"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
martedì 14 gennaio 2014
Marsili
Ancora attivo il vulcano sottomarino Marsili
Marsili, il più grande vulcano sottomarino d'Europa e del Mediterraneo, che si estende sui fondali del Mar Tirreno - tra Calabria e Sicilia - per 70 Km di lunghezza e oltre 30 di larghezza, è ancora attivo.
Lo stabilisce uno studio del gruppo di ricerca internazionale, che comprende il Cnr di Napoli e l'Istituto nazionale di geofisica.
L'esplorazione - cominciata nel 2006 - ha confermato la natura POTENZIALMENTE ESPLOSIVA del vulcano. Non è da escludere che il Marsili venga inserito nella lista dei vulcani italiani attivi.
(Fonte: televideo RAI del 14 gen 2014)
Pubblicato da Allison Misti a 11:57
Più attenzione!
Le parolacce si scontano duramente in Purgatorio.
Sempre più gente - oggi - confonde il diritto di parola (sancito dalla Costituzione) con il diritto alla parolaccia. In realtà, il turpiloquio è vietato dal sesto Comandamento e si sconta lungamente in Purgatorio.
Preghiamo affinché lo Spirito Santo irradi con potenza quanti - nel mondo - si esprimono in modo turpe.
Dio vi compensi.
Pubblicato da Allison Misti a 06:07
Una donna che vendeva il proprio corpo
Testimonianze dall’Inferno
Scritto da Simone Iuliano
Una donna che vendeva il proprio corpo
Roma, 1873.
A Roma, nel 1873, verso la metà di agosto, una delle povere ragazze che vendevano il loro corpo in una casa di tolleranza si ferì a una mano. II male, che a prima vista sembrava leggero, inaspettatamente si aggravò, tanto che quella povera donna fu trasportata urgentemente all’ospedale, dove morì poco dopo.
In quel preciso momento, una ragazza che praticava lo stesso “mestiere” nella stessa casa, e che non poteva sapere ciò che stava avvenendo alla sua “collega” finita all’ospedale, cominciò a urlare con grida disperate, tanto che le sue compagne si svegliarono impaurite.
Per le grida si svegliarono anche alcuni abitanti del quartiere e ne nacque uno scompiglio tale che intervenne la questura. Cos’era successo? La compagna morta all’ospedale le era apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: “Io sono dannata! E se non vuoi finire anche tu dove sono finita io, esci subito da questo luogo di infamia e ritorna a Dio!“.
Nulla poté calmare l’agitazione di quella ragazza, tanto che, appena spuntata l’alba, se ne partì lasciando tutte le altre nello stupore, specialmente non appena giunse la notizia della morte della compagna avvenuta poche ore prima all’ospedale.
Poco dopo, la padrona di quel luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemente e, ben ricordando l’apparizione della ragazza dannata, si convertì e chiese un sacerdote per poter ricevere i santi Sacramenti.
L’autorità ecclesiastica incaricò della cosa un degno sacerdote, Mons. Sirolli, che era il parroco di San Salvatore in Lauro. Questi richiese all’inferma, alla presenza di più testimoni, di ritrattare tutte le sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e di esprimere il proposito fermo di mettere fine all’infame lavoro che aveva fatto fino allora.
Quella povera donna morì, pentita, con i conforti religiosi. Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di questo fatto. Gli incalliti nel male, com’era prevedibile, si burlarono dell’accaduto; i buoni, invece, ne approfittarono per diventare migliori.
Una vedova di 29 anni ricca e corrotta
Londra, 1848.
Viveva a Londra, nel 1848, una vedova di ventinove anni, ricca e molto corrotta.
Tra gli uomini che frequentavano la sua casa, c’era un giovane lord di condotta notoriamente libertina. Una notte quella donna era a letto e stava leggendo un romanzo per conciliare il sonno. Appena spense la candela per addormentarsi, si accorse che una luce strana, proveniente dalla porta, si diffondeva nella camera e cresceva sempre più. Non riuscendo a spiegarsi il fenomeno, meravigliata spalancò gli occhi. La porta della camera si aprì lentamente ed apparve il giovane lord, che era stato tante volte complice dei suoi peccati. Prima che essa potesse proferire parola, il giovane le fu vicino, l’afferrò per il polso e disse: “C’è un inferno, dove si brucia!“.
La paura e il dolore che quella povera donna sentì al polso furono così forti che svenne all’istante.
Dopo circa mezz’ora, ripresasi, chiamò la cameriera la quale, entrando nella stanza, sentì un forte odore di bruciato e constatò che la signora aveva al polso una scottatura così profonda da lasciar vedere l’osso e con la forma della mano di un uomo. Notò anche che, a partire dalla porta, sul tappeto c’erano le impronte dei passi di un uomo e che il tessuto era bruciato da una parte all’altra. II giorno seguente la signora seppe che la stessa notte quel giovane lord era morto. Questo episodio è narrato daGaston De Sègur (1820 – 1881) che così commenta: “Non so se quella donna si sia convertita; so però che vive ancora. Per coprire agli sguardi della gente le tracce della sua scottatura, sul polso sinistro porta una larga fascia d’oro in forma di braccialetto che non toglie mai e per questo particolare viene chiamata la signora del braccialetto“.
La testimonianza di Sant’Alfonso Maria De’ Liguori
Parigi, XVIII secolo.
Sant’Alfonso Maria De’ Liguori (1696 – 1787), Vescovo e Dottore della Chiesa, e quindi particolarmente degno di fede, riporta il seguente episodio. Quando l’università di Parigi si trovava nel periodo di maggior splendore, uno dei suoi più celebri professori morì improvvisamente. Nessuno si sarebbe immaginato la sua terribile sorte, tanto meno il Vescovo di Parigi, suo intimo amico, che pregava ogni giorno in suffragio di quell’anima. Una notte, mentre pregava per il defunto, se lo vide apparire davanti in forma incandescente, col volto disperato. II Vescovo, compreso che l’amico era dannato, gli rivolse alcune domande; gli chiese tra l’altro: “All’inferno ti ricordi ancora delle scienze per le quali eri così famoso in vita?“.
“Che scienze… che scienze! In compagnia dei demoni abbiamo ben altro a cui pensare! Questi spiriti malvagi non ci danno un momento di tregua e ci impediscono di pensare a qualunque altra cosa che non siano le nostre colpe e le nostre pene. Queste sono già tremende e spaventose, ma i demoni ce le inaspriscono in modo da alimentare in noi una continua disperazione!”
Al funerale il deceduto si rianima e dichiara le sue colpe
Ed ecco un altro fatto sconvolgente, avvenuto alla presenza di migliaia di testimoni ed esaminato in tutti i particolari dai dottissimi Bollandisti. Era morto a Parigi il professore della Sorbona Raimond Diocré. Nella chiesa di Nòtre Dame si svolgevano i solenni funerali. Oltre a molti semplici fedeli vi parteciparono numerosi professori e discepoli del defunto. La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l’uso di quel tempo, da un semplice velo. Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito: “Rispondimi: quante iniquità e peccati hai…?“, si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: “Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!“. Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo. La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale. Poco dopo il cadavere si alzò davanti a tutti e gridò con voce ancora più forte di prima: “Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!“. Lo spavento dei presenti giunse al colmo. Alcuni medici si avvicinarono al defunto, ripiombato nella sua immobilità, e constatarono che era veramente morto. Non si ebbe però il coraggio, per quel giorno, di continuare il funerale e si rimandò al domani. Intanto le autorità ecclesiastiche non sapevano che cosa decidere. Alcuni dicevano: “È dannato; non è degno delle preghiere della Chiesa!“. Altri osservavano: “Non si può essere sicuri che Diocré sia dannato! Ha detto di essere stato accusato e giudicato, ma non condannato“. Anche il Vescovo fu di questo parere. II giorno seguente fu ripetuto l’ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito: “Rispondimi…” il cadavere si alzò nuovamente da sotto il velo funebre e gridò: “Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all’inferno per sempre!“. Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune.
Il prodigio era evidentissimo e molti si convertirono. Tra i presenti c’era un certo Brunone, discepolo e ammiratore del Diocré; era già un buon cristiano, ma in quell’occasione decise di lasciare le attrattive del mondo e di darsi alla penitenza. Altri seguirono il suo esempio. Brunone divenne fondatore di un Ordine Religioso, il più rigoroso della Chiesa Cattolica: l’Ordine dei Certosini. In seguito morì da Santo. Chi va oggi a Serra San Bruno, in Calabria, può visitare il monastero fatto costruire dal Santo, ove sono sepolti, tra gli altri, non pochi uomini illustri che hanno lasciato tutto per dedicarsi interamente alla preghiera, al lavoro, all’aspra penitenza e al più rigoroso silenzio. II mondo potrà giudicare pazzi costoro, ma in realtà sono sapienti; seguendo le orme del fondatore, al pensiero dell’Inferno, perseverano nella vita di mortificazione per guadagnarsi il Paradiso.
LA PERDITA DI DIO ALL’INFERNO: IL PENSIERO DEI SANTI
● San Giovanni Crisostomo (354 – 407) dice: “Se tu dirai mille inferni, non avrai ancora detto nulla che possa uguagliare la perdita di Dio“.
● Sant’Agostino (354 – 430) insegna: “Se i dannati godessero la vista di Dio non sentirebbero i loro tormenti e lo stesso Inferno si cambierebbe in Paradiso“.
● San Brunone (1030 – 1101), parlando del Giudizio Universale, nel suo libro dei “Sermoni” scrive: “Si aggiungano pure tormenti a tormenti; tutto è nulla davanti alla privazione di Dio“.
● Sant’Alfonso (1696 – 1787) precisa: “Se udissimo un dannato piangere e gli chiedessimo il perchè, ci sentiremo rispondere «Perchè ho perduto Dio!». Almeno il dannato potesse amare il suo Dio e rassegnarsi alla sua volontà! Ma non può farlo. È costretto a odiare il suo Creatore nello stesso tempo che lo riconosce degno d’amore“.
Letanía de Jesús a la Humanidad
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lunedì 13 gennaio 2014
Imparare ad ascoltare
Preziosissimi ammaestramenti di Papa Benedetto XVI
"San Bonaventura disse una volta che gli Angeli, ovunque vadano, per quanto lontano, si muovono sempre all’interno di Dio". L’incontro di Benedetto XVI con i seminaristi del Seminario di Freiburg im Breisgau
Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /09 /2011 -
Riprendiamo sul nostro sito il discorso di Benedetto XVI nell’incontro con i seminaristi nella Cappella di San Carlo Borromeo del Seminario di Freiburg im Breisgau, del 24 settembre 2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
È per me una grande gioia poter incontrarmi qui con giovani, che si incamminano per servire il Signore; che ascoltano la sua chiamata e vogliono seguirlo. Vorrei ringraziare in modo particolarmente caloroso per la bella lettera, che il Rettore del seminario e i seminaristi mi hanno scritto. Mi ha veramente toccato il cuore vedere come avete riflettuto sulla mia lettera e su di essa avete sviluppato le vostre domande e risposte; con quale serietà accogliete ciò che ho tentato di proporre e, in base a questo, sviluppate la vostra propria via.
Certamente la cosa più bella sarebbe se potessimo avere un dialogo insieme, ma l’orario del viaggio, al quale sono obbligato e devo obbedire, purtroppo, non permette cose del genere. Posso quindi soltanto cercare di sottolineare ancora una volta alcuni pensieri alla luce di ciò che avete scritto e di ciò che io avevo scritto.
Nel contesto della domanda: “Di che cosa fa parte il seminario; che cosa significa questo periodo?” in fondo, mi colpisce sempre più di tutto il modo in cui san Marco, nel terzo capitolo del suo Vangelo, descrive la costituzione della comunità degli Apostoli: “Il Signore fece i Dodici”. Egli crea qualcosa, Egli fa qualcosa, si tratta di un atto creativo.
Ed Egli li fece, “perché stessero con Lui e per mandarli” (cfr Mc 3,14): questa è una duplice volontà che, sotto certi aspetti, sembra contraddittoria. “Perché stessero con Lui”: devono stare con Lui, per arrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, per lasciarsi plasmare da Lui; devono andare con Lui, essere con Lui in cammino, intorno a Lui e dietro di Lui. Ma allo stesso tempo devono essere degli inviati che partono, che portano fuori ciò che hanno imparato, lo portano agli altri uomini in cammino – verso la periferia, nel vasto ambiente, anche verso ciò che è molto lontano da Lui.
E tuttavia, questi aspetti paradossali vanno insieme: se essi sono veramente con Lui, allora sono sempre anche in cammino verso gli altri, allora sono in ricerca della pecorella smarrita, allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, allora devono farLo conoscere, diventare inviati. E viceversa: se vogliono essere veri inviati, devono stare sempre con Lui. San Bonaventura disse una volta che gli Angeli, ovunque vadano, per quanto lontano, si muovono sempre all’interno di Dio.
Così è anche qui: come sacerdoti dobbiamo uscire fuori nelle molteplici strade in cui si trovano gli uomini, per invitarli al suo banchetto nuziale. Ma lo possiamo fare solo rimanendo sempre presso di Lui. Ed imparare ciò, questo insieme di uscire fuori, di essere mandati, e di essere con Lui, di rimanere presso di Lui, è – credo – proprio ciò che dobbiamo imparare nel seminario. Il modo giusto del rimanere con Lui, il venire profondamente radicati in Lui – essere sempre di più con Lui, conoscerLo sempre di più, sempre di più non separarsi da Lui – e al contempo uscire sempre di più, portare il messaggio, trasmetterlo, non tenerlo per sé, ma portare la Parola a coloro che sono lontani e che, tuttavia, in quanto creature di Dio e amati da Cristo, portano nel cuore il desiderio di Lui.
Il seminario è dunque un tempo dell’esercitarsi; certamente anche del discernere e dell’imparare: Egli mi vuole per questo? La vocazione deve essere verificata, e di questo fa poi parte la vita comunitaria e fa parte naturalmente il dialogo con le guide spirituali che avete, per imparare a discernere ciò che è la sua volontà. E poi apprendere la fiducia: se Egli lo vuole veramente, allora posso affidarmi a Lui. Nel mondo di oggi, che si trasforma in modo incredibile e in cui tutto cambia continuamente, in cui i legami umani si scindono perché avvengono nuovi incontri, diventa sempre più difficile credere: io resisterò per tutta la vita. Già per noi, ai nostri tempi, non era tanto facile immaginare quanti decenni Dio avrebbe forse inteso darmi, quanto sarebbe cambiato il mondo.
Persevererò con Lui così come Gliel’ho promesso?... È una domanda che, appunto, esige la verifica della vocazione, ma poi – più riconosco: sì, Egli mi vuole – anche la fiducia: se mi vuole, allora anche mi sorreggerà; nell’ora della tentazione, nell’ora del pericolo sarà presente e mi darà persone, mi mostrerà vie, mi sosterrà. E la fedeltà è possibile, perché Egli è sempre presente, e perché Egli esiste ieri, oggi e domani; perché Egli non appartiene soltanto a questo tempo, ma è futuro e può sorreggerci in ogni momento.
Un tempo di discernimento, di apprendimento, di chiamata… E poi, naturalmente, in quanto tempo dell’essere con Lui, tempo di preghiera, di ascolto di Lui. Ascoltare, imparare ad ascoltarlo veramente – nella Parola della Sacra Scrittura, nella fede della Chiesa, nella liturgia della Chiesa – ed apprendere l’oggi nella sua Parola. Nell’esegesi impariamo tante cose sull’ieri: tutto ciò che c’era allora, quali fonti vi sono, quali comunità esistevano e così via. Anche questo è importante. Ma più importante è che in questo ieri noi apprendiamo l’oggi; che Egli con queste parole parla adesso e che esse portano tutte in sé il loro oggi, e che, al di là del loro inizio storico, recano in sé una pienezza che parla a tutti i tempi.
Ed è importante imparare questa attualità del suo parlare – imparare ad ascoltare – e così poterne parlare agli altri uomini. Certo, quando si prepara l’omelia per la Domenica, questo parlare… , o Dio, è spesso così lontano! Se io, però, vivo con la Parola, allora vedo che non è affatto lontana, è attualissima, è presente adesso, riguarda me e riguarda gli altri. E allora imparo anche a spiegarla. Ma per questo occorre un cammino costante con la Parola di Dio.
Lo stare personalmente con Cristo, con il Dio vivente, è una cosa; l’altra cosa è che sempre soltanto nel “noi” possiamo credere. A volte dico: san Paolo ha scritto: “La fede viene dall’ascolto” – non dal leggere. Ha bisogno anche del leggere, ma viene dall’ascolto, cioè dalla parola vivente, dalle parole che gli altri rivolgono a me e che posso sentire; dalle parole della Chiesa attraverso tutti i tempi, dalla parola attuale che essa mi rivolge mediante i sacerdoti, i Vescovi e i fratelli e le sorelle.
Fa parte della fede il “tu” del prossimo, e fa parte della fede il “noi”. E proprio l’esercitarsi nella sopportazione vicendevole è qualcosa di molto importante; imparare ad accogliere l’altro come altro nella sua differenza, ed imparare che egli deve sopportare me nella mia differenza, per diventare un “noi”, affinché un giorno anche nella parrocchia possiamo formare una comunità, chiamare le persone ad entrare nella comunanza della Parola ed essere insieme in cammino verso il Dio vivente.
Fa parte di ciò il “noi” molto concreto, come lo è il seminario, come lo sarà la parrocchia, ma poi sempre anche il guardare oltre il “noi” concreto e limitato al grande “noi” della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, per non fare di noi stessi il criterio assoluto. Quando diciamo: “Noi siamo Chiesa” – sì, è vero: siamo noi, non qualunque persona. Ma il “noi” è più ampio del gruppo che lo sta dicendo. Il “noi” è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi.
E dico poi sempre: nella comunità dei fedeli, sì, lì esiste, per così dire, il giudizio della maggioranza di fatto, ma non può mai esserci una maggioranza contro gli Apostoli e contro i Santi: ciò sarebbe una falsa maggioranza. Noi siamo Chiesa: Siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!
Credo che, in base all’orario, dovrei forse concludere. Vorrei soltanto dirvi ancora una cosa. La preparazione al sacerdozio, il cammino verso di esso, richiede anzitutto anche lo studio. Non si tratta di una casualità accademica che si è formata nella Chiesa occidentale, ma è qualcosa di essenziale. Sappiamo tutti che san Pietro ha detto: “Siate sempre pronti ad offrire a chiunque vi domandi, come risposta, la ragione, il logos della vostra fede” (cfr 1Pt 3,15).
Il nostro mondo oggi è un mondo razionalistico e condizionato dalla scientificità, anche se molto spesso si tratta di una scientificità solo apparente. Ma lo spirito della scientificità, del comprendere, dello spiegare, del poter sapere, del rifiuto di tutto ciò che non è razionale, è dominante nel nostro tempo. C’è in questo pure qualcosa di grande, anche se spesso dietro si nasconde molta presunzione ed insensatezza. La fede non è un mondo parallelo del sentimento, che poi ci permettiamo come un di più, ma è ciò che abbraccia il tutto, gli dà senso, lo interpreta e gli dà anche le direttive etiche interiori, affinché sia compreso e vissuto in vista di Dio e a partire da Dio.
Per questo è importante essere informati, comprendere, avere la mente aperta, imparare. Naturalmente, fra vent’anni saranno di moda teorie filosofiche totalmente diverse da quelle di oggi: se penso a ciò che tra noi era la più alta e la più moderna moda filosofica e vedo come tutto ciò ormai sia dimenticato… Ciononostante non è inutile imparare queste cose, perché in esse ci sono anche elementi durevoli. E soprattutto con ciò impariamo a giudicare, a seguire mentalmente un pensiero – e a farlo in modo critico – ed impariamo a far sì che, nel pensare, la luce di Dio ci illumini e non si spenga.
Studiare è essenziale: soltanto così possiamo far fronte al nostro tempo ed annunciare ad esso il logos della nostra fede. Studiare anche in modo critico – nella consapevolezza, appunto, che domani qualcun altro dirà qualcosa di diverso – ma essere studenti attenti ed aperti ed umili, per studiare sempre con il Signore, dinanzi al Signore e per Lui.
Sì, potrei dire ancora tante cose, e dovrei forse farlo… Ma ringrazio per l’ascolto. E nella preghiera tutti i seminaristi del mondo sono presenti nel mio cuore – non così bene, con i singoli nomi, come li ho ricevuti qui, ma tuttavia in un cammino interiore verso il Signore: che Egli benedica tutti, a tutti dia luce ed indichi loro la strada giusta, e ci doni molti buoni sacerdoti. Grazie di cuore.
Il Centro culturale Gli scritti (26/9/2011)
Cari seminaristi, cari fratelli e sorelle!È per me una grande gioia poter incontrarmi qui con giovani, che si incamminano per servire il Signore; che ascoltano la sua chiamata e vogliono seguirlo. Vorrei ringraziare in modo particolarmente caloroso per la bella lettera, che il Rettore del seminario e i seminaristi mi hanno scritto. Mi ha veramente toccato il cuore vedere come avete riflettuto sulla mia lettera e su di essa avete sviluppato le vostre domande e risposte; con quale serietà accogliete ciò che ho tentato di proporre e, in base a questo, sviluppate la vostra propria via.
Certamente la cosa più bella sarebbe se potessimo avere un dialogo insieme, ma l’orario del viaggio, al quale sono obbligato e devo obbedire, purtroppo, non permette cose del genere. Posso quindi soltanto cercare di sottolineare ancora una volta alcuni pensieri alla luce di ciò che avete scritto e di ciò che io avevo scritto.
Nel contesto della domanda: “Di che cosa fa parte il seminario; che cosa significa questo periodo?” in fondo, mi colpisce sempre più di tutto il modo in cui san Marco, nel terzo capitolo del suo Vangelo, descrive la costituzione della comunità degli Apostoli: “Il Signore fece i Dodici”. Egli crea qualcosa, Egli fa qualcosa, si tratta di un atto creativo.
Ed Egli li fece, “perché stessero con Lui e per mandarli” (cfr Mc 3,14): questa è una duplice volontà che, sotto certi aspetti, sembra contraddittoria. “Perché stessero con Lui”: devono stare con Lui, per arrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, per lasciarsi plasmare da Lui; devono andare con Lui, essere con Lui in cammino, intorno a Lui e dietro di Lui. Ma allo stesso tempo devono essere degli inviati che partono, che portano fuori ciò che hanno imparato, lo portano agli altri uomini in cammino – verso la periferia, nel vasto ambiente, anche verso ciò che è molto lontano da Lui.
E tuttavia, questi aspetti paradossali vanno insieme: se essi sono veramente con Lui, allora sono sempre anche in cammino verso gli altri, allora sono in ricerca della pecorella smarrita, allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, allora devono farLo conoscere, diventare inviati. E viceversa: se vogliono essere veri inviati, devono stare sempre con Lui. San Bonaventura disse una volta che gli Angeli, ovunque vadano, per quanto lontano, si muovono sempre all’interno di Dio.
Così è anche qui: come sacerdoti dobbiamo uscire fuori nelle molteplici strade in cui si trovano gli uomini, per invitarli al suo banchetto nuziale. Ma lo possiamo fare solo rimanendo sempre presso di Lui. Ed imparare ciò, questo insieme di uscire fuori, di essere mandati, e di essere con Lui, di rimanere presso di Lui, è – credo – proprio ciò che dobbiamo imparare nel seminario. Il modo giusto del rimanere con Lui, il venire profondamente radicati in Lui – essere sempre di più con Lui, conoscerLo sempre di più, sempre di più non separarsi da Lui – e al contempo uscire sempre di più, portare il messaggio, trasmetterlo, non tenerlo per sé, ma portare la Parola a coloro che sono lontani e che, tuttavia, in quanto creature di Dio e amati da Cristo, portano nel cuore il desiderio di Lui.
Il seminario è dunque un tempo dell’esercitarsi; certamente anche del discernere e dell’imparare: Egli mi vuole per questo? La vocazione deve essere verificata, e di questo fa poi parte la vita comunitaria e fa parte naturalmente il dialogo con le guide spirituali che avete, per imparare a discernere ciò che è la sua volontà. E poi apprendere la fiducia: se Egli lo vuole veramente, allora posso affidarmi a Lui. Nel mondo di oggi, che si trasforma in modo incredibile e in cui tutto cambia continuamente, in cui i legami umani si scindono perché avvengono nuovi incontri, diventa sempre più difficile credere: io resisterò per tutta la vita. Già per noi, ai nostri tempi, non era tanto facile immaginare quanti decenni Dio avrebbe forse inteso darmi, quanto sarebbe cambiato il mondo.
Persevererò con Lui così come Gliel’ho promesso?... È una domanda che, appunto, esige la verifica della vocazione, ma poi – più riconosco: sì, Egli mi vuole – anche la fiducia: se mi vuole, allora anche mi sorreggerà; nell’ora della tentazione, nell’ora del pericolo sarà presente e mi darà persone, mi mostrerà vie, mi sosterrà. E la fedeltà è possibile, perché Egli è sempre presente, e perché Egli esiste ieri, oggi e domani; perché Egli non appartiene soltanto a questo tempo, ma è futuro e può sorreggerci in ogni momento.
Un tempo di discernimento, di apprendimento, di chiamata… E poi, naturalmente, in quanto tempo dell’essere con Lui, tempo di preghiera, di ascolto di Lui. Ascoltare, imparare ad ascoltarlo veramente – nella Parola della Sacra Scrittura, nella fede della Chiesa, nella liturgia della Chiesa – ed apprendere l’oggi nella sua Parola. Nell’esegesi impariamo tante cose sull’ieri: tutto ciò che c’era allora, quali fonti vi sono, quali comunità esistevano e così via. Anche questo è importante. Ma più importante è che in questo ieri noi apprendiamo l’oggi; che Egli con queste parole parla adesso e che esse portano tutte in sé il loro oggi, e che, al di là del loro inizio storico, recano in sé una pienezza che parla a tutti i tempi.
Ed è importante imparare questa attualità del suo parlare – imparare ad ascoltare – e così poterne parlare agli altri uomini. Certo, quando si prepara l’omelia per la Domenica, questo parlare… , o Dio, è spesso così lontano! Se io, però, vivo con la Parola, allora vedo che non è affatto lontana, è attualissima, è presente adesso, riguarda me e riguarda gli altri. E allora imparo anche a spiegarla. Ma per questo occorre un cammino costante con la Parola di Dio.
Lo stare personalmente con Cristo, con il Dio vivente, è una cosa; l’altra cosa è che sempre soltanto nel “noi” possiamo credere. A volte dico: san Paolo ha scritto: “La fede viene dall’ascolto” – non dal leggere. Ha bisogno anche del leggere, ma viene dall’ascolto, cioè dalla parola vivente, dalle parole che gli altri rivolgono a me e che posso sentire; dalle parole della Chiesa attraverso tutti i tempi, dalla parola attuale che essa mi rivolge mediante i sacerdoti, i Vescovi e i fratelli e le sorelle.
Fa parte della fede il “tu” del prossimo, e fa parte della fede il “noi”. E proprio l’esercitarsi nella sopportazione vicendevole è qualcosa di molto importante; imparare ad accogliere l’altro come altro nella sua differenza, ed imparare che egli deve sopportare me nella mia differenza, per diventare un “noi”, affinché un giorno anche nella parrocchia possiamo formare una comunità, chiamare le persone ad entrare nella comunanza della Parola ed essere insieme in cammino verso il Dio vivente.
Fa parte di ciò il “noi” molto concreto, come lo è il seminario, come lo sarà la parrocchia, ma poi sempre anche il guardare oltre il “noi” concreto e limitato al grande “noi” della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, per non fare di noi stessi il criterio assoluto. Quando diciamo: “Noi siamo Chiesa” – sì, è vero: siamo noi, non qualunque persona. Ma il “noi” è più ampio del gruppo che lo sta dicendo. Il “noi” è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi.
E dico poi sempre: nella comunità dei fedeli, sì, lì esiste, per così dire, il giudizio della maggioranza di fatto, ma non può mai esserci una maggioranza contro gli Apostoli e contro i Santi: ciò sarebbe una falsa maggioranza. Noi siamo Chiesa: Siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!
Credo che, in base all’orario, dovrei forse concludere. Vorrei soltanto dirvi ancora una cosa. La preparazione al sacerdozio, il cammino verso di esso, richiede anzitutto anche lo studio. Non si tratta di una casualità accademica che si è formata nella Chiesa occidentale, ma è qualcosa di essenziale. Sappiamo tutti che san Pietro ha detto: “Siate sempre pronti ad offrire a chiunque vi domandi, come risposta, la ragione, il logos della vostra fede” (cfr 1Pt 3,15).
Il nostro mondo oggi è un mondo razionalistico e condizionato dalla scientificità, anche se molto spesso si tratta di una scientificità solo apparente. Ma lo spirito della scientificità, del comprendere, dello spiegare, del poter sapere, del rifiuto di tutto ciò che non è razionale, è dominante nel nostro tempo. C’è in questo pure qualcosa di grande, anche se spesso dietro si nasconde molta presunzione ed insensatezza. La fede non è un mondo parallelo del sentimento, che poi ci permettiamo come un di più, ma è ciò che abbraccia il tutto, gli dà senso, lo interpreta e gli dà anche le direttive etiche interiori, affinché sia compreso e vissuto in vista di Dio e a partire da Dio.
Per questo è importante essere informati, comprendere, avere la mente aperta, imparare. Naturalmente, fra vent’anni saranno di moda teorie filosofiche totalmente diverse da quelle di oggi: se penso a ciò che tra noi era la più alta e la più moderna moda filosofica e vedo come tutto ciò ormai sia dimenticato… Ciononostante non è inutile imparare queste cose, perché in esse ci sono anche elementi durevoli. E soprattutto con ciò impariamo a giudicare, a seguire mentalmente un pensiero – e a farlo in modo critico – ed impariamo a far sì che, nel pensare, la luce di Dio ci illumini e non si spenga.
Studiare è essenziale: soltanto così possiamo far fronte al nostro tempo ed annunciare ad esso il logos della nostra fede. Studiare anche in modo critico – nella consapevolezza, appunto, che domani qualcun altro dirà qualcosa di diverso – ma essere studenti attenti ed aperti ed umili, per studiare sempre con il Signore, dinanzi al Signore e per Lui.
Sì, potrei dire ancora tante cose, e dovrei forse farlo… Ma ringrazio per l’ascolto. E nella preghiera tutti i seminaristi del mondo sono presenti nel mio cuore – non così bene, con i singoli nomi, come li ho ricevuti qui, ma tuttavia in un cammino interiore verso il Signore: che Egli benedica tutti, a tutti dia luce ed indichi loro la strada giusta, e ci doni molti buoni sacerdoti. Grazie di cuore.
domenica 12 gennaio 2014
sabato 11 gennaio 2014
Sebbene i Cattolici siano consapevoli del potere dell’Eucaristia, molti non riconoscono l’importanza di questo fondamentale momento con Me, in contemplazione. Essi semplicemente ignorano questo dono. Si annoiano a trascorrere quest’ulteriore tempo con Me.
12 giugno 2011 – L’amore e l’adorazione in abbondanza vi rendono più forti e più calmi
INVIATO DA MESSAGGI DA GESU CRISTO ⋅
ARCHIVIATO IN ADORAZIONE, EUCARISTIA
Mia diletta figlia, le grazie ricevute dai Miei figli nell’Adorazione Eucaristica sono potenti. Esse non solo vi daranno le grazie per far fronte alle sofferenze della vita, ma vi rendono più forti nel vostro amore per Me, il vostro devoto e leale Salvatore.
L’amore che si riversa sulle anime durante l’Adorazione è dato in abbondanza. Le anime sentono quest’ondata delle Mie grazie in tanti modi diversi. Il primo dono è la pace nella vostra anima. Sentirete ciò immediatamente dopo aver completato il vostro tempo in stretta unione con Me.
Così molti dei Miei figli si stanno negando i tanti doni che Io offro per l’Adorazione, nella quale trascorrete un’ora del vostro tempo dinanzi alla Mia presenza sull’altare. Sebbene i Cattolici siano consapevoli del potere dell’Eucaristia, molti non riconoscono l’importanza di questo fondamentale momento con Me, in contemplazione. Essi semplicemente ignorano questo dono. Si annoiano a trascorrere quest’ulteriore tempo con Me.
Oh, se solo voi sapeste quanto questo li renderebbe forti. Le loro paure e preoccupazioni sparirebbero se soltanto essi Mi tenessero compagnia in una tranquilla riflessione intima. Se i Miei figli potessero vedere la luce che avvolge le loro anime durante questa speciale Ora Sacra si stupirebbero.
Bambini, è durante quest’ora che vi avvicinate moltissimo a Me. E’ qui che la vostra voce, le vostre suppliche, le vostre promesse di amore per Me saranno ascoltate. Molte grazie meravigliose sono date a voi bambini in questo momento, quindi per favore non ignorate le Mie richieste di trascorrere questo tempo in Mia compagnia.
La ricompensa vi renderà liberi dalle preoccupazioni.
La ricompensa vi renderà liberi dalle preoccupazioni, leggeri di mente, cuore ed anima e più calmi in voi stessi. Quando Mi ricevete durante l’Eucaristia io riempio la vostra anima. Ma quando venite a Me in adorazione Io vi avvolgerò a tal punto che le chiuse del Mio amore misericordioso satureranno la vostra mente, il corpo e l’anima. Sentirete una forza che produrrà una serena fiducia che non potrete ignorare.
Venite a Me ora, bambini. Ho bisogno della vostra compagnia. Ho bisogno che parliate con Me quando la Mia presenza Divina è più forte. Io vi amo e voglio riversare tutte le Mie grazie su di voi, in modo che voi possiate infondere le vostre anime con il Mio Sacro Cuore.
Il tuo amato Salvatore
Gesù Cristo
Per crescere in un senso cattolico della vita, vogliamo vivere integralmente una vita cristiana, per questo vogliamo vivere con la Messa della Tradizione
Ci preoccupiamo di crescere in un senso cattolico della vita, vogliamo vivere integralmente una vita cristiana, per questo vogliamo vivere con la Messa della Tradizione
Valida non è buona
Se avessimo ritenuto che la Messa com'è celebrata nella quasi totalità delle chiese andasse bene, non avremmo deciso di passare totalmente al rito antico.
Sia ben chiaro: non stiamo dicendo che la Messa nel Novus ordo (la Messa di Paolo VI, riformata dopo il Concilio Vaticano II) non sia valida! Ci mancherebbe! Affermare questo sarebbe non ragionare più in modo cattolico!
Certo che la Messa di Paolo VI è valida, certo che è una vera Messa, solo che è così ridotta nel suo esprimere il senso cattolico del Santo Sacrifico di Cristo, da non educare compiutamente i fedeli ed anche i sacerdoti che la celebrano.
Molti diranno: “Ma se è una vera Messa, se è valida, di che cosa vi preoccupate?”.
Ci preoccupiamo di crescere in un senso cattolico della vita, vogliamo vivere integralmente una vita cristiana, per questo vogliamo vivere con la Messa della Tradizione.
Non c'è niente da fare: la crisi impressionante del Cattolicesimo nel nostro mondo, la confusione dottrinale e spirituale nella quale siamo immersi da troppi anni, l'abbandono imponente della pratica cristiana nei nostri paesi e città, ha la sua causa centrale in una riforma liturgica che ha stravolto il baluardo della fede e della vita cristiana.
Il nuovo rito della Messa, fatto per piacere anche ai fratelli separati delle altre confessioni cristiane (innanzitutto ai Protestanti e agli Anglicani), tacendo sugli aspetti principali della concezione cattolica della Messa, ha fatto sì che la liturgia non sia più la roccia sicura su cui fondare la vita cristiana, personale e sociale.
Il nuovo rito ha indebolito nei fedeli il senso di Dio, l'adorazione di Cristo presente nelle specie eucaristiche, la centralità del sacrificio espiatorio, la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Non vogliamo fare un elenco dei “vuoti” del nuovo rito della Messa, ci basta sottolinearne gli effetti devastanti.
Solo degli ideologizzati del post-concilio o della modernità a tutti i costi possono non vedere
l'esito penoso, drammaticamente penoso, della riforma liturgica.
Esito penoso che coinvolge tutti, sacerdoti e fedeli.
Nel migliore dei casi la nuova Messa, quando è celebrata con rispetto e dignità, lascia i fedeli che vi assistono così come sono: se questi sono già profondamente cattolici, probabilmente lo resteranno, ma se sono deboli nella fede e in uno sguardo cattolico sulla vita, in questa nuova Messa non troveranno una provocazione alla conversione profonda, anche culturale; saranno invece “cullati” nel loro modo ridotto di considerare il Cristianesimo.
La Messa tradizionale no! Non è così! È una Messa “difficile”, non per il latino, ma per le provocazioni che lancia.
Sul subito, per un cristiano “piccino” nella mente e nel cuore, può risultare un pugno nello stomaco, ma un pugno salutare. Ti mette in crisi, mette in crisi le false certezze di un cristianesimo troppo umanizzato che mette l'uomo al centro e dimentica Dio. Mette in crisi un cristianesimo che si è imbevuto della mentalità dominante e che è sempre più una scuola di agnosticismo.
La Messa tradizionale mette in crisi, ma dopo la crisi costruisce, edifica. In chi vi assiste con fedeltà, la Messa di sempre inizia un'opera di educazione alla fede profonda, totale, solida.
Se un fedele non si scandalizza delle difficoltà iniziali, nel tempo scopre tutta la ricchezza della liturgia secondo la Tradizione, e grazie ad essa vede edificare nella santità e nell'intelligenza della fede tutta la propria vita. Per questo abbiamo voluto vivere solo con la Messa tradizionale. Per questo pensiamo che sia il ritorno ad essa il migliore sostegno alla Missione urgente di riportare il Cattolicesimo nella vita normale del popolo.
Chissà che, dopo le polemiche, si possa riaprire una proficua riflessione su questi punti.
tratto da: http://radicatinellafede.blogspot.com/
Maria
, Madre dolcissima,
di
grazia alma sorgente,
Deh!
Tu assisti e libera
dall’infernal
serpente.
Essere donne (e uomini) oggi. Interessanti sviluppi del 'caso' spagnolo sul libro della Miriano
Essere donne (e uomini) oggi. Interessanti sviluppi del 'caso' spagnolo sul libro della Miriano
Da blog di Costanza Miriano, riprendo questa intervista per El Huffington Post, sulle persistenti polemiche dopo l’uscita in Spagna del libro “Cásate y sé sumisa”. Doppiamente interessante sia per inquadrare l'inquietante fenomeno che si inserisce nelle derive morali e antropologiche della nostra società che per conoscere la ricca e feconda visuale di una donna cristiana che pensa ed esprime le ragioni della sua fede e del suo essere donna credente oggi.
A cosa si deve il successo del suo libro in Italia?
Il libro inizia con me che rispondo a una telefonata di un’amica in crisi, che non si decide a sposarsi. Una telefonata tra amiche sul tema dell’identità femminile, che è, io credo, quello su cui si gioca la partita centrale della nostra culturale. Cosa vuol dire essere uomo e donna oggi. Teorie di genere o antropologia cristiana. Il tutto tradotto in un linguaggio pop, passando dalle calze parigine al Catechismo, dai trucchi per dormire in bagno quando ci sono i figli neonati (appoggiando la testa al rotolo di carta igienica) alla Bibbia.
Una mia amica mi ha chiamata arrabbiata perché nella sua libreria mi ha trovata nel settore umorismo. Invece non mi avrebbero potuto fare un complimento migliore. Ridere parlando di San Paolo! E così è partito un passaparola tra i credenti, che finalmente si sono visti rappresentati in modo non deprimente, molto deciso nei contenuti, molto allegro nella forma. All’inizio sono state stampate 1200 copie. Io telefonavo alla mia famiglia nella speranza che almeno loro ne comprassero una mezza dozzina. Poi il libro ha avuto non so più quante ristampe, ormai oltre venti credo.
In Spagna la Izquierda Unida ha detto che il libro apertamente sostiene la schiavitù delle donne rispetto agli uomini, e il ritenere gli uomini superiori alle donne causa la violenza maschile”. Che ne pensa?
No, mi dispiace, a questo punto la domanda spetta a me. In quale punto esatto io incito, sostengo, scuso, giustifico, o anche minimamente contemplo o nomino la violenza? L’unica violenza che vedo in tutta questa storia è quella che viene fatta a me, che sono pure donna, se è per questo. È questa l’unica violenza sulle donne che vedo in tutta questa storia. Un’aggressione scomposta e veramente assurda. Loro devono rispondere. Non si possono lanciare accuse così a caso. In quale punto? Dove? Con quali parole? Io ho scritto lettere alle mie amiche, amiche reali, vere, che esistono. Se vuole gliele presento. Nessuna di loro ha subito violenza, grazie a Dio. Se qualcuna ne subisse non le direi certo di sopportare in silenzio, ma non è un problema che mi sono posta, perché non mi è capitato. Il mio non è un trattato di sociologia. Io ho guardato la realtà mia e delle mie amiche, e i nostri problemi sono altri. Come essere felici con i nostri mariti. Come amarli meglio, Come prenderci cura di loro e come chiedere loro di prendersi cura di noi. Imparare i linguaggi maschile e femminile, che sono diversissimi. Come tenere insieme tutti i ruoli che una donna moderna – moglie, madre, lavoratrice, donna di fede che coltiva lo spirito ma ama anche curare il suo corpo – riassume in sé. La violenza è roba per magistrati, psichiatri, non per una donna comune come me che si mette a scrivere alle amiche. Chi mai avrebbe pensato che le mie lettere le avrebbero lette cinquantamila persone in Italia e all’estero? Non sono mica un’autorità, una maitre à penser!!!
Quanto all’inferiorità o superiorità maschile, chi fa questa obiezione non parla il linguaggio cristiano. È legittimo non parlarlo, come io non so di che parlino buddisti o musulmani, ma non mi immischio nelle loro faccende. Nella logica cristiana il capo, che è il marito secondo san Paolo, è un capo come Cristo, che muore per la sua sposa, la Chiesa. Un capo che ha come trono la croce. L’uomo che fa il marito come Cristo comanda è un uomo pronto a morire per la moglie. La sposa secondo la Chiesa è quindi una sposa docile nei confronti di un uomo nobile, generoso. La sposa con la sua dolcezza risveglia i migliori sentimenti nell’uomo, come nell’amore cortese. Evita che si metta in moto quella sorta Mister Hyde che è dentro ogni uomo, la sua parte animale. Questa è la logica cristiana. Fare a gara nello stimarsi a vicenda, avere un pregiudizio positivo nei confronti dell’altro, dirgli: io sto dalla tua parte, mettiamo insieme la nostra siderale diversità, e cerchiamo di donarci la nostra reciproca povertà. Gridare i propri diritti non serve a niente, riconoscere che siamo peccatori, poveri, limitati, fa funzionare l’amore.
Associazioni di donne credono che il libro inciti alla violenza di genere. Qual è la sua opinione?
Credo che non abbiano letto il libro. Torno a chiedere: in quale punto esatto? Con quali parole? Dove? Perché se a disturbare è la parola sottomessa, allora bruciate tutte le copie della Bibbia. In quel caso sarà per me un onore andare al rogo.
Il libro può piacere o no, è ovvio. Ma che ci sia un’incitazione alla violenza di genere è una pura follia. Non so da voi, ma in Italia il solo pensare che qualcuno possa mettere in dubbio la uguale dignità tra uomo e donna è ridicolo. Tutta questa storia è ridicola.
A parte il fatto che io, come la Chiesa, rifiuto la parola genere – io credo che esistano due sessi e non i generi – a parte questo, dicevo, io rifiuto la violenza. Mi basta il quinto comandamento, non uccidere. Non uccidere i bambini, neppure nel grembo materno, che è la violenza più grande per l’evidente sproporzione tra la vittima e il carnefice, non uccidere le donne, non uccidere gli uomini. Non uccidere. Punto.
Secondo te qual è il ruolo della donna nel matrimonio?
Credo che ogni coppia abbia un suo equilibrio quanto alle cose pratiche. Dipende dai gusti, dalle inclinazioni. Ci sono uomini che amano cucinare, altri che si divertono a giocare con i figli. Io non sopporto quando mi chiedono “chi lava i piatti in casa tua?” Credo che il discorso della sottomissione e del morire (ricordo sommessamente che io ho scritto anche un secondo libro, per gli uomini, che si chiama “Sposala e muori per lei”, che in Spagna uscirà alla fine dell’anno) si giochi su un piano molto più profondo, spirituale. Ho conosciuto donne che facevano le casalinghe, ma comandavano il marito a bacchetta. E donne dirigenti, medici, magistrati, che sapevano però essere accoglienti e dolci e femminili.
Credo che il ruolo della donna sia mostrare all’uomo il bene e il bello possibili. Fargli da specchio positivo, dirgli quanto è importante che lui ci sia, e che metta il meglio di sé nell’impresa di costruire una famiglia, educare dei figli. L’uomo tende all’egoismo, e la donna può vincere questa inclinazione negativa dell’uomo non rivendicando, gridando, battendo i pugni, ma mostrandogli la bellezza di un amore totale, del sacrificio del proprio egoismo. La donna può essere come Beatrice per Dante, un anticipo di paradiso, e la casa diventa un luogo bellissimo in cui stare.
Questa idea farà sghignazzare in molti, ma sfido chiunque a trovarci una traccia di incitazione alla violenza. In più mi pare tutt’altro che offensiva per le donne. Anzi, al contrario.
Che significa per lei essere sottomessa?
Me lo sono chiesta a lungo, meditando su quel brano di san Paolo. Penso che significhi rinunciare al mio desiderio di voler formattare le persone, di voler imporre la mia visione del mondo a tutti quelli che mi sono intorno. Questa è sempre la tentazione femminile. Questo, fra parentesi, è quello che stanno facendo le donne spagnole con me.
A che servizio è chiamata la donna nel matrimonio?
Al servizio più bello, gratificante, emozionante, divertente e trasgressivo che c’è. Perdere se stessa per far vivere le persone a cui vuole bene. Ma secondo lei quando una donna ospita un figlio nella pancia è sfruttata da lui? O piuttosto è benedetta da una fortuna, una grazia, una felicità, un potere anche, infiniti? Quando una donna allatta è schiavizzata dal suo bambino? Io ho allattato tantissimo tutti e quattro i figli, uno fino a tre anni e mezzo. Secondo lei sono stata sfruttata? Ero e sono felicissima di perdere il mio tempo, i miei progetti, i miei impegni per mettere prima quelli delle persone a cui voglio bene. La donna è chiamata a fare spazio, ma non perché un uomo la costringa. Perché questo è quello che amiamo fare. Anche le donne che ritengono che l’aborto sia un diritto, se sono madri e se chiedi loro quale sia stato il giorno più bello della loro vita, forse non ti diranno “quando sono diventata madre”?
Crede che l’uomo debba dominare la donna?
No, credo che dovrebbe morire per lei.
Perché pensi che le donne dovrebbero sposarsi?
Non ho mai detto che le donne dovrebbero sposarsi, in generale. Ho detto che alcune donne, le mie amiche, proprio quelle, dovrebbero sposarsi (anzi, ormai la maggioranza lo hanno fatto). Perché le conosco e so che per loro quella è la via della felicità. E comunque non solo le donne, anche gli uomini, evidentemente. Le donne e gli uomini insieme.
Io credo che al fondo dell’essere umano ci sia un senso di vuoto che si colma solo donandosi totalmente a qualcuno. Questa è la via della felicità.
Una donna può essere felice di essere sottomessa al marito?
Certo. Sottomessa nel senso di fare spazio, di accogliere, di essere messa sotto come le colonne di una cattedrale, come il fondamento. Certo che può essere felice. Perché l’uomo è sedotto dalla bellezza di una donna così, capace di sostenere, di essere madre di quelli che incontra. E allora può vincere il suo enorme egoismo, che è il difetto maschile.
Quando una donna dovrebbe dire basta al marito?
Molto prima che il marito arrivi anche solo a pensare minimamente di toccarla con un dito. Deve essere capace di correggerlo con dolcezza ma con fermezza, quando vede che lui si approfitta della sua dolcezza. Lo deve fare principalmente per lui, san Paolo la chiama correzione fraterna: quando si vede un fratello, e il marito è il nostro primo fratello, che sbaglia lo si deve prendere da parte, ma non nel momento della rabbia, e bisogna dirgli che sta sbagliando. Con calma. Non per gridare i nostri diritti ma perché lo amiamo, e vogliamo per lui il bene. E il bene non è mai comportarsi in modo violento, egoista, menefreghista. Il punto è che un matrimonio dovrebbe essere principalmente un luogo di conversione reciproca, un luogo in cui tutti e due si sforzano di offrire all’altro la parte migliore di sé, e in questo bisogna aiutarsi a vicenda, essendo, come dice san Paolo nello stesso brano “reciprocamente sottomessi”.
Perché pensa che il suo libro abbia suscitato tante polemiche in Spagna?
Ah, questo proprio non lo so. Me lo deve dire lei. Conosco troppo poco del vostro paese e davvero non me lo spiego. In Italia non è successo niente del genere. Una sua collega mi ha spiegato che il problema non sono io, ma l’arcivescovo che è vicino alla casa editrice spagnola. Quindi è un problema che riguarda la Chiesa. Ricordo però che i libri si possono non comprare. Li si può trovare stupidi, scritti male, disonesti, ma perché vietarli?
Io sono allibita innanzitutto dal fatto che si possa pensare di censurare un libro, che ovviamente non incita a nessun reato ma ripropone le idee che la Chiesa proclama al mondo da sempre. Impedire alle persone di parlare è una cosa molto molto preoccupante. Poi sono allibita anche dal fatto che si possano esprimere opinioni su un libro che non si è letto, e questo non è segno di grande serietà. Tra i giornalisti che mi hanno chiamata solo uno si era dato la pena di informarsi. Infine vorrei dire una cosa anche se lei non me l’ha chiesta. Ho lavorato per molti anni al tg3, che è tradizionalmente il tg più orientato a sinistra, da noi. (Per inciso, sono una giornalista di un tg nazionale, una maratoneta da tre ore e quindici, e a questo ci tengo proprio, sono una che viaggia, che ama le borse, anche se le ho sempre piene di briciole e fumetti dei figli: le sembro una repressa che per fare un’intervista deve chiedere il permesso al marito, come hanno detto con scarsissima professionalità dei suoi colleghi in tv, inventandosi tutto? Sono una sposa e una mamma di quattro ragazzi, felicissima e per niente depressa!)
Lavorando ho incontrato e intervistato tantissime persone, e per un periodo mi sono occupata di tematiche femminili. Ho incontrato molte delle femministe più significative del mio paese, e le posso dire che off the records, come si dice, a telecamera spenta, magari davanti a un caffè, ho parlato con loro e ho sempre trovato che fossero molte di più le cose che ci univano, che non quelle che ci dividevano. Credo che purtroppo l’ideologia sia qualcosa di molto potente che impedisce alle persone di incontrarsi davvero. Credo che tutte le donne abbiano in sé una grande capacità di maternità (anche quando non sono madri biologicamente), di accogliere, di fare relazione. E spesso molte di loro erano donne che erano state ferite, interiormente, dall’egoismo degli uomini, magari di un padre o di un compagno. Capisco quindi che quando una persona è stata ferita o oppressa possa per reazione diventare intollerante o aggressiva. Posso capire benissimo che a certe orecchie la parola sottomissione possa suonare sgradevole, offensiva quasi. Io sono nata quando già certi diritti, votare, studiare, la possibilità di lavorare, erano acquisiti. Chi invece ha un’altra storia, è stata costretta ad essere sottomessa, non per sua scelta, non per amore, non per una bellezza più grande, questa parola non la può tollerare. Capisco tutto, ma non è colpa mia. Quello di cui parla san Paolo è un’altra cosa: è “perché la gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena”.
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