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lunedì 22 agosto 2022

PINOCCHIO e... il suo alto destino

 



Pinocchio riletto dal cardinale Biffi: "L'alto destino di una testa di legno"

Se ne facessi un film lo lancerei così, dice l'arcivescovo di Bologna in questa intervista. Altro che libro ateo! È un capolavoro teologico

di Sandro Magister





Pinocchio è stato il suo primo libro: «Me lo comprò mio padre alla fiera di sant'Ambrogio, a Milano, quando avevo 7 anni». E da allora non se n'è più distaccato. Perché oltre che arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi è anche studioso di prim'ordine del capolavoro di Carlo Collodi. Ne ha data una lettura teologica folgorante in "Contro Maestro Ciliegia", ristampato di recente dagli Oscar Mondadori e tradotto anche in Germania.

Cardinal Biffi, mettiamo che il prossimo film su Pinocchio sia suo. Come lo lancerebbe in locandina?
 
«Ognuno fa il suo mestiere e quello di fare film non è certo il mio. Ma io lo lancerei così: "L'alto destino di una testa di legno"».
 
Alto destino? Il legno è legno.
 
«Questo lo dice Maestro Ciliegia, il maestro dell'antifede. Lui non vuole andare al di là di ciò che vede e tocca. La logica non gli manca, ma è la fantasia che gli fa difetto. Posto Dio, ci si deve aspettare di tutto. La storia vera del mondo è infinitamente più grande di quella a cui si fermano i materialisti di ieri e di oggi».
 
Con Maestro Ciliegia lei ha un conto aperto. Lo si capisce dal titolo del suo libro.
 
«Sì, l'ho proprio voluto così: "Contro Maestro Ciliegia". I titoli buonisti non mi piacciono. Anche i Padri della Chiesa amavano intitolare contro qualcuno o qualcosa. Mi viene in mente l'"Adversus haereses" di Ireneo. Contro le eresie».
 
Qual è dunque l'alto destino della nostra testa di legno?
 
«Quella di Pinocchio è la sintesi dell'avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero. Tra i due estremi c'è la storia del libro. Che è identica, nella struttura, alla storia sacra: c'è una fuga dal padre, c'è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c'è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino, tra il punto di partenza e l'arrivo. Pinocchio è una fiaba. Ma racconta la vera storia dell'uomo, che è la storia cristiana della salvezza».
 
Come fa a esserne così sicuro? Su Pinocchio le hanno dette tutte: ribelle, conformista, borghese, moralista. Hanno scomodato marxismo e psicoanalisi.
 
«La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti ed è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo. Giudicare di questa conformità spetta ai maestri di fede (ed è l'arte mia); certo non ai critici letterari, o agli storici sociali e politici, o agli storici delle idee».
 
Ma Carlo Collodi, l'autore, la pensava anche lui così?
 
«Quando ho scritto il mio libro su Pinocchio, nel 1976, non me ne importava nulla di che cosa l'autore avesse in mente. Quello che mi aveva colpito era l'oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l'ortodossia cattolica. Poi però m'è venuta voglia di capire chi era, Collodi. Aveva studiato in seminario, poi dai padri scolopi. Visse sempre con la madre, religiosissima. Fu attratto dalle idee mazziniane, combatté nel 1848 come volontario a Curtatone e Montanara e poi nel 1859 con i Savoia. Ma ne uscì deluso. "In questo mondo tutto è bugia: dall'Ippogrifo a Mazzini", scrisse già nel 1860 sulla "Nazione". Non rinnegò le idee della gioventù. Ma non si vantò mai delle guerre fatte: cosa rara in un'Italia dove i reduci sono sempre molti di più dei combattenti».
 
Ma Pinocchio non è stato considerato fino a oggi una Bibbia mazziniana?
 
«Questo era quanto sosteneva Giovanni Spadolini. Quando il mio libro uscì in prima edizione, nel 1977, stampato dalla Jaca Book, il mondo laico lo ignorò. Perché avevo attentato al dogma che definiva atei i due classici per l'infanzia usciti dal Risorgimento: Pinocchio e "Cuore" di Edmondo De Amicis. "Cuore" è vero, è un libro irredimibile. Ma Pinocchio è tutto l'opposto. E gli studiosi sono oggi sempre più concordi nell'avvalorare la svolta nella vita di Collodi, la sua perdita di fiducia in Mazzini e nelle ideologie risorgimentali. Fu dopo questa crisi che egli si dedicò a scrivere per i ragazzi. E fu così che riscoprì l'anima profonda dell'Italia».
 
Anima cattolica?
 
«Sì, perché i ragazzi del 1881, l'anno in cui Collodi scrive Pinocchio, non sono né sabaudi né repubblicani, né clericali né anticlericali. Sono i ragazzi del catechismo, delle prediche del parroco, delle preghiere delle mamme, dei dipinti delle chiese. Non conoscono le ideologie, conoscono la verità cattolica. Collodi vuole entrare in comunione di spirito con questi ragazzi».
 
E ci riesce?
 
«Altroché. Pinocchio è la verità cattolica che erompe travestita da fiaba. E così riesce a superare le censure della dittatura culturale dell'epoca».
 
Dal Risorgimento ai giorni nostri. Cos'è cambiato?
 
«In questo niente. La censura sulla cultura cattolica, iniziata con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese, rimane. Meno vistosa, ma più sottile e radicale. Faccio un esempio. Se io dico: la pratica dei comandamenti di Dio è un mezzo sicurissimo, scientificamente provato, per non prendere l'Aids... Se io dico questo, apriti cielo! Eppure è vero, verissimo: se si praticasse la castità giovanile e la castità matrimoniale l'Aids non si prenderebbe. Ma non lo si può dire! E questa è censura ideologica. Quanto ci vorrebbe un Collodi anche oggi!».
 
Eccolo infatti che torna sugli schermi.
 
«E ne sono contento. Il successo di Pinocchio è un enigma straordinario. Nacque per caso, scritto di malavoglia per un giornale di bambini, a puntate irregolari e interrotto due volte, la prima con la convinzione di concluderlo per sempre. E invece è l'unico libro uscito in Italia dopo l'unità che abbia avuto un successo mondiale. La spiegazione è una sola. Contiene un messaggio eterno, che tocca le fibre del cuore di tutti gli uomini di ogni cultura».
 
A parte Pinocchio, che cosa le dicono gli altri personaggi, ad esempio la Fata Turchina?
 
«È la salvezza donata dall'alto: e quindi Cristo, la Chiesa, la Madonna».
 
E Lucignolo?
 
«È la perdizione. Il destino umano non è immancabilmente a lieto fine come nei film americani di una volta. È a doppio esito. L'inferno c'è, anche se oggi lo si predica poco».
 
E il diavolo dov'è?
 
«Il Gatto e la Volpe fanno la loro parte. Ma più di tutti l'Omino. Mellifluo, burroso, insonne. Inventarlo così è stato un lampo di genio».
 
Insomma, Pinocchio è un magnifico catechismo per bambini e per adulti?
 
«Ai bambini facciamo benissimo a darlo in mano. Ma a dire il vero, quando io lo lessi da piccolo per la prima volta, mi urtò. Non sopportavo il Grillo Parlante, i continui richiami al dovere, l'ironia».
 
L'ironia?
 
«Più che l'ironia o il sarcasmo, io amo l'umorismo vero, tipo quello di Alessandro Manzoni che sto rileggendo in questi giorni. L'umorismo non si fa travolgere dalla vicenda e nello stesso tempo vi partecipa. I due elementi legano difficilmente e per questo è una merce rara. Tant'è vero che riesce bene solo a Dio: il lontanissimo e insieme il presentissimo, come diceva sant'Agostino».
 
Ma allora come è arrivato a scoprire il suo vero Pinocchio?
 
«Una prima illuminazione l'ebbi in terza liceo dalla lettura di un saggio di Piero Bargellini: Pinocchio ovvero la parabola del figliol prodigo. Poi vennero gli studi di teologia. La mia tesi di dottorato su "Colpa e libertà nella condizione umana" fu tutta debitrice al libro di Collodi. Solo che dovetti scriverla in linguaggio accademico, col risultato che fu apprezzata da tutti e letta da nessuno. Infine vennero i cupi anni Settanta».
 
Che cosa le ispirarono?
 
«Quegli anni di violenza mi fecero riflettere sui fili invisibili che tengono l'uomo legato e manovrato, come nel teatrino di Mangiafoco. Le rivolte contro un dittatore aprono la strada a un altro. Se Pinocchio non resta prigioniero del teatrino è perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. È questo il segreto della vera libertà, che nessun tiranno può portar via».
 
Collodi promosso a pieni voti in teologia?
 
«Pinocchio certamente. Quanto al suo inventore, non mi passa neanche per la testa di incolonnarlo dietro i santi stendardi: stia dove desidera. Collodi aveva una sua fede, ma fosse stato ateo il gioco mi sarebbe piaciuto anche di più, perché sarebbe apparso più scintillante l'umorismo di Dio».





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24.8.2000


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Le sette verita’ fondamentali di Pinocchio (Giacomo Biffi)

Che cosa in realta’ ha espresso il Collodi nel suo più celebre libro, di la’ dalle sue intenzioni consapevoli e dichiarate?
Non ha espresso nessuna delle ideologie correnti, che erano tutte ignote ai suoi destinatari e che d’altronde non erano più pacificamente accettate nella profondità della sua coscienza. E sarà sempre una prevaricazione dare di Pinocchio delle spiegazioni ideologiche di qualunque tendenza e di qualunque colore, come di fatto sono state date: conservatorismo moralistico, liberalismo illuministico, pauperismo, marxismo, psicanalismo ecc.
Non le ideologie ma la verità, di sua natura universale ed eterna, è contenuta in questo magico racconto e, servita com’era da un’alta fantasia e da una fresca ispirazione poetica, spiega la sua rapida affermazione e il suo duraturo trionfo.
Ma, per non lasciare nel vago le nostre affermazioni, quali sono specificamente le verità che senza possibilità di discussione, traspaiono nella storia del burattino?

Sono sette quelle che reggono e illuminano tutta la vicenda:

1) Il mistero di un creatore che vuole essere padre
Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da uno strano, gratuito, imprevedibile amore.
Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai, costituendo infine l’approdo del tormentato viaggio e la ragione della raggiunta felicità.


2) Il mistero del male interiore
In questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza, come nell’illuminismo socratico; non è risolto tutto nella iniquità o nella insipienza delle strutture, come nell’ideologia liberalborghese in polemica con l’Ancien Régime o nell’ideologia marxista in polemica con la società liberalborghese. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21).
Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle famose parole: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19).


3)l mistero del male esteriore all’uomo
La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Esse non sono viste come forze impersonali, quasi oggettivazioni delle nostre inclinazioni malvagie o dei nostri squilibri, ma come esseri astuti e intelligenti che si accaniscono inspiegabilmente ed efficacemente contro la nostra salvezza.
Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico:
«Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31).


4) Il mistero della mediazione redentiva
L’ideologia illuministica aveva diffuso nel mondo l’orgogliosa affermazione dell’autoredenzione dell’uomo: l’uomo può e deve salvare se stesso, senza alcun aiuto dall’alto.
Tutta la seconda parte del libro (dal c. 16 in avanti, che si potrebbe considerare quasi il Nuovo Testamento di questa specie di Bibbia) è costruita per smentire questa che è l’illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo.
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle.


5) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà
La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà.
Il burattinaio di turno può anche essere soppresso dall’una o dall’altra rivoluzione, ma fino a che la creatura umana resta solitaria marionetta, ogni burattinaio estinto avrà fatalmente un successore.
Pinocchio non può restare prigioniero del teatrino di Mangiafuoco, perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. Il senso del padre è dunque la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo.


6) Il mistero della trasnaturazione
Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia.
Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.


7) Il mistero del duplice destino
La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due:
se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. 

La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.