9 ottobre 2015
Prima lettura: Gioele 1,13-15; 2,1-2 Il giorno del Signore, giorno di tenebra e di caligine.
Salmo 9
Vangelo: Lc 11,15-26 Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Questo brano – come altri tratti dal Vangelo di Luca – è un brano drammatico, perché Gesù non teme di affrontare il nocciolo della questione, cioè la battaglia mortale tra lo spirito della vita e lo spirito che è contro Dio, il demonio.
Battaglia nella quale siamo in mezzo anche noi. In questi giorni, in queste ore, dobbiamo decidere da che parte stare: o con Gesù o contro di Lui. Non si può trovare una via di mezzo, è illusoria la mediazione.
Lo dice Gesù stesso: dobbiamo scegliere, decidere, da che parte stare.
Scelgono e decidono da che parte stare anche i martiri di cui oggi facciamo memoria: Dionigi (vescovo), Rustico (presbitero) ed Eluterio (diacono). Furono mandati dal Papa Fabiano nella Gallia – quella che oggi è la Francia – ad evangelizzare questo popolo che ancora non conosceva il Vangelo, la libertà che proveniva da Gesù.
S’insediano in una piccola cittadina che stava sulla Senna, quella che è diventata Parigi e che allora si chiamava Lutezia (un antico nome latino che i romani avevano scelto), una città che via via è diventata sempre più importante.
Così Dionigi diventa il pastore di quella piccola comunità cristiana, il primo vescovo di Parigi, dal 250 al 270.
Vent’anni di evangelizzazione, fin quando – ad opera, appunto, dell’odio diabolico che i pagani hanno nei confronti di Gesù, del suo Vangelo e dei suoi rappresentanti – vengono condotti sulla collinetta vicino a Parigi, detta da allora proprio Montmartre, cioè “monte dei martiri”, in cui inizialmente subiscono torture con il fuoco per farli rinnegare la loro fede in Gesù; alla fine vengono decapitati.
San Dionigi viene rappresentato iconograficamente con la propria testa in grembo.
Questi uomini e queste donne che hanno saputo scegliere da che parte stare, senza compromessi. Senza pensare che si può arrivare ad un compromesso con il mondo o con il peccato.
Oggi più che mai dobbiamo ricordare i martiri, perché siamo in un’ora molto drammatica, per il mondo e per la Chiesa, quella che stiamo vivendo in questi giorni. Ove, forse ancor di più che in altre generazioni, siamo chiamati a scegliere, a decidere da che parte stare.
Non credo che sia un caso – il demonio è molto furbo, astuto, – che in questi giorni, in queste settimane, ci sia un attacco così forte contro la Chiesa cattolica.
Dal di fuori, dai nemici – dobbiamo tornare ad usare questi termini –; i nemici della Chiesa non sono tutti buoni, pronti ad abbracciarci, anzi, quando lo fanno è per metterci le mani al collo, come hanno fatto con Dionigi e compagni. Oggi lo farebbero ancora volentieri, anzi lo stanno già facendo con noi!
Da molti nemici anche interni. Le vergognose situazioni che abbiamo vissuto, che viviamo quasi quotidianamente, stiamo sempre a chiederci: cosa succederà oggi o domani?
Vedete, umanamente, la religione non conta in queste situazioni. Se la religione è umana, io potrei dire tranquillamente che la Chiesa cattolica ha le ore contate. Se un’istituzione è solamente umana, si tratta solamente di chiudere un po’ i conti, presentare i libri in tribunale ed andarcene a casa.
Grazie a Dio – e sottolineo grazie a Dio – la Chiesa, per Lui, è promessa e non sarà mai cancellata. Ma a quale prezzo? A prezzo di quale sofferenza, di quale scandalo? Non occorre che vi li ripeta, ma purtroppo quanti ne verranno fuori ancora! Veri o presunti che siano.
Perché a questo punto la verità non interessa più a nessuno. L’importante è creare confusione in mezzo al gregge sempre più disperso e timoroso.
Ma debbo ammettere che molta parte della colpa è nostra, pastori del gregge. In tante occasioni – troppe – ci siamo bevuti il cervello nell’irenismo, nel pensare che siamo buoni anche noi, più di Gesù Cristo! Nel pensare che il mondo non ha bisogno di Cristo: si salva per conto suo. Nel dire che l’inferno non esiste… Beh, del resto, se l’inferno non esiste, allora siamo “liberi tutti”, andiamo tutti in paradiso.
Se andiamo tutti in paradiso, dunque possiamo, in questo mondo, fare tutti i peccati che ci piacciono. Tutti i peccati possibili ed immaginabili – non occorre che vi faccia un elenco – tanto il Signore è misericordioso!
Avete sentito nel brano evangelico che Gesù non ha paura di parlare del diavolo – lo conosce bene –; Egli spiega che Belzebù non è diviso in se stesso. Il diavolo è un divisore, sì, ma se fosse diviso in se stesso, cadrebbe. Tutti i regni, quando sono divisi, cadono; cade una casa sopra l’altra.
E la divisione che c’è nella Chiesa, questo peccato è dovuto soprattutto a causa dei peccati dei suoi ministri.
Altro che il coraggio di Dionigi, di Rustico e di Eluterio! Essi prima si fanno fare a pezzi e dopo si fanno tagliare la testa per amore di Gesù.
Fratelli e sorelle, dobbiamo aiutarci, anche ad educarci gli uni gli altri, anche nel nostro modo di parlare. Quando siamo in famiglia, al bar o sull’autobus, a parlare di queste cose. A recuperare una certa lucidità, perché è facile perdere anche la lucidità, in questo mondo, ed adattarsi al coro che grida: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”, perché non sappiamo più neppure dove guardare.
Pensateci un attimo. Sarà proprio così?
Tante cose che vengono dette, anche a sproposito, in queste ore, sui giornali: bisogna abolire il sacerdozio, non servono più i preti. Beh, è logico: quando cominci a toccare il matrimonio, crolla tutto.
La dottrina cattolica, immaginate, è come un castello di carta: bellissimo e delicatissimo. Ma se ne togli un pezzo, rischi che tutto vada a catafascio.
Tocchiamo il matrimonio – più o meno si può divorziare, gli adulteri facciano la Comunione lo stesso – e casca anche l’Eucarestia; casca anche il sacerdozio. Possiamo veramente chiudere la baracca e andare tutti a casa.
Da dove nasce questa smania di voler cambiare, cambiare, cambiare?
Provate a riflettere su questo – è un argomento su cui si può discutere anche in famiglia –: chi ha mai chiesto al Dalai Lama di non pregare più con la lingua sacra buddista? Una lingua che non capisce più nessuno ed ha 5000 anni!
Noi, invece, abbiamo cambiato anche le nostre liturgie. Dopo 2000 anni di liturgia in latino, ah bisogna cambiare, così capiscono tutti! Il risultato? Le chiese si sono svuotate. I seminari vengono chiusi. Tantissime famiglie religiose sono sparite da un pezzo.
Mi domando: serve tutto questo alla causa del Vangelo oppure no? Se dopo alcuni anni, vedo che è tutto un disastro, debbo farmi qualche domanda se qualche cosa sia andata storta.
Non è saggio andare avanti in una strada che porta alla rovina. Non è evangelico. Non è ragionevole.
Ogni religione ha bisogno della sua tradizione. Non si può chiedersi ogni giorno cosa cambierà. Non è antropologicamente giusto. Nessuna religione vive dell’instabilità, perché già il mondo è instabile di suo.
La fede, la religione, hanno tantissimi punti di riferimento che non possono cambiare tutti i giorni.
Cosa succederà domani? I preti dovranno sposarsi, così risolviamo tutto! Risolvere che cosa?
Io non voglio – lo dico davanti a tutti – non voglio sposarmi. Se avessi voluto, lo avrei fatto 25 o 30 anni fa. Se a 25 anni, quando divenni prete, non sapevo cosa stavo facendo, vuol dire che ero un perfetto idiota.
Non si capisce perché debbano sposarsi i preti in un mondo in cui non si sposa più nessuno!
Senza contare che nessuna donna single, di questi tempi, sposerebbe qualcuno che guadagna 900 euro al mese, cioè quello che riscuotiamo noi preti mensilmente. Capite che non ci siamo?
Queste cose dobbiamo dirle. È facile “sparare” un articolo sul giornale dicendo che si risolve tutto cambiando. No, così non risolviamo niente, anzi distruggiamo tutto.
Del resto, le comunità protestanti che 500 anni fa hanno abolito il sacerdozio e il celibato ecclesiastico sono sparite, spa-ri-te.
Anche perché il primo pensiero di un padre di famiglia è per la sua famiglia. E questo è naturale.
Se avessi un figlio malato, bisognoso di cure, come potrei venire qua tutti i giorni per dire la Messa? Sì, si tratta anche di ragioni di carattere pratico. O peggio: se capitasse una persecuzione violenta contro noi cattolici, io da celibe posso scegliere di essere imprigionato o ucciso, ma se lo facessero a mia moglie o ai miei figli? Il celibato dei sacerdoti è anche una suprema libertà della Chiesa di fronte ad ogni potere. Pensiamoci.
Dobbiamo aiutarci, praticamente, a tornare con i piedi per terra, tutti quanti, laici e preti. I primi a “doversi dare una regolata” siamo noi sacerdoti. E voi pregate molto per questo. Siete in obbligo ad aiutarci con la vostra fede.
Fratelli e sorelle, i martiri ci dicono con la loro testimonianza – il sangue versato per Cristo – che una cosa sola è importante: salvare l’anima e rimanere fedeli. Il resto non conta.
In queste ore molto confuse, non lasciamoci sviare da quest’obiettivo, il più importante.
Gesù farà di tutto per salvarci, ma noi, almeno un pezzetto, dobbiamo mettercelo, poiché è dal quel “pezzettino” che dipende tutto.
Sia lodato Gesù Cristo.
Sempre sia lodato.