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domenica 5 marzo 2023

Un'omelia speciale

 




L'Omelia per san Valentino


16 - 1, ore 6 ant.

   Scrivo alla luce del lumino di cera, e non so come scriverò. Ma non voglio
soffrire quello che ho sofferto ieri. Mentre dicevo il “Veni Sancte Spiritus” mi
si presenta questa visione, ed è così prepotente che capisco l’inutilità di
insistere a pregare. La seguo perciò. E vedendola complessa la scrivo come posso
a questa luce.

   Sono di certo nelle catacombe. In quale? In quale secolo? Non so. Sono in una
chiesa catacombale fatta così: [grafico]. Insomma a rettangolo terminato da una
vasta aula rotonda nel cui centro è l’altare: una tavola rettangolare, staccata
dalla parete, coperta da una vera tovaglia, ossia da un telo di lino ad alti
orli su tutti i quattro lati, ma senza merletti e ricami.

   Sulla parete dell’abside è dipinta una scena evangelica: il Buon Pastore. Non è
certo un capolavoro. Una via di campagna che pare mota gialla; una chiazza
verdastra oltre la via, a sinistra di chi guarda, sarebbe il prato; sette pecore
ammassate tanto da parere un blocco solo, di cui solo delle due prime si vede il
muso mentre le altre paiono fagotti panciuti, camminano sulla via, venendo verso
chi guarda, ai limiti del prato. Il Buon Pastore è al loro fianco, sul fondo,
vestito di bianco e col manto rosso sbiadito. Ha sulle spalle una pecorina che è
tenuta per le zampette da Lui. Il pittore, o mosaicista, ha fatto tutto quello
che ha potuto... ma non si può certo dire che Gesù sia bello. Ha il
caratteristico volto piatto, largo più che lungo perché preso di fronte, dai
capelli stesi e appiccicati, troppo scuri e opachi, dei dipinti e mosaici
cristiani primitivi. Non ha neppure la barba. Però nel suo brutto ha uno sguardo
mesto e amoroso che attira, ed una mossa, sulla bocca, di sorriso doloroso che
fa pensare.

   Nel punto segnato da una crocetta vi è una bassa apertura. Ma tanto bassa che
solo un fanciullo potrebbe passare senza urtarvi il capo. Sopra, una lapide
lunga quanto un uomo segna un loculo. Sulla lapide è scritto il “Pax” che si
usava allora e sotto in latino: “Ossa del beato martire Valente”. Ai lati della
epigrafe sono graffite una ampolla e una foglia di palma.

   In fondo alla chiesa, dove è il segno rotondo, un’altra bassa apertura, e presso
ad essa vedo quattro robusti fossori, armati di pale e picconi. Sono vicini a
due mucchi di arenaria di sterro. Arguisco che si sia in tempo di persecuzioni e
che siano pronti a far franare la parete e ad occultare la chiesa con la frana e
coi mucchi di arenaria già pronti.

   Nella chiesa vi è il solito chiarore giallo-rosso tremolante delle lampadette ad
olio. Verso l’altare la luce è più viva. Nel fondo è appena un chiarore nel
quale si perdono i contorni delle persone vestite per lo più di scuro.
L’altare ha sopra il calice, ancora coperto. Ma la Messa deve essere già
iniziata. All’altare vi è un vegliardo dal volto ascetico, pallidissimo, sembra
scolpito nel vecchio avorio. La tonsura si perde nella calvizie che mette solo
una corona di soffici capelli bianchi intorno al capo sino al disopra delle
orecchie. Il resto è nudo, e la fronte pare immensa. Sotto essa due chiari occhi
cilestrini, miti, tristi, limpidi però come quelli di un bimbo. Naso lungo e
sottile, bocca dalla caratteristica piega dei vecchi, dalle mascelle molto
sdentate. Un viso magro e austero di santo. Lo vedo bene perché è vòlto verso di
me, stando nel rito dall’altra parte dell’altare. Ha la pianeta di allora, ossia
a mantellina, e sopra ha il pallio oltre la stola.

   Sul davanti dell’altare vi sono inginocchiati (dove ho messo i tre punti) tre
giovani. I due ai lati hanno la casacchetta dei diaconi, con le maniche larghe e
lunghe oltre i gomiti. Quello di centro ha la veste già a pianeta, con le
maniche fatte da una mantellina che va dalle coste alle scapole, a tracolla ha
la stola. Vedendo la stola, che se bene mi ricordo non vidi nelle prime Messe,
arguisco che non vedo scena dei primi tempi. Penso essere nella fine del II
secolo o agli inizi del III. Però potrei sbagliare, perché questa è riflessione
mia e in fatto di archeologia cristiana e di cerimonie di quei tempi sono
analfabeta.

   Il Pontefice - deve essere tale per il pallio - passa sul davanti dell’altare e
viene a porsi di fronte ai tre giovani inginocchiati. Impone le mani al primo e
al terzo pronunciando preghiere in latino. Poi si porta di fronte a quello di
centro, quello della stola a tracolla, e impone anche a lui le mani sul capo;
poi, servito da uno vestito da diacono, intinge le dita in un vaso d’argento e
unge la fronte e le palme delle mani del giovane, alita a lui in viso, anzi
prima alita poi unge le mani, gliele lega insieme con un lembo della stola che
l’aiutante ha slegata dal corpo di lui, e l’altra parte gliela passa sul collo
come un giogo. Poi lo fa alzare e, tenendolo per le mani legate, lo fa salire
sui tre scalini che conducono all’altare e glielo fa baciare, e baciare quello
che suppongo sia il Vangelo: un voluminoso rotolo tenuto da un nastro rosso. Poi
lo bacia a sua volta e lo conduce con sé dall’altra parte e continua la Messa.

Capisco ora, però, che era da poco iniziata, perché dopo poco (è quasi uguale
alla nostra e anche questo mi fa capire che siamo almeno alla fine del II
secolo) si giunge al Vangelo. Lo canta il nuovo sacerdote (penso sia stata una
ordinazione sacerdotale). Viene di nuovo sul davanti dell’altare, e i due che
erano ancora in ginocchio si alzano, uno prende una lampadetta, l’altro il
rotolo del Vangelo che gli porge quello che già serviva all’altare. Il diacono
svolge il rotolo e lo tiene aperto al punto giusto, stando di fronte al neo
sacerdote che ha al fianco quello della lampada. Il neo sacerdote, che è alto,
bruno, coi capelli piuttosto ondulati, sui trent’anni, dal volto
caratteristicamente romano, canta con bella voce il Vangelo di Gesù e del
giovane che gli chiede che fare per seguire Lui
(Matteo 19, 16-30; Marco 10, 17-27; Luca 18, 18-30.)

Ha una voce sicura e forte, ben tonata. Empie la chiesa.
Canta con canto fermo e con un sorriso luminoso nel
volto, e quando giunge al Vade, quaecumque habes vende et da pauperibus et
habebis thesaurum in coelo et veni sequere Me la sua voce è uno squillo di
gioia e di amore.
Bacia il Vangelo e torna presso il Pontefice che ha ascoltato in piedi il
Vangelo, vòlto verso il popolo e con le mani congiunte in preghiera. Il neo
sacerdote si inginocchia ora.

Il Pontefice [Marcello] invece pronuncia la sua omelia:

«Battezzato nel giorno natale del martire Valente, il nuovo figlio della Chiesa Apostolica e Romana, e fratello nostro, ha voluto assumere il nome del martire beato, ma con quella modifica che l’umiltà attinta dal Vangelo - l’umiltà: una delle radici della santità - gli dettava. E non Valente, ma Valentino volle essere detto.

Oh! ma che in vero Valente egli è. Guardate quanto cammino ha fatto il pagano la cui religione era il vizio e la prepotenza. Voi lo conoscete quale è ora, nel seno della Chiesa. 
Qualcuno fra voi - e specie quelli che padri e madri di vera generazione gli sono stati, per essere quelli che con la parola e l’esempio l’hanno fatto concepire dalla Santa Madre Chiesa e partorire da essa per l’altare e per il Cielo - sanno quello che egli era non come cristiano Valente ma come il pagano di prima, il cui nome egli, e noi con lui, non vogliamo neppur ricordare.
Morto è il pagano. 

E dall’acqua lustrale è risorto il cristiano. 
Ora egli è il vostro prete. Quanto cammino! Quanto! 
Dalle orgie ai digiuni; 
dai triclini alla chiesa; 
dalla durezza, dall’impurità, dall’avarizia, all’amore, alla castità, alla generosità assoluta.

Egli era il giovane ricco, e un giorno ha incontrato, portato a lui dal cuore dei santi, che anche senza parole illustrano Cristo - perché Egli traluce dal loro animo - ha incontrato Gesù, Signor nostro benedetto. 
Gli occhi dolcissimi del Maestro si sono fissati sul volto del pagano. E il pagano ha provato una seduzione che nessun piacere gli aveva ancor data, una emozione nuova, dal nome sconosciuto, dalla non descrivibile sensazione. 

Un che di soave come carezza di madre, di onesto come odore di pane testé sfornato, di puro come alba di primavera, di sublime come sogno ultraterreno.

Cadete voi larve del mondo e dell’Olimpo pagano quando il Sole Gesù bacia un suo
chiamato. Come nebbie vi dissolvete. Come incubi demoniaci fuggite. Che resta di voi? Di voi che sembravate tanto splendida cosa? Un mucchio lurido di detriti inceneriti malamente e ancor fetidi di corruzione.

“Maestro buono, che devo fare per seguire Te e avere la vita eterna?” ha chiesto. 
E il dolce, divino Maestro, con poche parole gli ha dato l’insegnamento di Vita: 
“Osserva questi comandi”. Oh! non gli poteva dire: “Segui la Legge!”.
Il pagano non la conosceva. Gli disse allora: Non uccidere, non rubare, non spergiurare, 
non essere lussurioso, onora i parenti e ama Dio e prossimo come te stesso
Parole nuove! Méte mai pensate! 
Orizzonti infiniti pieni di luce. Della sua luce.

Il pagano non poteva dare la risposta del giovane ricco. Non poteva. Perché nel paganesimo sono tutti i peccati ed egli tutti li aveva nel cuore. Ma volle poterla dare. 
E venne ad un povero vecchio, al Pontefice perseguitato, e disse:
“Dàmmi la Luce, dàmmi la Scienza, dàmmi la Vita! Un’anima dàmmi, in questo mio corpo di bruto!”, e piangeva.
E il povero vecchio, che io sono, ha preso il Vangelo ed in esso ha trovato la Luce,  la Scienza, la Vita per il mendicante piangente. Ho trovato tutto nel Vangelo di Gesù, nostro Signore, per lui. 

E gli ho potuto dare l’anima. 
L’anima morta evocarla a vita, e dirgli: “Ecco l’anima tua. Custodiscila per la vita eterna”.
Allora, bianco del bagno battesimale, egli si è dato a ricercare il Maestro buono e lo ha trovato ancora e gli ha detto: “Ora posso dirti che faccio ciò che Tu mi hai detto. Che altro manca per seguire Te?”. 
E il Maestro buono ha risposto: 
“Va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri. Allora sarai perfetto e potrai seguire Me”.

Oh! allora Valentino ha superato il giovane di Palestina! Non se ne andò via, incapace di separarsi da tutti i suoi beni. 
Ma questi beni mi ha portato per i poveri di Cristo e, libero dal giogo delle ricchezze, pesante giogo che impedisce 
di seguire Gesù, mi ha chiesto il giogo luminoso, alato, paradisiaco del Sacerdozio.
Eccolo. Lo avete visto sotto quel giogo, con le mani legate, prigioniero di Cristo, salire al suo altare. Ora vi frangerà il Pane eterno e vi disseterà col Vino divino. 

Ma lui, come io, per esser perfetti agli occhi del Maestro buono vogliamo ancora una cosa. Farci noi pane e vino: immolarci, frantumarci,
spremerci sino all’ultima stilla, ridurci a farina per essere ostie. 
Vendere l’ultima, l’unica ricchezza che ci resta: la vita. Io la mia cadente vita di vecchio. 
Egli la fiorente vita di giovane.

Oh! non deluderci, Pontefice eterno. Concedici il beato martirio! Col sangue vogliamo scrivere il tuo Nome: Gesù Salvatore nostro. Un altro battesimo vogliamo, per la nostra stola che l’imperfezione umana sempre corrompe: quello del sangue. 
Per salire a Te con stole immacolate e seguirti, o Agnello di Dio che levi i peccati del mondo, che li hai levati col tuo Sangue! 

Beato martire Valente, nella cui chiesa siamo, al tuo Pontefice Marcello e per il tuo fratello sacerdote chiedi dal Pontefice eterno la stessa tua palma e corona.»

E non c’è altro.

Fonte: Scritti di Maria Valtorta



AVE MARIA PURISSIMA 
SENZA PECCATO ORIGINALE CONCEPITA

martedì 21 febbraio 2023

Revelatio!

   Sabato santo   

   Mentre il “Gloria” canta nelle chiese…
   Una delle cose che più mi porta a riflettere sulla dottrina di misericordia del mio Gesù è l’episodio che si legge[5] nel vangelo di S. Giovanni: “Maria piangente se ne stava fuori presso il sepolcro… si voltò indietro e vide ritto in piedi Gesù… E Gesù le disse: ‘Maria!’… ”. Non contento ancora di avere amato tanto i peccatori fino al punto di dare la sua vita per loro, Gesù riserba la sua prima manifestazione, dopo la Passione, ad una peccatrice convertita.
   Non è sicuro che Gesù si fosse già presentato a sua Madre. Il cuore ci induce a crederlo[6], ma nessuno dei 4 evangelisti lo dice. Di sicuro invece è questo apparire a Maria di Magdala. A lei, che impersonifica la sterminata coorte dei redenti dall’amore di Cristo, Egli appare per la prima volta e si manifesta nella sua seconda veste di Dio-Uomo in eterno. Prima era l’Uomo in cui si celava un Dio. Avanti ancora, nei tempi dell’attesa, il Verbo era solo Dio. Ora è il Dio-Uomo che porta nei cieli la nostra carne mortale. E questo capolavoro di divinità, per cui la carne nata da donna diviene immortale e eterna, si svela ad una creatura che fu peccatrice… Non solo: ma a lei, proprio a lei, affida il messaggio per i suoi stessi apostoli: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro che salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Prima ancora che al Padre, a Maria la peccatrice!
   Che fiume di fiducia si riversa in me considerando questo! Come, come dovrebbe esser detto, ridetto, continuamente detto alle povere anime titubanti e vergognose, perché sanno d’aver peccato, che Gesù le ama tanto da anteporle al Padre e alla Madre sua. Perché penso che se non era ancora salito al Padre, in quella prima ora di risurrezione non si era mostrato neanche alla Madre. In fondo è una necessità di amorosa giustizia. Gesù è venuto per i peccatori. Dunque la primizia della sua resurrezione vada a colei che è la capostipite dei peccatori redenti.
   “Ai miei fratelli - al Padre mio e vostro - Dio mio e vostro”. Suonano come altrettante gioconde campane, queste parole al mio cuore. Fratelli i discepoli, fratelli noi che da loro discendiamo. Se ancora un dubbio ci rimane, ecco che cade come la pietra del sepolcro, scrollata da questo turbine d’amore, e la fiducia sorge nei cuori i più imprigionati e oppressi dal ricordo dei loro errori e dalla riflessione dell’immensa distanza che separa noi: polvere, da Dio. Gesù lo dice: siamo fratelli, abbiamo un unico Padre e un unico Dio con Cristo.
   Oh! Egli ci afferra con le sue mani trafitte - è il primo gesto che fa dopo la sua morte - e ci lancia sul cuore di Dio, nei cieli non più chiusi ma aperti dall’amore, perché là si pianga le dolci lacrime della ripacificazione col Padre nostro.
   Alleluia! Gloria a Te, Maestro e Dio, che ci salvi col tuo dolore e ci dai per via di salute l’Amore!

martedì 10 gennaio 2023

La disputa nel Tempio con i dottori - Maria SS.ma maestra di Gesù, Giuda e Giacomo - Un indemoniato guarito nella sinagoga di Cafarnao

 


Maria Valtorta: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'

Paralleli Vetus Ordo 

   Cap. XLI. La disputa di Gesù nel Tempio coi dottori. L'angoscia della Madre e la risposta del Figlio.

   28 gennaio 1944.

  41.1Vedo Gesù. È adolescente. Vestito di una tunica che mi sembra di lino candido, lunga sino ai piedi. Su questa si posa e si drappeggia un drappo rettangolare d’un rosso pallido. È a testa nuda, coi capelli lunghi sino a metà orecchie, più carichi di tinta di quando lo vidi bambino. È un fanciullo robusto e molto alto per la sua età che, come dimostra il viso, è molto fanciulla.
   Mi guarda e sorride tendendomi le mani. Un sorriso però che somiglia già a quello che gli vedo da uomo: dolce e piuttosto serio. È solo. Non vedo altro per ora. Sta appoggiato ad un muretto su una stradellina tutta a sali e scendi, sassosa e con una fossa verso il centro che certo in tempo di pioggia si muta in rigagnolo. Ma ora è asciutta perché è giornata serena.
   Mi pare di accostarmi io pure al muretto e di guardare intorno e in basso come fa Gesù. Vedo un agglomerato di case. Un agglomerato disordinato. Le case sono quali alte, quali basse, e vanno in tutti i sensi. Sembra, con un paragone molto povero ma molto somigliante, una manciata di ciottoli bianchi gettata su un terreno scuro. Le vie e viette sono come vene in quel biancore. Qua e là delle piante sporgono dai muri. Molte sono in fiore e molte sono già coperte di foglie novelle. Deve essere primavera.
   A sinistra, rispetto a me che guardo, vi è un grande agglomerato, fatto a tre ordini di terrazze coperte di fabbricati, e torri e cortili e porticati, al centro del quale si alza un più alto, maestoso, ricchissimo fabbricato a cupole tonde, splendenti al sole come fossero coperte di metallo: rame od oro. Il tutto è recinto da una muraglia merlata: come fosse una fortezza. Una torre più alta delle altre, posta a cavalcioni di una via piuttosto stretta e che è in salita, domina nettamente quel vasto agglomerato. Sembra una sentinella severa.
   Gesù guarda fissamente quel luogo. Poi torna a voltarsi, riappoggiando la schiena al muretto, come era prima, e guarda un monticiattolo che sta di fronte[86] all’agglomerato. Un monticiattolo assalito dalle case sino alla base, poi lasciato nudo. Vedo che una via termina là con un arco, oltre il quale non c’è che una via lastricata a pietre quadrangolari, irregolari e sconnesse. Non sono troppo grandi, non come le pietre delle strade consolari romane; sembrano piuttosto le classiche pietre dei vecchi marciapiedi viareggini (non so se ne esistano ancora) ma messe senza connessione. Una stradaccia. Il volto di Gesù si fa tanto serio che io mi fisso a cercare su quel monticiattolo la causa di questa malinconia. Ma non trovo nulla di speciale. È un’altitudine nuda. E basta. In cambio perdo Gesù, perché quando mi volgo non è più lì. E mi assopisco con questa visione.

   41.2…Quando mi risveglio col ricordo della stessa nel cuore, dopo esser tornata un poco in forze e in pace, perché tutti dormono, mi trovo in un posto che non ho mai visto. Vi sono cortili e fontane e porticati e case, ossia padiglioni, perché hanno più la caratteristica di padiglioni che di case. Vi è molta folla vestita all’ebraica antica, e molto vociare. Guardandomi intorno comprendo d’essere dentro a quell’agglomerato che Gesù guardava, perché vedo la muraglia merlata che lo cinge, la torre che lo vigila e l’imponente fabbricato che si erge nel centro e contro il quale si stringono i porticati, molto belli e vasti, e sotto ai quali vi è molta folla intenta chi a una cosa, chi ad un’altra.
   Comprendo essere nel recinto del Tempio di Gerusalemme. Vedo farisei in lunghe vesti ondeggianti, sacerdoti vestiti di lino e con una placca preziosa al sommo del petto e della fronte e altri punti luccicanti sparsi qua e là sulle diverse vesti molto ampie e bianche, strette alla vita da una cintura preziosa. Poi altri che sono meno ornati, ma devono sempre appartenere alla casta sacerdotale, e che sono circondati da discepoli più giovani. Comprendo che sono i dottori della Legge. Fra tutti questi personaggi mi trovo spersa, perché non so proprio che ci sto a fare.

   41.3Mi accosto al gruppo dei dottori, dove si è iniziata una disputa[87] teologica. Molta folla fa la stessa cosa.
   Fra i “dottori” vi è un gruppo capitanato da uno chiamato Gamaliele e da un altro, vecchio e quasi cieco, che sostiene Gamaliele nella disputa. Costui, che sento chiamare Hillel (metto l’h perché sento una aspirazione in principio al nome) mi pare maestro o parente di Gamaliele, perché questo lo tratta con confidenza e rispetto insieme. Il gruppo di Gamaliele ha vedute più larghe, mentre un altro gruppo, ed è il più numeroso, è diretto da uno che chiamano Sciammai, ed è dotato di quell’intransigenza astiosa e retriva che il Vangelo tanto bene ci illustra.


   Gamaliele, circondato da un folto gruppo di discepoli, parla della venuta del Messia e, appoggiandosi alla profezia di Daniele, sostiene che il Messia deve ormai essere nato, perché da una decina d’anni circa le settanta settimane profetate sono compiute da quando era uscito il decreto di ricostruzione del Tempio. Sciammai lo combatte asserendo che, se è vero che il Tempio è stato riedificato, è anche vero che la schiavitù di Israele è aumentata, e la pace, che avrebbe dovuto portare seco Colui che i Profeti chiamavano «Principe della Pace», è ben lontana d’essere nel mondo e specie a Gerusalemme, oppressa da un nemico che osa spingere la sua dominazione fin entro il recinto del Tempio, dominato dalla torre Antonia piena di legionari romani, pronti a sedare con la spada ogni tumulto di indipendenza patria.
   La disputa, piena di cavilli, va per le lunghe. Ogni maestro fa sfoggio di erudizione, non tanto per vincere il rivale, quanto per imporsi all’ammirazione degli ascoltatori. È palese questo intento.


   41.4Dal folto del gruppo dei fedeli esce una fresca voce di fanciullo: «Gamaliele ha ragione».
   Movimento della folla e del gruppo dottorale. Si cerca l’interruttore. Ma non occorre cercarlo. Non si nasconde. Si fa largo da sé e si accosta al gruppo dei “rabbi”. Riconosco il mio Gesù adolescente. È sicuro e franco, con due sfavillanti occhi pieni di intelligenza.
   «Chi sei?», gli chiedono.
   «Un figlio di Israele venuto a compiere ciò che la Legge ordina».
   La risposta ardita e sicura piace e ottiene sorrisi di approvazione e benevolenza. Ci si interessa del piccolo israelita.
   «Come ti chiami?».
   «Gesù di Nazareth».
   La benevolenza si smorza nel gruppo di Sciammai. Ma Gamaliele, più benigno, prosegue il dialogo insieme ad Hillel. Anzi è proprio Gamaliele che con deferenza dice al vecchio: «Chiedi al fanciullo qualcosa».
   «Su cosa fondi la tua sicurezza?», chiede Hillel.

   (Metto i nomi in testa alle risposte per abbreviare e rendere chiaro).
   Gesù: «Sulla profezia che non può errare nell’epoca e sui segni che l’hanno accompagnata quando fu il tempo del suo avverarsi. È vero che Cesare ci domina. Ma il mondo era tanto in pace e la Palestina tanto in calma quando si compirono le settanta settimane, che fu possibile a Cesare ordinare il censimento nei suoi domini. Non lo avrebbe potuto se la guerra fosse stata nell’Impero e le sommosse in Palestina. Come era compìto quel tempo, così si sta compiendo l’altro delle sessantadue più una dal compimento del Tempio, perché il Messia sia unto e si avveri il seguito della profezia per il popolo che non lo volle. Potete avere dubbi? Non ricordate che la stella fu vista dai Savi d’Oriente e che andò a posarsi proprio sul cielo di Betlemme di Giuda e che le profezie e le visioni, da Giacobbe in poi, indicano quel luogo come il destinato ad accogliere la nascita del Messia, figlio del figlio del figlio di Giacobbe, attraverso Davide che era di Betlemme? Non ricordate Balaam? “Una stella nascerà da Giacobbe”. I Savi d’Oriente, che la purezza e la fede rendevano occhi e orecchi aperti, hanno visto la stella e compreso il suo nome: “Messia”, e sono venuti ad adorare la Luce scesa nel mondo».

   41.5Sciammai, con sguardo livido: «Tu dici che il Messia nacque nel tempo della stella a Betlemme-Efrata?».
   Gesù: «Io lo dico».
   Sciammai: «Allora non vi è più. Non sai, fanciullo, che Erode fece uccidere tutti i nati di donna, da un giorno a due anni d’età, di Betlemme e dintorni? Tu, tanto sapiente nella Scrittura, devi sapere anche questo: “Un grido s’è sentito nell’alto… È Rachele che piange i suoi figli”. Le valli e le cime di Betlemme, che hanno raccolto il pianto di Rachele morente, sono rimaste piene di pianto, e le madri l’hanno ripetuto sui figli uccisi. Fra esse era certo anche la Madre del Messia».
   Gesù: «Ti sbagli, o vecchio. Il pianto di Rachele s’è volto in osanna, perché là dove essa ha dato alla luce il “figlio del suo dolore”, la nuova Rachele ha dato al mondo il Beniamino del Padre celeste, il Figlio della sua destra, Colui che è destinato a riunire il popolo di Dio sotto il suo scettro e a liberarlo dalla più tremenda schiavitù».
   Sciammai: «E come, se Egli fu ucciso?».
   Gesù: «Non hai letto di Elia? Egli fu rapito dal cocchio di fuoco. E non potrà il Signore Iddio aver salvato il suo Emmanuele perché fosse Messia del suo popolo? Egli, che ha aperto il mare davanti a Mosè perché Israele passasse a piede asciutto verso la sua terra, non avrà potuto mandare i suoi angeli a salvare il Figlio suo, il suo Cristo, dalla ferocia dell’uomo? In verità vi dico: il Cristo vive ed è fra voi, e quando sarà la sua ora si manifesterà nella sua potenza». Gesù, nel dire queste parole, che sottolineo, ha nella voce uno squillo che empie lo spazio. I suoi occhi sfavillano più ancora e, con mossa d’imperio e promessa, Egli tende il braccio e la mano destra e li abbassa come per giurare. È un fanciullo, ma è solenne come un uomo.

   41.6Hillel: «Fanciullo, chi ti ha insegnato queste parole?».
   Gesù: «Lo Spirito di Dio. Non ho maestro umano. Questa è la Parola del Signore che vi parla attraverso le mie labbra».
   Hillel: «Vieni fra noi, che io ti veda da presso, o fanciullo, e la mia speranza si ravvivi a contatto della tua fede e la mia anima si illumini al sole della tua».
   E Gesù viene fatto sedere su un alto sgabello fra Gamaliele e Hillel, e gli vengono porti dei rotoli perché li legga e spieghi. È un esame in piena regola. La folla si accalca e ascolta.
   La voce fanciulla di Gesù legge: «“Consolati, o mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme, consolatela perché la sua schiavitù è finita… Voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del Signore… Allora apparirà la gloria del Signore…”».
   Sciammai: «Lo vedi, o nazareno! Qui si parla di schiavitù finita. Mai come ora siamo schiavi. Qui si parla di un precursore. Dove è egli? Tu farnetichi».
   Gesù: «Io ti dico che a te più che agli altri va fatto l’invito del Precursore. A te e ai tuoi simili. Altrimenti non vedrai la gloria del Signore né comprenderai la parola di Dio, perché le bassezze, le superbie, le doppiezze ti faranno ostacolo a vedere ed udire».
   Sciammai: «Così parli ad un maestro?».
   Gesù: «Così parlo. E così parlerò sino alla morte. Poiché sopra il mio utile sta l’interesse del Signore e l’amore alla Verità di cui sono Figlio. E ti aggiungo, o rabbi, che la schiavitù di cui parla il Profeta, e di cui Io parlo, non è quella che credi, come la regalità non sarà quella che pensi. Ma sibbene per merito del Messia verrà reso libero l’uomo dalla schiavitù del Male che lo separa da Dio, e il segno del Cristo sarà sugli spiriti, liberati da ogni giogo e fatti sudditi dell’eterno Regno. Tutte le nazioni curveranno il capo, o stirpe di Davide, davanti al Germoglio nato da te e divenuto albero che copre tutta la Terra e si alza al Cielo. E in Cielo e in Terra ogni bocca loderà il suo Nome e piegherà il ginocchio davanti all’Unto di Dio, al Principe della Pace, al Condottiero, a Colui che con Se stesso avrà inebriato ogni anima stanca e saziato ogni anima affamata, al Santo che stipulerà una alleanza fra Terra e Cielo. Non come quella stipulata coi Padri d’Israele quando Dio li trasse d’Egitto trattandoli ancora da servi, ma imprimendo la paternità celeste nello spirito degli uomini con la Grazia nuovamente infusa per i meriti del Redentore, per il quale tutti i buoni conosceranno il Signore e il Santuario di Dio non sarà più abbattuto e distrutto».
   Sciammai: «Ma non bestemmiare, fanciullo! Ricorda Daniele. Egli dice che, dopo l’uccisione del Cristo, il Tempio e la Città saranno distrutti da un popolo e da un condottiero che verrà. E Tu sostieni che il Santuario di Dio non sarà più abbattuto! Rispetta i Profeti!».
   Gesù: «In verità ti dico che vi è Qualcuno che è da più dei Profeti, e tu non lo conosci e non lo conoscerai, perché te ne manca la voglia. E ti dico che quanto ho detto è vero. Non conoscerà più morte il Santuario vero. Ma, come il suo Santificatore, risorgerà a vita eterna e alla fine dei giorni del mondo vivrà in Cielo».


   41.7Hillel: «Ascolta me, fanciullo. Aggeo dice: “… Verrà il Desiderato delle genti… Grande sarà allora la gloria di questa casa, e di quest’ultima più della prima”. Vuol forse parlare del Santuario di cui Tu parli?».
   Gesù: «Sì, maestro. Questo vuol dire. La tua rettezza ti porta verso la Luce ed Io te lo dico: quando il Sacrificio del Cristo sarà compiuto, a te verrà pace, poiché sei un israelita senza malizia».
   Gamaliele: «Dimmi, Gesù. La pace di cui parlano i Profeti come può sperarsi se a questo popolo verrà distruzione di guerra? Parla e da’ luce anche a me».
   Gesù: «Non ricordi, maestro, cosa dissero coloro che furono presenti la notte della nascita del Cristo? Che le schiere angeliche cantarono: “Pace agli uomini di buona volontà”. Ma questo popolo non ha buona volontà e non avrà pace. Esso misconoscerà il suo Re, il Giusto, il Salvatore, perché lo spera re di umana potenza, mentre Egli è Re dello spirito. Esso non lo amerà, dato che il Cristo predicherà ciò che a questo popolo non piace. Il Cristo non debellerà i nemici coi loro cocchi e i loro cavalli, ma i nemici dell’anima, che piegano a possesso infernale il cuore dell’uomo creato per il Signore. E questa non è la vittoria che Israele si attende da Lui. Egli verrà, Gerusalemme, il tuo Re, cavalcando “l’asina e l’asinello”, ossia i giusti di Israele e i gentili. Ma l’asinello, Io ve lo dico, sarà a Lui più fedele e lo seguirà precedendo l’asina e crescerà nella via della Verità e della Vita. Israele per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re, che sarà da esso ridotto il Re di dolore di cui parla Isaia».


   41.8Sciammai: «La tua bocca sa insieme di latte e di bestemmia, nazareno. Rispondi: e dove è il Precursore? Quando lo avemmo?».
   Gesù: «Egli è. Non dice Malachia: “Ecco, io mando il mio angelo a preparare davanti a Me la strada; e subito verrà al suo Tempio il Dominatore da voi cercato e l’Angelo del Testamento, da voi bramato”? Dunque il Precursore precede immediatamente il Cristo. Egli già è, come è il Cristo. Se anni passassero fra colui che prepara le vie al Signore e il Cristo, tutte le vie tornerebbero ingombre e contorte. Dio lo sa e predispone che il Precursore anticipi di un’ora sola il Maestro. Quando vedrete questo Precursore, potrete dire: “La missione del Cristo ha inizio”. A te dico: il Cristo aprirà molti occhi e molti orecchi quando verrà a queste vie. Ma non le tue e quelle dei tuoi pari, che gli darete morte per la Vita che vi porta. Ma quando più alto di questo Tempio, più alto del Tabernacolo chiuso nel Santo dei santi, più alto della Gloria sostenuta dai Cherubini, il Redentore sarà sul suo trono e sul suo altare, maledizione ai deicidi e vita ai gentili fluiranno dalle sue mille e mille ferite, perché Egli, o maestro che non sai, non è, lo ripeto, Re di un regno umano, ma di un Regno spirituale, e suoi sudditi saranno unicamente coloro che per suo amore sapranno rigenerarsi nello spirito e, come Giona, dopo esser già nati, rinascere, su altri lidi: “quelli di Dio”, attraverso la spirituale generazione che avverrà per Cristo, il quale darà all’umanità la Vita vera».


   41.9Sciammai e i suoi accoliti: «Questo nazareno è Satana!».
   Hillel e i suoi: «No. Questo fanciullo è Profeta di Dio. Resta con me, Bambino. La mia vecchiezza trasfonderà quanto sa al tuo sapere, e Tu sarai Maestro del popolo di Dio».
   Gesù: «In verità ti dico che, se molti fossero come tu sei, salute verrebbe ad Israele. Ma la mia ora non è venuta. A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finché non sarà la mia ora. Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti lapidati e uccisi da essa. Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua gloria, in attesa che Egli faccia del mondo sgabello ai piedi del Cristo. Attendetemi nella mia ora. Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste, e per il quale Io dico: “Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà. Consumala, perché di compierla Io ardo”».
   E qui, con la visione di Gesù col volto infiammato di ardore spirituale alzato al cielo, le braccia aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti, mi finisce la visione.
   (e sono le 3,30 del 29).


   
   29 gennaio 1944.

   41.10Avrei qui da dirle due cose che la interessano certo e che avevo deciso di scrivere non appena tornata dal sopore. Ma siccome c’è dell’altro più pressante, scriverò poi.
   […].
   Quello che le volevo dire all’inizio è questa cosa.
   Lei oggi mi diceva come avevo potuto sapere i nomi di Hillel e Gamaliele e quello di Sciammai.
   È la voce che io chiamo «seconda voce» quella che mi dice queste cose. Una voce ancor meno sensibile di quella del mio Gesù e degli altri che dettano. Queste sono voci, gliel’ho detto e glielo ripeto, che il mio udito spirituale percepisce uguali a voci umane. Le sento dolci o irate, forti o leggere, ridenti o meste. Come uno parlasse proprio vicino a me. Mentre questa «seconda voce» è come una luce, una intuizione che parla nel mio spirito. «Nel», non «al» mio spirito. È una indicazione.
   Così, mentre io mi avvicinavo al gruppo dei disputanti e non sapevo chi era quell’illustre personaggio che a fianco di un vecchio disputava con tanto calore, questo «che» interno mi disse: «Gamaliele - Hillel». Sì. Prima Gamaliel e poi Hillel. Non ho dubbi. Mentre pensavo chi erano costoro, questo indicatore interno mi indicò il terzo antipatico individuo proprio mentre Gamaliel lo chiamava a nome. E così ho potuto sapere chi era costui dal farisaico aspetto.
   […].
   
   22 febbraio 1944.
   […].
   

   41.11Dice Gesù:
   […].
   «Torniamo indietro molto, molto. Torniamo al Tempio, dove Io dodicenne sto disputando. Anzi torniamo nelle vie che conducono a Gerusalemme e da Gerusalemme al Tempio.
   Vedi l’angoscia di Maria quando, riunitesi le schiere degli uomini e delle donne, Ella vede che Io non sono con Giuseppe.
   Non alza la voce in rimproveri aspri verso lo sposo. Tutte le donne l’avrebbero fatto. Lo fate per molto meno, dimenticando che l’uomo è sempre il capo di casa. Ma il dolore che traspare dal volto di Maria trafigge Giuseppe più d’ogni rimprovero. Non si abbandona Maria a scene drammatiche. Per molto meno lo fate, amando d’esser notate e compatite. Ma il suo dolore contenuto è così palese, dal tremito che la prende, dal volto che impallidisce, dagli occhi che si dilatano, che commuove più d’ogni scena di pianto e clamore.
   Non sente più fatica, non fame. E il cammino era stato lungo e da tante ore non s’era preso ristoro! Ma Ella lascia tutto. E il giaciglio che si sta preparando e il cibo che sta per essere distribuito. E torna indietro. È sera, scende la notte. Non importa. Ogni passo la riporta verso Gerusalemme. Ferma le carovane, i pellegrini. Interroga. Giuseppe la segue, la aiuta. Un giorno di cammino a ritroso e poi l’affannosa ricerca per la città.
   Dove, dove può essere il suo Gesù? E Dio permette che Ella non sappia per tante ore dove cercarmi. Cercare un bambino nel Tempio era cosa senza giudizio. Che ci doveva fare un bambino nel Tempio? Al massimo, se s’era sperduto per la città ed era tornato là dentro, portato dai suoi piccoli passi, la sua voce piangente avrebbe chiamato la mamma ed attirato l’attenzione degli adulti, dei sacerdoti, i quali avrebbero provveduto a ricercare i genitori con dei bandi messi alle porte. Ma non c’era nessun bando. Nessuno in città sapeva di questo Bambino. Bello? Biondo? Robusto? Eh! ce ne sono tanti! Troppo poco per poter dire: “L’ho visto. Era là e là”!


   41.12Poi, dopo tre giorni, simbolo di altri tre giorni di angoscia futura, ecco che Maria esausta penetra nel Tempio, scorre i cortili e i vestiboli. Nulla. Corre, corre, la povera Mamma, là dove sente una voce di bimbo. E fin gli agnelli col loro belare le paiono il pianto della sua Creatura che la cerca. Ma Gesù non piange. Ammaestra. Ecco che Maria sente, oltre una barriera di persone, la cara voce che dice: “Queste pietre fremeranno…”. Ella cerca di fendere la calca e vi riesce dopo molto stento. Eccolo, il Figlio, a braccia aperte, ritto fra i dottori.
   Maria è la Vergine prudente. Ma questa volta l’affanno soverchia la sua riservatezza. È una diga che abbatte ogni altra cosa. Corre al Figlio, lo abbraccia, levandolo dallo sgabello e posandolo al suolo, ed esclama: “Oh! perché ci hai fatto questo? Da tre giorni ti andiamo cercando. La tua Mamma sta per morire di dolore, Figlio. Il padre tuo è sfinito di fatica. Perché, Gesù?”.
   Non si chiedono i “perché” a Chi sa. I “perché” del suo modo di agire. Ai vocati non si chiede “perché” lasciano tutto per seguire la voce di Dio. Io ero Sapienza e sapevo. Io ero “vocato” ad una missione e la compivo. Sopra il padre e la madre della Terra vi è Dio, Padre divino. I suoi interessi superano i nostri, i suoi affetti sono superiori ad ogni altro. Io lo dico a mia Madre.
   Termino l’insegnamento ai dottori con l’insegnamento a Maria, Regina dei dottori. Ed Ella non se lo è più dimenticato. Il sole le è tornato nel cuore avendomi per mano, umile e ubbidiente, ma le mie parole le sono pure nel cuore. Molto sole e molte nubi scorreranno nel cielo durante quei ventuno anni in cui sarò ancora sulla Terra. E molta gioia e molto pianto si alternerà nel suo cuore per altri ventuno anni. Ma Ella non chiederà più: “Perché, Figlio mio, ci hai fatto questo?”.
   Imparate, o uomini protervi.

   41.13Ho istruito e illuminato Io la visione, perché tu non sei in grado di fare di più.
   […]».

[86] di fronte, invece di in fronte, è correzione nostra. È ricorrente, ma non abituale, l’espressione in fronte nel significato di di

 frontedirimpetto. Sarà sempre corretta da noi senza essere più annotata.

[87] disputa, che verterà sui passi biblici che elenchiamo (come di norma) secondo l’ordine canonico e non nell’ordine 
delle citazioni: Genesi 35, 16-18; Esodo 14, 21-22; 24; Numeri 24, 17; 2 Re 2, 11; Isaia 9, 5; 40, 1-5; 52, 13-15; 53, 1-12; Geremia 31
 
15Daniele 9, 24-27Giona 2Michea 5, 1Aggeo 2, 7-9Zaccaria 9, 9Malachia 3, 1.


Facoltativo e integrativo:

   Cap. XXXVIII. Maria maestra di Gesù, Giuda e Giacomo

   29 ottobre 1944.

   38.1Dice Gesù:
   «Vieni, piccolo Giovanni, e vedi. Retrocedi, tenuta dalla mia mano che ti conduce, negli anni della mia fanciullezza. E quanto vedrai dovrà essere inserito nel Vangelo della mia fanciullezza, dove voglio sia messa anche la visione della sosta della Famiglia in Egitto. Metterete così: la Famiglia in Egitto, poi la prima lezione di lavoro di Gesù bambino, poi quella che ora descriverai, la scena della maggiore età (promessa oggi 25-11)[80], ultima la visione di Gesù fra i dottori nel Tempio nella sua 12ª Pasqua. Non è senza motivo anche questo che ora vedrai. Ma anzi illumina punti e rapporti dei miei primi anni e fra i parenti. Ed è un regalo per te, in questa mia festa della Regalità, per te che senti trasfonderti la pace della casa di Nazaret quando la vedi. Scrivi».

   38.2Vedo la stanza dove solitamente sono presi i pasti e dove Maria lavora al suo telaio o di ago. La stanza vicina al laboratorio di Giuseppe, di cui si sente il lavoro solerte. Qui invece è silenzio. Maria cuce delle strisce di lana tessuta certo da Lei, larghe un mezzo metro circa e lunghe più del doppio, che mi sembrano destinate a divenire un mantello per Giuseppe.
   Dalla porta aperta sull’orto-giardino si vedono siepi scapigliate di quelle margheritine azzurro-viola che comunemente sono dette «Marie» o «Cielo stellato». Non so l’esatto nome botanico. Sono in fiore, e perciò deve essere autunno. Però il verde è ancora folto e bello sulle piante, e le api, da due alveari addossati ad un muro soleggiato, vanno ronzando, danzando e brillando al sole, da un fico alla vite, da questa a un melograno pieno delle sue tonde frutta, quali già scoppiate per eccesso di vigore e mostranti le collane di rubini succosi, allineate nell’interno dello scrigno verde-rosso a scomparti gialli.


   38.3Sotto le piante Gesù giuoca con due bambini su per giù della stessa età. Sono ricciuti, ma non biondi. Uno, anzi, è proprio bruno: una testolina da agnellino nero che fa apparire ancor più bianca la pelle del visetto rotondo, nel quale sono aperti due occhioni di un azzurro tendente al violaceo, bellissimi. L’altro è meno riccio e di un color castano scuro, ha occhi castani e colorito più bruno, ma con sfumatura rosea alle guance. Gesù, con la sua testolina bionda fra i due più scuri, pare già annimbato di fulgore. Giuocano di buon accordo con dei piccoli carrettini, sui quali sono… mercanzie diverse: foglie, sassolini, trucioli, legnetti. Fanno ai mercanti certo, e Gesù è quello che compera per la Mamma, alla quale porta ora un oggetto, ora un altro. Maria accetta con un sorriso gli acquisti.
   Ma poi il giuoco cambia. Uno dei due fanciulli propone[81]: «Facciamo l’esodo attraverso l’Egitto. Gesù sarà Mosè, io Aronne, tu… Maria».
   «Ma io sono un maschio!».
   «Non importa! Fa lo stesso. Tu sei Maria e ballerai davanti al vitello d’oro, che sarà quell’alveare là».
   «Io non ballo. Sono un uomo e non voglio esser una donna. Sono un fedele e non voglio ballare davanti all’idolo».
   Gesù interviene: «Non facciamo questo punto. Facciamo l’altro: quando Giosuè viene eletto successore di Mosè. Così non c’è quel brutto peccato di idolatria e Giuda è contento di esser uomo e mio successore. Non è vero che sei contento?».
   «Sì, Gesù. Ma allora Tu devi morire, perché Mosè muore, dopo. Io non voglio che Tu muoia, Tu che mi vuoi sempre tanto bene».
   «Tutti si muore… Ma Io prima di morire benedirò Israele, e siccome qui non ci siete che voi, benedirò in voi tutto Israele».
   Viene accettato. Ma poi sorge una questione. Se il popolo d’Israele, dopo tanto andare, aveva ancora i carri che aveva nell’uscire dall’Egitto. Le idee sono contrastanti.
   Si ricorre a Maria. «Mamma, Io dico che gli israeliti avevano ancora i carri. Giacomo dice di no. Giuda non sa a chi dare ragione. Tu sai?».
   «Sì, Figlio. Il popolo nomade aveva ancora i suoi carri. Nelle soste se li riparava. Su essi salivano i più deboli e venivano caricate quelle derrate o quelle cose che erano necessarie a tanto popolo. Meno l’Arca, portata a mano, ogni altra cosa era sui carri». La questione è risoluta.


   38.4I bambini vanno in fondo all’orto e da là, salmodiando, vengono verso la casa. Gesù è davanti e canta con la sua vocina d’argento dei salmi. Dietro a Lui vengono Giuda e Giacomo sorreggenti una carriolina che è elevata al rango di Tabernacolo. Ma, dato che devono fare anche la parte di popolo, oltre che di Aronne e Giosuè, si sono legati, con le cinture disciolte, gli altri carri in miniatura al piede e avanzano così, seri come fossero dei veri attori.
   Percorrono tutta la pergola, passano davanti alla porta della stanza dove è Maria, e Gesù dice: «Mamma, saluta l’Arca che passa». Maria si alza con un sorriso e si inchina al Figlio, che passa raggiante in un nimbo di sole.
   Poi Gesù si inerpica sul lato del monte che limita la casa, anzi il giardino; al disopra della grotticella si pone ritto e parla a… Israele. Dice gli ordini e le promesse di Dio, indica Giosuè come condottiero, lo chiama a Sé, e Giuda sale a sua volta sul balzo. Lo rincuora e benedice. Poi si fa dare una… tavoletta (è la larga foglia di un fico) e scrive il cantico e lo legge. Non tutto, ma buona parte, e pare proprio lo legga sulla foglia. Poi congeda Giosuè, che lo abbraccia piangendo, e sale più su, proprio sullo scrimolo del balzo. E là benedice tutto Israele, ossia i due prostrati fino a terra, e poi si sdraia sull’erbetta corta, chiude gli occhi e… muore.

   38.5Maria, che è rimasta sulla porta sorridendo, quando lo vede rimanere steso e rigido grida: «Gesù, Gesù! Alzati! Non stare così! La tua Mamma non vuole vederti morto!».
   Gesù si alza con un sorriso e corre a Lei e la bacia. Vengono anche Giacomo e Giuda. Anche loro hanno carezze da Maria.
   «Come può Gesù ricordare quel cantico tanto lungo e difficile e tutte quelle benedizioni?», chiede Giacomo.
   Maria sorride e risponde semplicemente: «Ha memoria molto buona e sta molto attento quando io leggo».
   «Io, alla scuola, sto attento. Ma poi mi viene sonno con tutto quel lamentio… Non imparerò mai, allora?».
   «Imparerai, sta’ quieto».

   38.6Bussano alla porta. Giuseppe traversa lesto l’orto e la stanza e apre.
   «Pace a te, Alfeo e Maria!».
   «E a voi pace e benedizione».
   È il fratello di Giuseppe con la moglie. Un rustico carro, tirato da un forte ciuchino, è fermo nella via.
   «Avete fatto buon viaggio?».
   «Buono. I bambini?».
   «Sono nell’orto con Maria».
   Ma i bambini accorrono già a salutare la mamma. Anche Maria viene, tenendo Gesù per mano. Le cognate si baciano.
   «Sono stati buoni?».
   «Molto buoni e molto cari. Tutti bene i parenti?».
   «Tutti. Vi salutano e da Cana vi mandano tanti regali. Uva, mele, formaggi, uova, miele. E… Giuseppe! Ho proprio trovato quello che volevi per Gesù. È sul carro, in quella cesta rotonda». La moglie di Alfeo ride. Si china su Gesù che la guarda coi suoi occhi sgranati, lo bacia su quei due lembi di azzurro e dice: «Sai cosa ho per te? Indovina».
   Gesù pensa e non trova. Io dubito lo faccia di proposito, per dar la gioia a Giuseppe di fare la sorpresa. Infatti Giuseppe entra, portando un cestone rotondo. Lo posa al suolo davanti a Gesù, slega la fune che ne tiene a posto il coperchio, lo alza… e una pecorina tutta bianca, un vero fiocco di spuma, appare dormente fra il fieno ben mondo.
   Gesù ha un «Oh!» stupito e beato e fa per precipitarsi sulla bestiola, ma poi si volge e corre da Giuseppe, ancora curvo al suolo, e lo abbraccia e bacia ringraziandolo.
   I cuginetti guardano con ammirazione la bestiolina, che si è svegliata e che alza il musetto roseo e bela, cercando la mamma. La tirano fuori dal cesto, le offrono una manciata di trifoglio. Bruca guardandosi intorno coi miti occhi.
   Gesù continua a dire: «Per Me! Per Me! Padre, grazie!».
   «Ti piace tanto?».
   «Oh! tanto! Bianca, monda… un’agnella… oh!», e getta le braccine al collo della pecorina, pone il capo biondo sulla testolina bianca e sta così, felice.
   «Anche a voi ne ho portate due», dice Alfeo ai figli. «Ma sono scure. Voi non siete ordinati come Gesù e avreste avuto pecore disordinate, se bianche. Saranno il vostro gregge, le terrete insieme e così non starete più a zonzo per le strade, voi due, monelli, a fare a sassate».
   I bambini corrono sul carro e guardano le due altre bestiole più nere che bianche.
   Gesù è rimasto con la sua. La porta nel giardino, le offre da bere, e la bestiolina lo segue come sempre l’avesse conosciuto. Gesù la chiama. Le mette nome «Neve» ed essa risponde belando festosa.
   Gli ospiti sono seduti a tavola e Maria serve loro pane, ulive e formaggio. Mette anche un’anfora con sidro o acqua melata, non so, vedo che è di un biondo chiaro chiaro.
   Parlano fra loro mentre i bambini giuocano con le tre bestiole, che Gesù ha voluto unite per dare anche alle altre acqua e un nome. «La tua, Giuda, si chiamerà “Stella” perché ha quel segno sulla fronte. E la tua “Fiamma” perché ha colore di certe fiamme di eriche morenti».
   «È accettato».
   I grandi dicono (è Alfeo che parla): «Spero avere risolto così la storia delle liti fra ragazzi. È stata la tua idea, Giuseppe, che mi ha illuminato. Ho detto: “Mio fratello vuole una pecorina per Gesù, perché giuochi un poco. Io ne prenderò due per quei ragazzacci, per farli stare un poco quieti e non avere sempre questioni con altri genitori per teste e ginocchia rotte. Un poco la scuola e un poco le pecore, riuscirò a tenerli quieti”.


   38.7Ma quest’anno dovrai mandare anche tu Gesù alla scuola. È l’ora».
   «Io non manderò mai Gesù alla scuola», dice Maria recisamente. È difficile sentirla parlare così, e parlare prima di Giuseppe.
   «Perché? Il Bambino deve imparare per essere a suo tempo capace di subire l’esame di maggiorenne…».
   «Il Bambino saprà. Ma a scuola non andrà. È deciso».
   «Saresti unica in Israele a fare così».
   «Sarò unica. Ma farò così. Non è vero, Giuseppe?».
   «È vero. Non c’è bisogno per Gesù di andare ad una scuola. Maria è stata allevata nel Tempio ed è un vero dottore nella conoscenza della Legge. Sarà la sua maestra. Così voglio anche io».
   «Voi lo viziate il Ragazzo».
   «Non lo puoi dire. È il più buono di Nazaret. Lo hai mai udito piangere, fare bizze, negare ubbidienza, non avere rispetto?».
   «Questo no. Ma lo diverrà se continua ad esser viziato».
   «Non è viziare tenersi vicino i figli. È amarli con buon senso e buon cuore. Così lo amiamo il nostro Gesù e, dato che Maria è più istruita del maestro, sarà Lei la maestra di Gesù».
   «E quando sarà uomo il tuo Gesù sarà una donnetta paurosa anche di una mosca».
   «Non lo sarà. Maria è una donna forte e sa educarlo virilmente. Io non sono un vile e so dare esempi virili. Gesù è una creatura senza difetti fisici e morali. Crescerà perciò dritto e forte nel corpo e nello spirito. Sta’ sicuro, Alfeo. Non farà sfigurare la famiglia. E poi ho deciso e basta così».
   «Avrà deciso Maria, e tu…».
   «E se fosse? Non è bello che due che si amano siano pronti ad avere lo stesso pensiero e lo stesso volere, perché a vicenda l’uno abbraccia il desiderio dell’altro e lo fa suo? Se Maria volesse cose stolte, le direi: “No”. Ma chiede cose piene di saggezza, ed io le approvo e faccio mie. Ci amiamo, noi, come nel primo giorno… e così faremo finché saremo in vita. Non è vero, Maria?».
   «Sì, Giuseppe. E, mai sia, ma quando avesse uno a morire senza l’altro, ancora ci ameremo».
   Giuseppe carezza sul capo Maria, come fosse una figlia fanciulla, e Lei lo guarda col suo occhio sereno e amoroso.

   38.8La cognata interviene: «Avete proprio ragione. Fossi buona io di insegnare! A scuola imparano il bene e il male, i nostri figli. In casa solo il bene. Ma io non so… Se Maria…».
   «Che vuoi, cognata? Di’ liberamente. Tu sai che ti amo e sono lieta quando ti posso far piacere».
   «Dicevo… Giacomo e Giuda sono di poco più vecchi di Gesù. Vanno già a scuola… ma per quel che sanno!… Invece Gesù sa già tanto bene la Legge… Io vorrei… ecco, se ti dicessi di tenere anche loro, quando insegni a Gesù? Io penso che diverrebbero più buoni e più istruiti. Sono cugini, infine, e che si amino come fratelli è giusto… Sarei così felice!».
   «Se Giuseppe vuole, e tuo marito pure, io sono pronta. Parlare per uno o per tre è uguale. Ripassare tutta la Scrittura è gioia. Che vengano».
   I tre bambini, che erano entrati piano piano, sentono e stanno in attesa del verdetto.
   «Ti faranno disperare, Maria», dice Alfeo.
   «No! Con me sono sempre buoni. Non è vero che sarete buoni se io vi insegnerò?».
   I due le corrono vicini, uno a destra, uno a sinistra, le mettono le braccia intorno alle spalle, le testoline sulle spalle, e promettono tutto il bene possibile.
   «Lasciali provare, Alfeo, e lasciami provare. Io credo che non sarai malcontento della prova. Verranno ogni giorno dall’ora di sesta a sera. Basterà, credilo. Io so l’arte di insegnare senza stancare. I bambini vanno tenuti avvinti e distratti insieme. Bisogna capirli, amarli ed essere amati, per ottenere da loro. E voi mi amate, non è vero?».
   Due grossi bacioni sono la risposta.
   «Lo vedi?».
   «Lo vedo. Non ho che dirti: “Grazie”. E Gesù che dirà, vedendo la Mamma persa con altri? Che dici, Gesù?».
   «Io dico[82]: “Beati quelli che stanno ad ascoltarla e drizzano la loro dimora presso la sua”. Come per la Sapienza, beato chi è amico di mia Madre, ed Io sono felice che coloro che amo siano suoi amici».
   «Ma chi pone tali parole sulle labbra del Fanciullo?», chiede Alfeo stupito.
   «Nessuno, fratello. Nessun che sia del mondo».
   La visione cessa qui.
   

   38.9Dice Gesù:
   «E Maria fu maestra di Me, Giacomo e Giuda. Ecco perché ci amammo come fratelli, oltre che per la parentela, per la scienza e per il crescere uniti, come tre tralci sorretti da un unico palo. La Mamma mia. Dottore come nessun altro in Israele, questa dolce Madre mia. Sede della Sapienza, e della vera Sapienza, ci istruì per il mondo e per il Cielo. Dico: “ci istruì”, perché Io fui suo scolaro non diversamente dai cugini. E il “sigillo” fu mantenuto sul segreto di Dio, contro l’indagare di Satana, mantenuto sotto l’apparenza di una vita comune.
   Ti sei beata nella scena soave? Ora sta’ in pace. Gesù è con te».

[80] la scena della maggiore età (promessa oggi 25-11) è un’aggiunta che MV ha inserito tra le righe scritte il 29 ottobre e si riferisce

 alla promessa di cui parla all’inizio del capitolo seguente.

[81] propone una scena ricavabile da: Esodo 32, alla qual


e viene poi preferita quella di: Numeri 27, 12-23Deuteronomio 31-34.

[82] dico, come in: Proverbi 8, 34.

 


Liturgia Novus Ordo: Mc 1, 21-28.

Vangelo Novus Ordo Mc 1, 21-28
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao,] insegnava. Ed erano stupìti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

 


Maria Valtorta: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'
Paralleli Novus ordo

   Cap. LIX. Un indemoniato guarito nella sinagoga di Cafarnao a conclusione di una disputa.

   2 novembre 1944

 1 Vedo la sinagoga di Cafarnao. È già piena di folla in attesa. Gente sulla porta occhieggia sulla piazza ancora assolata, benché sia verso sera. 
   Finalmente un grido: «Ecco il Rabbi che viene». La gente si volta tutta verso l'uscio, i più bassi si alzano sulle punte dei piedi o cercano di spingersi avanti. Qualche disputa, qualche spintone, nonostante i rimproveri degli addetti alla sinagoga e dei maggiorenti della città.
   «La pace sia su tutti coloro che cercano la Verità». Gesù è sulla soglia e saluta benedicendo a braccia tese in avanti. La luce vivissima che è nella piazza assolata ne staglia l'alta figura, innimbandola di luce. Egli ha deposto il candido abito ed è nel suo solito azzurro cupo. Si avanza, fra la folla, che si apre e si rinserra intorno a Lui come onda intorno ad una nave.

 2 «Sono malato, guariscimi!» geme un giovane, che mi pare tisico all'aspetto, e prende Gesù per la veste.
Gesù gli pone la mano sul capo e dice: «Confida. Dio ti ascolterà. Lascia ora che Io parli al popolo, poi verrò a te».
   Il giovane lo lascia andare e si mette quieto. 
   «Che ti ha detto?» gli chiede una donna con un bambino in braccio.
   «Mi ha detto che dopo aver parlato al popolo verrà a me».
   «Ti guarisce, allora?».
   «Non so. Mi ha detto: " Confida ". Io spero».
   «Che ha detto? Che ha detto?». La folla vuol sapere. La risposta di Gesù è ripetuta fra il popolo.
   «Allora io vado a prendere il mio bambino».
   «Ed io porto qui il mio vecchio padre».
   «Oh! se Aggeo volesse venire! Io provo... ma non verrà».

 3 Gesù ha raggiunto il suo posto. Saluta il capo della sinagoga ed è salutato da questi. È un ometto basso, grasso e vecchiotto. Per parlare a lui Gesù si china. Pare una palma che si curvi su un arbusto più largo che alto.
   «Che vuoi che ti dia?» chiede l'archisinagogo.
   «Quello che credi, oppure a caso. Lo Spirito guiderà».
   «Ma... e sarai preparato?».
   «Lo sono. Dài a caso. Ripeto: lo Spirito del Signore guiderà la scelta per il bene di questo popolo».
   L'archisinagogo stende una mano sul mucchio dei rotoli, ne prende uno, apre e si ferma a un dato punto. «Questo» dice.
   Gesù prende il rotolo e legge il punto segnato: «Giosuè: (Giosuè 7, 13) "Alzati e santifica il popolo e di' loro: 'Santificatevi per domani perché, dice il Signore Dio d'Israele, l'anatema è in mezzo a voi, o Israele; tu non potrai stare a fronte dei tuoi nemici fino a tanto che non sia tolto di mezzo a te chi s'è contaminato con tal delitto' "». Si ferma, arrotola il rotolo e lo riconsegna.
   La folla è attentissima. Solo bisbiglia alcuno: «Ne udremo di belle contro i nemici!». «È il Re di Israele, il Promesso, che raccoglie il suo popolo!». 

 4 Gesù tende le braccia nella solita posa oratoria. Il silenzio si fa completo.
   «Chi è venuto per santificarvi si è alzato. È uscito dal segreto della casa dove si è preparato a questa missione. Si è purificato per darvi esempio di purificazione. Ha preso la sua posizione di fronte ai potenti del Tempio e al popolo di Dio, e ora è fra voi. Io sono. Non come, con mente annebbiata e fermento nel cuore, alcuni fra voi pensano e sperano. Più alto e più grande è il Regno di cui sono il Re futuro e a cui vi chiamo.
   Vi chiamo, o voi di Israele, prima d'ogni altro popolo, perché voi siete quelli che nei padri dei padri ebbero promessa di quest'ora e alleanza col Signore altissimo. Ma non con turbe di armati, non con ferocie di sangue sarà formato questo Regno, e ad esso non i violenti, non i prepotenti, non i superbi, gli iracondi, gli invidiosi, i lussuriosi, gli avari, ma i buoni, i miti, i continenti, i misericordiosi, gli umili, gli amorosi del prossimo e di Dio, i pazienti, avranno entrata.
   Israele! Non contro i nemici di fuori sei chiamato a combattere. Ma contro i nemici di dentro. Contro quelli che sono in ogni tuo cuore. Nel cuore dei dieci e dieci e diecimila tuoi figli. Levate l'anatema del peccato da tutti i vostri singoli cuori, se volete che domani Dio vi raduni e vi dica: "Mio popolo, a te il Regno che non sarà più sconfitto, né invaso, né insidiato da nemici".
   Domani. Quale, questo domani? Fra un anno o fra un mese? Oh! non cercate! Non cercate, con sete malsana, di sapere ciò che è futuro con mezzo che ha sapore di colpevole stregoneria. Lasciate ai pagani lo spirito pitone. Lasciate a Dio eterno il segreto del suo tempo. Voi da domani, il domani che sorgerà dopo quest'ora di sera, e quella che verrà di notte, che sorgerà col canto del gallo, venite a purificarvi nella vera penitenza.
   Pentitevi dei vostri peccati per esser perdonati e pronti al Regno. Levate da voi l'anatema del peccato. Ognuno ha il suo. Ognuno ha quello che è contrario ai dieci comandi di salute eterna. Esaminatevi ognuno con sincerità, e troverete il punto in cui avete sbagliato. Umilmente abbiatene pentimento sincero. Vogliate pentirvi. Non a parole. Dio non si irride e non si inganna. Ma pentitevi colla volontà ferma, che vi porti a mutare vita, a rientrare nella Legge del Signore. Il Regno dei Cieli vi aspetta. Domani.
   Domani? vi chiedete. Oh! è sempre un domani sollecito l'ora di Dio, anche se viene al termine di una vita longeva come quella dei Patriarchi. L'eternità non ha per misura di tempo lo scorrere lento della clessidra. E quelle misure di tempo che voi chiamate giorni, mesi, anni, secoli, sono palpiti dello Spirito eterno che vi mantiene in vita. Ma voi eterni siete nello spirito vostro, e dovete, per lo spirito, tenere lo stesso metodo di misurazione del tempo che ha il Creatore vostro. Dire, dunque: "Domani sarà il giorno della mia morte". Anzi, non morte per il fedele. Ma riposo di attesa, in attesa del Messia che apra le porte dei Cieli.
   E in verità vi dico che fra i presenti solo ventisette morranno dovendo attendere. Gli altri saranno già giudicati prima della morte, e la morte sarà il passaggio a Dio o a Mammona senza indugio, perché il Messia è venuto, è fra voi e vi chiama per darvi la Buona Novella, per istruirvi alla Verità, per salvarvi al Cielo.
   Fate penitenza! Il "domani" del Regno dei Cieli è imminente. Vi trovi mondi per divenire possessori dell'eterno giorno.
   La pace sia con voi».

 5 Si alza a contraddirlo un barbuto e impaludato israelita. Dice: «Maestro, quanto Tu dici mi pare in contrasto con quanto è detto nel libro secondo dei Maccabei, gloria d'Israele. Là è detto: (2 Maccabei 6, 13-14) "È infatti segno di grande benevolenza il non permettere ai peccatori di andare dietro per lungo tempo ai loro capricci, ma di dare subito mano al castigo. Il Signore non fa come con le altre nazioni, che le aspetta con pazienza per punirle, venuto il giorno del giudizio, quando è colma la misura dei peccati". Tu invece parli come se l'Altissimo potesse esser molto lento nel punirci, attendendoci, come gli altri popoli, al tempo del Giudizio, quando sarà colma la misura dei peccati. Veramente i fatti ti smentiscono. Israele è punito come dice lo storico dei Maccabei. Ma, se fosse come Tu dici, non vi è dissapore fra la tua dottrina e quella chiusa nella frase che ti ho detto?».
   «Chi sei, Io non so. Ma, chiunque tu sia, ti rispondo. Non c'è dissapore nella dottrina, ma nel modo di interpretare le parole. Tu le interpreti secondo il modo umano. Io secondo quello dello spirito. Tu, rappresentante della maggioranza, vedi tutto con riferimenti al presente e al caduco. Io, rappresentante di Dio, tutto spiego e applico all'eterno e al soprannaturale. Vi ha colpiti, sì, Geavè nel presente, nella superbia e nella giustizia d'esser un " popolo ", secondo la terra. Ma come vi ha amati e come vi usa pazienza, più che con ogni altro, concedendo a voi il Salvatore, il suo Messia, perché lo ascoltiate e vi salviate prima dell'ora dell'ira divina! Non vuole più che voi siate peccatori. Ma se nel caduco vi ha colpiti, vedendo che la ferita non sana, ma anzi ottunde sempre più il vostro spirito, ecco che vi manda non punizione ma salvezza. Vi manda Colui che vi sana e vi salva. Io che vi parlo».

 6 «Non trovi di essere audace nel professarti rappresentante di Dio? Nessuno dei Profeti osò tanto, e Tu... Chi sei, Tu che parli? E per ordine di chi parli?».
   «Non potevano i Profeti dire di loro stessi ciò che Io di Me stesso dico. Chi sono? L'Atteso, il Promesso, il Redentore. Già avete udito colui che lo precorre dire: "Preparate la via del Signore... Ecco il Signore Iddio che viene... Come un pastore pascerà il suo gregge, pure essendo l'Agnello della Pasqua vera". Fra voi sono quelli che hanno udito dal Precursore queste parole e hanno visto balenare il cielo per una luce che scendeva in forma di colomba, e udito una voce che parlava dicendo chi ero. Per ordine di chi parlo? Di Colui che è e che mi manda».
   «Tu lo puoi dire, ma puoi esser anche un mentitore o un illuso. Le tue parole sono sante, ma talora Satana ha parole di inganno tinte di santità per trarre in errore. Noi non ti conosciamo».
«Io sono Gesù di Giuseppe della stirpe di Davide, nato a Betlem Efrata, secondo le promesse, detto nazareno perché a Nazaret ho casa. Questo secondo il mondo. Secondo Dio sono il suo Messo. I miei discepoli lo sanno».
   «Oh! loro! Possono dire ciò che vogliono e ciò che Tu fai loro dire».
   «Un altro parlerà, che non mi ama, e dirà chi sono. Attendi che Io chiami un di questi presenti».

 7 Gesù guarda la folla che è stupita dalla disputa, urtata e divisa fra opposte correnti. La guarda, cercando qualcuno coi suoi occhi di zaffiro, poi chiama forte: «Aggeo! Vieni avanti. Te lo comando». Grande brusio fra la folla, che si apre per lasciar passare un uomo, tutto scosso da un tremito e sorretto da una donna.
   «Conosci tu quest'uomo?».
   «Sì. È Aggeo di Malachia, qui di Cafarnao. Posseduto è da uno spirito malvagio che lo dissenna in furie repentine».
   «Tutti lo conoscono?».
   La folla grida: «Sì, sì».
   «Può alcuno dire che fu meco in parole, anche per pochi minuti?».
   La folla grida: «No, no, quasi ebete è, e non esce mai dalla sua casa, e nessuno ti ha visto in essa».
   «Donna, portalo a Me davanti».
   La donna lo spinge e trascina, mentre il poveretto trema più forte. 
   L'archisinagogo avverte Gesù: «Sta' attento! Il demonio sta per tormentarlo... e allora si avventa, graffia e morde». 
   La folla fa largo, pigiandosi contro le pareti. 
   I due sono ormai di fronte. Un attimo di lotta. Pare che l'uomo, uso al mutismo, stenti a parlare e mugola, poi la voce si forma in parola: «Che c'è fra noi e Te, Gesù di Nazaret? Perché sei venuto a tormentarci? Perché a sterminarci, Tu, Padrone del Cielo e della terra? So chi sei: il Santo di Dio. Nessuno, nella carne, fu più grande di Te, perché nella tua carne d'uomo è chiuso lo Spirito del Vincitore eterno. Già mi hai vinto in...».
   «Taci! Esci da costui. Lo comando».
   L'uomo è preso come da un parossismo strano. Si dimena a strattoni, come se ci fosse chi lo maltratta con urti e strapponate, urla con voce disumana, spuma e poi viene gettato al suolo da cui poi si rialza stupito e guarito.

 8 «Hai udito? Che rispondi ora?» chiede Gesù al suo oppositore.
   L'uomo barbuto e impaludato fa una alzata di spalle e, vinto, se ne va senza rispondere. La folla lo sbeffeggia e applaude Gesù.
   «Silenzio. Il luogo è sacro!» dice Gesù, e poi ordina: «A Me il giovane al quale ho promesso aiuto da Dio».
   Viene il malato. Gesù lo carezza: «Hai avuto fede! Sii sanato. Va' in pace e sii giusto».
   Il giovane ha un grido. Chissà che sente? Si prostra ai piedi di Gesù e li bacia ringraziando: «Grazie per me e per la madre mia!».
   Vengono altri malati: un bimbo dalle gambine paralizzate. Gesù lo prende fra le braccia, lo carezza e lo pone in terra... e lo lascia. E il bambino non cade, ma corre dalla mamma, che lo riceve sul cuore piangendo e che benedice a gran voce «il Santo d'Israele». Viene un vecchietto cieco, guidato dalla figlia. Anche lui viene sanato con una carezza sulle orbite malate.
La folla è in un tumulto di benedizioni.
   Gesù si fa largo sorridendo e, per quanto sia alto, non arriverebbe a fendere la folla se Pietro, Giacomo, Andrea e Giovanni non lavorassero di gomito generosamente e si aprissero un varco dal loro angolo sino a Gesù e, poi, lo proteggessero sino all'uscita nella piazza, dove ora non è più sole.
   La visione termina così.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della Terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!