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martedì 24 settembre 2019

15 anni fa.


CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA
CON BEATIFICAZIONE DI:
PEDRO TARRES Y CLARET,
ALBERTO MARVELLI
PINA SURIANO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Spianata di Montorso
Domenica, 5 settembre 2004
 

1. "Quale uomo può conoscere il volere di Dio?" (Sap 9,13). La domanda, posta dal Libro della Sapienza, ha una risposta: solo il Figlio di Dio, fatto uomo per la nostra salvezza nel grembo verginale di Maria, può rivelarci il disegno di Dio. Solo Gesù Cristo sa qual è la via per "giungere alla sapienza del cuore" (Sal resp.) e ottenere pace e salvezza.
E qual è questa via? Ce l’ha detto Lui nel Vangelo di oggi: è la via della croce. Le sue parole sono chiare: "Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo" (Lc 14, 27).
"Portare la croce dietro a Gesù" significa essere disposti a qualsiasi sacrificio per amore suo. Significa non mettere niente e nessuno prima di lui, neanche le persone più care, neanche la propria vita.

2. Carissimi Fratelli e Sorelle, convenuti in questa "splendida vallata di Montorso", come l’ha qualificata l’Arcivescovo Mons. Comastri, che ringrazio di cuore per le calorose parole rivoltemi. Saluto, con lui, i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi presenti; saluto i sacerdoti, i religiosi, le religiose, le persone consacrate; e soprattutto saluto voi giovani, appartenenti all’Azione Cattolica, che, guidati dall’Assistente generale Mons. Francesco Lambiasi e dalla Presidente nazionale Dottoressa Paola Bignardi, che ringrazio per il caloroso indirizzo, avete voluto raccogliervi qui, sotto lo sguardo della Madonna di Loreto, per rinnovare il vostro impegno di fedele adesione a Cristo Gesù.
Voi lo sapete: aderire a Cristo è una scelta esigente. Non a caso Gesù parla di "croce". Egli tuttavia precisa immediatamente: "dietro di me". È questa la grande parola: non siamo soli a portare la croce. Davanti a noi cammina Lui, aprendoci la strada con la luce del suo esempio e con la forza del suo amore.

3. La croce accettata per amore genera libertà. Lo ha sperimentato l’apostolo Paolo, "vecchio e ora anche prigioniero per Cristo Gesù", come lui stesso si definisce nella lettera a Filemone, ma interiormente pienamente libero. Proprio questa è l’impressione che si coglie dalla pagina ora proclamata: Paolo è in catene, ma il suo cuore è libero, perché abitato dall’amore di Cristo. Per questo, dal buio della prigione in cui soffre per il suo Signore, egli può parlare di libertà ad un amico che sta fuori del carcere. Filemone è un cristiano di Colossi: a lui Paolo si rivolge per chiedergli di liberare Onesimo, ancora schiavo secondo il diritto dell’epoca, ma ormai fratello per il battesimo. Rinunciando all’altro come suo possesso, Filemone avrà in dono un fratello.
La lezione che scaturisce da tutta la vicenda è chiara: non c’è amore più grande di quello della croce; non c’è libertà più vera di quella dell’amore; non c’è fraternità più piena di quella che nasce dalla croce di Gesù.

4. De la cruz de Jesús fueron humildes discípulos y testigos heroicos los tres Beatos, apenas proclamados.

Pedro Tarrés y Claret, primero médico y después sacerdote, se dedicó al apostolado laical entre los jóvenes de Acción Católica de Barcelona, de los cuales, después, fue consiliario. En el ejercicio de la profesión médica se entregó con especial solicitud a los enfermos más pobres, convencido de que "el enfermo es símbolo de Cristo sufriente".
Ordenado sacerdote, se consagró con generosa intrepidez a las tareas del ministerio, permaneciendo fiel al compromiso asumido en vísperas de la Ordenación: "Un solo propósito, Señor: sacerdote santo, cueste lo que cueste". Aceptó con fe y heroica paciencia una grave enfermedad, que lo llevó a la muerte con sólo 45 años. A pesar del sufrimiento repetía frecuentemente: "¡Cuán bueno es el Señor conmigo!. Y yo soy verdaderamente feliz".

Traduzione italiana delle parole pronunciate in lingua spagnola:
4. Della croce di Gesù furono umili discepoli e testimoni eroici i tre Beati appena proclamati.
Pedro Tarrés y Claret, dapprima medico e dopo sacerdote, si dedicò all'apostolato laicale tra i giovani di Azione Cattolica di Barcellona, dei quali divenne successivamente consigliere. Nell'esercizio della professione medica, si dedicò con speciale sollecitudine ai malati più poveri, convinto che "il malato è simbolo di Cristo sofferente".
Ordinato sacerdote si consacrò con coraggio generoso ai compiti del ministero, rimanendo fedele all'impegno assunto la vigilia dell'Ordinazione:  "Un solo proposito, Signore, costi quello che costi". Accettò con fede e con eroica pazienza una grave malattia che lo portò alla morte a soli 45 anni. Nonostante la sofferenza ripeteva con frequenza:  "Quanto è buono il Signore con me! E io sono veramente felice".

5. Alberto Marvelli, giovane forte e libero, generoso figlio della Chiesa di Rimini e dell’Azione Cattolica, ha concepito tutta la sua breve vita di appena 28 anni come un dono d’amore a Gesù per il bene dei fratelli. "Gesù mi ha avvolto con la sua grazia", scriveva nel suo diario; "non vedo più che Lui, non penso che a Lui". Alberto aveva fatto dell’Eucaristia quotidiana il centro della sua vita. Nella preghiera cercava ispirazione anche per l’impegno politico, convinto della necessità di vivere pienamente da figli di Dio nella storia, per fare di questa una storia di salvezza.
Nel difficile periodo della seconda guerra mondiale, che seminava morte e moltiplicava violenze e sofferenze atroci, il beato Alberto alimentava una intensa vita spirituale, da cui scaturiva quell’amore per Gesù che lo portava a dimenticare costantemente se stesso per caricarsi della croce dei poveri.

6. Anche la beata Pina Suriano - nativa di Partinico, nella diocesi di Monreale - ha amato Gesù con un amore ardente e fedele al punto da poter scrivere in tutta sincerità: "Non faccio altro che vivere di Gesù". A Gesù lei parlava con cuore di sposa: "Gesù, fammi sempre più tua. Gesù, voglio vivere e morire con te e per te".
Aderì fin da ragazza alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica, di cui fu poi dirigente parrocchiale, trovando nell’Associazione importanti stimoli di crescita umana e culturale in un clima intenso di amicizia fraterna. Maturò gradualmente una semplice e ferma volontà di consegnare a Dio come offerta d’amore la sua giovane vita, in particolare per la santificazione e perseveranza dei sacerdoti.

7. Cari Fratelli e Sorelle, amici dell’Azione Cattolica, convenuti a Loreto dall’Italia, dalla Spagna e da tante parti del mondo! Oggi il Signore, attraverso l’evento della beatificazione di questi tre Servi di Dio, vi dice: il dono più grande che potete fare alla Chiesa e al mondo è la santità.
Vi stia a cuore ciò che sta a cuore alla Chiesa: che molti uomini e donne del nostro tempo siano conquistati dal fascino di Cristo; che il suo Vangelo torni a brillare come luce di speranza per i poveri, i malati, gli affamati di giustizia; che le comunità cristiane siano sempre più viveaperteattraenti; che le nostre città siano ospitali e vivibili per tutti; che l’umanità possa seguire le vie della pace e della fraternità.

8. A voi laici spetta di testimoniare la fede mediante le virtù che vi sono specifiche: la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell’intraprendere opere utili all’evangelizzazione e alla promozione umana. A voi spetta pure di mostrare - in stretta comunione con i Pastori - che il Vangelo è attuale, e che la fede non sottrae il credente alla storia, ma lo immerge più profondamente in essa.

Coraggio, Azione Cattolica! Il Signore guidi il tuo cammino di rinnovamento!
L’Immacolata Vergine di Loreto ti accompagna con tenera premura; la Chiesa ti guarda con fiducia; il Papa ti saluta, ti sostiene e ti benedice di cuore.
Azione Cattolica Italiana, grazie!

AMDG et DVM

lunedì 23 settembre 2019

Perseverate, dunque, con lieto coraggio nella vostra dedizione.

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DISCORSO DEL 
SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AL PELLEGRINAGGIO
DELL'ASSOCIAZIONE "LA NOSTRA FAMIGLIA"
24 settembre 1979 

Cari fratelli e sorelle. 

Mentre vivamente ringrazio la Responsabile Generale delle Piccole Apostole della Carità e Presidente dell’Associazione “La Nostra Famiglia” per le parole rivoltemi, voglio salutarvi tutti con la più calorosa cordialità e darvi il più sincero benvenuto in questa casa, che più volentieri si apre a coloro i quali, in Cristo, sanno armoniosamente congiungere la sofferenza con la carità. Saluto, perciò, con affetto i Confratelli nell’Episcopato qui presenti, e soprattutto i numerosi e cari bambini, venuti dal Papa, insieme con i loro genitori, e poi le Piccole Apostole, i vari Operatori e Amici dell’Opera fondata da Don Luigi Monza, e i sacerdoti che vi prestano il proprio ministero. Sappiate che la vostra visita mi è veramente gradita. 

Le parole della Presidente hanno tracciato un quadro già da solo eloquente e bastante per conoscere l’ampiezza, l’intensità di dedizione e l’efficacia dei risultati, che “La Nostra Famiglia”, nata dal cuore zelante di un Prete milanese, dimostra con la sua luminosa testimonianza cristiana. Sono veramente contento di conoscere questa singolare Associazione, che vive il comandamento evangelico dell’amore in forme concretissime, e si sforza di esservi quotidianamente fedele, anche avvalendosi dei più moderni metodi di cura e dispiegando una accurata serietà professionale. 

Da parte mia, vorrei ora rivolgermi prima agli ammalati e poi a chi li cura. Ai primi dico innanzitutto di ringraziare il Signore, perché si trovano in buone mani. Ma soprattutto li invito a considerare sempre la loro sofferenza alla luce di Cristo, poiché, se è vero che il dolore umano resta un grande mistero, esso riceve tuttavia un senso, anzi una fecondità dalla Croce di Gesù. 
Cari bambini, e anche voi cari genitori che condividete le loro pene: sappiate che agli occhi del Signore è preziosa in particolar modo proprio la sofferenza del giusto e dell’innocente più di quella del peccatore; questi, infatti, soffre solo per sé, per un’autoespiazione, mentre l’innocente fa del dolore un capitale di redenzione per gli altri. Così è di Cristo, che, secondo la Lettera agli Ebrei, “si è offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti” (Eb 9,28; cf.10,10). Anche per questo noi siamo cristiani; per assimilarci a lui nella gioia e nel dolore. Perciò ripetiamo con San Paolo, sentendone l’intima verità: “Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (2Cor 1,5). 
Anche voi, quindi, potete ripetere con l’Apostolo: “Siamo sconosciuti, eppure notissimi; moribondi, ed ecco viviamo... afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto (2Cor 6,9-10). Questi sono paradossi che si comprendono soltanto con la fede in Colui il quale per primo li ha vissuti fino in fondo; e io vi esorto a rinnovare la vostra ogni giorno, poiché in essa risiede la vostra forza e in definitiva la vostra gioia. 

La mia parola è, poi, per voi, Piccole Apostole, Collaboratori e Amici tutti dell’Opera di Don Luigi Monza. E non può essere che una parola di sincero plauso e di vivo incoraggiamento per ciò che fate. Se l’atteggiamento fondamentale degli ammalati è quello della fede, il vostro dev’essere quello della carità, cioè dell’amore, che è della fede soltanto una manifestazione (cf.Gal 5,6). Una cosa è certa: più il vostro amore è puro e generoso, più rifulge la bellezza del cristianesimo e quasi la seduzione del Vangelo. E di ciò il mondo odierno ha bisogno: di vedere, cioè, il miracolo dei miracoli, cioè il prendersi cura dei bisognosi nel modo più disinteressato, per sconfiggere l’individualismo egoistico; nel modo più totale, per superare le meschine parzialità del calcolo e dell’opportunismo; nel modo più concreto, per non limitarsi alla sterilità delle buone intenzioni e delle belle parole; e anche nel modo più nascosto, e direi quasi pudico, per non svilire la sincerità del proprio dono con l’ostentazione, in cui altri possono essere maestri, ma non certo i discepoli di Gesù. Infatti l’amore cristiano, secondo la celebre pagina paolina, “non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità” (1Cor 13,4-6). 

Perseverate, dunque, con lieto coraggio nella vostra dedizione. E anche se incontrate delle difficoltà frapposte al vostro impegno, non solo non dovete intimorirvi, ma aumentare il vostro zelo, che del resto è interamente rivolto ad un servizio altamente sociale, e quindi anche umanamente apprezzabile. Gli ostacoli non possono raffreddare la carità, ma devono essere come scintille con cui se ne attizza ancora la fiamma, poiché “omnia vincit amor” (Virgilio, Ecloca X, 69). 

Che “il Dio dell’amore e della pace” (2Cor 13,11) benedica largamente la vostra attività, la fecondi con la sua grazia e ne moltiplichi i frutti, a beneficio degli assistiti, a conforto dei loro parenti, e a vostra salvezza, e perché gli uomini “vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 6,16). 

E su tutti voi qui presenti e su quanti voi rappresentate o vi sono cari, scenda pure la mia più cordiale Benedizione Apostolica, in pegno del conforto celeste e della mia sincera benevolenza. 
         


© Copyright - Libreria Editrice Vaticana


AMDG et DVM

giovedì 25 gennaio 2018

Se ogni conversione... è opera della grazia divina, quella di Paolo lo è in sommo grado.

Omelia di Giovanni Paolo II 

in occasione della festa 

della Conversione di san Paolo







CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA FESTIVITÀ

DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO


OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Venerdì, 25 gennaio 1985

“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme” (Sal 133, 1).



1. Con questi sentimenti di ammirazione e di letizia, espressi dal salmista, mi rivolgo a tutti voi, qui riuniti per incontrare il Signore nella sua parola e nel suo corpo. Ci incontriamo con lui, nostro unico Salvatore, nostro unico Maestro, ma ci incontriamo anche fra di noi, in questa celebrazione conclusiva della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
La gioia di questo incontro con il Signore e fra i fratelli è reso più vivo dalla presenza dei pastori e di numerosi fedeli delle altre Chiese e comunità ecclesiali presenti a Roma. A loro tutti il mio speciale saluto e il mio ringraziamento per avere voluto prendere parte a questo intenso momento di unione spirituale.

Uniti quindi spiritualmente con tutte le Chiese locali del mondo, nelle quali in questo Ottavario è stata intensificata la preghiera e la riflessione fraterna tra i fedeli di diverse confessioni, e uniti come membri della diocesi di Roma, concludiamo insieme questo itinerario di diverse iniziative di preghiera e di incontri fraterni qui, nella basilica dell’apostolo Paolo, dopo opportune iniziative alle quali in modo particolare hanno preso parte i giovani, impegnandosi anche in concreti gesti di carità a favore dei fratelli bisognosi, specialmente di quelli privi di un tetto e di una famiglia, che hanno sofferto per il freddo e la neve degli scorsi giorni.

Queste iniziative sono state sostenute dalla quotidiana preghiera, resa più intensa in questa basilica dall’adorazione Eucaristica quotidiana, che ha avuto inizio con questa Settimana di preghiere e che continuerà per il futuro, grazie alla partecipazione di monaci, religiosi, famiglie, gruppi parrocchiali del settore Sud di Roma; iniziative, alle quali esprimo oggi tutto il mio più vivo compiacimento ed incoraggiamento.

2. Per felice consuetudine, la conclusione della Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani viene celebrata in questa basilica nella festa della conversione di San Paolo, evento centrale non solo per l’apostolo, ma per tutta la Chiesa delle origini. Siamo perciò sollecitati a fissare il nostro sguardo sulla figura di Paolo di Tarso, sulla Settimana di preghiera e, infine, sulla relazione dell’uno e dell’altra con l’impegno solenne assunto dalla Chiesa cattolica di lavorare instancabilmente alla ricomposizione dell’unità di tutti i cristiani.
Nella prima lettura (At 22, 3-16) abbiamo ascoltato Paolo narrare, nel tempio di Gerusalemme, ai suoi fratelli ebrei, la vicenda sconvolgente della sua conversione. Come affermano gli altri due racconti dell’evento, contenuti nel libro degli Atti (At 9, 1-8; 26, 2-18) Saulo-Paolo attribuisce la propria radicale trasformazione alla visione di Gesù Nazareno, che egli si accaniva a perseguitare e che gli si para davanti, sulla strada verso Damasco.
Se ogni conversione, o metànoia, è opera della grazia divina, cioè dell’intervento immediato e radicale di Dio nel cuore dell’uomo, quella di Paolo lo è in sommo grado. Il Signore Gesù si è mostrato a Paolo e ha preso a dialogare con lui, che, già convinto fariseo, impreparato a questa manifestazione e ad essa ostile, non ha potuto opporvi resistenza. Abbiamo ascoltato nella lettura la voce stessa di Paolo, che avvia lo straordinario dialogo: “Che devo fare, o Signore?”. La risposta di Gesù, non ancora esplicita ma già risolutiva, lo incita a dirigere i suoi passi verso la Chiesa di Damasco: “Là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia” (At 22, 10).
Questa esperienza, che trasforma Saulo in Paolo apostolo, ci insegna, ancora una volta, come i grandi eventi, determinanti per la vita della Chiesa, scaturiscano dalla grazia del Signore, il quale interviene nella nostra vita personale, nei nostri cuori, plasma la storia della Chiesa, come e quando egli vuole. Così, contrariamente ad ogni aspettativa e a quelle dello stesso Paolo, la vicenda della sua conversione è celebrata da secoli, nella liturgia della Chiesa, come avvenimento miracoloso.

3. Durante questa Settimana e dappertutto nel mondo, si è pregato per la piena unità e la perfetta comunione di tutti i credenti in Cristo. Si è pregato traendo ispirazione dalle stesse parole dell’apostolo, con il testo scelto dal Segretariato per l’unione dei cristiani e dal Consiglio ecumenico delle Chiese, quale tema della Settimana di quest’anno: “Dalla morte alla vita con Cristo” (cf. Ef 2, 4-10). Dal brano, sopra citato, che ha guidato la nostra riflessione durante la Settimana, sorgono verità fondamentali, come il passaggio dalla morte alla vita, che Dio solo può operare in noi.
Solo la misericordia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo potrà concedere l’ineffabile grazia della piena comunione ai cristiani, che, rinati per il tramite del Battesimo, dalla morte alla vita, professano Cristo figlio di Dio e Salvatore, anche se non vivono ancora in piena comunione di fede e di vita cristiana. Questa comunione perfetta è dono divino: per essa Gesù ha pregato, come abbiamo ascoltato dal Vangelo (Gv 17, 20-26) appena proclamato.

4. Il fatto che l’unità sia esclusivamente dono divino non vanifica il nostro slancio, anzi lo fonda, lo giustifica e gli conferisce vero significato. Le nostre azioni per il ristabilimento dell’unità possono sembrare non adeguate e i nostri sforzi impari per raggiungerla; i mezzi possono apparire inadeguati, e deboli i risultati raggiunti. Così può sembrare lento il ritmo impresso all’opera a favore dell’unità, specie se paragonato al tempo di rapidi cambiamenti in cui siamo chiamati a vivere, in questo scorcio del XX secolo.
Impressione non del tutto falsa. Infatti, le iniziative varie, i dialoghi intrapresi, le relazioni nuovamente instaurate, un certo modo di crescere insieme come Chiesa, e persino la comune testimonianza data al nome dell’unico Cristo per la salvezza dell’umanità, per fronteggiare i problemi e le necessità del mondo di oggi, pur essendo indispensabili e forieri dell’unità futura, e pur derivando da una comunione già esistente, sono di per sé insufficienti a raggiungere tale unità.
Lo stupendo “edificio”, la “casa” evocata dal salmista e nella quale sarà “dolce” e “gioioso” per “i fratelli essere insieme” (Sal 133(132), 1), sarà “edificata” solo dal Signore (Sal 127(126), 1). La liturgia di oggi ci sollecita, pertanto, in modo del tutto speciale, a elevare la nostra umile e fervida supplica per ottenere questa grazia suprema dell’unità per mezzo di Cristo, nostro unico mediatore, che offre il suo unico sacrificio nella celebrazione eucaristica.

5. Se il significato della Settimana di preghiere è esattamente compreso e vissuto, la preghiera quotidiana per l’unità deve occupare il primo posto non solo durante la Settimana ad essa dedicata, ma ogni giorno della nostra vita. Ogni cristiano, convinto che l’impegno per l’unità è primario nel suo cammino verso Cristo, e volendo restare fedele a questo impegno, sa bene che qualsiasi azione intrapresa, individualmente o assieme agli altri, ha di per sé bisogno della preghiera al comune Signore, affinché fecondi ogni parola e ogni gesto, in modo che questi ricevano da lui il loro vero valore e possano farci progredire verso l’unità.
La Settimana di preghiere deve costituire il culmine di una preghiera ininterrotta. Poiché è preghiera comune, fatta dai cristiani ancora divisi, ma già uniti dallo stesso Battesimo e dalla comune fede in Cristo, unico Salvatore, essa è, ogni anno, un passo avanti nel cammino dell’unità, una felice anticipazione di quel traguardo supremo; è, infine, testimonianza della comune convinzione che l’unità è dono gratuito del Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

6. A conclusione di questa Settimana di preghiere, durante la quale abbiamo voluto rivivificare e ritemprare il nostro impegno ecumenico di fronte al Signore, non è inutile ribadire tale principio.
L’unità a cui aspiriamo, per la quale operiamo e soffriamo e soprattutto preghiamo, rivolgendoci con umile supplica alla santissima Trinità, è l’unità perfetta, improntata all’esempio e al modello della suprema unità divina, nella distinzione delle tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. È unità nella fede, unità nei sacramenti, unità di magistero, unità di guida pastorale.

Unità delle menti e dei cuori, ma anche unità visibile. Unità tra i cristiani, ma anche tra le Chiese e comunità ecclesiali. L’unità più radicale e più profonda che ci sia mai concessa nell’opacità e tra le debolezze di questa nostra storia.
Questa unità, che abbiamo connotato, non deve essere confusa con l’uniformità, con l’appiattimento dell’individualità e dell’identità di ciascuna legittima tradizione cristiana. L’unità che ricerchiamo non consiste nell’identificazione di una tradizione con un’altra; nell’accomodamento di una tradizione all’altra. Essa è tensione verso il raggiungimento, per dono di Dio, di quella totale fedeltà a tutto il suo disegno, così come è espresso nei Vangeli, come ci parla attraverso la grande tradizione ecclesiale, come si professa nell’unica fede, nella celebrazione degli stessi sacramenti, nella comunione con tutti i vescovi stabiliti per pascere il popolo di Dio (cf. At 20, 28) e uniti tra loro intorno al successore di Pietro. E tutto ciò nel rispetto dei valori e delle ricchezze di ogni tradizione particolare e di ogni cultura, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II nel decreto sull’ecumenismo, di cui ricordiamo il ventennale della promulgazione.

7. Cari fratelli e care sorelle, ho voluto ricercare con voi, in questa circostanza, il volto dell’unità per cui oggi preghiamo, rievocando l’esperienza e meditando l’esempio dell’apostolo Paolo, del quale celebriamo oggi l’ingresso nella Chiesa.
In questo giorno conclusivo della Settimana di preghiere per l’unità, la celebrazione dell’Eucaristia ci riconduce al cuore stesso del mistero della nostra riconciliazione con il Padre e della riconciliazione degli uni con gli altri.

Sentiamo ancora più dolorosamente gli ostacoli, che non ci permettono di partecipare insieme a questa Eucaristia e rinnoviamo la nostra volontà di fare tutto quanto è in nostro potere perché si avvicini il giorno benedetto in cui tutti i credenti in Cristo potranno trarre nutrimento dalla stessa sorgente d’unità. Facciamo nostra la preghiera di Gesù, che è stata appena proclamata e che egli ci ha lasciato nel Vangelo dell’apostolo Giovanni: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola.
Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-21). Amen.
*
Al termine di questa celebrazione eucaristica nella festività della conversione di San Paolo, che ci vede riuniti presso il trofeo glorioso dell’apostolo, a conclusione dell’Ottavario di preghiere per l’unione dei cristiani, un ricordo si affaccia impellente alla coscienza di tutti noi.

Quest’anno cade il ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, il cui primo annuncio, come ben ricordiamo, fu dato dal mio predecessore Giovanni XXIII di venerata memoria proprio da questa basilica e in questo stesso giorno, il 25 gennaio 1959. Il Vaticano II resta l’avvenimento fondamentale nella vita della Chiesa contemporanea: fondamentale per l’approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo, il quale in essa e per mezzo di essa prolunga e partecipa agli uomini il “mysterium salutis”, l’opera della redenzione; fondamentale per il contatto fecondo col mondo contemporaneo al fine dell’evangelizzazione e del dialogo a tutti i livelli e con tutti gli uomini di retta coscienza. Per me, poi – che ho avuto la grazia speciale di parteciparvi e di collaborare attivamente al suo svolgimento – il Vaticano II è stato sempre, ed è in modo particolare in questi anni del mio pontificato, il costante punto di riferimento di ogni mia azione pastorale, nell’impegno consapevole di tradurre le direttive in applicazione concreta e fedele, a livello di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa.

Occorre incessantemente rifarsi a quella sorgente. E tanto più quando date tanto significative, come quella di quest’anno, si avvicinano e riaccendono ricordi ed emozioni di quell’evento veramente storico. Pertanto oggi, festività della conversione di San Paolo, con intima gioia e commozione indìco un’assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, che si celebrerà dal 25 novembre all’8 dicembre del corrente anno, e alla quale parteciperanno i patriarchi e alcuni arcivescovi delle Chiese orientali e i presidenti di tutte le Conferenze episcopali dei cinque continenti.

Lo scopo dell’iniziativa è non solo quello di commemorare il Concilio Vaticano II a vent’anni di distanza dalla sua chiusura, ma anche e soprattutto: rivivere in qualche modo quell’atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale, che caratterizzò l’assise ecumenica, nella vicendevole partecipazione delle sofferenze e delle gioie, delle lotte e delle speranze, che son proprie del corpo di Cristo nelle varie parti della terra; scambiarsi e approfondire esperienze e notizie circa l’applicazione del Concilio a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari; favorire l’ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce anche delle nuove esigenze.

Attribuisco a questa assemblea straordinaria del Sinodo un’importanza particolare. Per tale motivo ne ho voluto dare oggi pubblica notizia da questa basilica, ove risuonò per la prima volta l’annuncio del Concilio ecumenico del nostro secolo. L’intento che mi muove si colloca nella scia di quello dei miei venerati predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI: contribuire a quel “rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi e di forza morale, di gaudio e di speranza, ch’è stato lo scopo stesso del Concilio” (Insegnamenti di Paolo VI, III [1965] 746).

Affido fin d’ora la realizzazione del Sinodo straordinario dei vescovi alle preghiere della Chiesa e alla potente intercessione dei santi Pietro e Paolo; e con voi soprattutto imploro la Vergine Immacolata, Madre della Chiesa, affinché ci assista in quest’ora e ci ottenga quella fedeltà a Cristo, della quale ella è modello incomparabile per la sua disponibilità di “serva del Signore”, per la sua costante apertura alla parola di Dio (cf. Lc 1, 38; 2, 19.51). In questa fedeltà totale e perseverante la Chiesa di oggi vuol proseguire il suo cammino verso il terzo millennio della storia, in mezzo agli uomini e insieme come partecipe delle loro stesse speranze e attese, seguendo la via tracciata dal Vaticano II, e sempre in ascolto di “quanto lo Spirito dice alle chiese” (Ap 2, 7.11.17.26; 3, 5.13).
Conversion on the Way to Damascus-Caravaggio (c.1600-1).jpg
Conversione di San Paolo
di Michelangelo Merisi da Caravaggio
1600-1601, olio su tela 230x175 cm
Santa Maria del Popolo, Roma
AMDG et DVM

lunedì 22 gennaio 2018

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GIOVANNI PAOLO II
LETTERA APOSTOLICA
PATRES ECCLESIAE
PER IL XVI CENTENARIO
DELLA MORTE DI SAN BASILIO

1. Padri della Chiesa sono giustamente chiamati quei santi che, con la forza di fede, la profondità e la ricchezza dei loro insegnamenti, nel corso dei primi secoli l'hanno rigenerata e grandemente incrementata (cfr. Gal 4, 19; Vincentii Lirinensis «Commonitorium», I,3: PL 50, 641).
In verità «padri» della Chiesa, perché da loro, mediante il Vangelo, essa ha ricevuto la vita (cfr. 1 Cor 4, 15). E anche suoi costruttori, perché da loro - sul fondamento unico posto dagli apostoli, che è il Cristo (cfr. 1 Cor 3, 11) - la Chiesa di Dio è stata edificata nelle sue strutture portanti.
Della vita attinta dai suoi padri la Chiesa ancora oggi vive; e sulle strutture poste dai suoi primi costruttori ancora oggi viene edificata, nella gioia e nella pena del suo cammino e del suo travaglio quotidiano.
Padri dunque sono stati, e padri restano per sempre: essi stessi, infatti, sono una struttura stabile della Chiesa, e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono a una funzione perenne. Cosicché ogni annuncio e magistero successivo, se vuole essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e il loro magistero; ogni carisma e ogni ministero deve attingere alla sorgente vitale della loro paternità; e ogni pietra nuova, aggiunta all'edificio santo che ogni giorno cresce e si amplifica (cfr. Ef 2, 21), deve collocarsi nelle strutture già da loro poste, e con esse saldarsi e connettersi.
Guidata da queste certezze, la Chiesa non si stanca di ritornare ai loro scritti - pieni di sapienza e incapaci di invecchiare - e di rinnovarne continuamente il ricordo. E' quindi con grande gioia che nel corso dell'anno liturgico sempre di nuovo incontriamo i nostri padri: e ogni volta ne siamo confermati nella fede e incoraggiati nella speranza.
E ancora più grande è la nostra gioia quando particolari circostanze invitano a incontrarli in modo più prolungato e profondo. Di tale natura è appunto la ricorrenza di questo anno, che segna il XVI centenario dal transito del nostro padre Basilio, Vescovo di Cesarea.

2. La vita e il ministero di san Basilio

Fra i padri greci chiamato «grande», nei testi liturgici bizantini Basilio è invocato come «luce della pietà» e «luminare della Chiesa». La illuminò, infatti, e tuttora la illumina: non meno per «la purezza della sua vita» che per l'eccellenza della sua dottrina. Poiché il primo e più grande insegnamento dei santi è pur sempre la loro vita.
Nato in una famiglia di santi, Basilio ebbe anche il privilegio di una educazione eletta, presso i più reputati maestri di Costantinopoli e di Atene.
Ma a lui parve che la sua vita cominciasse veramente solo quando, in modo più pieno e determinante, gli fu dato di conoscere il Cristo come suo Signore: quando, cioè, attirato irresistibilmente da lui, praticò quel distacco radicale che avrebbe poi tanto inculcato nel suo insegnamento (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 8: PG 31, 933c-941a), e divenne suo discepolo.
Si mise allora alla sequela del Cristo, volendo conformarsi soltanto a lui: guardando a lui solo, ascoltando lui solo (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,1: PG 31, 860bc), e in tutto e per tutto considerandolo suo unico «sovrano, re, medico, e maestro di verità» (S.Basilii «De Baptismo», I,1: PG 31, 1516b).
Senza esitare, quindi, abbandonò quegli studi che pure tanto aveva amato e dai quali aveva tratto immensi tesori di scienza (cfr. Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36, 525c-528c): avendo infatti deciso di servire a Dio solo, non volle più sapere nulla all'infuori del Cristo (cfr. 1 Cor 2, 2), e ritenne vanità ogni sapienza che non fosse quella della croce. Sono parole sue, con le quali, già verso il termine della vita, rievocava l'evento della sua conversione: «Io avevo sciupato molto tempo nella vanità, perdendo quasi tutta la mia giovinezza nel lavoro vano a cui mi applicavo per apprendere gli insegnamenti di quella sapienza che Dio ha resa stolta (cfr. 1 Cor 1, 20); finché un giorno, come svegliandomi da un sonno profondo, riguardai alla mirabile luce della verità del Vangelo, e considerai l'inutilità della sapienza dei prìncipi di questo mondo che sono ridotti all'impotenza (cfr. 1 Cor 2, 6). Allora piansi molto sulla mia miserabile vita» (cfr. S.Basilii «Epistula» 223: PG 32, 824a).
Pianse sulla sua vita, benché già prima - secondo la testimonianza di Gregorio Nazianzeno, suo compagno di studi - fosse umanamente esemplare (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,521cd): gli sembrò nondimeno «miserabile», perché non era in modo totale ed esclusivo consacrata a Dio, che è l'unico Signore.
Con irrefrenabile impazienza, interruppe dunque gli studi intrapresi e, abbandonati i maestri della sapienza ellenica, «attraversò molte terre e molti mari» (S.Basilii «Epistula» 204: PG 32, 753a) in cerca di altri maestri: quegli «stolti» e quei poveri che nei deserti si esercitavano a ben diversa sapienza.
Cominciò così ad apprendere cose mai salite al cuore dell'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9), verità che i retori e i filosofi non avrebbero mai potuto insegnargli (cfr. S.Basilii «Epistula» 223»: PG 32, 824bd). E in questa sapienza nuova crebbe poi di giorno in giorno, in un meraviglioso itinerario di grazia: mediante la preghiera, la mortificazione, l'esercizio della carità, il continuo commercio con le sante Scritture e gli insegnamenti dei Padri (cfr. praesertim S.Basilii «Epistula» 2 et 22).
Ben presto fu chiamato al ministero.
Ma anche nel servizio delle anime, con saggio equilibrio seppe comporre la predicazione infaticabile con spazi di solitudine e ampio respiro di preghiera. Riteneva infatti che ciò fosse di inderogabile necessità per la «purificazione dell'anima» (S.Basilii «Epistula» 2: PG 32, 228a; cfr. «Epistula» 210: PG 32, 769a), e quindi perché l'annuncio della parola potesse sempre essere confermato dall'«evidente esempio» della vita (S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 43: PG 31, 1028a-1029b; cfr. «Moralia», LXX, 10: PG 31, 824d-825b).
Così divenne pastore e fu insieme, nel senso più sostanziale del termine, monaco; anzi, fu certo fra i più grandi dei monaci-Pastori della Chiesa: figura singolarmente completa di Vescovo, e grande promotore e legislatore del monachesimo.
Forte, infatti, della propria personale esperienza, Basilio contribuì fortemente alla formazione di comunità di cristiani totalmente consacrati al «divino servizio» (S.Benedicti «Regula», Prologus), e si assunse l'impegno e la fatica di sostenerle con frequenti visite (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36, 536b): per sua e loro edificazione intrattenendosi con esse in mirabili colloqui, molti dei quali, per grazia di Dio, ci sono stati trasmessi per scritto (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», Proemium: PG 31, 1080ab). A questi scritti hanno attinto vari legislatori del monachesimo, non ultimo lo stesso san Benedetto, che considera Basilio come suo maestro (cfr. S.Benedicti «Regula», LXXIII,5); a questi scritti - direttamente o indirettamente conosciuti - si sono ispirati la più parte di coloro che, in oriente come in occidente, hanno abbracciato la vita monastica.
Per questo si ritiene da molti che quella struttura capitale della vita della Chiesa che è il monachesimo sia stata posta, per tutti i secoli, principalmente da san Basilio; o che, almeno, non sia stata definita nella sua natura più propria senza il suo decisivo contributo.
Basilio ebbe molto a soffrire per i mali in cui gemeva, in quell'ora difficile, il Popolo di Dio (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31, 653b). Li denunciò con franchezza, e, con lucidità e amore, ne individuò le cause, per accingersi coraggiosamente a una vasta opera di riforma. Cioè all'opera - da perseguire in ogni tempo, da rinnovare a ogni generazione - volta a riportare la Chiesa del Signore, «per la quale il Cristo è morto e sulla quale ha effuso abbondante il suo Spirito» (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,653b), alla sua forma primitiva: a quella normativa immagine, bella e pura, che ce ne trasmettono la parola del Cristo e degli Atti degli Apostoli. Quante volte Basilio ricorda, con passione e costruttiva nostalgia, il tempo in cui «la moltitudine dei credenti era un cuore solo e un'anima sola»! (At 4, 32; cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 36, 660c; cfr. «Regulae fusius tractatae», 7: PG 31, 933c; cfr. «Homilia tempore famis»: PG 31, 325ab).
Il suo impegno di riforma si volse insieme, con armonia e compiutezza, praticamente a tutti gli aspetti e gli ambiti della vita cristiana.
Per la natura stessa del suo ministero, il Vescovo è innanzitutto pontefice del suo popolo- e il Popolo di Dio è prima di tutto popolo sacerdotale.
Non può quindi in alcun modo trascurare la liturgia - la sua forza e ricchezza, la sua bellezza, la sua «verità» - un Vescovo veramente sollecito del bene della Chiesa. Nell'opera pastorale, anzi, l'impegno pr la liturgia sta logicamente al vertice di tutto e concretamente in cima a ogni altra scelta: la liturgia, infatti - come ricorda il Concilio Vaticano II - è «il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa, e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù» («Sacrosanctum Concilium», 10), cosicché «nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia» («Sacrosanctum Concilium», 7).
Di questo si mostrò perfettamente consapevole Basilio e il «legislatore di monaci» (cfr. S.Gregorii Nazianzenii «In laudem Basilii»: PG 36, 541c) seppe essere anche sapiente «riformatore liturgico» (cfr. S.Gregorii Nazianzenii «In laudem Basilii»: PG 36, 541c).
Della sua opera in questo ambito resta, eredità preziosissima per la Chiesa di tutti i tempi, l'anafora che legittimamente porta il suo nome: la grande preghiera eucaristica che, da lui rifusa e arricchita, è bellissima fra le più belle.
Non solo: lo stesso ordinamento fondamentale della preghiera salmodica ebbe in lui uno dei maggiori ispiratori e artefici (cfr. S.Basilii «Epistula» 2 et «Regula fusius tractatae», 37: PG 31, 1013b-1016c). Così, soprattutto per l'impulso dato da lui, la salmodia - «incenso spirituale», respiro e conforto del Popolo di Dio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29, 212a-213c) - nella sua Chiesa fu amata moltissimo dai fedeli, e divenne nota ai piccoli e agli adulti, ai dotti e agli incolti (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29, 212a-213c). Come riferisce lo stesso Basilio: «Presso di noi il popolo si alza di notte per recarsi alla casa della preghiera,... e trascorre la notte alternando salmi e preghiere» (S.Basilii «Epistula» 207: PG 32, 764ab). I salmi, che nelle chiese rimbombavano come tuoni (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36, 561cd), si udivano risuonare anche nelle case e nelle piazze (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29, 212c).
Basilio amò di amore geloso la Chiesa (cfr. 2 Cor 11, 2): e sapendo che la sua verginità e la sua stessa fede, della purezza di questa fede fu custode vigilantissimo.
Per questo dovette e seppe combattere con coraggio: non contro uomini, ma contro ogni adulterazione della parola di Dio (cfr. 2 Cor 2 17), ogni falsificazione della verità, ogni manomissione del deposito santo (cfr. 1 Tm 6,20) trasmesso dai Padri. Il suo impeto perciò non aveva nulla di passionale: era forza di amore; e la sua chiarezza nulla di puntiglioso: era delicatezza di amore.
Così, dall'inizio al termine del suo ministero combatté per salvaguardare intatto il senso della formula di Nicea riguardo alla divinità del Cristo «consostanziale» al Padre (cfr. S.Basilii «Epistula» 9: PG 32, 72a; «Epistula» 52: PG 32, 392b-396a; «Adv. Eunomium», I: PG 29, 556c); e ugualmente combatté perché non fosse sminuita la gloria dello Spirito che, «facendo parte della Trinità ed essendo della divina e beata natura di essa» (S.Basilii «Epistula» 243: PG 32, 909a), deve essere con il Padre e il Figlio connumerato e conglorificato (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32, 117c).
Con fermezza, ed esponendosi personalmente a pericoli gravissimi, vigilò e combatté anche per la libertà della Chiesa: da vero Vescovo, non esitando a contrapporsi ai regnanti per difendere il diritto suo e del Popolo di Dio di professare la verità e di ubbidire al Vangelo (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36, 557c-561c). Il Nazianzeno, che riferisce un episodio saliente di questa lotta, fa ben comprendere che il segreto della sua forza non risiedeva che nella semplicità stessa del suo annuncio, nella chiarezza della sua testimonianza, e nell'inerme maestà della sua dignità sacerdotale (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36, 561c-564b).
Non minore severità che contro eresie e tiranni, Basilio mostrò contro equivoci e abusi all'interno della Chiesa: particolarmente, contro la mondanizzazione e l'attaccamento ai beni.
A muoverlo era, ancora e sempre, il medesimo amore alla verità e al Vangelo; benché in modo diverso, era pur sempre il Vangelo, infatti, a essere negato e contraddetto: sia dall'errore degli eresiarchi, che dall'egoismo dei ricchi.
Al riguardo sono memorabili, e rimangono esemplari, i testi di alcuni suoi discorsi: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri (Mt 19, 22);... perché, anche se non hai ucciso o commesso adulterio o rubato o detto falsa testimonianza, non ti serve a nulla se non fai anche il resto: solo in tale modo potrai entrare nel regno di Dio» (S.Basilii «Homilia in divites»: PG 31,280b-281a). Chi infatti, secondo il comandamento di Dio, vuole amare il prossimo come se stesso (cfr. Lv 19, 18; Mt 19, 19), «non deve possedere niente di più di quello che possiede il suo prossimo» (S.Basilii «Homilia in divites» PG 31, 281b).
E in modo ancora più appassionato, in tempo di carestia, esortava a «non mostrarsi più crudeli delle bestie,... col mettersi in seno ciò che è comune, e possedendo da soli ciò che è di tutti» (cfr. S.Basilii «Homilia tempore famis»: PG 31, 325a).
Un radicalismo sconcertante e bellissimo, e un forte appello alla Chiesa di tutti i tempi a confrontarsi seriamente con il Vangelo.
Al Vangelo, che comanda l'amore e il servizio dei poveri, oltre che con queste parole Basilio rese testimonianza con opere immense di carità; come la costruzione, alle porte di Cesarea, di un gigantesco ospizio per i bisognosi (cfr. S.Basilii «Epistula» 94: PG 32, 488bc): una vera città della misericordia che da lui prese il nome di Basiliade (cfr. Sozosemi «Historia Eccl.» VI, 34: PG 67, 1397a), anch'essa momento autentico dell'unico annuncio evangelico.
Fu lo stesso amore per il Cristo e il suo Vangelo, ciò che tanto lo fece soffrire delle divisioni della Chiesa e che con tanta perseveranza, sperando contra spem, gli fece ricercare con tutte le Chiese una comunione più efficace e manifesta (cfr. S.Basilii «Epistulae» 70 et 243).
E' la verità stessa del Vangelo, infatti, a essere oscurata dalla discordia dei cristiani, ed è il Cristo stesso a esserne lacerato (cfr. 1 Cor 1, 13). La divisione dei credenti contraddice la potenza dell'unico battesimo (cfr. Ef 4, 4), che nel Cristo ci fa una sola cosa, anzi un'unica mistica persona (cfr. Gal 3, 28); contraddice la sovranità del Cristo, unico re al quale tutti devono ugualmente essere soggetti; contraddice l'autorità e la forza unificante della parola di Dio, unica legge alla quale tutti i credenti devono concordemente ubbidire (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31, 653a-656c).
La divisione delle Chiese è quindi un fatto così nettamente e direttamente anti-cristologico e anti-biblico, che secondo Basilio la via per la ricomposizione dell'unità può essere soltanto la ri-conversione di tutti al Cristo e alla sua parola (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31, 660b-661a).
Nel multiforme esercizio del suo ministero Basilio si fece dunque, come prescriveva per tutti gli annunciatori della parola, «apostolo e ministro di Cristo, dispensatore dei misteri di Dio, araldo del regno, modello e regola di pietà, occhio del corpo della Chiesa, pastore delle pecore di Cristo, medico pietoso, padre e nutrice, cooperatore di Dio, agricoltore di Dio, costruttore del tempio di Dio» (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,12-21: PG 31, 864b-868b).
E in tale opera e tale lotta - ardua, dolorosa, senza respiro - Basilio offrì la sua vita (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,18: PG 31, 865c) e si consumò come olocausto.
Morì non ancora cinquantenne, consumato dalle fatiche e dall'ascesi.

3. Il magistero di san Basilio

Dopo avere così brevemente ricordato aspetti salienti della vita di Basilio e del suo impegno di cristiano e di Vescovo, sembra giusto che si tenti di attingere, dalla ricchissima eredità dei suoi scritti, almeno qualche indicazione suprema. Rimettersi alla sua scuola potrà dare luce per meglio affrontare i problemi e le difficoltà di questo stesso tempo, e quindi soccorrerci per il nostro presente e per il nostro futuro.
Non sembri astratto cominciare da ciò che egli ha insegnato riguardo alla santa Trinità: è certo, anzi, che non può esserci inizio migliore, almeno se ci si vuole adeguare al suo stesso pensiero.
D'altra parte, che cosa può imporsi maggiormente o essere più normativo per la vita, che il mistero della vita di Dio? Può esserci punto di riferimento più significativo e vitale di questo, per l'uomo?
Per l'uomo nuovo, che è conformato a questo mistero nella struttura intima del suo essere e del suo esistere; e per ogni uomo, lo sappia o no: poiché non c'è alcuno che non sia stato creato per il Cristo, il Verbo eterno, e non c'è alcuno che non sia chiamato, dallo Spirito e nello Spirito, a glorificare il Padre.
E' il mistero primordiale, la Trinità santa: poiché non è altro che il mistero stesso di Dio, dell'unico Dio vivo e vero.
Di questo mistero, Basilio proclama con fermezza la realtà: la triade dei nomi divini, dice, indica certo tre distinte ipostasi (cfr. S.Basilii «Adv. Eunomium», I: PG 29, 529a). Ma con non minore fermezza ne confessa l'assoluta inaccessibilità.
Com'era lucida in lui, teologo sommo, la coscienza dell'infermità e inadeguatezza di ogni teologare!
Nessuno, diceva, è capace di farlo in modo degno, e la grandezza del mistero vince ogni discorso, cosicché neppure le lingue degli angeli possono attingerlo (cfr. S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31, 464b-465a).
Realtà abissale e imperscrutabile, dunque, il Dio vivente! Ma nondimeno Basilio sa di «doverne» parlare, prima e più che di ogni altra cosa. E così, credendo, parla (cfr.  2 Cor 4, 13): per forza incoercibile di amore, per obbedienza al comando di Dio, e per l'edificazione della Chiesa, che «non si sazia mai di udire tali cose» (S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31, 464cd).
Ma forse è più esatto dire che Basilio, da vero «teologo», più che parlare di questo mistero, lo canta.
Canta il Padre: «Il principio di tutto, la causa dell'essere di ciò che esiste, la radice dei viventi» (S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31, 465c), e soprattutto «Padre del nostro Signore Gesù Cristo» («Anaphora S.Basilii»). E come il Padre è primariamente in rapporto al Figlio, così il Figlio - il Verbo che si è fatto carne nel seno di Maria - è primariamente in rapporto al Padre.
Così dunque lo contempla e lo canta Basilio: nella «luce inaccessibile», nella «potenza ineffabile», nella «grandezza infinita», nella «gloria sovrasplendente» del mistero trinitario, Dio presso Dio (S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31, 465cd), «immagine della bontà del Padre e sigillo di forma a lui uguale» (cfr. «Anaphora S.Basilii»).
Solo in questo modo, confessando senza ambiguità il Cristo come «uno della santa Trinità» («Liturgia S.Ioannis Chrysostomi»), Basilio può poi vederlo con pieno realismo nell'annientamento della sua umanità. E come pochi altri sa far misurare l'infinito spazio da lui percorso alla nostra ricerca; come pochi sa far scrutare fin nell'abisso dell'umiiiazione di colui che «essendo nella forma di Dio, svuotò se stesso assumendo la forma di servo» (Fil 2, 6ss)
Nell'insegnamento di Basilio, la cristologia della gloria non attenua per nulla la cristologia dell'umiliazione: anzi, serve a proclamare con forza ancora più grande quel contenuto centrale del Vangelo che è la parola della croce (cfr. 1 Cor 1, 18) e lo scandalo della croce (cfr. Gal 5, 11).
Questo è, di fatto, uno schema abituale del suo discorso cristologico: è la luce della gloria, a rivelare il senso dell'abbassamento.
L'ubbidienza del Cristo è vero «Vangelo», cioè realizzazione paradossale dell'amore redentivo di Dio, proprio perché - e solo se - colui che ubbidisce è «il Figlio Unigenito di Dio, il Signore e Dio nostro, colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte» (S.Basilii «De iudicio»: PG 31, 660b); ed è così che essa può piegare la nostra ostinata disubbidienza. Le sofferenze del Cristo, agnello immacolato che non ha aperto la bocca contro chi lo percuoteva (cfr. Is 53, 7), hanno portata infinita e valore eterno e universale, proprio perché colui che così ha patito è «il creatore e sovrano del cielo e della terra, adorabile al di là di ogni creatura intellettuale e sensibile, colui che tutto sostiene con la parola della sua potenza» (cfr. Eb 1, 3; S.Basilii «Homilia de ira»: PG 31, 369b), ed è così che la passione del Cristo domina la nostra violenza e placa la nostra ira.
La croce, infine, è davvero la nostra «unica speranza» («Liturgia Horarum», "Hebdomada Sancta": Hymnus ad Vesperas) - non sconfitta, quindi, ma evento salvifico, «esaltazione» (cfr. Gv 8,32ss et alibi) e stupendo trionfo - solo perché colui che vi è stato inchiodato e vi è morto è «il Signore nostro e di tutti» (cfr. At 10, 36; S.Basilii «De Baptismo», II,12: PG 31, 1624b), «colui mediante il quale sono state fatte tutte le cose, le visibili e le invisibili, colui che possiede la vita come la possiede il Padre che gliel'ha data, colui che dal Padre ha ricevuto ogni potere» (S.Basilii «De Baptismo», II,13: PG 31, 1625c); ed è così che la morte del Cristo ci libera da quel «timore della morte» del quale tutti eravamo schiavi (cfr. Eb 2, 15).
«Da lui, il Cristo, rifulse lo Spirito Santo: lo Spirito della verità, il dono dell'adozione filiale, il pegno dell'eredità futura, la primizia dei beni eterni, la potenza vivificante, la sorgente della santificazione, da cui ogni creatura razionale e intellettuale riceve potenza di rendere culto al Padre e di elevare a lui la dossologia eterna» (cfr. «Anaphora S.Basilii»).
Questo inno dell'anafora di Basilio esprime bene, in sintesi, il ruolo dello Spirito nell'economia salvifica.
E' lo Spirito che, dato a ogni battezzato, in ciascuno opera carismi e a ciascuno ricorda gli insegnamenti del Signore (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1561a); è lo Spirito che anima tutta la Chiesa e la ordina e la vivifica con i suoi doni facendone tutte un corpo «spirituale» e carismatico (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32, 181ab; «De iudicio»: PG 31, 657c-660a).
Di qui, Basilio risaliva alla serena contemplazione della «gloria» dello Spirito, misteriosa e inaccessibile: confessandolo, al di sopra di ogni creatura (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 22), sovrano e signore poiché da lui siamo divinizzati (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 20 ss), e Santo per essenza poiché da lui siamo santificati (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 9 et 18). Avendo così contribuito alla formulazione della fede trinitaria della Chiesa, Basilio ancora oggi parla al suo cuore e la consola, particolarmente con la luminosa confessione del suo Consolatore.
La luce sfolgorante del mistero trinitario non mette certo in ombra la gloria dell'uomo: anzi, massimamente la esalta e la rivela.
L'uomo infatti, non è rivale di Dio, follemente opposto a lui; e non è senza Dio, abbandonato alla disperazione della propria solitudine. Ma è riflesso di Dio e sua immagine.
Perciò, quanto più Dio risplende, tanto più ne riverbera la luce dall'uomo; quanto più Dio è esaltato, tanto più è innalzata la dignità dell'uomo.
E in questo modo, difatti, Basilio ha celebrato la dignità dell'uomo: vedendola tutta in rapporto a Dio, cioè derivata da lui e finalizzata a lui.
Essenzialmente per conoscere Dio l'uomo ha ricevuto l'intelligenza, e per vivere conforme alla sua legge ha ricevuto la libertà. Ed è in quanto immagine, che l'uomo trascende tutto l'ordine della natura e appare «più glorioso del cielo, più del sole, più dei cori degli astri: quale cielo, infatti, è chiamato immagine di Dio altissimo?» (S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29, 449c).
Proprio per questo, la gloria dell'uomo è radicalmente condizionata al suo rapporto con Dio: l'uomo consegue in pienezza la sua dignità «regale» solo realizzandosi in quanto immagine, e diviene veramente se stesso solo conoscendo e amando colui per il quale ha la ragione e la libertà.
Già prima di Basilio, così si esprimeva mirabilmente sant'Ireneo: «La gloria di Dio è l'uomo vivente; ma la vita dell'uomo è la visione di Dio» (S.Irenaei «Adversus haereses», IV, 20, 7). L'uomo vivente è in se stesso glorificazione di Dio, in quanto raggio della sua bellezza, ma non ha «vita» se non attingendola da Dio, nel rapporto personale con lui. Fallire in questo compito, significherebbe per l'uomo tradire la propria vocazione essenziale, e pertanto negare e avvilire la propria dignità (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29, 449b-452a).
E che altro è il peccato se non questo? Il Cristo stesso, infatti, non è forse venuto per restaurare e restituire la sua gloria a questa immagine di Dio che è l'uomo, cioè all'immagine che l'uomo, con il peccato, aveva ottenebrata (S.Basilii «Homilia de malo»: PG 31, 333a), corrotta (S.Basilii «In Psalmum» 32: PG 29, 344b), infranta? (S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1537a).
Proprio per questo - afferma Basilio con le parole della Scrittura - «il Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi (Gv 1, 14), e ha tanto umiliato se stesso da farsi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce» (cfr. Fil 2, 8; S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29, 452ab). Perciò, o uomo, «renditi conto della tua grandezza considerando il prezzo versato per te: guarda il prezzo del tuo riscatto, e comprendi la tua dignità!» (S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29, 452b).
La dignità dell'uomo, dunque, è insieme nel mistero di Dio, e nel mistero della croce: è questo l'«umanesimo» di Basilio, o - potremmo dire più semplicemente - l'umanesimo cristiano.
Il restauro dell'immagine può dunque compiersi soltanto in virtù della croce del Cristo: «Fu la sua ubbidienza fino alla morte a divenire per noi redenzione dei peccatori, libertà dalla morte che regnava per la colpa originale, riconciliazione con Dio, potenza di piacere a Dio, dono di giustizia, comunione dei santi nella vita eterna, eredità del regno dei cieli» (S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1556b).
Ma questo, per Basilio, equivale a dire che tutto ciò si compie in virtù del battesimo.
Che cos'è, infatti, il battesimo, se non l'evento salvifico della morte del Cristo, nel quale siamo inseriti mediante la celebrazione del mistero? Il mistero sacramentale, «imitazione» della sua morte, ci immerge nella realtà della sua morte; come scrive Paolo: «O ignorate che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?» (Rm 6, 3).
Basandosi appunto sulla misteriosa identità del battesimo con l'evento pasquale del Cristo, al seguito di Paolo anche Basilio insegna che essere battezzati altro non è se non essere realmente crocifissi - cioé inchiodati con il Cristo alla sua unica croce - realmente morire la sua morte, con lui essere sepolti nel suo seppellimento, e conseguentemente con lui risorgere della sua risurrezione (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I, 2).
Coerentemente, perciò, egli può riferire al battesimo gli stessi titoli di gloria con cui l'abbiamo udito inneggiare alla croce: anch'esso è «riscatto dei prigionieri, remissione dei debiti, morte del peccato, rigenerazione dell'anima, abito di luce, inviolabile sigillo, veicolo per il cielo, titolo per il regno, dono della filiazione» (S.Basilii «In sanctum Baptisma»: PG 31, 433ab). E' per esso, infatti, che si salda l'unione fra l'uomo e il Cristo, e che mediante il Cristo l'uomo è inserito nel cuore stesso della vita trinitaria: divenendo spirito perché nato dallo Spirito (cfr. S.Basilii «Moralia», XX,2: PG 31, 736d; «Moralia», LXXX,22: PG 31, 869a) e figlio perché rivestito del Figlio, in un rapporto altissimo con il Padre dell'Unigenito che è ormai divenuto anche, realmente, il Padre suo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1564c-1565b).
Alla luce di una considerazione così vigorosa del mistero battesimale, si disvela a Basilio il senso stesso della vita cristiana. Del resto, come altrimenti comprendere questo mistero dell'uomo nuovo, se non fissando lo sguardo sul punto luminoso della sua nascita nuova, e sulla potenza divina che nel battesimo lo ha generato?
«Come si definisce il cristiano?», si chiede Basilio; e risponde: «Come colui che è generato da acqua e Spirito nel battesimo» (S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31, 868d).
Solo in ciò da cui siamo si rivela ciò che siamo, e ciò per cui siamo.
Creatura nuova, il cristiano, anche quando non ne è pienamente consapevole, vive una vita nuova; e nella sua realtà più profonda, anche se col suo agire lo rinnega, é trasferito in una patria nuova, sulla terra già reso celeste (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32, 157c; «In sanctum Baptisma»: PG 31, 429b): perché l'operazione di Dio è infinitamente e infallibilmente efficace, e rimane sempre in qualche misura al di là di ogni smentita e contraddizione dell'uomo.
Resta, certo, il compito - ed è, in rapporto essenziale con il battesimo, il senso stesso della vita cristiana - di diventare quello che si è, adeguandosi alla nuova dimensione «spirituale» ed escatologica del proprio mistero personale. Come si esprime, con la consueta chiarezza, san Basilio: «Il significato e la potenza del battesimo è che il battezzato si trasformi nei pensieri, nelle parole e nelle opere, e che diventi - secondo la potenza che gli è stata elargita - quale è colui dal quale è stato generato» (S.Basilii «Moralia», XX, 2: PG 31, 736d).
L'eucaristia, compimento dell'iniziazione cristiana, è sempre considerata da Basilio in strettissimo rapporto con il battesimo.
Unico cibo adeguato al nuovo essere del battezzato e capace di sostenerne la vita nuova e di alimentarne le nuove energie (cfr. S.Basilii «De Baptismo» I, 3: PG 31, 1573b); culto in spirito e verità, esercizio del nuovo sacerdozio e sacrificio perfetto dell'Israele nuovo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», II, 2 ss et 8: PG 31, 1601c; S.Basilii «Epistula» 93: PG 32, 485a), solo l'eucaristia attua in pienezza e perfeziona la nuova creazione battesimale.
Perciò, è mistero di immensa gioia - solo cantando vi si può partecipare (cfr. S.Basilii «Moralia»,XXI,4: PG 31, 741a) - e di infinita, tremenda santità. Come si potrebbe, essendo in stato di peccato, trattare il corpo del Signore? (cfr. S.Basilii «De Baptismo», II,3: PG 31, 1585ab). La Chiesa che comunica, dovrebbe davvero essere «senza macchia e ruga, santa e incontaminata» (Ef 5, 27; S.Basilii «Moralia», LXXX, 22: PG 31, 869b): cioé dovrebbe sempre, con vigile coscienza del mistero che celebra, esaminare bene se stessa (cfr. 1Cor 11,28; S.Basilii «Morali», XXI, 2: PG 31, 740ab), per purificarsi sempre più «da ogni contaminazione e impurità» (S.Basilii «De Baptismo» II, 3: PG 31, 1585ab).
D'altra parte, astenersi dal comunicare non è possibile: all'eucaristia infatti, necessaria per la vita eterna (cfr. S.Basilii «Moralia», XXI, 1: PG 31, 737c), è ordinato lo stesso battesimo, e il popolo dei battezzati deve essere puro proprio per partecipare all'eucaristia (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX, 22: PG 31, 869b).
Solo l'eucaristia del resto, vero memoriale del mistero pasquale del Cristo, è capace di tenere desta in noi la memoria del suo amore. Essa è perciò il segreto della vigilanza della Chiesa: le sarebbe troppo facile, altrimenti, senza la divina efficacia di questo richiamo continuo e dolcissimo, senza la forza penetrante di questo sguardo del suo sposo fissato su di lei, cadere nell'oblio, nell'insensibilità, nell'infedeltà. A questo scopo è stata istituita, secondo le parole del Signore: «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24 ss et par.); e a questo scopo, conseguentemente, deve essere celebrata.
Basilio non si stanca di ripeterlo: «Per ricordare (S.Basilii «Moralia», XXI,3: PG 31, 740b); anzi, per ricordare sempre, «per il ricordo indelebile» (S.Basilii «Moralia», XXI, 3: PG 31, 1576d), «per custodire incessantemente il ricordo di colui che è morto e risorto per noi» (S.Basilii «Moralia», LXXX, 22: PG 31, 1869b).
Solo l'eucaristia dunque, per disegno e dono di Dio, può veramente custodire nel cuore «il sigillo» (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 5: PG 31, 921b) di quel ricordo del Cristo che, stringendosi come in una morsa, ci impedisce di peccare. E' perciò particolarmente in rapporto all'eucaristia che Basilio riprende il testo di Paolo: «L'amore di Cristo ci stringe, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2 Cor 5,14 ss).
Ma che cos'è poi questo vivere per il Cristo - o «vivere integralmente per Dio» - se non il contenuto stesso del patto battesimale? (cfr. S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31, 1581a).
Anche per questo aspetto, dunque, l'eucaristia appare essere la pienezza del battesimo: essa sola, infatti consente di viverlo con fedeltà e continuamente lo attualizza nella sua potenza di grazia.
Perciò Basilio non esita a raccomandare la comunione frequente, o addirittura quotidiana: «Comunicare anche ogni giorno ricevendo il santo corpo e sangue del Cristo è cosa buona e utile; poiché egli stesso dice chiaramente: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6, 54). Chi dunque dubiterà che comunicare continuamente alla vita non sia vivere in pienezza?» (S.Basilii «Epistula» 93: PG 32, 484b).
Vero «cibo di vita eterna» capace di nutrire la vita nuova del battezzato è, come l'eucaristia, anche «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 4; cfr. Dt 8, 3; S.Basilii «De Baptismo», I, 3: PG 31, 1573bc).
E' Basilio stesso a stabilire con forza questo nesso fondamentale fra la mensa della parola di Dio e quella del corpo del Cristo (cfr. «Dei Verbum», 21). Benché in modo diverso, infatti, anche la Scrittura, come l'eucaristia, è divina, santa, e necessaria.
Veramente divina, afferma Basilio con singolare energia: cioé «di Dio» nel senso più proprio. Dio stesso l'ha ispirata (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31, 664d; S.Basilii «De fide»: PG 31, 677a; ecc...), Dio l'ha convalidata (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31, 680b), Dio l'ha pronunciata mediante gli agiografi (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 13: PG 31, 1092a; «Adv. Eunomium», II: PG 29, 597c; ecc...) - Mosé, i profeti, gli evangelisti, gli apostoli (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I, 1: PG 31, 1524d) - e soprattutto mediante il suo Figlio (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1561c); lui, l'unico Signore: sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 47: PG 31, 1113a), certo con diversi gradi di intensità e diversa pienezza di rivelazione (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 276: PG 31,1276cd; «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1545b), ma pure senza ombra di contraddizione (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31, 692b).
Di sostanza divina benché fatta di parole umane, la Scrittura è perciò infinitamente autorevole: sorgente della fede, secondo la parola di Paolo (cfr. Rm 10, 17; S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31, 868c), è il fondamento di una certezza piena, indubbia, non vacillante (S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868c). Essendo tutta di Dio, è tutta, in ogni sua minima parte, infinitamente importante e degna di estrema attenzione (cfr. S.Basilii «In Hexaem.», VI: PG 29, 144c; «In Hexaem.», VIII: PG 29, 184c).
E per questo, anche, la Scrittura giustamente viene chiamata santa: poiché, come sarebbe terribile sacrilegio profanare l'eucaristia, sarebbe sacrilegio anche attentare all'integrità e alla purezza della parola di Dio.
Non la si può dunque intendere secondo categorie umane, ma alla luce dei suoi stessi insegnamenti, quasi «chiedendo al Signore stesso l'interpretazione delle cose da lui dette» (S.Basilii «De Baptismo», II, 4: PG 31, 1589b); e non si può «togliere né aggiungere nulla» a quei testi divini consegnati alla Chiesa per tutti i tempi, a quelle parole sante pronunciate da Dio una volta per tutte (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31, 680ab; «Moralia», LXXX, 22: PG 31, 868c).
E' di necessità vitale, infatti, che il rapporto con la parola di Dio sia sempre adorante, fedele, e amante. Essenzialmente da essa la Chiesa deve attingere per il suo annuncio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 115: PG 30, 105c 108a), lasciandosi guidare dalle parole stesse del suo Signore (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1533c), per non rischiare di «ridurre a parole umane le parole della religione» (S.Basilii «Epistula» 140: PG 32, 588b). E alla Scrittura deve riferirsi «sempre e dovunque» ogni cristiano per tutte le sue scelte (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 269: PG 31, 1268c), facendosi di fronte ad essa «come un bambino» (cfr. Mc 10, 15; S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 217: PG 31, 1225bc; S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1560ab), in essa cercando il più efficace rimedio contro tutte le sue diverse infermità (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29, 209a), e non osando muovere un passo senza essere illuminato dai raggi divini di quelle parole (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 1: PG 31, 1081a).
Autenticamente cristiano, tutto il magistero di Basilio è, come si è visto, «vangelo», proclamazione gioiosa della salvezza.
Non è forse piena di gioia e sorgente di gioia la confessione della gloria di Dio che si irradia sull'uomo sua immagine?
Non è stupendo l'annuncio della vittoria della croce, nella quale, «per la grandezza della pietà e la moltitudine delle misericordie di Dio» (S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 10: PG 31, 1088c), i nostri peccati sono stati perdonati prima ancora che li commettessimo? (cfr. S.Basilii «Regulae bravius tractatae», 12: PG 31, 1089b). Quale annuncio più consolante che quello del battesimo che ci rigenera, dell'eucaristia che ci nutre, della Parola che ci illumina?
Ma proprio per questo, per non avere taciuto o sminuito la potenza salvifica e trasformante dell'opera di Dio e delle «energie del secolo futuro» (cfr. Eb 6,5), Basilio può chiedere a tutti, con molta fermezza, amore totale per Dio, dedizione senza riserve, perfezione di vita evangelica (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX, 22: PG 31, 869c).
Poiché, se il battesimo è grazia - e quale grazia! - quanti l'hanno conseguita hanno effettivamente ricevuto «il potere e la forza di piacere a Dio» (S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 10: PG 31, 1088c), e sono perciò «tutti ugualmente tenuti a conformarsi a tale grazia», cioé a «vivere conforme al Vangelo» (S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31, 15980ac).
«Tutti ugualmente»: non ci sono cristiani di seconda categoria, semplicemente perché non ci sono battesimi diversi, e perché il senso della vita cristiana è tutto intrinsecamente contenuto nell'unico patto battesimale (S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31, 1580ac).
«Vivere conforme al Vangelo»: che cosa significa questo, in concreto, secondo Basilio?
Significa tendere, con tutta la brama del proprio essere (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 157: PG 31, 1185a) e con tutte le nuove energie delle quali si dispone, a conseguire il «compiacimento di Dio» (cfr. S.Basilii «Moralia», I, 5: PG 31, 704a et passim)
Significa, per esempio, «non essere ricchi, ma poveri, secondo la parola del Signore» (cfr. S.Basilii «Moralia», XLVIII,3: PG 31, 769a), realizzando così una condizione fondamentale per poterlo seguire (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 10: PG 31, 944d-945a) con libertà (cfr. S.Basilii «Regulaea fusius tractatae», 8: PG 31, 940bc; «Regulae fusius tractatae», 237: PG 31, 1241b), e manifestando, rispetto alla norma imperante del vivere mondano, la novità del Vangelo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I, 2: PG 31, 1544d). Significa sottomettersi totalmente alla parola di Dio, rinunciando alle «proprie volontà» (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 6 et 41: PG 31, 925c et 1021a) e facendosi ubbidienti, a imitazione del Cristo, «fino alla morte» (cfr. Fil 2, 8; S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 28: PG 31,989b; «Regulae brevius tractatae», 119: PG 31, 1161d et passim).
Davvero, Basilio non arrossiva del Vangelo: ma, sapendo che esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (cfr. Rm 1, 16) lo annunciava con quella integrità (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX, 12: PG 31, 864b) che lo fa essere pienamente parola di grazia e sorgente di vita.
Ci piace infine rilevare che san Basilio, anche se più sobriamente del fratello san Gregorio di Nissa e dell'amico san Gregorio di Nazianzo, celebra la verginità di Maria (cfr. S.Basilii «In sanctam Christi generationem», 5: PG 31, 1468b): chiama Maria «profetessa» (cfr. S.Basilii «In Isaiam», 208: PG 30, 477b) e con felice espressione così motiva il fidanzamento di Maria con Giuseppe: «Ciò avvenne perché la verginità fosse onorata e non fosse disprezzato il matrimonio» (cfr. S.Basilii «In sanctam Christi generationem», 3: PG 31, 1464a).
L'anafora di san Basilio sopra ricordata contiene lodi eccelse alla «tutta santa, immacolata, ultrabenedetta e gloriosa Signora Madre-di-Dio e sempre-vergine Maria»; «Donna piena di grazia, esultanza di tutto il creato...»

4. Conclusione

Di questo grande santo e maestro tutti noi, nella Chiesa, ci gloriamo di essere discepoli e figli: riconsideriamo dunque il suo esempio, e riascoltiamo con venerazione i suoi insegnamenti, con intima disponibilità lasciandoci ammonire, confortare ed esortare.
Affidiamo questo nostro messaggio in modo particolare ai numerosi ordini religiosi - maschili e femminili - che si onorano del nome e della tutela di san Basilio e ne seguono la Regola, impegnandoli in questa felice ricorrenza a propositi di nuovo fervore in una vita di ascesi e contemplazione delle cose divine, che poi sovrabbondi in opere sante a gloria di Dio e a edificazione della santa Chiesa. Per il felice conseguimento di tali scopi, imploriamo anche l'aiuto materno della Vergine Maria, come auspicio di doni celesti e pegno della nostra benevolenza, con grande affetto vi impartiamo l'apostolica benedizione.
Dato a Roma, presso san Pietro, il 2 gennaio, nella memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, Vescovi e Dottori della Chiesa, dell'anno 1980, secondo di Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II