande. Non lo faccio pero senza chiedere perdono al Signore dell'ardimento col quale, così imperfetti, ci avviciniamo a cose tanto perfette. Col perdono di Dio e concedendoci Egli l'assistenza del suo divino Spirito ci proponiamo di scrivere il presente Trattato del Ministero Ecclesiastico in quattro libri. Dei quali il primo sarà consacrato alla natura del Ministero ecclesiastico; il secondo dimostrerà come questo ministero può essere snaturato; il terzo farà conoscere il terreno sul quale si deve esercitare; e il quarto sarà un'esposizione delle virtù necessarie per la sua riuscita. 


"Ci aiuti la tua grazia, o Dio onnipotente, affinché noi, che abbiamo ricevuto il ministero sacerdotale, siamo capaci di servirti degnamente e devotamente con assoluta purezza e pura coscienza. E se, purtroppo, non possiamo mantenerci in una innocenza di vita così grande come sarebbe necessario, dacci almeno la grazia di piangere giustamente quello che abbiamo fatto di male e di dedicarci al tuo servizio in spirito di umiltà e con propositi di buona volontà, in modo più fervente di come abbiamo fatto per il passato. Amen". (Imitazione di Cristo, lib. IV, cap. XI)

LIBRO PRIMO

Natura del Ministero ecclesiastico


CAPITOLO I
ORIGINE DEL MINISTERO

Dio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo Unico Figlio e mentre inviava nel mondo il suo Divino Figlio gli diede un grande ministero da compiere verso l'umanità decaduta. Egli doveva soddisfare, come Redentore, la giustizia di suo Padre e poi meritarci le grazie necessarie alla salvezza e creare un'istituzione che, attingendo continuamente dal tesoro dei suoi divini meriti, facesse giungere a tutti gli eletti le grazie che dovevano condurli alla vita eterna. Nostro Signor G.C. compì in modo pieno la missione ricevuta dal Padre e alla vigilia della sua morte poté affermare con tutta verità: "Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l'opera che mi hai dato da fare" (Gv. 17,4) e ciò ripeterà più espressamente sulla croce un istante prima di morire esclamando: "Tutto è compiuto" (Gv. 19,30). Egli aveva formato i suoi Apostoli al ministero, aveva consegnato a loro ogni verità, rivelato ogni cosa e posto nelle loro mani i sacramenti. Però prima di metterli in azione per l'esercizio del ministero aveva dato a loro lo Spirito Santo. L'opera che gli Apostoli dovevano compiere, era opera divina, poteva essere compiuta soltanto con lo spirito di Dio, non essendo lo spirito dell'uomo acconcio a una simile fatica: e lo Spirito di Dio fu dato.

CAPITOLO II

Nostro Signore G. C. dopo aver creato ed esercitato egli stesso il santo ministero, lo affido agli Apostoli come coloro che dovevano continuare l'opera sua. A questo scopo concesse ad essi il potere d'ordine e di giurisdizione e, allo stesso tempo le virtù necessarie per il buon uso di questi terribili poteri. "Onus angelicis humeris formidandum", dice il Concilio di Trento.

Gesù creo gli Apostoli e li fece ministri perfetti. "Ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza" (2 Cor. 3,6) perché egli aveva altrettanta facilità nel dar loro i poteri.
Gli Apostoli trasmisero facilmente i poteri, avendo a loro disposizione i sacramenti, ma non poterono trasmettere le virtù. Ciò ci mostra come il ministero poté alle volte fallire e ci fa toccare con mano l'innata debolezza negli eredi degli Apostoli.
Senza anticipare vediamo ciò che era il ministero in mano agli Apostoli. Ce lo dice San Pietro in una sola parola: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4).
Si ha oggi questo concetto e del ministero e dell'ordine che bisogna seguire per compierli bene? Ne dubitiamo assai: perché, se non erriamo, ci sembra che oggi il grande affaccendarsi sia l'amministrazione dei sacramenti e poi la predicazione; mentre la preghiera è considerata come un'opera personale del sacerdote, anziché come l'opera principale del ministero. Un autentico rovesciamento dell'ordine stabilito da Dio.


CAPITOLO III
IL CORPO E L'ANIMA DEL MINISTERO

Nel ministero bisogna, come nella Chiesa, distinguere il corpo e l'anima: allo stesso modo dei composti nei quali si distingue la materia e la forma. Il corpo del Ministero è la parte esteriore, rituale: l'amministrazione dei sacramenti.

L'anima del ministero, è certamente la preghiera, l'unione interiore a nostro Signore; unione che ci deve far attingere da Dio lo spirito interiore, il solo capace di fecondare le opere esterne.
La predicazione appartiene al corpo del ministero; mentre se la si considera doversi ispirare, vivificarsi, animarsi nella preghiera e in essa attingere potenza ed efficacia, allora appartiene all'anima del Ministero. E questo ci rivela la profondità dell'affermazione di San Pietro citata più sopra: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4).


CAPITOLO IV
L'ORDINE VERO DELLE TRE GRANDI FUNZIONI DEL MINISTERO

Poiché il ministero secondo nostro Signore e gli Apostoli è contenuto principalmente in queste tre funzioni: preghiera, predicazione e amministrazione dei sacramenti, è necessario osservare che San Pietro ha messo prima di tutto la preghiera, dopo la predicazione e finalmente, come una risultante, l'amministrazione dei sacramenti.

Ecco l'ordine vero delle sante funzioni del ministero.
Innanzitutto è necessario entrare in relazione scambievole con Dio: punto principale, perché bisogna captare la grazia, divenirne familiare, come dice San Gregorio, e poi dedicarsi alle anime presso le quali si dovrà esercitare il ministero.
Dopo aver pregato bisogna predicare e istruire: e la predicazione fatta potente dalla preghiera che l'ha preceduta, conduce le anime a desiderare, a chiedere e poi a ricevere i sacramenti.
Questa l'economia nell'opera della salvezza delle anime, questo l'ordine col quale Nostro Signore vuole che si compiano le sante funzioni.


CAPITOLO V
PRIMA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREGHIERA

Nostro Signore c'insegna che bisogna pregare sempre: "Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai" (Lc. 18,1). Il compimento di questo precetto, preso a rigor di termine, ci sarebbe impossibile: perciò i santi Padri lo hanno spiegato nel senso che bisogna pregare spesso perché l'anima sia continuamente sotto l'azione e sotto la protezione della preghiera fatta precedentemente.

A questo scopo lo Spirito Santo ha ispirato alla Chiesa di stabilire le ore della preghiera, e sono considerati sempre oranti coloro che sono fedeli alla preghiera nei tempi prescritti, nelle ore prescritte, e meglio, nelle ore canoniche. Infatti il Venerabile Beda dice che "semper orat qui statuta tempora non praetermittit orandi".
Le ore canoniche sono note. Gli Apostoli ci hanno dato l'esempio della preghiera nel corso delle ore canoniche: "verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inno a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli". Era una preghiera vocale, dal momento che era intesa da coloro che stavano in prigione con gli Apostoli (At. 16,25).
Nel giorno della Pentecoste la Chiesa nascente era riunita per la preghiera di Terza, quando discese lo Spirito Santo: "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo... all'ora terza del giorno" (At. 2,1-15).
San Pietro sale a pregare in una stanza alta ed era l'ora di Sesta: "Salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare" (At. 10,9).
San Pietro e San Giovanni salgono al tempio per pregare all'ora di Nona: "Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio" (At. 3,1). Questo passo è estremamente importante: gli Apostoli avevano le loro ore fisse per pregare: "Horam orationis", e Nona era una di queste.
Il Centurione Cornelio, prima ancora di essere cristiano, pregava all'ora Nona, e fu allora che ricevette la visita dell'angelo che lo indirizzo a San Pietro: "Verso quest'ora, stavo recitando la preghiera delle tre del pomeriggio" (At. 10,30).
La tradizione della Chiesa è costante su questo punto così importante della preghiera nelle ore canoniche. Gli esempi dei Santi sono uniformi in tutti i secoli, e li vediamo tutti e sempre fare delle preghiere nelle ore canoniche il loro primo dovere. E come San Pietro diceva: "Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense" (At. 6,2), non volendo sacrificare la predicazione per un servizio esterno di carità, tanto meno egli avrebbe sacrificato la preghiera, che anteponeva alla predicazione, ad ogni altra cosa come ne fanno testimonianza le parole già citate: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4). Secondo San Pietro il Ministero consisteva innanzitutto nella preghiera, e, dopo nella predicazione; l'amministrazione dei sacramenti veniva dopo come una cosa secondaria. Una parte per così dire materiale che spesso gli Apostoli lasciavano ai diaconi per il battesimo e ai presbiteri per il battesimo e per gli altri sacramenti.
San Paolo pur avendo convertito numerosi abitanti di Corinto, in Corinto battezzo soltanto pochissime persone perché la massa dei fedeli era già stata battezzata da Apollo e da Cefa; ed egli dice chiaramente che nostro Signore non l'aveva inviato a battezzare, ma a predicare il Vangelo: "Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo" (1 Cor. 1,17). Ciò è di basilare importanza tanto più che oggi le idee sono diametralmente all'opposto di quelle degli Apostoli: i vescovi e i sacerdoti dopo aver somministrato i sacramenti credono volentieri di aver compiuto il loro ministero, mentre ne hanno compiuto soltanto la parte materiale, perché l'essenziale non consiste in questo.


CAPITOLO VI
SECONDA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREDICAZIONE

La predicazione della parola di Dio non è un'opera umana. La scienza per quanto grande sia e l'eloquenza per quanto potente, non sono punto la predicazione della parola di Dio.

La scienza può essere utile, ed utile l'eloquenza, ma nella predicazione della parola di Dio c'è qualcosa più della scienza e meglio dell'eloquenza. Sottolineiamo bene l'espressione "Parola di Dio". Per parlare questa parola, bisogna averla ricevuta: e se è vero che la si riceve dalla Chiesa, non è men vero che essa diviene parola di vita grazie allo Spirito di Dio infuso in noi durante la preghiera. La parola che dobbiamo predicare deve perciò venire da Dio e deve essere annunziata dallo Spirito di Dio. Gli Apostoli hanno veramente predicato, la prima volta, nel giorno della Pentecoste: "Furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare..." (At. 2,4). Vi è perciò una distanza infinita tra il nostro insegnamento e gli insegnamenti umani. Gli uomini annunziano la parola dell'uomo, noi la parola di Dio: gli uomini parlano col loro spirito, noi abbiamo lo spirito di Dio: gli uomini intendono far nascere la scienza nei loro uditori, noi la fede. Quale differenza!
Ora, come per generare la scienza bisogna possedere la scienza, allo stesso modo per generare la fede nelle anime bisogna essere già se stessi penetrati dalla fede. La parola che noi annunciamo dev'essere la stessa parola della fede: "Verbum Fidei", dice San Paolo (Rom. 10,8), "Fides ex auditu" (Rom. 10,17).
Pertanto, noi non siamo dei professori di religione, ma i mezzi di Dio per far penetrare la fede nelle anime: "Come se Dio esortasse per mezzo nostro", dice ancora San Paolo ( 2 Cor. 5,20). perciò oltre il chiedere a Dio con la preghiera che la nostra parola sia veramente la sua parola; dobbiamo essere ricolmi dello Spirito di Dio per annunciare la divina parola, sapendo poi che in questo formidabile ministero facciamo un'opera eminentemente divina per cui ci occorre essere umili, oranti e supplichevoli, spogli di noi stessi, e in qualche modo di tutta la nostra umanità se vogliamo che l'opera nostra sia veramente l'opera di Dio che faccia nascere la fede nei nostri uditori: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato" (Gv. 6,29).


CAPITOLO VII
TERZA FUNZIONE DEL MINISTERO: I SACRAMENTI

Dopo aver pregato e parlato, l'uomo di Dio, "Homo Dei" (1 Tm. 6,11), vedendo la fede ormai nata nell'anima degli ascoltatori e operarvi le opere necessarie alla giustificazione, darà i sacramenti.

I sacramenti che elargiscono tanta grazia, non danno pero le disposizioni necessarie per riceverli. Ecco un punto capitale nella dottrina cristiana: e ciò dimostra quanto si sbagliano coloro che credono che tutto è salvo quando si sono ricevuti i sacramenti.
I sacramenti sono dei segni sensibili della grazia invisibile; e il sacerdote che amministra i sacramenti, pur stando attento al rito esterno, deve applicarsi interiormente a chiedere la grazia interiore: egli deve entrare in comunione con Dio che dà la grazia, con Nostro Signore Gesù Cristo che l'ha meritata e con l'anima che la riceve. 
Nella religione non c'è nulla che sia soltanto esteriorità. Dio è spirito, e in tutto ciò che viene da lui, come tutto ciò che a lui va, dev'essere spirito.
Noi siamo anima e corpo: Nostro Signore è Dio e uomo; i sacramenti hanno forma e materia: tutto questo in armonia l'un con l'altro. Si turberebbe quest'armonia dimenticando od omettendo nella nostra religione quanto Dio volle che vi fosse conservato.
L'uomo che dimenticasse la sua anima per non veder altro che il suo corpo; chi in nostro Signore vedesse soltanto l'umanità, imitando per così dire gli antichi Antropomorfiti; il sacerdote, che nei sacramenti non vedesse altro che il rito esterno, sarebbero fuori dalla verità. Ora, soltanto la verità salva: "La verità vi farà liberi" (Gv. 8,32).


CAPITOLO VIII
IL MINISTERO È UN MISTERO INTERIORE


Benché nel ministero ci siano diversi elementi esterni, tuttavia risponde a verità l'affermare che, preso nel suo insieme, il ministero è cosa interiore. Infatti, chiedere la grazia, concorrere al suo stabilirsi nelle anime, a conservarvisi e a farla sviluppare non è forse l'essenziale e il tutto del ministero? Chi non vede che tutte queste cose sono fatti interiori? E perché è così, come d'altronde non se ne può dubitare, si comprende sempre più chiaramente quant'è profonda l'affermazione del principe degli Apostoli che dice: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4). Egli pone in primo luogo la preghiera: perché il ministero, che agisce sugli uomini, manifesta la sua efficacia nella misura con la quale il ministero è entrato in comunicazione con Dio per mezzo della preghiera. Dio solo dà senza aver ricevuto, perché, essendo Dio, ha in se stesso ogni bene: noi che non siamo Dio, non possiamo dare se non dopo che abbiamo ricevuto. E quando si tratta dei mezzi di santificazione delle anime da chi li potremo ricevere se non da Dio; e come Dio ce li darà con la loro piena efficacia se noi non lo preghiamo, con umiltà, con fiducia e con perseveranza?
Quanto sono ammirevoli sotto quest'aspetto gli antichi missionarî benedettini nostri Padri! Quando arrivavano in un paese idolatra vi cercavano un luogo solitario e un sito inaccessibile dove si mettevano in preghiera, lottavano con i demoni, con le fiere; si costruivano una capanna di legno, cantando i salmi nelle ore canoniche del giorno e della notte... "Nos vero orationi instantes erimus". Quando poi avevano pregato, spesse volte per anni, andavano da loro contadini e pastori, domandavano chi erano, che cosa facevano e da lì alle prime lezioni di catechismo non c'era che un passo e col tempo i catecumeni... "Orationi et ministerio Verbi instantes erimus".
Poi sorgeva una comunità cristiana: poteva venire la persecuzione, ma era vinta e la fede trionfante piantata nelle anime perché tutto fluiva da un principio interiore: la preghiera, l'unione con Dio. In questa unione e in questa incessante comunione con Dio i cristiani ricevevano le grazie di luce e di conversione per le anime; e il ministero era benedetto da Dio.

DIVINA PASTORA ORA PRO NOBIS