giovedì 3 maggio 2012

*****Pellegrinaggio pugliese della "Tradizione", sulle orme di S.S. Papa Benedetto XVI


Santa Maria di Leuca, 
1° maggio 2012: 

Santa Maria di Leuca (Lecce)




Basilica Santuario
Sancta Maria de Finibus Terrae


Il pellegrinaggio pugliese della "Tradizione", sulle orme di S.S. papa Benedetto XVI, promosso dall Scuola Ecclesia Mater.
Dieci pullman provenienti da tutta la Puglia, più di 500 fedeli presenti.
Il pellegrinaggio a piedi dalla Marina di Leuca fino al Santuraio, guidato da Sua Eminenza il Cardinale Raymond Leo Burke, che ha poi celebrato la Santa Messa della forma extra ordinaria del Rito Latino Romano.

La parola alle immagini


















































LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

LA LITURGIA FERITA




La Liturgia ferita


di Mons. Marc Aillet,
Vescovo di Bayonne, Francia

All'origine del Movimento Liturgico ci fu la volontà del Papa San Pio X, soprattutto con il motu proprio "Tra le sollecitudini" (1903), che aveva lo scopo di restaurare la liturgia rendendo più accessibili le sue ricchezze, tornando ad essere la fonte di una vita autenticamente cristiana, mettendo in guardia dal pericolo di una crescente secolarizzazione ed esortando i fedeli a consacrare il mondo a Dio. Da qui nasce la definizione del Concilio Vaticano II sulla liturgia quale "fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa".

Contro ogni aspettativa, come hanno spesso dichiarato il Beato Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, la realizzazione della riforma liturgica ha talvolta condotto a una sorta di sistematica desacralizzazione, permettendo che la liturgia venisse sempre più pervasa dalla cultura secolarizzata del mondo circostante, perdendo così la sua propria natura e identità: "Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1068).

Senza negare i veri frutti della riforma liturgica, si può dire comunque che la liturgia è stata ferita da quelle che Giovanni Paolo II definì "pratiche non accettabili" (Ecclesia de Eucharistia, n. 10) e Benedetto XVI ha denunciato come "deformazioni al limite del sopportabile" (Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del Motu proprio 'Summorum Pontificum'). Ne risultarono feriti anche l'identità della Chiesa e il sacerdote.

Negli anni post-conciliari, abbiamo assistito a una sorta di opposizione dialettica tra i difensori del culto liturgico e i promotori dell'apertura verso il mondo. E poiché questi ultimi finivano per ridurre la vita cristiana a soli sforzi sociali, basandosi su un'interpretazione secolare della fede, i primi, per reazione, si rifugiavano nella pura liturgia fino al punto del "rubricismo", col rischio di spingere i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo.

Nell'Esortazione Apostolica 'Sacramentum Caritatis', Papa Benedetto XVI mette fine alla controversia e unifica tale contrapposizione. L'azione liturgica deve riconciliare fede e vita. Proprio come la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo realmente si attualizza in mezzo al suo popolo, la liturgia dà forma eucaristica all'intera vita cristiana rendendola "un'offerta spirituale a Dio gradita". Pertanto, sia l'impegno dei cristiani nel mondo che il mondo stesso, sono chiamati a consacrarsi a Dio mediante la liturgia. L'impegno dei cristiani nella missione della Chiesa e nella società trova infatti sorgente e impulso nella liturgia, fino a venire attirati nel dinamismo dell'offerta dell'amore di Cristo che ivi si rende presente.

Il primato che Benedetto XVI intende dare alla liturgia nella Chiesa - "Il culto liturgico è l'espressione suprema dell'esistenza sacerdotale ed episcopale", egli disse ai vescovi di Francia riuniti a Lourdes in Assemblea Plenaria straordinaria il 14 settembre 2008 - è tale da ricollocare l'adorazione al centro della vita del sacerdote e dei fedeli. Invece e al posto del "cristianesimo secolare" che ha spesso accompagnato la realizzazione della riforma liturgica, Papa Benedetto XVI intende promuovere un "cristianesimo teologico", l'unico capace di servire quella che egli ha definito essere la priorità in questa fase storica, cioè "rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l'accesso a Dio" (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009). Dove infatti meglio che nella liturgia, il sacerdote approfondisce la propria identità, eccellentemente definita dall'autore della Lettera agli Ebrei: "Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati" (Eb. 5, 1)?

L'apertura verso il mondo richiesta dal Vaticano II è stata spesso interpretata, negli anni successivi al Concilio, come una sorta di "conversione alla secolarizzazione". Tale atteggiamento non mancava di generosità, ma portava ad oscurare l'importanza della liturgia e a minimizzare l'osservanza dei riti, considerati troppo distanti dalla vita del mondo che doveva essere amato e col quale occorreva entrare in piena sintonia, fino ad esserne affascinati. Ne è risultata una grave crisi d'identità del sacerdote, il quale non riusciva più a percepire l'importanza della salvezza delle anime e l'obbligo di annunciare al mondo la novità del Vangelo di Salvezza.

Indubbiamente, la liturgia è il luogo privilegiato per approfondire l'identità del sacerdote, che è chiamato a "combattere la secolarizzazione" poiché, come il Signore Gesù dice nella sua preghiera sacerdotale: "Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità" (Gv. 17, 15-17).

Ciò sarà certamente possibile con un'osservanza più rigorosa delle norme liturgiche che preservano il sacerdote dal desiderio, anche inconscio, di attirare l'attenzione dei fedeli sulla sua persona: il rituale liturgico che il celebrante è chiamato a ricevere filialmente dalla Chiesa, permette infatti ai fedeli di accostarsi più facilmente alla presenza di Cristo Signore, di cui la celebrazione liturgica è segno efficace e che sempre deve essere al primo posto.

La liturgia è ferita quando i fedeli sono lasciati all'arbitrarietà del celebrante, alle sue stranezze, alle sue idee personali od opinioni, alle sue stesse ferite. Ne deriva l'importanza di non banalizzare i riti poiché, strappandoci dal mondo secolare e dunque dalla tentazione d'immanentismo, essi hanno il dono di farci immergere subito nel Mistero e di farci aprire al Trascendente.

Al riguardo, non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio che precede la celebrazione liturgica, come in un santuario interiore, nel quale siamo liberati dalle preoccupazioni - anche legittime - del mondo secolare, ed entrare nello spazio e nel tempo sacro dove Dio rivela il suo Mistero; non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio nella liturgia per divenire più disponibili all'azione di Dio; e ancora non si sottolinea mai abbastanza la necessità di un tempo congruo per il ringraziamento, integrato o meno con la celebrazione, per cogliere intimamente la portata della missione che ci attende, una volta tornati nel mondo. L'obbedienza del sacerdote alle rubriche è anche in sé un segno eloquente e silenzioso del suo amore per la Chiesa, della quale egli non è che ministro, anzi servitore.
Da qui deriva pure l'importanza della formazione nella liturgia dei futuri sacerdoti, e specialmente nella partecipazione interiore, senza la quale la partecipazione esteriore invocata dalla riforma, sarebbe senz'anima e favorirebbe una comprensione parziale della liturgia, che si esprimerebbe in termini di eccessiva teatralità dei ruoli, in un cerebralismo riduttivo dei riti e in un'autocelebrazione abusiva dell'assemblea. Se la partecipazione attiva - principio operativo della riforma liturgica - non è l'esercizio del "senso soprannaturale della fede", la liturgia non è più l'opera di Cristo, ma degli uomini. Insistendo sull'importanza della formazione liturgica dei sacerdoti, il Concilio Vaticano II ha fatto della liturgia una delle principali materie degli studi ecclesiastici, evitando di ridurla a una formazione puramente intellettuale. In effetti, prima di essere oggetto di studio, la liturgia è viva, o meglio, "trascende la vita di ciascuno per fonderla con la vita di Cristo". E' l'immersione massima di ogni vita cristiana: immersione nel senso della fede e nel senso della Chiesa, nella lode e nell'adorazione, e nella missione.

Siamo chiamati perciò a un vero "Sursum corda". L'invito del prefazio, "in alto i nostri cuori", introduce i fedeli al cuore dei cuori della liturgia: la Pasqua di Cristo, il suo passaggio cioè da questo mondo al Padre. L'incontro di Gesù risorto con Maria Maddalena la mattina della risurrezione, è molto significativo in questo senso: dicendo "Noli me tangere", Gesù invita Maria Maddalena a "guardare alle cose di lassù", facendole intuire nel suo cuore che egli non è ancora asceso al Padre, e chiedendole di andare a dire ai suoi discepoli che egli deve tornare al suo e nostro Dio, Padre suo e nostro. La liturgia è esattamente il luogo di questa elevazione, del tendere verso Dio che dà alla vita un nuovo orizzonte, il suo decisivo orientamento. Purché noi non la trattiamo come materiale a disposizione delle nostre manipolazioni fin troppo umane, ma osservando, con filiale obbedienza, le prescrizioni della Santa Chiesa.

Come dichiarò Papa Benedetto XVI alla conclusione della sua omelia nella solennità dei SS. Pietro e Paolo nel 2008: "Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo".

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Conferenza tenuta presso la Pontificia Università Lateranense, Roma, 11 marzo 2010.
trad. it. a cura di d. Giorgio Rizzieri

mercoledì 2 maggio 2012

MUERTE - JUICIO - INFIERNO - CIELO


LOS 4 NOVÍSIMOS

Macrosección NOVÍSIMOS
"Meditare Novissima tua et in aeternum non peccabis" (Ecli 7, 40)
"Recuerda tus postrimerías, y nunca pecarás"
MUERTE - JUICIO - INFIERNO - CIELO

MUERTE: 
Si viviéramos cada día como si fuese el último, como si ese mismo debía debiéramos morir, ¡qué distinta sería nuestra vida! ¡Cuánto más aprovecharíamos el tiempo, sin perderlo en pasatiempos inútiles y divirtiéndonos más de lo conveniente y necesario para distender el espíritu!
¿Y por qué hoy no puede ser el día de nuestra muerte? ¿Acaso tenemos la vida comprada? Ya Jesús nos ha dicho que Él llegará a la hora del ladrón, cuando nadie lo espera. Y si bien esto se puede entender de su venida gloriosa, también hay que entenderlo para el momento de nuestra muerte corporal, que nos llegará a la hora y el día menos pensados.
No es pesimismo pensar en la muerte, porque una de las cosas que son seguras en este mundo es que un día moriremos. Dejaremos todo para partir a la eternidad sólo con nuestras obras, buenas y malas. Tengámoslo presente todos los días, para vivir bien esta prueba que es la vida sobre la tierra. 

JUICIO: 
Dios es la bondad infinita, pero también es la Justicia infinita. Y basta ver cómo tuvo que morir Jesús, cómo el Padre cargó sobre Él su mano justiciera, para entender un poco que los pecados tienen que ser castigados.
Si bien Dios es misericordioso, la Misericordia de Dios se aplica en este mundo, porque desde el momento de la muerte sólo queda la Justicia divina y ya no hay posibilidad de vuelta atrás.
¿Y nosotros vamos por la vida tan despreocupados, sin poner la voluntad de ser santos y de evitar toda clase de pecados?
Recordemos que Jesús ha dicho en el Evangelio que en el día del Juicio se pedirá cuenta a los hombres hasta de una palabra ociosa que hayan pronunciado sin necesidad.
¡Qué santo debe ser todo nuestro vivir, sabiendo que seremos juzgados por quien es tres veces santo!
Aprovechemos el tiempo de vida en este mundo para hacer obras de misericordia, ya que quien es misericordioso, recibirá misericordia de Dios.

INFIERNO: 
Hagamos por un instante el ejercicio mental de que estamos ya condenados en el Infierno. Que por haber muerto en pecado mortal, sin arrepentirnos, nos hemos ido al Infierno.
Verdaderamente el hacer este ejercicio nos debe llenar de pavor y de santos deseos de ir al Cielo y evitar el Infierno, porque el sólo imaginar semejante desgracia, nos hela la sangre y nos da un santo celo para trabajar por nuestra propia salvación y la salvación de las almas.
La pastorcita de Fátima, Jacinta Marto, pedía a Dios que mostrara a los pecadores el Infierno, para que se arrepintieran e hicieran penitencia, porque ella lo había visto y le vinieron unos deseos enormes de salvar pecadores, sólo por haber contemplado el Infierno.
Es bueno tener confianza en Dios. Pero a veces podemos caer en la presunción, es decir, en creer que nos salvaremos sin hacer nada y dejándonos llevar por las cosas de la vida, y como por inercia iremos al Cielo. Tengamos cuidado con esto porque ya lo ha dicho el Señor en el Evangelio que sólo los esforzados entrarán por la puerta estrecha, y que muchos tratarán de entrar y no lo conseguirán. 

CIELO: 
Y también, cuando estemos tristes o abatidos, pensemos en el Cielo que nos espera. Hagamos el ejercicio con la imaginación de que ya estamos en el Paraíso, ¡para siempre! ¡Qué felicidad! ¡Qué ganas dan de pedir a Dios que acelere ese momento, que nos mande la muerte cuanto antes para poder llegar a esa meta, donde ya no hay preocupación ni temor por perder el tesoro de la gracia, por perder la Felicidad sin fin!
Cuando la angustia nos visite, recemos el Rosario en los misterios gloriosos, y sumerjámonos en los misterios del Reino de los Cielos, para tener ánimo y enfrentar la prueba que es la vida sobre esta tierra.
Luchemos por este triunfo, porque valen la pena todos los esfuerzos, todas las renuncias, todos los sufrimientos, todos los trabajos, con tal de ganar este Paraíso que Dios ha hecho para los que le aman.
Pero no esperemos a llegar al Cielo para empezar a gozar de él, sino comencemos a vivir como resucitados, como bienaventurados ya aquí en la tierra, porque en esperanza ya estamos salvados, y por la misericordia de Dios esperamos obtener la corona de la victoria.


Catecismo para niños
LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

Dio non si stanca di andare incontro all’uomo. "Rivolgiamoci a Dio, prendiamo contatto reale con Dio con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono ad un Padre che li ama in modo infinito".







All’udienza generale il Papa parla della preghiera di santo Stefano


Dio non si stanca di andare incontro all’uomo


Dio non si stanca di andare incontro all’uomo. Anche se spesso trova atteggiamenti di incomprensione e diffidenza, quando non di «ostinata opposizione». 

Lo ha ricordato il Papa all’udienza generale di mercoledì 2 maggio, in piazza San Pietro, parlando della testimonianza e della preghiera di santo Stefano, uno dei sette diaconi scelti dagli apostoli per svolgere il servizio della carità ai bisognosi.

Proprio riferendosi al discorso pronunciato dal primo martire cristiano di fronte al Sinedrio, il Papa ha sottolineato che egli «rilegge tutta la narrazione biblica, itinerario contenuto nella Sacra Scrittura, per mostrare che esso conduce al “luogo” della presenza definitiva di Dio, che è Gesù Cristo, in particolare la sua passione, morte e risurrezione». 
In questa prospettiva Stefano legge anche il suo essere discepolo di Gesù fino alla scelta del martirio, che diventa così «il compimento della sua vita e del suo messaggio».

Secondo il protomartire, dunque, «il nuovo tempio in cui Dio abita è il suo Figlio, che ha assunto la carne umana, è l’umanità di Cristo, il Risorto che raccoglie i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue». In Lui «Dio e uomo, Dio e il mondo sono realmente in contatto». Gesù infatti «prende su di sé tutto il peccato dell’umanità per portarlo nell’amore di Dio e per “bruciarlo” in questo amore».
Accostarsi alla Croce vuol dire quindi «entrare in questa trasformazione». Come ha fatto lo stesso Stefano, che con il martirio è divenuto «una cosa sola con Cristo». 

La sua testimonianza mostra ai credenti che proprio nel rapporto con Dio il santo «ha tratto la forza per affrontare i suoi persecutori e giungere fino al dono di se stesso». Anche la nostra preghiera — ha raccomandato in proposito il Papa — «dev’essere nutrita dall’ascolto della Parola di Dio, nella comunione con Gesù e la sua Chiesa».

Dalla vicenda di Stefano risalta in particolare la visione del rapporto di amore tra Dio e l’uomo, nel quale viene preannunciata la figura e la missione di Gesù. Egli — ha evidenziato Benedetto xvi — è «il tempio in cui la presenza di Dio Padre si è fatta così vicina da entrare nella nostra carne umana per portarci a Dio, per aprirci le porte del Cielo». La nostra preghiera, dunque, «deve essere contemplazione di Gesù alla destra di Dio, di Gesù come Signore della nostra, della mia esistenza quotidiana». Perché solo in Lui «possiamo anche noi rivolgerci a Dio, prendere contatto reale con Dio con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono ad un Padre che li ama in modo infinito».


(©L'Osservatore Romano 2 - 3 maggio 2012)

Papa Ratzinger: “La forza per affrontare i persecutori viene dal rapporto con Dio”

Clicca qui per leggere il commento segnalatoci da Laura.

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Vis Evangelii 
dæmones fugat, atria cœli pandet,
Virtutes confert reparatque salutem.