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lunedì 21 settembre 2020

GESU' tentato

 



Dai Quaderni di Maria Valtorta, 18 febbraio 1947

   In merito alle visioni e dettati1 del 24 e 25 febbraio 1944 e 3 gennaio 1945 e 17 gennaio 1945.
   Dice Gesù:
   «In verità sono così chiare le visioni e le parole date in merito alla mia tentazione, anche nella sua parte ignorata, che esse sono già risposte a tutte le obbiezioni di coloro che fanno domande in proposito, e non sarebbe necessario che Io ne dessi di più ampie anche perché – lo ricordi colui che sollecita queste risposte – sin dal 25-2-1944 Io ho fatto chiaramente capire che non amavo soffermarmi né ritornare sull'episodio e non amavo che altri vi si soffermasse, attirando su di esso la particolare attenzione dello strumento, agendo perciò in maniera diametralmente opposta a quella che avevo avuta Io, che allo stesso strumento, che mi proponeva allora le stesse obbiezioni che ora mi propone nuovamente e sempre per stimolo dello stesso individuo, rispondevo: "Non ho voluto che tu parlassi sulla tentazione sensuale del tuo Gesù. Anche se la tua interna voce ti aveva fatto comprendere il movente di Satana per attirarmi al senso, ho preferito parlarne Io. E non vi pensare oltre".
   Avrei voluto che seguiste il mio esempio di prudenza verso il piccolo fanciullo che ho messo fra voi, il quale deve dirvi tutto ciò che vede, ossia tutto quanto è stato usato pro e contro il Cristo, ma al quale anche la sua inesperienza e la bontà paterna di Dio fanno da riparo provvidenziale contro le più crude miserie e azioni degli uomini e di Satana.


   Lo avrei voluto per rispetto al piccolo fanciullo i cui occhi vedono Dio, e lo avrei voluto perché questo mi avrebbe testimoniato dello stato del vostro animo, che Io desidererei giusto anche nelle sfumature più leggere. Nulla vi è di insignificante e di inutile e di trascurabile nella giustizia. Ha valore in essa la grande e visibile azione del saper morire per essa, come la silenziosa e nascosta imitazione di Me nella maniera di condursi presso i propri fratelli, o figli di spirito, o discepoli vostri. Perché voi vi siete volontariamente consacrati a questa paternità spirituale e a questo ammaestramento dei piccoli, voi padri e maestri di spirito, voi pastori ai quali ho affidato i miei agnelli, e dovete essere i miei imitatori.
   Lo avrei infine voluto perché questo mi avrebbe testimoniato dello stato del vostro intelletto, libero da quanto crea confusione e nebbia alle verità così chiaramente visibili nelle mie pagine, dimostranti la costante perfezione di Gesù Cristo Dio Uomo in tutte le circostanze della sua vita mortale, in tutte le sue azioni, parole e anche silenzi. Perché vi sono silenzi che sono più parlanti di ogni parola e docenti più di ogni dottrina.


   E questo episodio, nel punto che voi non volete accettare dicendolo "sconveniente", vi parla appunto con la magnifica lezione del mio silenzio opposto a questa parte impura della tentazione satanica. Il mio silenzio, la mia indifferenza totale ai solleticamenti di Satana, avrebbero dovuto aver voce, per voi, di glorificazione del Cristo. Per voi hanno avuto invece altra voce. Quella di avvilimento pel2 Cristo. Tentando Cristo di impurità, vi fa effetto che sia stata lesa la dignità del Cristo. Confondete il tentativo col risultato. Lesione sarebbe stata il risultato. Glorificazione è il fallimento del tentativo. Non l'avete saputa considerare questa differenza? Allora non avete saputo leggere la verità taciuta ma palesemente visibile che è nella visione e nei dettati.



   Saper leggere! Non tutti lo sanno fare, e fare con esattezza. Per saperlo fare, e fare con esattezza, occorre avere occhio puro da vampe interne e da offuscamenti esterni. Se il vostro occhio3 spirituale, ossia il vostro pensiero, è limpido e puro, voi vedete le cose quali esse sono. In questo caso: di glorificazione del Cristo. Ma se il vostro pensiero è offuscato o avvampato da fumi di umano sapere e da orgoglio di dover voi soli sapere, o peggio da fuochi impuri, allora è il riflesso vostro quello che tinge di tinte opposte a quelle reali ciò che voi contemplate, e di un episodio casto e innocente ne fa uno sensuale e peccaminoso. Ma rimettete l'episodio lontano dalle vostre luci, nella sua vera luce, ed esso tornerà quale era: testimonianza di una eroicità di castità e innocenza inutilmente insidiate.


   Ora, se voi gettate sull'episodio il riflesso della vostra umanità, perché non potete ammettere che uno non possa sentire turbamento interno per una tentazione esterna, perché non potete ammettere che neppure il Cristo, il Santo di Dio, possa essere stato tentato dall'esterno senza risentire turbamento interno, allora siete voi che date quel colore all'episodio. Ma non dovete allora dire che esso episodio testimonia uno sconveniente turbamento del Cristo, turbamento che in verità non può essere ammesso per rispetto alla dignità del Signore Gesù, e perché in verità nel Cristo ci fu sempre ordine e armonia fra carne e spirito, ambedue sempre ossequienti e perfetti nel dare gloria al loro Creatore. Dite dunque, se opinate diversamente da ciò che appare in modo non dubbio dall'episodio in parola, che siete voi che gettate su esso punto dell'episodio ciò che si agita in voi facendo "supposizioni", come dite per altre cose, vostre, e supposizioni che nessuna cosa dell'episodio autorizza e giustifica a supporre e a credere. Ciò è grave.


   Perché mi fate dettare queste parole? Non capite quanto dolore mi date costringendomi a dettarle anche soltanto per qualcuno fra voi? Non capite che non è cosa encomiabile mostrare uno scandalo, che in verità non sentite, solo per dare turbamento al portavoce, per tentarlo al dubbio sulla Voce che gli parla, alla sfiducia, o anche per tentarlo a modificare parti dell'opera? Cosa che poi gli rimproverereste e gli opporreste come prova capitale che l'opera è frutto del suo pensiero. Modificare parti dell'opera come se una creatura potesse farlo su pagine dettate da Me. E perché frugare e rifrugare in un dato punto sul quale Io non mi sono fermato, neppure mentre lo pativo, né col pensiero né con la parola scendendo a discuterlo con Satana, e sul quale avevo consigliato di non soffermarsi né di tornarci sopra, perché mi fa schifo, ora come allora? Schifo, dico. Ecco l'unica reazione che il laido insinuare di Satana ha provocato in Me.


   Ma ora, e lo sia per sempre, vi darò le risposte che volete, perché "abbiate quella limpida chiarezza su tale punto" che uno di voi dichiara che "sarebbe desiderabile". Io le darò. Non il portavoce, né tanto meno egli si permetterà poi di ritoccare il testo (pag. 111 del I° anno evangelico) "per renderlo cristallino" come sempre vorrebbe uno di voi. Ognuno al suo posto.


   Cosa è la tentazione? Dice il Catechismo: "È un incitamento al peccato che ci viene dal demonio, o dai cattivi, o dalle nostre passioni". È un incitamento. Dunque se incita al peccato segno è che non è peccato per se stessa. No. Non è peccato. Anzi è mezzo per crescere nella giustizia e aumentare i nostri meriti rimanendo fedeli alla Legge del Signore. Comincia a divenire peccato di imprudenza quando volontariamente l'uomo si mette in condizione di peccare, avvicinandosi a cose o a persone che lo possono indurre al peccare.
   Da chi viene la tentazione? Dal demonio, dai malvagi, dalle passioni. Dunque viene da fattori esterni e da fattori interni. In verità vi dico, però, che i più pericolosi sono i fattori interni, ossia le inclinazioni disordinate e gli istinti o fomiti, rimasti nell'uomo con le altre miserie conseguenti al Peccato di Adamo. Fattori interni che Satana aizza, o tenta di aizzare con ogni mezzo, in questo lavoro molto ben servito dagli uomini che sono intorno a voi e dall'umano io che è un campo di tentazioni sempre rinascenti, avendo tendenza grande all'egoismo della materia e alla sensualità della mente, il primo spingendo la carne a ribellarsi a Dio e allo spirito, la seconda portando la mente alla stolta superbia che si crede lecito tutto, persino di sindacare le opere e le giustizie di Dio.


   In verità vi dico che il maggior aiuto a Satana lo date voi accogliendo e coltivando in voi "la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, la superbia della vita", cose che vengono non dal Padre ma dal mondo. Perché senza il vostro consenso a preparare il terreno propizio alle invasioni dei fattori esterni, essi non potrebbero penetrare in voi turbando il vostro interno, esasperando i fattori interni. I fomiti del peccato, da soli, non potrebbero condurre a dannazione se l'uomo non li coltivasse, come nella maggioranza degli individui avviene. Li coltivasse come fiori di male che soddisfano il disordinato sentimento dell'uomo per il loro vistoso e invitante aspetto, e che poscia si cambiano in frutti di colpa.
   Se sui fomiti si abbattesse, santamente spietata, la buona volontà, essi rimarrebbero sterili, simili a maligne piante disseccate, o quanto meno intristite, tanto da non potere crescere, ma anzi soggette a continuo affievolimento, sino alla loro distruzione totale. Invece l'uomo li lascia esistere in sé, ed essi crescono; crescono rinvigoriti dai bocconi ghiotti che l'uomo incauto si concede, senza sapere che ogni cedevolezza all'illecito, anche se piccola e in apparenza trascurabile e innocua, è preparazione a cedevolezze più grandi. Perché l'appetito alle concupiscenze aumenta più si assaggia il piccante loro sapore. E l'appetito soddisfatto nella sua sempre rinascente e crescente violenza, aumenta di conseguenza la forza degli istinti disordinati, e questi crescono sino ad empire di loro tutto l'uomo e ad abbattere le barriere della coscienza.


   Oh! Avviene come di una pianta messa a dimora in uno spazio angusto. Sinché essa non ha fatto tutto il suo sviluppo, sta contenuta nel recinto dove l'hanno posta, ma quando è totalmente cresciuta e le sue radici sono vaste quanto le sue fronde, allora non possono più stare compresse nel luogo troppo ristretto e si insinuano sotto le fondamenta dei muri di confine per cercare spazio così come in alto lo hanno cercato i rami, e crescendo sollevano i muri, li scompaginano, li fanno franare aprendo varchi dai quali possono entrare ladri o fanciulli a manomettere la pianta per spogliarla di frutti e rami, e malmenandola talora sino a produrne la morte. Nel caso dell'anima, la pianta della disordinata inclinazione alle concupiscenze, in contrasto con l'inclinazione dello spirito al suo fine: Dio, apre il varco a Satana e al mondo, che si alleano seduttori contro l'io incauto, portando la morte o la manomissione, la mutilazione della bella integrità dello spirito.


   In verità ve lo dico. Non è l'essere tentati che deve fare paura. Né la forza della tentazione e il ripetersi dei suoi violenti attacchi deve indurre l'anima ad avvilirsi nel pensiero che questo avviene perché essa è fuori della grazia del Signore e destinata alla morte eterna. Rallegratevi anzi, o voi che siete così fortemente vessati da Satana. Segno è che siete nemici di Satana e che Satana vi sente già come preda che gli è sfuggita per sempre. L'ira satanica si avventa sempre contro le prede sfuggite alla sua fame e contro le conquiste di Dio.
   È logico che così sia. Anche nelle battaglie fra due eserciti nemici, dove è che il nemico reitera i suoi assalti più forti? Forse contro le posizioni più deboli e meno importanti? No. Su quelle capitali e fortissime. Le altre sono facili conquiste che esso si serba per ultime, quando le milizie sono già stanche, tanto per dare ad esse l'incentivo di qualche vittoria perché sia sprone alle lotte più dure. Sarebbe ben stolto quel capo d'eserciti che stancasse uomini e mezzi per fare imponenti spiegamenti di forze e sprecasse munizioni contro una città dalle difese già franate per l'incuria dei difensori, o disposta ad arrendersi senza combattimento.


   Satana non è mai un conquistatore stolto. Sa molto bene regolare i suoi assalti. E se dove vede debolezza spirituale e morale, e molto indeboliti i ripari difensivi della coscienza – perché contro di essi hanno fatto da ariete le inclinazioni malvagie dell'uomo – o anche dove vede consentimento pieno ad accettarlo per amico, non fa violenti assalti ma usa soltanto blandizie, là dove vede una resistenza e prevede una disfatta fortemente si avventa con tutti i mezzi, dalle blandizie ai terrori, né si stanca di ripetere a cento, a mille, direttamente o con l'aiuto del mondo e delle circostanze, di tutti perciò i mezzi esterni, di conquistare la preda, o di tormentare – almeno questo vuole l'eterno odiatore dei buoni – o di tormentare i figli di Dio.
   In verità vi dico che quando una creatura ha raggiunto l'eroicità nella virtù o, come dice Paolo4, la creatura "è divenuta forte nel Signore e nella sua virtù potente", allora è che occorre rivestirsi "dell'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo", perché è allora che, come sempre dice l'Apostolo, la creatura "non combatte più colla carne e col sangue, ma contro i principi e le potestà, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro i maligni spiriti dell'aria", ossia contro l'Inferno fortissimo, il quale scatena direttamente le grandi bufere delle potenti tentazioni in un ultimo sforzo per tentare di abbattere lo spirito gigante che gli resiste.


   La tentazione è, allora, un peccato o una gloria? Un bene o un male? Non è peccato. E, pur essendo un elemento del Male, si può tramutare in mezzo di bene e di gloria per la libera volontà con cui l'uomo la respinge. Non è coartato ad alcun uomo, non lo fu neppure al Cristo, il libero arbitrio di poter cedere o non cedere alle tentazioni. Tentazione respinta, merito acquistato. Per questo Dio ha lasciato all'uomo la sua splendida libertà di volere. Perché attraverso ad essa, e con merito proprio, l'uomo pervenisse ad una meritata gloria.
   Ricordatevelo sempre. E ricordatevi anche sempre che la vita dell'uomo è espiazione del male che l'uomo commette; è, nel migliore dei casi, ossia in quello di uno che non faccia neppur una colpa avvertita, è sempre espiazione o, se più vi piace, sofferenza conseguente alla Colpa d'origine, e che perciò — per quanto il mio Sacrificio e la reintegrazione nella Grazia che per esso Sacrificio vi ho ottenuto abbiano, in misura sovrabbondante, ridotta — e che perciò ogni uomo è tenuto ad una sofferenza per giungere nuovamente a quel grado di giustizia che i Progenitori ebbero, gratuitamente dato, in un colla vita. Oh! santa, immacolata innocenza delle Creature prime, che le attuali devono ricostruire con il loro dolore, oltre che con i gratuiti doni che Io vi ho ottenuti col mio Sacrificio!


 Perciò, quando vedete il Santo dei santi, oppure un santo, fortemente tentato, non dite: "Questo è sconveniente". Ma osservate come reagisce il tentato. E se vedete che esso resta indifferente alla tentazione — cosa che testifica che egli è giunto alla perfezione che Io vi ho consigliata5: "simile a quella del Padre mio", perfezione che nessun agente può turbare — se vedete che egli resta indifferente alla tentazione, avendo vinto in se stesso la battaglia contro tutte le reazioni della carne e del sangue, o se vedete un giusto che contemporaneamente sa lottare contro il disordine che, stuzzicato dall'esterno, vorrebbe rialzarsi, e contro la Bestia che stuzzica e getta richiami al disordine, non dite che "ciò è sconveniente", ma dite che ciò serve a far brillare o ad illuminare il grado di perfezione raggiunta dal tentato.


   Chi può patire tentazione? Dio? Gli angeli? Gli uomini? Dio, essendo Dio, non può patire alcuna tentazione. Gli angeli, rimasti fedeli anche durante la ribellione di Lucifero e dei suoi seguaci, non possono patire tentazione essendo stati dopo la prova elevati all'ordine soprannaturale, alla contemplazione e lode di Dio. Dunque è solamente l'uomo colui che può essere tentato, l'uomo composto di sostanza materiale e di sostanza spirituale, dotato di libertà di ragione, di intelligenza e coscienza, per poter discernere il bene e il male e volere il bene o il male. È soltanto l'uomo, ancora combattente la sua battaglia, colui che può essere soggetto alla tentazione, per triste eredità che gli è venuta dal peccato del capostipite dell'Umanità.
   Dal giorno della caduta di Adamo dallo stato di innocenza a quello di colpa, dal giorno che la donna volle conoscere da vicino la pianta proibita e il Serpente poté parlare ad Eva che lo ascoltò attenta in luogo di sfuggirlo e accolse le sue parole di menzogna e i suoi suggerimenti di rovina, l'uomo si trova perennemente vicino alla pianta del Bene e del Male intorno alla quale è avvolto Lucifero, e patisce tentazione. Ma è attraverso alla sua vittoria contro le insinuazioni alla colpa che acquista giustizia e conquista la sua corona immortale, oppure, se ripete il gesto di Eva e coglie il frutto proibito ubbidendo al Suggestionatore, si avvelena talora sino a morirne. È proprio per la vittoria sulle tentazioni esterne e per il dominio sui sensi e sull'orgoglio, e perciò sugli stimoli interni, che voi uomini vi fate "dèi e figli dell'Altissimo"6, simili al Fratello vostro santissimo Gesù, che ha patito tentazioni ma non ha mai peccato perché non volle peccare.Tentati si può esserlo senza il nostro consenso ad esserlo. Peccatori si diviene unicamente col nostro consen­so.


   Io, Gesù, non ho mai consentito al peccato. Anzi, avendo combattuto ogni reazione umana non accettevole a Dio, per spirito di volontaria e amorosa giustizia, e avendolo fatto sin dai più teneri anni "stando soggetto7 al padre (putativo) e alla madre, due giusti che mi insegnarono giustizia, e crescendo in sapienza, età e grazia", ho eliminato in Me, e per sempre, ogni possibilità di improvviso disordine o di turbamento interno per pressioni e circostanze che con l'età maggiore mi sorsero intorno, intensificandosi sino alla morte.
   Non fraintendetemi! Dico pressioni e circostanze, non dico lussurie. Pressioni e circostanze di parenti incomprensivi, di cittadini ancor più ottusi dei parenti, di connazionali astiosi, di nemici insidiosi, di amici traditori. Non c'è soltanto il senso che serva a far peccato. Tante sono le cause per le quali l'uomo può peccare. E che dite voi? Dite, ad esempio, che la condotta di Giuda non sarebbe stata causa in qualunque altro di peccato contro l'amore? Dite, ad esempio, che non fosse perpetua tentazione a reagire umanamente il malanimo degli scribi e farisei e di tutti i miei avversari, così sottili nell'avversarmi e anche così bassi nei mezzi e nelle accuse che usavano per avversarmi?
   Non ho peccato. Io ho detto8: "E chi di voi mi può convincere di peccato?". L'ho detto ai miei nemici di allora. Lo posso dire ai miei nemici di ora, e anche agli increduli e ai dubbiosi della mia santità. Ma anche se Io non lo dico a voi, che voglio riguardare come amici anche se mi date dolore attraverso al dolore che date al mio piccolo Giovanni, le mie opere ve lo dicono.


   Vi è forse parola o atto scritto, nell'Opera che ho dettata e illustrata, che possa convincervi di peccato, di un solo peccato del vostro Maestro? Quell'opera sono Io. Non solo sono Io che la detto e la illustro, ma sono Io che la vivo, Io che mi vi presento quale ero ai miei giorni mortali, nell'ambiente che mi circondava, nel piccolo mondo santo della mia famiglia, in quello più vasto e diverso, a seconda degli esseri che lo componevano, dei miei discepoli, in quello più vasto – tutta la Palestina – e mutevole, agitato e corso da diverse correnti, simile ad un mare muoventesi intorno a Me, sotto un variabile cielo di marzo, talora tutto placido e sereno, subito dopo coperto di nembi e corso da venti di tempesta che sollevavano il mare in marosi rombanti il loro livore contro Me, minacciosi e anche assalitori, sino alla violenza finale del Venerdì pasquale.
   Perché non mi volete riconoscere? Perché non capite9 il mio linguaggio? Perché volete essere simili a quelli che mi osteggiavano nel Tempio dicendo: "Noi non sappiamo chi Tu sia"? Siete anche voi come gli apostoli che nell'ultima Cena mostravano di non conoscermi ancora per ciò che Io ero: il Verbo Figliolo del Padre, che al Padre tornava dopo essere stato a lungo fra gli uomini per dare ad essi le parole che il Padre gli dava? Ma essi, i miei poveri Apostoli, non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo, Colui che illumina ogni vero. Voi invece l'avete ricevuto. Neppur la sua Luce vi illumina il Cristo che è in queste pagine? L'eterno sapientissimo Verbo che compie una nuova opera di amore e salvezza perché ha pietà dei troppi che muoiono di inedia spirituale, che si perdono perché non mi conoscono, che assiderano perché non sono soccorsi coi fuochi dell'apostolico amore, che vanno fuori via perché sono dei ciechi e non c'è chi porga loro la mano per condurli a Me che essi cercano smarrendosi su altre strade che voi condannate ma dalle quali non li traete, poveri figli che voi condannate perché percorrono da ciechi quelle strade cercando la Luce, e che Io non condannerò perché vedo i moti del loro cuore, e li trarrò a Me perché sono il Salvatore degli Ebrei e dei Gentili, di tutti quelli che cercano la Verità.


   Vi torno a chiedere: perché mi fate dettare queste parole? Sono queste quelle che vorrei dirvi? Non mi date dolore. Il dolore che mi procurano coloro che Io voglio considerare miei amici è il dolore che più mi è dolore…
   Io, Gesù, non ho mai consentito al peccato, non ho mai sentito turbamento per il peccato. L'unico, ricordatevelo, l'unico turba­mento che poteva causarmi il fetore del male, agitantesi intorno a Me, era lo schifo, il ribrezzo per la colpa. Preferivo avvicinare un lebbroso morente di malattia ad un sano crostoso di vizio e fetente di lussuria, specie se era impenitente. Il mio infinito amore per i peccatori, che erano da salvare, mi ha sempre fatto superare la nau­sea del loro spirituale fetore. Mio Padre, soltanto mio Padre sa qua­le lunga passione è stata per Me quella di dover vivere avvolto dal turbine delle tentazioni e dall'onda fangosa dei peccati che scorro­no la Terra e piegano e travolgono gli uomini. Dover vivere e vedere il naufragio di tanti, senza poter imprigionare la Bestia perché non era ancora il tempo di farlo. Non lo è ancora. Ed essa scorre fuman­do i suoi aliti infernali, seminando i suoi veleni, e la segue l'ondata colossale dei peccati, sempre crescente e sempre crescenti. Anche ora ne ho nausea e dolore.


   Chi ero Io? Ero il Verbo incarnato. Dunque ero Dio. E dunque ero Uomo. Ero veramente Dio ed ero veramente Uomo. Ero il Redentore, il novello Adamo, "il Primogenito di fra i morti" come dice il mio Giovanni, che nel suo Apocalisse10 scrive anche: "Gesù Cristo che ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati nel suo Sangue", e nella sua Epistola: "Tre sono che rendono testimonianza in Cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, e questi Tre sono Uno solo; e son tre che rendono testimonianza in Terra: lo spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono una sola cosa".
   Tre del Cielo che testimoniano della divina Natura di Gesù che è Cristo dalla nascita sino alla morte ed oltre la Morte e Risurrezione nei secoli dei secoli, e senza interruzione alcuna, come certi eretici hanno voluto sostenere.


   Il Padre che tre volte11, durante la mia vita pubblica, mi indica come suo Figliuolo diletto e suo compiacimento e gloria. E se sul Tabor la voce dell'Eterno Padre fu udita da tre sole persone che per la loro condizione di discepoli possono venir tacciati, dai negatori, come degli esaltati o menzogneri, al Giordano e specialmente a Gerusalemme, sopraffollata per l'imminenza della Pasqua d'Azzimi, molte persone – tante da poter già essere chiamate turbe, e nelle quali erano mescolati israeliti con gentili, giudei con proseliti, discepoli con nemici del Cristo – udirono la testimonianza del Padre mio. Tre volte, in tre tempi e in tre luoghi e circostanze diverse, il Padre mi rese testimonianza senza mai smentirsi.

   Ora, soltanto le versioni vere restano immutabili, mentre le non vere, col passar del tempo, subiscono alterazioni che scoprono la loro fonte menzognera. Se dunque per tre volte, in tre tempi, luoghi e circostanze diverse, una Voce, sempre uguale di potenza, e ben diversa dalla mia e da quella di ogni altro uomo, tuonò dai Cieli per dare la stessa testimonianza su Me, segno è che realmente Io ero Dio simile al Padre, essendo che Dio Padre solamente di un Figliolo, Dio come Lui, può dire di gloriarsi avendolo generato, e compiacersene vedendolo perfetto come Egli Padre è per Natura divina, e perfetto per volontà e grazia nell'assunta Natura umana.


   Il Verbo con la Dottrina sapientissima e le sue opere, di tal natura e potenza che da loro sole testimoniano che è Colui che l'insegna e che le compie: un Dio.


   Lo Spirito Santo, manifestatosi in forma di Colomba al Giordano e come Fuoco nel Cenacolo alla Pentecoste per ultimare l'opera del Cristo, purificando e perfezionando gli Apostoli per il loro ministero, così come Io avevo loro promesso, ed essendo, per coloro che sanno vedere, presente e tralucente in ogni parola di infinita, caritativa sapienza che sgorgava dalle labbra del Maestro Gesù Cristo. Lo Spirito Santo non soccorre mai i mentitori. Li abbandona al Padre della Menzogna e fugge lontano da essi. Egli invece è sempre stato con Me perché Io sono Gesù Cristo Dio e Uomo, così come dicevo di essere.
  

    E tre sono le cose che rendono testimonianza in Terra della mia vera Umanità: lo spirito che Io ho reso come tutti gli uomini dopo una penosa agonia, il Sangue mio sparso nella Passione, e l'acqua che uscì dal mio costato esanime insieme alle ultime stille di sangue cadaverico raccolto nel cavo del Cuore spento. Ora voi sapete che soltanto un vero corpo dà sangue se viene ferito, e che soltanto un vero cadavere presenta separazione della parte acquosa del sangue – voi dite: siero – dall'altra che si coagula in grumi o almeno che è già più spessa e scura di quanto non sia il sangue vivo, se ancor troppo poco è il tempo intercorso dalla morte alla fuoriuscita del sangue. Ma Io, e la mia Sindone lo testimonia, ho emesso sangue già grumoso perché ero morto già da qualche tempo quando fui colpito al costato e gelavo e irrigidivo già, rapidamente, per le condizioni particolari che mi avevano dato rapida morte.
   Dunque, per testimonianza12 dell'apostolo Giovanni, testimone della mia morte, Io sono vero Uomo.


   Paolo di Tarso scrive13, a coloro che avrebbero potuto smentirlo se egli avesse esagerato o mentito nel descrivermi: "Quel Gesù, fatto di poco inferiore agli angeli, a motivo della morte patita, è coronato di gloria e di onore avendo per grazia di Dio gustato la morte per tutti. E certo ben si conveniva a Colui per il quale e dal quale sono tutte le cose… di rendere perfetto per via di sofferenza l'autore della loro salvezza… Anche Lui ha avuto in comune con gli uomini la carne e il sangue per distruggere morendo colui che aveva l'impero della morte… Infatti Egli non assunse gli angeli, ma il seme di Adamo assunse. Dovette dunque essere in tutto simile ai fratelli per diventare pontefice misericordioso e fedele davanti a Dio e per espiare i peccati del popolo, perché avendo sofferto ed essendo stato provato Egli stesso, potesse aiutare quelli che sono nella prova… Noi non abbiamo un pontefice che non possa aver compassione delle nostre infermità, essendo Egli stato tentato in tutto come noi, ma senza peccato… Ogni pontefice… è costituito… perché offra doni e sacrifici per i peccati e possa aver compassione degli ignoranti e dei traviati essendo egli stesso circondato di infermità… Certo era conveniente che noi avessimo tal pontefice, santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori, sublimato sopra i Cieli".


   Dunque anche Saulo, dotto e contemporaneo degli Ebrei del mio tempo, divenuto Paolo, pieno di sapienza e verità, con la realtà della mia figura storica e con le luci dello Spirito Santo, testimonia che Io sono vero Dio e vero Uomo, uguale al Padre per Natura divina e increata, uguale alla Madre per Natura umana e creata, Cristo senza interruzione e in eterno Riparatore, Salvatore e Redentore perfetto.


   E se dunque ero Uomo, perché non avrei dovuto patire tentazione come ogni altro uomo patisce? Se il Padre mio volle farmi "in tutto simile" a voi, perché avrebbe dovuto concedermi l'ingiusto privilegio, e perché avrei dovuto pretendere l'ingiusto privilegio di non conoscere la sofferenza e la fatica delle tentazioni, che tutti gli uomini patiscono e alle quali reagiscono in diversa maniera a seconda della prevalenza in loro o dell'assenza in loro della buona volontà di santificarsi, ossia della loro spiritualità o della loro carnalità? Ma è proprio perché mi sono perfezionato per via di sofferenza continua, che sono stato Ostia perfetta! Se il Padre avesse voluto che il Demonio non si accostasse all'Uomo che era il suo Verbo incarnato, non avrebbe potuto forse impedirglielo? Non lo ha forse fatto di tenermi celato, con un complesso di provvidenziali circostanze e per trent'anni, alle ricerche di Satana? E non poteva, se lo avesse voluto, mettere limiti fissi alle tentazioni che mi venivano fatte, se avesse voluto permetterne alcune, ma non tutte, non quella, come sconveniente al Cristo? E non avrebbe potuto farmi superiore agli uomini e agli angeli? Perché allora mi ha fatto di poco inferiore agli angeli e simile agli uomini? E non vi è contraddizione in questa parola dell'Apostolo che dice che Io sono Uomo in tutto simile agli altri uomini e che però anche dice che Io sono di poco inferiore agli angeli? Allora non sono simile a voi? Allora non sono simile a Dio, perché Dio è da più degli angeli? Ha dunque detto bestemmie, stoltezze o menzogne l'Apostolo? E se non le ha dette, in che è questa differenza, questa uguaglianza e questa inferiorità dell'essere diverso dagli angeli, a loro inferiore, e uguale agli uomini e nello stesso tempo disuguale poiché sono di poco inferiore agli angeli? Ma non è bestemmiare dire che il Verbo incarnato è inferiore agli angeli? In che consiste questa differenza, che è in Me, dagli angeli e dagli uomini?


   Non vi siete mai posto queste domande, con sincera volontà di rispondere e facendo lavorare l'intelletto sotto la luce di Dio? Perché, figli miei, voi, tutti, avete il dovere di porvi sotto la luce divina e sforzarvi di capire, sforzarvi da voi a capire; non accomodarvi pigramente alle spiegazioni date da altri, per non faticare voi a capire. Leggeste tutti i libri che parlano di Me e del Signore altissimo, non vi gioverebbero, se li leggeste macchinalmente, quanto una sola cognizione raggiunta con sforzo vostro di capire, con umiltà amorosa che ricorre allo Spirito Santo per poter capire, con giustizia eroica per avere amico lo Spirito Santo ed essere condotti da Lui a comprendere il linguaggio divino. Perché solo "coloro che sono condotti dallo Spirito Santo sono figli di Dio". È ancora Paolo che lo dice14. Ed è naturale che i figli comprendano il linguaggio paterno.


   Ma Io ve la dirò la differenza, e come può essere che Io sia simile a voi e nello stesso tempo di poco inferiore agli angeli.
   Sono simile a voi, sono l'Uomo, perciò sono senza dubbio inferiore agli angeli, perché l'uomo non è la creatura spirituale, la più nobile del creato, come lo sono gli angeli, puramente spirituali, fortemente intelligenti, e prontamente intelligenti perché non appesantiti da carne e da sensi e confermati in grazia, sempre adoranti il Signore, del quale comprendono il pensiero e lo attuano senza ostacolo. Ma può l'uomo elevare se stesso ad un grado soprannaturale? Lo può, vivendo volontariamente nella purezza, ubbidienza, umiltà, carità, proprio come fanno gli angeli. E questo Io l'ho fatto. Quel Gesù, fatto di poco inferiore agli angeli, fu Uomo per paterno desiderio divino, perché potesse essere il Redentore. Di poco, poi, si fece inferiore agli angeli per sua propria volontà e per darvi l'esempio che l'uomo può, se vuole, elevare se stesso alla perfezione angelica e conducendo vita angelica.
   Oh! vita umana così fusa al soprannaturale da annullare la mate­ria nelle sue voci e debolezze per assumere le voci e le perfezioni an­geliche! Vita dimentica della concupiscenza, vivente d'amore e nell'amore! L'uomo che diventa angelo, ossia la creatura composta di due sostanze che purifica la parte più bassa con i fuochi della Ca­rità, e nella Carità sono tutte le virtù come tanti semi chiusi in un unico frutto, tanto da potersi dire che se ne spoglia, anzi, meglio, che la spoglia di tutto ciò che è materialità sino a rendere anche la materia degna di penetrare un giorno nel Regno dello Spirito. Posa nel sepolcro la veste purificata in attesa del comando finale. Ma al­lora sorgerà glorificata sino ad essere ammirazione anche degli an­geli, perché la bellezza dei corpi risorti e glorificati sarà di reveren­te stupore anche agli angeli di Dio, che ammireranno questi loro fratelli di creazione dicendo: "Noi sapemmo rimanere nella grazia per una sostanza soltanto; essi, gli uomini, sono vincitori della pro­va e con lo spirito e con la carne. Gloria a Dio per la duplice vittoria degli eletti".


   Il Cristo, simile in tutto agli uomini, volle raggiungere la bellezza della perfezione angelica con una vita senza ombra, non di peccato ma neppur di attrazione al peccato, e, rimanendo Uomo per patire la morte con la carne e col sangue onde espiare le colpe della carne, del sangue, e della mente e delle superbie della vita, con tutto, tutto, tutto il dolore per riparare a tutta, tutta, tutta la Colpa, si fece di poco inferiore agli angeli, nobilitando la natura umana a perfezione angelica.


   Dunque, Dio sono. E Uomo sono. E come l'angelo è l'anello intermedio fra l'uomo e Dio, Io, che dovevo risaldare la catena interrotta, riunire voi a Dio, ho della mia perfetta Umanità fatto congiunzione fra la Terra (gli uomini) e il Cielo (gli angeli) riportando l'Umanità ad una perfezione uguale, anzi maggiore, più grande di quella che Adamo ed Eva ebbero all'inizio dei giorni, quando l'Uomo era innocente e felice per dono gratuito di Dio, senza sapere e subire la dura lotta contro il Male e i fomiti del peccato. Non si è dunque avvilita la Divinità nell'assumere il seme di Adamo, ma si è divinizzata l'Umanità, riportata per libera volontà dell'Uomo alla perfezione che fa simili al Padre mio il quale non conosce ingiustizia.


   Non mentisce, non bestemmia e non si contraddice l'Apostolo dicendo, per parola ispirata, che Gesù, l'Uomo, si è fatto di poco inferiore agli angeli in spiritualità eroica. Non ha mancato Dio Padre, e non Dio Figlio, e non Dio Spirito Santo nel dare l'unica veste che gli convenisse al Redentore perché fosse tale e vi redimesse, oltre che con la grande azione del suo Sacrificio, con la continua lezione del suo crescere in grazia sino a raggiungere la perfezione spirituale, e ciò per redimervi dalla vostra ignoranza, da quell'ignoranza conseguente al peccato, avvilente le forze dell'uomo, che suggestiona lo stesso con l'insinuazione che egli, perché fatto più di materia che di spirito, non può tentare la sua evoluzione nello spirito.
   No. La materia vi sembra tanta e prepotente perché la vedete e la sentite urlare le sue voci bestiali. Vi sembra tanta perché la temete e perché non volete farla soffrire per paura di soffrire. Vi sembra tanta perché Satana ve ne altera i contorni. Vi sembra tanta perché non sapete. Siete ignoranti, ancora, di ciò che veramente è quella magnifica cosa che è l'anima, di ciò che è quella potentissima cosa che è l'anima unita a Dio.


   Lasciate le paure. Lasciate le ignoranze. Guardatemi. Io, l'Uomo, ho raggiunto la Perfezione della giustizia essendo uomo come voi perché lo volli. Imitatemi. Non temete. Tenete l'anima unita a Dio e avanzate. E salite. Salite nelle plaghe luminose del soprannaturale. Trascinate col vostro volere ardente la carne là dove sale il vostro spirito. Fatevi angeli. Fatevi serafini. Il demonio non potrà più ferirvi nel profondo. I suoi strali cadranno ai vostri piedi dopo aver percosso la vostra corazza e non sarete turbati come Io non lo fui.
   Dunque è stato giusto che il Padre mio non mi concedesse natura diversa dall'uomo, pur potendolo fare. Giusto. Nessuno potrà così dirmi – quando propongo il mio codice e vi dico: "Seguitelo se volete essere dove Io sono" – "Tu vi puoi essere perché diverso da me, nel quale pugna ferocemente la carne. Tu vittorioso su Satana perché in Te non è la carne alleata di Satana". Non può alcuno rimproverarmi di facile vittoria né sconfortarsi per diversità di creazione. In Me e in voi le stesse cose: la carne, l'intelletto e lo spirito per poter vivere, comprendere e vincere. Seme di Adamo Io. Seme di Adamo voi.


   Oh! vi sento mormorare: "Tu eri senza la Colpa. Noi…". Anche Adamo era senza la Colpa, eppure peccò perché volle peccare. Io non volli peccare. E non peccai. Io, l'Uomo, non peccai. Il Padre mio mi ha fatto dello stesso seme vostro per dimostrarvi che esser uo­mini non vuol dire essere peccatori. Come voi Io nella natura uma­na. Sappiate essere voi come Io nella vittoria. Il Padre mi ha fatto Uomo, avente in comune con voi carne e sangue coi quali vincere, morendo, Satana, esigendo che l'autore della salvezza vostra dive­nisse perfetto come Uomo per volontà propria e per via di sofferen­za, e conseguisse la gloria a motivo della morte patita.


   Oh! non è morte anche il saper morire a tutto ciò che è seduzione? Non è morte continua a tutto ciò che è concupiscenza per vivere in eterno in Cielo? Io ho cominciato a consumare il mio Sacrificio per vincere Satana, il mondo, la carne, trionfatori da troppo tempo, dal primo atto di volontà contro le voci della carne e del mondo e del suo re tenebroso. Sono morto a Me stesso per vivere. Sono morto a Me stesso per farvi vivere col mio esempio. Sono morto sulla Croce per darvi la Vita.


    Destinato a divenire Pontefice vostro misericordioso, dovevo ben conoscere le lotte dell'uomo per conoscenza d'uomo, e rimanere fedele davanti a Dio per insegnarvi a rimanere tali. Pontefice misericordioso perché, avendo sofferto ed essendo stato provato, non avessi il superbo ribrezzo e il glaciale isolamento di quelli che dicono, guardando i loro fratelli peccatori o deboli: "Io sono superiore ad essi e me ne scosto non volendo contaminare la mia perfezione" e non sanno di essere dell'eterna razza dei farisei. Pontefice esperto e misericordioso perché fossi compassionevole e pronto a tendere la mano, Io, il Vincitore del Male, ai deboli che non sanno sempre calpestarlo come Io feci.


   Ditemi voi, ai quali è scandalo il leggere che Io patii quella tentazione, forse che Io ho leso la mia Perfezione divina e umana perché sono stato avvicinato dal Tentatore? Che si è alterato in Me? Che si è corrotto? Nulla. Neanche il più fuggevole pensiero.
   Quella tentazione non è forse la più comune e la più secondata dagli uomini? Non è forse la più usata da Satana appunto perché la sa la più facile ad ottenere assenso? Non è per quella porta, per l'impurità, per la lussuria, che Satana entra molte volte nei cuori? Non è forse questa la sua via preferita e la sua arma preferita per ottenere di entrare e di corrompere?
   Quale altra via prese all'inizio dei giorni dell'uomo per tarare la pianta senza tare dell'Umanità? Come riuscì a corrompere l'innocenza dei due Progenitori? Se l'atto di Eva si fosse limitato all'imprudenza di accostarsi alla pianta proibita e anche di ascoltare il Serpente, ma senza ubbidire né cedere alle sue insinuazioni, sarebbe sorto il Peccato? Sarebbe venuta la Condanna? No. Anzi i Progenitori, respingendo gli allettamenti satanici, avrebbero imitato gli angeli buoni invano tentati da Lucifero alla ribellione e avrebbero avuto un aumento di grazia.
   Ripeto: essere tentato non è colpa. Colpa è aderire alla tentazione. E Eva, e Adamo, non sarebbero stati puniti per l'imprudenza già espiata dalla resistenza alla tentazione. Dio è Padre amoroso e paziente. Ma Eva, ma Adamo, non respinsero la tentazione. La lussuria della mente, ossia la superbia, del cuore, ossia la disubbidienza, accolte nella loro anima sino allora incorrotta, la corruppero svegliando febbri impure che Satana acutizzò sino al delirio e al delitto. Non dico parole errate. Dico "delitto" ed è giusto. Non hanno forse, peccando, fatto violenza al loro spirito ferendolo, piagandolo duramente? Non è un delitto contro lo spirito quello che fa il peccatore che uccide con la colpa mortale o ferisce, indebolendolo continuamente con le colpe veniali, il proprio spirito?


 Osserviamo insieme il crescente parossismo della colpa e i gradi della caduta, e poi paragoniamolo all'episodio della mia tentazione. Se ci sarà occhio limpido e cuore onesto, non potrà mancare la conclusione che la tentazione, elemento indubbio del Male, non diventa peccato ma merito per coloro che la sanno patire senza cedere ad essa. Patire non vuol dire godere. Si patisce un martirio, non si patisce un godimento. La tentazione è patita dai santi, ma la tentazione è godimento pervertito dei non santi che l'accolgono e la ubbidiscono.
   Dunque15: Eva, dotata di una scienza proporzionata al suo stato — notate bene questo perché è aggravante della colpa, e perciò cosciente del valore della prudenza — va all'albero proibito. Primo lieve errore. Vi va con leggerezza, non per intenzione buona di raccogliersi al centro dell'Eden per isolarsi in orazione. Giunta là, contrae conversazione con l'Ignoto. Non la fa guardinga il fenomeno di un animale parlante mentre tutti gli altri avevano voce ma non avevano parola comprensibile all'uomo. Secondo errore. Terzo: nel suo stupore non invoca Dio perché le spieghi il mistero, non ricorda e non riflette neppure che Dio ha detto ai suoi figli che quello era l'albero del bene e del male, e che perciò era da ritenersi imprudente accogliere ogni cosa che da esso venisse senza averne prima chiesto al Signore la vera natura. Quarto errore: il suo aver fede più forte nel credere all'asserto di un Ignoto che non ai consigli del suo Creatore. Quinto: la cupidigia di conoscere ciò che solo Dio conosceva e di divenire simile a Dio. Sesto: la golosità dei sensi che vogliono gustare guardando, palpando, fiutando, mangiando ciò che l'Ignoto aveva suggerito di cogliere e gustare. Settimo: da tentata divenire tentatrice. Passare dal servizio di Dio a quello di Satana, dimenticando le parole di Dio per ripetere quelle di Satana al suo compagno e persuaderlo al furto del diritto di Dio.
   L'arsione era ormai al grado massimo. La salita dell'arco fatale era giunta al punto più alto. Là si consumò completamente il peccato con l'adesione di Adamo alle lusinghe della compagna, e fu la caduta dei due lungo l'altra parte della curva. Caduta veloce, molto più veloce della salita perché appesantita dalla colpa consumata, e la colpa si aggravò nel suo peso dalle conseguenze della stessa: ossia fuga da Dio, scuse insufficienti e prive di carità e giustizia, e anche di sincerità nel confessare il fallo, spirito di latente ribellione che impedisce di chiedere perdono.
   Non si nascondono per il dolore di essere bruttati dalla colpa e di apparire tali agli occhi di Dio, ma perché sono nudi, ossia per la malizia che ormai è entrata in loro e dà nuovi aspetti a tutte le cose, e rende tanto ignoranti da non saper più riflettere che Dio, che li aveva creati e aveva loro dato tutto il Creato, ben sapeva che essi erano nudi, né si era affaticato a rivestirli, né si era sdegnato di contemplarli tali, perché non c'era bisogno di coprire l'innocenza né c'era sdegno a contemplare un corpo innocente.


   Sentite le risposte dei due colpevoli, indice esatto della tentazione non respinta e delle sue conseguenze di colpa: "Ho sentito la tua voce e avendo paura, perché nudo, mi sono nascosto", "La donna che mi desti a compagna mi ha offerto il frutto e io ne ho mangiato", "Il serpente mi ha sedotta ed io ne ho mangiato". Manca fra tante parole l'unica che doveva esserci: "Perdono perché ho peccato". Manca quindi la carità verso Dio. Manca la carità verso il prossimo. Adamo accusa Eva, Eva accusa il serpente. Manca infine la sincerità della confessione. Eva confessa ciò che è innegabile. Ma crede poter nascondere a Dio i preliminari del peccato, ossia la sua leggerezza, la sua imprudenza, la sua debole volontà, subito ammalatasi dopo aver fatto il primo passo verso la disubbidienza al comando santo di non porsi in tentazione di cogliere il frutto proibito. Quel comando doveva esserle di avviso, a lei, intelligentissima, per farle capire che essi non erano tanto forti da poter impunemente mettersi nelle condizioni di peccare senza giungere a peccare. Vi sarebbero giunti perfezionando con volontà propria la libertà concessa loro da Dio, giungendo ad usarla unicamente per il Bene. Eva mente dunque a Dio tacendo la ragione per la quale mangiò del frutto: per divenire simile a Dio.
   Ecco che la concupiscenza triplice è nell'Uomo. Tutti i segni dell'amicizia col serpente sono palesi nella superbia, ribellione, menzogna, lussuria, egoismo, sostituitisi alle virtù esistenti prima.



   E ora paragoniamo questo incontro di Lucifero con i Progenitori con l'incontro di Lucifero con Me, novello Adamo venuto a restaurare l'ordine violato dal primo Uomo.
   Io pure vado in luogo solitario. Ma perché? Quando? A che fare? Per prepararmi con la penitenza – indispensabile preparazione alle opere di Dio – alla mia missione che stava per avere inizio. Cessata la pace protettiva della casa, della famiglia, della città mia, la quale pace poteva appena essere sfiorata da inevitabili contrasti di pensieri fra Me e i parenti, Io tutto spirito, essi tutta umanità e sognanti per Me umane gioie. Ora veniva l'epoca dell'evangelizzazione, i pericoli dell'esaltazione e dell'odio, i contatti coi peccatori e con tutto ciò che forma ciò che si dice comunemente: mondo.


   Mi preparo con la penitenza e l'orazione. Completo la mia preparazione con la vittoria su Satana. Oh! esso ha ben sentito che il Vincitore era sorto, vedendomi tetragono alla seduzione impura e forte contro la fame, contro la superbia e la cupidigia. Ma Io voglio che voi contempliate Me nella parte che voi giudicate sconveniente, e facciate il paragone del Puro Gesù con la pura Coppia dei Progenitori, nei quali poté agire il veleno del Serpente perché lo vollero accogliere e perché non vollero patire lo sforzo di respingerlo, posto che imprudentemente lo avevano avvicinato.


   Io non ho cercato Satana. Ne sono stato cercato. Trovato che mi ebbe, ne ho patito la vicinanza. Era doverosa esperienza per poter essere il vostro pontefice misericordioso, provato come voi, non sdegnoso di voi, esempio a voi.
   Eccomi, o uomini, ecco il Cristo tentato perché uomo, non vinto perché aveva volontariamente portato la sua umanità ad una perfezione "di poco inferiore a quella angelica". Gli angeli non hanno corpo, perciò non hanno senso, perciò l'impurità non li può ledere né turbare più o diversamente di come mi abbia turbato: con l'orrore per questo peccato da bruto.


   Ecco il Cristo che non fugge vilmente per essere inseguito, né contratta o baratta o discute col Tentatore su così bassa cosa che non merita di esser discussa. L'uomo, la creatura più nobile della Terra, dotata di ragione, di spirito, e conscia del suo fine, non corrompa se stesso con reale o metaforico contatto con la Lussuria. Non contempli. Non discuta. Alzi gli occhi. Miri Dio. Ami, da figlio di Dio, Dio e prossimo. Invochi Dio. Taccia con Satana e con se stesso, nella parte di se stesso che vorrebbe discutere di cose carnali. Silenzio di labbra e silenzio di pensiero su argomenti che esalano fumi omicidi. Non sempre è silenzio là dove sono ferme le labbra. Talora, sotto c'è il cuore, il pensiero, il volere che parlano e delirano impuri anche se le labbra sanno tacere e gli occhi rimanere bassi o stravolgersi in pose ispirate per trarre in inganno gli uomini. Gli uomini che vedono l'esterno dell'uomo. Non Dio che vede l'interno dell'uomo e che ha in obbrobrio ogni forma di menzogna mentale per farsi credere santi, e di lussuria mentale e di menzogna calcolata e calcolante.


   Perché Satana iniziò la sua Tentazione con l'Impurità? Perché questo peccato è il più diffuso. È in ogni luogo e parte del mondo, in tutti i ceti, e purtroppo in tutte le condizioni. Ha molti nomi. Si ammanta talora anche di legittimità, ma sporca i talami legittimi come i letti delle prostitute, e taccio su altre considerazioni. Perché gli servì così bene la prima volta a mettere la malizia nel cuore dell'uomo. Perché pensava che unicamente con quel mezzo avrebbe potuto stroncare per sempre il pensiero redentivo corrompendo l'insostituibile Redentore. Perché, infine, aveva bisogno di sincerarsi se Io ero il Redentore.


   Aveva intuito che Io ero ormai nel mondo. Mi cercava. Era dovunque fosse una santità. Ma in tutte vedeva delle relatività che lo facevano incerto. Non era riuscito per tanti anni a squarciare il velo che avvolgeva il mistero di mia Madre e il mio. La manifestazione del Giordano lo aveva scosso. Ma il terrore di Me lo faceva titubare ancora per darsi pace. Voleva e non voleva sapere chi ero. Sapere per illudersi di vincermi. Non sapere per illudersi di non essere vinto dall'Uomo.
    Mi tentò con quella. Il mio fermo contegno, così diverso da quello di ogni uomo, che o fugge o si spaventa o cede o irride dicendosi forte e poi cade più di colui che fugge, gli dissero chi ero. Persuaso sul mio essere, insiste. Nella sua prima tentazione sono già adombrate le altre tre, e specie l'ultima. I miei occhi lo ghiacciano. Il mio silenzio lo esaspera. La mia tranquillità lo sgomenta. Si sente contro una forza che è vano sperar di piegare. Sente che il Puro non può che aver schifo del frutto disonesto che esso gli porge.


   Allora tenta con una seduzione in apparenza lecita: "Di' alle pietre che divengano pane". Aver fame di pane è dell'uomo, non è più del bruto come lo è la lussuria, la fame di carne. E allora da uomo, figlio di Dio non perché il Verbo ma perché seme di Adamo come voi, allora Io rispondo. Rispondo per onorare tre volte il Signore. E Satana, convinto che era inutile tentare altre prove, non mi offerse più la lussuria. Gli uomini no. Essi sono più stolti di Satana e mi tentarono per poter dire alle folle: "Egli è peccatore". Le pagine dell'Opera vi dimostrano come gli uomini non ebbero mai una fortuna maggiore di Satana. In nulla.
   

   Tentato in tutto e da tutti, sono rimasto senza peccato. Pontefice eterno, mi sono per mia propria volontà serbato innocente, immacolato, segregato dai peccatori, fatto angelo avendo abolito il senso per servire unicamente lo spirito.
 Potete dire ancora che è sconveniente questo episodio? Che è eretico? È forse eretico Paolo che nella sua epistola mi dice16 "tentato in tutto, in tutto provato, essendo uomo fra gli uomini", con carne, sangue, intelletto, volontà, come voi? Eretico Paolo che scrive ai Filippesi: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di C. G. il quale, esistendo nella forma di Dio, non considerò questa uguaglianza come una rapina, ma annichilò Se stesso prendendo la forma di servo, e divenendo simile agli uomini apparve semplice uomo"? Non vi pare che in questo "annichilarsi" del Figlio di Dio sia non soltanto l'obbrobriosa morte di croce ma anche la miseria di essere trattato come uomo da Satana e dal mondo, i quali con inesausto assedio mi assalirono e circondarono di tentazioni dandomi patimento? Non vi pare che in quel non considerare una rapina la mia uguaglianza con Dio, ma volendo essere l'Uomo, l'Uomo riparatore, l'Uomo espiatore, l'Uomo redentore trattato da uomo, mostratosi Dio per la sua eroicità quotidiana, non stia tanta bellezza e giustizia? E che c'è in Me che voi non abbiate? E che ho fatto Io che voi non possiate fare? Parlo della santificazione propria per divenire perfetti come il Padre nostro dei Cieli.


   Rileggete con cuor puro e pensiero senza preconcetti, dopo questa mia lezione, gli episodi che impugnate come sconvenienti, e ditemi se potete ancora dirli tali.


   Voi obbiettate, ostinati, per non dire la parola, seconda in bellezza fra tutte le parole, che è "perdonami" – come la prima è "ti amo" – voi dite: "Ma Tu a Giuda dicesti17 che in Te era il Bene e Male. Ciò non è conveniente! E più oltre dici: 'La tentazione è mordente. L'atto soddisfa e talora nausea, mentre la tentazione non cade ma come albero potato getta più robusta fronda', e ciò fa supporre che Tu ti sia turbato, e sempre più fortemente, per non aver assecondato la tentazione impura".
   Siete forse anche voi come Giuda che non capiva mai, che non sapeva capirmi, che non poteva capirmi perché troppo pieno della sua umanità malata, la quale gettava i suoi riflessi su ogni cosa? Se così siete, vi dico di cambiare il vostro pensiero. E vi dico di ricordarvi a chi parlavo. Ad un uomo che, essendo premeditatamente e tenacemente peccatore e specie lussurioso, non poteva accettare col dovuto rispetto le confidenze di Cristo e crederle verità.
   A Giovanni potevo aprire il mio cuore. Il puro fra i discepoli di Cristo sapeva credere e capire i segreti di Cristo Puro. L'altro… era un incorreggibile immondo ed era un demonio. Ho taciuto con lui come con Satana. Così al padre come al figlio, perché in verità Giuda volle a padre Satana in luogo di Dio. Al discepolo, poi, malato di sensualità, ho parlato come potevo parlare per essere ancora ascoltato, terminando con l'asserzione: "Io non ho mai ceduto" e riserbandomi di dimostrargli che si può vivere da angeli sol che si voglia. La dimostrazione: l'unica cosa che possa fare, se non buoni, silenziosi, non irridenti, i satana.


   Non ho ceduto. Lo dico a voi come l'ho detto a Giuda. Nessuno mi vietava di farlo. Il Padre mi aveva dato il libero arbitrio come ad ogni nato di donna. Avrei potuto perciò accogliere tanto il Male come il Bene e seguire ciò che volevo. Ho voluto seguire il Bene. Non ho voluto seguire il Male. No. Il Figlio dell'Uomo non ha voluto peccare. Satana soffiava a tenere accesi intorno a Me, nel cuore di chi mi circondava con odio o con malsano amore, i suoi fuochi per suscitarmi reazioni umane. Ho patito tentazioni d'ogni specie. La mia volontà ha dominato sempre, la mia purezza ha spento là dove era libidine accesa a tentarmi.
   La purezza, non la mia soltanto, fa quest'azione intorno a sé, e vela, anche, quei particolari che sono crudi e stuzzicanti unicamente a quelli che mentalmente o materialmente si pascono di cose impure. Per gli altri no. Ho detto18: "Tutto è puro ai puri". È parola di divina sapienza. Puro il pensiero, puro il cuore, puro l'occhio, pura la carne nei puri, perché essi sono fissi nella visione di Dio.


 Più l'uomo cresce in perfezione e più è assalito dalle forze esterne del male che sono Satana, il mondo, gli uomini. Ma nell'uomo ripieno di Dio, saturo di purezza, fattosi di poco inferiore agli angeli per volontà di perfezione, gli assalti non sono morte ma vita, non avvilimento ma gloria. Non c'è un santo che non abbia sofferto tentazioni. Non un coronato in Cielo la cui corona non sia contesta delle perle e dei rubini del suo pianto e del suo dolore, talora martirizzante sino al sangue per le vessazioni di Satana e dei suoi alleati.
   I martiri non sono soltanto quelli caduti nelle arene e nei tribunali dei persecutori. "La grande tribolazione" della quale parla Giovanni19 è anche questa, e la stola dei beati si è fatta monda nel sangue dell'Agnello ma anche nel rogo e nella tortura dell'amorosa volontà e dell'odiante tentazione.


   Non ho voluto essere diverso da voi, né che voi non poteste venire dove Io sono. Io come voi. Voi come Me. Tentati e vincitori per essere "dèi" nel regno di Dio. Vero Dio e vero Uomo, ho manifestato la potenza di Dio e la capacità dell'uomo di divenire "dio" secondo la parola20 del salmo e di Paolo.


   Vi ho risposto con le parole dei miei apostoli unite alle mie. Perché voi avete difficoltà ad accettare per sante le parole che il piccolo Giovanni vi trasmette. Queste dei miei apostoli, non potete avere difficoltà ad accettarle, non vi possono mettere dubbi sulla loro autorità soprannaturale. Le leggete all'altare, le commentate sui pulpiti, le insegnate dalle cattedre. Dunque le ritenete parole di verità.
   Ed esse parole suffragano la mia tesi, non la vostra: che essendo l'Uomo, era naturale che Io fossi tentato; che la tentazione non è sconveniente al Cristo; che Cristo non esce da essa avvilito ma ancor più glorificato, perché il pontefice, che doveva aver compassione dei deboli e dei traviati, essendo stato come essi provato ed essendo stato circondato da infermità come essi, ha saputo conservarsi santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori in quanto è imitarli nel male, ma loro misericordioso fratello per dire21 a tutti: "Venite a Me, voi che siete addolorati e stanchi, ed Io vi consolerò".
   E termino con le parole dette tre anni or sono al piccolo Giovanni: "Non pensate più oltre alla più bassa delle azioni di Satana verso il Cristo, quando avete mille azioni elette del Cristo da meditare e imitare nell'Opera".»

 

   [Con date del 24 e 27 febbraio 1947 sono i capitoli 568 e 569 dell'opera L'EVANGELO]