lunedì 26 luglio 2021

UNICO DISCORSO DEL PAPA INSPIEGABILMENTE RIPORTATO IN TERZA PERSONA

 


IL FUMO DI SATANA… OMELIA DI PAOLO VI DEL 29 GIUGNO 1972

E’ il 29 giugno 1972 quando Paolo VI nell’omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo – UNICO DISCORSO DEL PAPA INSPIEGABILMENTE RIPORTATO IN TERZA PERSONA dall’Osservatore Romano, come si fa per i discorsi meno importanti del Papa – usa un’espressione che si scolpisce nel linguaggio dei media e nella memoria collettiva: IL FUMO DI SATANA. Un fumo che si evoca come una persona, per accenni: “quasi che il fumo di Satana fosse entrato nel Tempio” dice papa Montini, per spiegare il contrasto tra i frutti attesi dal Concilio e la desolazione che egli vede: ma quel “quasi” viene dimenticato e quel che resta è l’idea che il Papa dolorosamente si pieghi a dichiarare inquinata la recezione e la primavera del Concilio.

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo 
Giovedì, 29 giugno 1972

Al tramonto di giovedì 29 giugno, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, alla presenza di una considerevole moltitudine di fedeli provenienti da ogni parte del mondo, il Santo Padre celebra la Messa e l’inizio del suo decimo anno di Pontificato, quale successore di San Pietro. 
Con il Decano del Sacro Collegio, Signor Cardinale Amleto Giovanni Cicognani e il Sottodecano Signor Cardinale Luigi Traglia sono trenta Porporati, della Curia, e alcuni Pastori di diocesi, oggi presenti a Roma. 
Due Signori Cardinali per ciascun Ordine, accompagnano processionalmente il Santo Padre all’altare. 
Al completo il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, con il Sostituto della Segreteria di Stato, arcivescovo Giovanni Benelli, ed il Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, arcivescovo Agostino Casaroli. 
Diamo un resoconto della Omelia di Sua Santità.

Il Santo Padre esordisce affermando di dovere un vivissimo ringraziamento a quanti, Fratelli e Figli, sono presenti nella Basilica ed a quanti, lontani, ma ad essi spiritualmente associati, assistono al sacro rito, il quale, all’intenzione celebrativa dell’Apostolo Pietro, cui è dedicata la Basilica Vaticana, privilegiata custode della sua tomba e delle sue reliquie, e dell’Apostolo Paolo, sempre a lui unito nel disegno e nel culto apostolico,unisce un’altra intenzione, quella di ricordare l’anniversario della sua elezione alla successione nel ministero pastorale del pescatore Simone, figlio di Giona, da Cristo denominato Pietro, e perciò nella funzione di Vescovo di Roma, di Pontefice della Chiesa universale e di visibile e umilissimo Vicario in terra di Cristo Signore. Il ringraziamento vivissimo è per quanto la presenza di tanti fedeli gli dimostra di amore a Cristo stesso nel segno della sua povera persona, e lo assicura perciò della loro fedeltà e indulgenza verso di lui, non che del loro proposito per lui consolante di aiutarlo con la loro preghiera.

LA CHIESA DI GESÙ, LA CHIESA DI PIETRO

Paolo VI prosegue dicendo di non voler parlare, nel suo breve discorso, di lui, San Pietro, ché troppo lungo sarebbe e forse superfluo per chi già ne conosce la mirabile storia; né di se stesso, di cui già troppo parlano la stampa e la radio, alle quali per altro esprime la sua debita riconoscenza.Volendo piuttosto parlare della Chiesa, che in quel momento e da quella sede sembra apparire davanti ai suoi occhi come distesa nel suo vastissimo e complicatissimo panorama, si limita a ripetere una parola dello stesso Apostolo Pietro, come detta da lui alla immensa comunità cattolica; da lui, nella sua prima lettera, raccolta nel canone degli scritti del Nuovo Testamento. Questo bellissimo messaggio, rivolto da Roma ai primi cristiani dell’Asia minore,d’origine in parte giudaica, in parte pagana, quasi a dimostrare fin d’allora l’universalità del ministero apostolico di Pietro, ha carattere parenetico,cioè esortativo, ma non manca d’insegnamenti dottrinali, e la parola che il Papa cita è appunto tale, tanto che il recente Concilio ne ha fatto tesoro per uno dei suoi caratteristici insegnamenti. Paolo VI invita ad ascoltarla come pronunciata da San Pietro stesso per coloro ai quali in quel momento egli la rivolge.

Dopo aver ricordato il brano dell’Esodo nel quale si racconta come Dio,parlando a Mosè prima di consegnargli la Legge, disse: «Io farò di questo popolo, un popolo sacerdotale e regale», Paolo VI dichiara che San Pietro ha ripreso questa parola così esaltante, così grande e l’ha applicata al nuovo popolo di Dio, erede e continuatore dell’Israele della Bibbia per formare un nuovo Israele, l’Israele di Cristo. Dice San Pietro: Sarà il popolo sacerdotale e regale che glorificherà il Dio della misericordia, il Dio della salvezza.

Questa parola, fa osservare il Santo Padre, è stata da taluni fraintesa,come se il sacerdozio fosse un ordine solo, e cioè fosse comunicato a quanti sono inseriti nel Corpo Mistico di Cristo, a quanti sono cristiani. Ciò è vero per quanto riguarda quello che viene indicato come sacerdozio comune, ma il Concilio ci dice, e la Tradizione ce l’aveva già insegnato, che esiste un altro grado del sacerdozio, il sacerdozio ministeriale che ha delle facoltà, delle prerogative particolari ed esclusive.

Ma quello che interessa tutti è il sacerdozio regale e il Papa si sofferma sul significato di questa espressione. Sacerdozio vuol dire capacità di rendere il culto a Dio, di comunicare con Lui, di offrirgli degnamente qualcosa in suo onore, di colloquiare con lui, di cercarlo sempre in una profondità nuova, in una scoperta nuova, in un amore nuovo. Questo slancio dell’umanità verso Dio,che non è mai abbastanza raggiunto, né abbastanza conosciuto, è il sacerdozio di chi è inserito nell’unico Sacerdote, che è Cristo, dopo l’inaugurazione del Nuovo Testamento. Chi è cristiano è per ciò stesso dotato di questa qualità, di questa prerogativa di poter parlare al Signore in termini veri, come da figlio a padre.

IL NECESSARIO COLLOQUIO CON DIO

«Audemus dicere»: possiamo davvero celebrare, davanti al Signore, un rito,una liturgia della preghiera comune, una santificazione della vita anche profana che distingue il cristiano da chi cristiano non è. Questo popolo è distinto, anche se confuso in mezzo alla marea grande dell’umanità. Ha una sua distinzione, una sua caratteristica inconfondibile. San Paolo si disse «segregatus», distaccato, distinto dal resto dell’umanità appunto perché investito di prerogative e di funzioni che non hanno quanti non possiedono l’estrema fortuna e l’eccellenza di essere membra di Cristo.

Paolo VI aggiunge, quindi, che i fedeli, i quali sono chiamati alla figliolanza di Dio, alla partecipazione del Corpo Mistico di Cristo, e sono animati dallo Spirito Santo, e fatti tempio della presenza di Dio, devono esercitare questo dialogo, questo colloquio, questa conversazione con Dio nella religione, nel culto liturgico, nel culto privato, e ad estendere il senso della sacralità anche alle azioni profane. «Sia che mangiate, sia che beviate -dice San Paolo – fatelo per la gloria di Dio». E lo dice più volte, nelle sue lettere, come per rivendicare al cristiano la capacità di infondere qualcosa di nuovo, di illuminare, di sacralizzare anche le cose temporali, esterne,passeggere, profane.

Siamo invitati a dare al popolo cristiano, che si chiama Chiesa, un senso veramente sacro. E sentiamo di dover contenere l’onda di profanità, di desacralizzazione, di secolarizzazione che monta e vuol confondere e soverchiare il senso religioso nel segreto del cuore, nella vita privata o anche nelle affermazioni della vita esteriore. Si tende oggi ad affermare che non c’è bisogno di distinguere un uomo da un altro, che non c’è nulla che possa operare questa distinzione. Anzi, si tende a restituire all’uomo la sua autenticità, il suo essere come tutti gli altri. Ma la Chiesa, e oggi San Pietro, richiamando il popolo cristiano alla coscienza di sé, gli dicono che è il popolo eletto, distinto, «acquistato» da Cristo, un popolo che deve esercitare un particolare rapporto con Dio, un sacerdozio con Dio. Questa sacralizzazione della vita non deve oggi essere cancellata, espulsa dal costume e dalla realtà quotidiana quasi che non debba più figurare.

SACRALITÀ DEL POPOLO CRISTIANO

Abbiamo perduto, fa notare Paolo VI, l’abito religioso, e tante altre manifestazioni esteriori della vita religiosa. Su questo c’è tanto da discutere e tanto da concedere, ma bisogna mantenere il concetto, e con il concetto anche qualche segno, della sacralità del popolo cristiano, di coloro cioè che sono inseriti in Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote.

Oggi talune correnti sociologiche tendono a studiare l’umanità prescindendo da questo contatto con Dio. La sociologia di San Pietro, invece, la sociologia della Chiesa, per studiare gli uomini mette in evidenza proprio questo aspetto sacrale, di conversazione con l’ineffabile, con Dio, col mondo divino. Bisogna affermarlo nello studio di tutte le differenziazioni umane. Per quanto eterogeneo si presenti il genere umano, non dobbiamo dimenticare questa unità fondamentale che il Signore ci conferisce quando ci dà la grazia: siamo tutti fratelli nello stesso Cristo. Non c’è più né giudeo, né greco, né scita, né barbaro, né uomo, né donna. Tutti siamo una sola cosa in Cristo. Siamo tutti santificati, abbiamo tutti la partecipazione a questo grado di elevazione soprannaturale che Cristo ci ha conferito. San Pietro ce lo ricorda: è la sociologia della Chiesa che non dobbiamo obliterare né dimenticare.

SOLLECITUDINI ED AFFETTO PER I DEBOLI E I DISORIENTATI

Paolo VI si chiede, poi, se la Chiesa di oggi si può confrontare con tranquillità con le parole che Pietro ha lasciato in eredità, offrendole in meditazione. «Ripensiamo in questo momento con immensa carità – così il Santo Padre – a tutti i nostri fratelli che ci lasciano, a tanti che sono fuggiaschi e dimentichi, a tanti che forse non sono mai arrivati nemmeno ad aver coscienza della vocazione cristiana, quantunque abbiano ricevuto il Battesimo. Come vorremmo davvero distendere le mani verso di essi, e dir loro che il cuore è sempre aperto, che la porta è facile, e come vorremmo renderli partecipi della grande, ineffabile fortuna della felicità nostra, quella di essere in comunicazione con Dio, che non ci toglie nulla della visione temporale e del realismo positivo del mondo esteriore!».

Forse questo nostro essere in comunicazione con Dio, ci obbliga a rinunce, a sacrifici, ma mentre ci priva di qualcosa moltiplica i suoi doni. Sì, impone rinunce ma ci fa sovrabbondare di altre ricchezze. Non siamo poveri, siamo ricchi, perché abbiamo la ricchezza del Signore. «Ebbene – aggiunge il Papa -vorremmo dire a questi fratelli, di cui sentiamo quasi lo strappo nelle viscere della nostra anima sacerdotale, quanto ci sono presenti, quanto ora e sempre e più li amiamo e quanto preghiamo per loro e quanto cerchiamo con questo sforzo che li insegue, li circonda, di supplire all’interruzione che essi stessi frappongono alla nostra comunione con Cristo».

Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine,l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita.E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere».La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde.Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.

Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli.

PER UN «CREDO» VIVIFICANTE E REDENTORE

Come è avvenuto questo? Il Papa confida ai presenti un suo pensiero: che ci sia stato l’intervento di un potere avverso. Il suo nome è il diavolo, questo misterioso essere cui si fa allusione anche nella Lettera di S. Pietro. Tante volte, d’altra parte, nel Vangelo, sulle labbra stesse di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini. «Crediamo – osserva il Santo Padre – in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico, e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. Appunto per questo vorremmo essere capaci, più che mai in questo momento, di esercitare la funzione assegnata da Dio a Pietro, di confermare nella Fede i fratelli. Noi vorremmo comunicarvi questo carisma della certezza che il Signore dà a colui che lo rappresenta anche indegnamente su questa terra». La fede ci dà la certezza, la sicurezza, quando è basata sulla Parola di Dio accettata e trovata consenziente con la nostra stessa ragione e con il nostro stesso animo umano.Chi crede con semplicità, con umiltà, sente di essere sulla buona strada, di avere una testimonianza interiore che lo conforta nella difficile conquista della verità.

Il Signore, conclude il Papa, si mostra Egli stesso luce e verità a chi lo accetta nella sua Parola, e la sua Parola diventa non più ostacolo alla verità e al cammino verso l’essere, bensì un gradino su cui possiamo salire ed essere davvero conquistatori del Signore che si mostra attraverso la via della fede,questo anticipo e garanzia della visione definitiva.

Nel sottolineare un altro aspetto dell’umanità contemporanea, Paolo VI ricorda l’esistenza di una gran quantità di anime umili, semplici, pure, rette,forti, che seguono l’invito di San Pietro ad essere «fortes in fide». E vorremmo – così Egli – che questa forza della fede, questa sicurezza, questa pace trionfasse su tutti gli ostacoli. Il Papa invita infine i fedeli ad un atto di fede umile e sincero, ad uno sforzo psicologico per trovare nel loro intimo lo slancio verso un atto cosciente di adesione: «Signore, credo nella Tua parola, credo nella Tua rivelazione, credo in chi mi hai dato come testimone e garante di questa Tua rivelazione per sentire e provare, con la forza della fede, l’anticipo della beatitudine della vita che con la fede ci è promessa».

Basta scientismo...

 

Green pass, i No Vax in piazza a Roma: "Vaccini, cecità e danni al cervello e intestino"

"Durante una pandemia non si vaccina" così parlano molti manifestanti contro il Green pass a Piazza del Popolo a Roma. "Quasi 18 mila morti per il vaccino e molti altri hanno avuto danni permanenti come cecità, danni al cervello e all'intestino" dice un manifestante. "Io sto bene, perché dovrei vaccinarmi? Forse è perché ci sono delle lobby dietro?" si chiede un altro. Altri accusano il Ministero della Salute per la gestione dell'emergenza: "Hanno impedito di usare idrossoclorochina e plasma". Altri invece non sono contro i vaccini ma ne fanno una questione di diritto: "Basta scientismo, vogliamo sentir parlare di diritto e libertà".

Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev

Un peccatore un giorno disse a Maria: Monstra te esse matrem; ma la Vergine gli rispose: Monstra te esse filium

 



§ 4. - Maria è madre anche de' peccatori pentiti.

Si protestò Maria con S. Brigida (Lib. 4, Rev., c. 138) ch'ella è madre non solo de' giusti e degl'innocenti, ma ancora de' peccatori, purché si vogliano emendare: Ego sum quasi mater omnium peccatorum volentium se emendare.1 Oh come, quando


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ricorre a' suoi piedi un peccatore che vuole emendarsi, ritrova questa buona madre di misericordia pronta ad abbracciarlo ed aiutarlo più che nol farebbe ogni madre di carne! Ciò appunto scrisse S. Gregorio alla principessa Metilde: Pone finem in voluntate peccandi, et invenies Mariam (indubitanter promitto) promptiorem carnali matre in tui dilectione (Lib. 1, ep. 47).2 Ma chi aspira ad esser figlio di questa gran Madre, bisogna che prima lasci il peccato, e poi speri di essere accettato per figlio. Sulle parole, Surrexerunt filii eius (Prov. XXXI, 28), riflette Riccardo, e nota che vi si dice surrexerunt, e poi filii: perché, soggiunge, non può esser figlio di Maria chi non cerca prima di alzarsi dalla colpa dov'è caduto: Nec dignus est, qui in mortali peccato est, vocari filius tantae matris.3 Avvertendo S. Pier Grisologo: Qui genitricis non facit opera, negat genus:4 Chi fa opere contrarie a quelle di Maria, nega coi fatti di voler esser suo figlio. Maria umile, ed egli vuol esser superbo? Maria pura, ed egli disonesto? Maria piena di amore, ed egli vuole odiare il prossimo? Dà segno che non è, né vuol esser figlio di questa santa madre. Filii Mariae, ripiglia Riccardo, imitatores eius in castitate, humilitate, mansuetudine, misericordia.5 E come mai avrà l'ardire di voler esser figlio di Maria chi tanto la disgusta colla sua vita? Un


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certo peccatore un giorno disse a Maria: Monstra te esse matrem; ma la Vergine gli rispose: Monstra te esse filium (Ap. Aur.).6 Un altro invocava un giorno questa divina Madre, e la chiamava madre di misericordia. Maria gli disse: Voi peccatori, quando volete ch'io vi aiuti, mi chiamate madre di misericordia; e poi non cessate coi vostri peccati di farmi madre di miseria e di dolori (Ap. Pelb.).7 Maledictus a Deo qui exasperat matrem suam (Eccli. III, 18). Matrem suam, idest Mariam, commenta Riccardo.8 Dio maledice chi affligge colla sua mala vita, o al più colla sua ostinazione, questa sua buona madre.

Dissi colla sua ostinazione; perché quando poi questo peccatore, benché non ancora uscito, si sforza però di uscire dal peccato, e cerca perciò l'aiuto di Maria, questa madre non lascerà di soccorrerlo e farlo tornare in grazia di Dio. Come appunto un giorno intese S. Brigida dalla bocca di Gesù Cristo, che parlando colla Madre, le disse: Conanti surgere ad Deum tribuis auxilium, et neminem relinquis vacuum a tua consolatione.9 Mentre dunque il peccatore è ostinato, Maria non può amarlo: ma se egli trovandosi forse incatenato da qualche passione, che lo tiene schiavo dell'inferno, almeno si raccomanderà alla Vergine, e la pregherà con confidenza e perseveranza a cacciarlo dal peccato, senza dubbio questa buona madre stenderà la sua potente mano, ella lo scioglierà dalle catene e lo condurrà a stato di salute. - Fu già eresia


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condannata dal sacro Concilio di Trento, il dire che tutte le preghiere ed opere che si fanno da chi sta in peccato, sieno peccati.10 Dice S. Bernardo che la preghiera in bocca del peccatore, sebbene non è bella, perché non accompagnata dalla carità, nulladimeno è ella utile e fruttuosa per uscir dal peccato;11 poiché, come insegna S. Tommaso (2. 2., qu. 178, a. 2, ad 1), la preghiera del peccatore è già senza merito, ma è ben atta ad impetrare la grazia del perdono; mentre la virtù d'impetrare è fondata non già sul merito di chi prega, ma sulla divina bontà, e sui meriti e promessa di Gesù Cristo, il quale ha detto: Omnis... qui petit, accipit (Luc. XI, [10]).12 Lo stesso dee dirsi delle preghiere che si porgono alla divina Madre.

Se quegli che prega, dice S. Anselmo, non merita di essere esaudito, i meriti di Maria, a cui egli si raccomanda, faranno che sia esaudito: Si merita invocantis non merentur ut exaudiatur, merita tamen Matris intercedunt, ut exaudiatur.13 Onde S. Bernardo esorta ogni peccatore a pregar Maria, e a concepir gran confidenza nel pregarla; perché se il peccatore non merita quel che domanda, è conceduto non però a Maria per li meriti suoi, che si donino al peccatore quelle grazie ch'ella domanda per esso a Dio: Quia indignus eras, cui donaretur,


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datum est Mariae, ut per illam acciperes quidquid haberes (Serm. 3, in vig. Nat.).14 Questo è l'officio d'una buona madre, dice lo stesso santo: una madre, che sapesse due figli suoi esser nemici a morte, e che l'uno insidiasse la vita all'altro, che altro mai farebbe, che procurare in tutti i modi pacificarli? Così, dice il santo, Maria è madre di Gesù e madre dell'uomo: quando vede alcun peccatore nemico di Gesù Cristo, non può sopportarlo, e tutta si adopera per farli stare in pace: O felix Maria, tu mater rei, tu mater iudicis, cum sis mater utriusque, discordias inter tuos filios nequis sustinere (In Depr. ad V.).15 Altro non vuole la benignissima Signora dal peccatore, che se le raccomandi ed abbia intenzione d'emendarsi. Quando Maria vede a' piedi suoi un peccatore che viene a cercarle misericordia, non guarda ella i peccati che porta, ma guarda l'intenzione colla quale viene; se viene con buona intenzione, avesse quegli commessi tutti i peccati del mondo, ella l'abbraccia, e non isdegna l'amantissima madre di sanargli tutte le piaghe che porta nell'anima; poich'ella non solamente è da noi chiamata la madre della misericordia, ma veramente è tale, e tale si fa conoscere con l'amore e tenerezza con cui ci sovviene. Tutto ciò appunto espresse la B. Vergine a S. Brigida, dicendo: Quantumcumque homo peccet, statim parata sum recipere revertentem; nec attendo quantum peccaverit, sed cum quali intentione redit: nam non dedignor eius plagas


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ungere et sanare, quia vocor et vere sum mater misericordiae (Rev., l. 2, c. 23).16

Maria è madre de' peccatori che vogliono convertirsi, e come madre non può non compatirli, anzi par che senta come propri i mali de' poveri figli. La Cananea, allorché pregò Gesù Cristo a liberar la sua figlia dal demonio, che la travagliava, disse: Miserere mei, Domine, fili David; filia mea male a daemonio vexatur (Matth. XV, 22). Ma se la figlia, non la madre, era tormentata dal demonio, par che avess'ella dovuto dire: Signore, abbi pietà di mia figlia, non già, abbi pietà di me. Ma no; ella disse: Miserere mei: con ragione, perché tutte le miserie de' figli si sentono come proprie dalle loro madri. Or così appunto dice Riccardo di S. Lorenzo che Maria prega Dio, quando le raccomanda qualche peccatore che a lei si raccomanda: Maria clamat pro anima peccatrice: Miserere mei (De laud. V., c. 6).17 Mio Signore, par che gli dica, questa povera anima, che sta in peccato, è mia figlia, e perciò abbi pietà non tanto di lei, quanto di me che le son madre.

Oh volesse Dio che tutti i peccatori ricorressero a questa dolce Madre, che tutti certamente sarebbero da Dio perdonati! O Maria, esclama per maraviglia S. Bonaventura, peccatorem toti mundo despectum materno affectu complecteris; nec deseris, quousque miserum iudici reconcilies (In Spec., c. 5).18 E


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vuol dire il santo che il peccatore, stando in peccato, è odiato e cacciato da tutti; anche le creature insensate, il fuoco, l'aria, la terra vorrebbero castigarlo, e far la vendetta per risarcire l'onore del loro Signor disprezzato. Ma se questo miserabile ricorre a Maria, Maria lo discaccia? No, se egli viene con intenzione d'essere aiutato ad emendarsi, ella se l'abbraccia con affetto di madre; né lo lascia, se prima colla sua potente intercessione non lo riconcilia con Dio e lo rimette in sua grazia.

Si legge nel secondo libro de' Re (Cap. XIV, num. 2) che quella sapiente donna Tecuite disse a Davide: «Signore, io avea due figli, per mia disgrazia l'uno ha ucciso l'altro: sicché già ho perduto un figlio; or la giustizia vuol togliermi l'altro figlio unico che mi è rimasto: abbiate pietà di me povera madre, fate ch'io non resti priva di tutti due questi miei figli.» Allora Davide, avendo compassione di questa madre, liberò il delinquente, e a lei lo donò. Lo stesso appunto par che dica Maria, allorché vede Dio sdegnato contro d'un peccatore, che a lei si raccomanda: «Mio Dio, gli dice, io avea due figli, Gesù e l'uomo; l'uomo ha ucciso il mio Gesù sulla croce; ora la vostra giustizia vuol condannar l'uomo: Signore, il mio Gesù è già morto, abbiate compassione di me, e se ho perduto l'uno, non mi fate perdere l'altro figlio ancora.» - Ah che certamente Dio non condanna quei peccatori che ricorrono a Maria, e per cui ella prega; mentre Dio stesso ha raccomandati per figli questi peccatori a Maria. Il divoto Lanspergio così fa parlare il Signore: Mariae peccatores in filios commendavi. Propterea adeo est sedula, ut officio suo satisfaciens, neminem eorum qui sibi commissi sunt, praecipue illam invocantium, perire sinat, sed quantum valet, omnes mihi reducat (V. l. 4, Min. Op.).19


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E chi mai può spiegare, dice Blosio, la bontà, la misericordia, la fedeltà e la carità, con cui questa nostra Madre cerca di salvarci quando noi l'invochiamo in aiuto? Huius matris bonitas, misericordia, fidelitas, caritas erga homines tanta est, ut nullis verbis explicari possit.20 Prostriamoci dunque, dice S. Bernardo, avanti a questa buona Madre, stringiamoci a' suoi santi piedi, e non la lasciamo se non ci benedice, e con ciò ci accetti per suoi figli: Beatis illius pedibus provolvamur; teneamus eam, nec dimittamus, donec benedixerit nobis. (In Sig. Magn.).21 E chi mai può sconfidare della pietà di questa Madre? Dicea S. Bonaventura: Etiamsi occiderit me, sperabo in eam; et totus confidens iuxta eius imaginem mori desidero, et salvus ero.22 E così dee dire ciascun peccatore che ricorre


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a questa pietosa madre: Signora e madre mia, io per le mie colpe merito che mi discacciate, e voi stessa mi castighiate secondo i demeriti miei; ma ancorché voi mi ributtiate e mi uccidiate, io non perderò mai la confidenza in voi, che voi mi abbiate a salvare. In voi tutto confido, e sol che io mi abbia la sorte di morire avanti a qualche vostra immagine, raccomandandomi alla vostra misericordia, io spero certamente di non perdermi, ma di venire a lodarvi in cielo in compagnia di tanti vostri servi, che morendo e chiamando voi in aiuto, tutti per la vostra potente intercessione son salvi.

Leggasi il seguente esempio e veggasi se mai alcun peccatore possi sconfidare della misericordia e dell'amore di questa buona madre, se a lei ricorre.

Esempio.

Si narra appresso il Belluacense (In Spec. histor.) che nella città di Ridolfo in Inghilterra nell'anno 1430 vi era un giovine nobile chiamato Arnesto, il quale, avendo dato a' poveri tutto il suo patrimonio, si fe' monaco in un monastero, dove menava una vita così perfetta, che i superiori assai lo stimavano, singolarmente per la divozione speciale che aveva alla SS. Vergine. Occorse che in quella città si attaccò la peste; i cittadini ricorsero al monastero per aiuto d'orazioni. L'abbate impose ad Arnesto che se ne andasse a pregare avanti l'altare di Maria, e non se ne partisse, finche la Madonna non li desse risposta. E il giovine, durando ivi tre giorni, finalmente ebbe la risposta da Maria di alcune preci che dovevano dirsi; e così si fece, e cessò la peste.

Or avvenne poi, che questo giovine si raffreddò nella divozione di Maria: il demonio lo assalì con molte tentazioni, specialmente d'impurità e di fuggirsene dal monastero; e il miserabile, per non essersi raccomandato a Maria, già risolvè di fuggirsene con buttarsi da una muraglia del monastero; ma passando avanti l'immagine di Maria che stava nel corridore, la Madre di Dio gli parlò e gli disse: «Figlio mio, perché mi lasci?» Allora Arnesto stordito e compunto cadde in terra e rispose: «Ma, Signora, non vedete che non posso resistere più? voi perché non mi aiutate?» E la Madonna replicò: «E tu perché non mi hai invocata? che se ti raccomandavi a


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me, non ti saresti ridotto a questo: da oggi avanti, gli disse, raccomandati a me e non dubitare».

Se ne tornò in cella Arnesto. Ma ritornarono le tentazioni; esso neppure attese a raccomandarsi a Maria: onde finalmente se ne fuggì dal monastero, e dandosi ad una pessima vita, passando da peccato in peccato, in fine si ridusse a far l'assassino, poiché prese ad affitto un'osteria, dove la notte uccideva i poveri passaggieri e li spogliava. Fra questi uccise una notte il cugino del governatore di quel luogo, il quale dagl'indizi avuti facendo il processo, lo condannò alla forca.

Ma frattanto che si faceva il processo, capitò all'osteria un cavaliere giovine: l'oste ribaldo, facendo il solito disegno sopra di lui, la notte entra nella stanza per assassinarlo: ma ecco sul letto non vede il cavaliere, ma un Crocifisso impiagato, che, guardandolo pietosamente, gli dice: «Non ti basta, ingrato, ch'io sia morto una volta per te? Vuoi tornare ad uccidermi? Via su presto, stendi la mano e torna ad uccidermi». Allora il povero Arnesto confuso cominciò a piangere, e piangendo disse: «Signore, eccomi, giacché mi usate tante misericordie, io voglio tornare a voi». E subito si partì dall'osteria per tornare al monastero a far penitenza; ma ritrovato per via da' ministri della giustizia, fu portato al giudice, e avanti di lui confessò tutti gli assassini fatti. Onde fu condannato a morir di capestro, senza dargli neppure tempo di confessarsi. Allora egli si raccomandò a Maria. Fu buttato dalla forca; ma la Vergine fece che non morisse. Ella stessa poi lo sciolse e gli disse: «Torna al monastero, fa penitenza, e quando vedrai in mia mano una carta del perdono de' tuoi peccati, allora apparecchiati alla morte». Arnesto tornò, e raccontato tutto all'abbate fece gran penitenza. Dopo molti anni, ecco vide in mano di Maria la carta del perdono; e subito si apparecchiò alla morte, e santamente morì.23

Preghiera.

O mia sovrana regina, e degna Madre del mio Dio, Maria SS., io vedendomi così vile e così lordo di peccati, non dovrei


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aver ardire di accostarmi a voi e di chiamarvi madre. Ma non voglio che le miserie mie mi privino della consolazione e della confidenza ch'io sento in chiamarvi madre. Merito, già lo so, che voi mi discacciate; ma vi prego a guardare quel che ha fatto e patito il vostro figlio Gesù per me, e poi discacciatemi se potete: io sono un povero peccatore, che più degli altri ho disprezzata la divina Maestà; ma il male è già fatto.

A voi ricorro, voi mi potete aiutare; Madre mia, aiutatemi. Non mi dite che non mi potete aiutare; perché io so che siete onnipotente ed ottenete quanto desiderate dal vostro Dio. Se poi dite che non mi volete aiutare, ditemi almeno a chi ho da ricorrere per essere sollevato in tanta mia disgrazia? Aut miseremini misero, dirò a voi e al vostro Figlio con S. Anselmo, tu parcendo, tu interveniendo: aut ostendite, ad quos tutius fugiam misericordiores; aut monstrate, in quibus certius confidam.24 O abbiate pietà di me, voi, mio Redentore, con perdonarmi, e voi, Madre mia, con raccomandarmi: oppure insegnatemi a quali persone io ho a ricorrere, che sieno di voi più pietose, e in cui io possa più confidare. No che né in terra né in cielo posso trovare chi abbia de' miseri maggior pietà di voi, e chi meglio possa aiutarmi.

Voi, Gesù, siete il padre mio, e voi, Maria, siete la madre mia. Voi amate i più miserabili e gli andate cercando per salvarli. Io sono un reo dell'inferno il più miserabile di tutti; ma non avete bisogno d'andarmi cercando, né io pretendo che mi cerchiate; io mi presento a voi con certa speranza che non resterò abbandonato da voi. Eccomi a' piedi vostri, Gesù mio, perdonatemi: Maria mia, soccorretemi.




1 «Ego sum Mater Dei... Ego etiam sum Mater omnium qui sunt in superno gaudio... Sum etiam mater omnium qui sunt in purgatorio... Ego sum Mater totius iustitiae quae est in mundo... Ego etiam sum quasi Mater omnium peccatorum se volentium emendare.» S. BIRGITTAE Revelationes, lib. 4, cap. 138. Coloniae Agrippinae, 1628, pag. 298, col. 1.

2 «De Matre vero Domini, cui te principaliter commisi et committo, et numquam committere... omittam, quid tibi dicam, quam caelum et terra laudare, licet ut meretur nequeant, non cessant? Hoc tamen procul dubio teneas, quia, quanto altior et melior ac sanctior est omni matre, tanto clementior et dulcior circa conversos peccatores et peccatrices. Pone itaque finem in voluntate peccandi, et prostrata coram illa ex corde contrito et humiliato lacrimas effunde. Invenios illam, indubitanter promitto, promptiorem carnali matre ac mitiorem in tui dilectione.» S. GREGORIUS PP. VII, Registrum, lib. 1, Epistola 47, ad Comitissam Mathildem (in fine). ML 148-328.

3 «Ideo dicitur prius: Surrexerunt (Prov. XXXI, 28), nec dignus est, qui in mortali peccato est, vocari filius tantae matris.» RICHARDUS A S. LAURENTIO, De laudibus B. M. V., lib. 2, cap. 5, n. 8. Inter Opera S. Alberti Magni, Lugduni, 1651, XX, 74: Paris., XXXVI, 115.

4 «Qui genitoris opera non facit, negat genus, Domino sic docente: Si filii Abrahae essetis, opera Abrahae faceretis. (Io. VIII).» S. PETRUS CHRYSOLOGUS, Sermo 123, De divite et Lazaro. ML 52-537. - Si filii Abrahae estis, opera Abrahae facite... Vos facitis, opera patris vestri... Vos ex patre diabolo estis. Io. VIII, 39, 41, 44. - La stessa ragione vale per la madre, come per il padre.

5 «Filii eius, id est, imitatores, maxime in tribus, castitate, largitate humilitate... Si filii Abrahae estis, opera Abrahae facite (Io. VIII, 39). Filii ergo Mariae imitatores eius in benignitate, mansuetudine, misericordia, et huiusmodi.» RICHARDUS A S. LAURENTIO, op. cit., l. c. - Vedi la precedente nota 3.

6 AURIEMMA, Affetti scambievoli: dopo i 16 capitoli della Parte seconda: Motivo per amar Maria, cap. 12. Bologna, 1681, pag. 413.

7 «Quidam peccator, volens ire ad peccandum, ad altare Virginis gloriosae stans, salutavit eam angelica salutatione, quia modus eius erat., quandocumque praeterivit altare vel imaginem Virginis Mariae, quod eam salutavit. (Prodigiosamente la Madonna gli eccitò nel cuore il rimorso dei suoi peccati.) Et peccator ille, conversus ad Virginem, dixit: «O Mater misericordiae, intercede pro me.» Et illa: «Vos peccatores vocatis me matrem misericordiae, qui tamen non cessatis me facere matrem miseriae et tristitiae.» Sermones Discipuli (i. e. Io. HEROLT, O. P.), de tempore et de sanctis, Sermo 161, de B. V. Maria (verso la fine). Venetiis, 1598, pag. 607. - PELBARTUS DE THEMESWAR, Ord. Min., Stellarium coronae gloriosissimae Virginis, lib. 12, pars 3 (ultima), cap. 7, Miraculum I. Venetiis, 1586, fol. 224, col. 3.

8 RICHARDUS A S. LAURENTIO, De laudibus B. M. V., lib. II, cap. 1, n. 8. Inter Opera S. Alberti Magni, Lugd., 1651, XX, pag. 35 (operis, non integri voluminis); Paris., XXXVI, 62.

9 «Deinde ait Filius Dei ad Matrem: «O benedicta Mater, tu es similis aurifabro, qui praeparat opus pulchrum... Sic tu, dilecta Mater, omni conanti surgere ad Deum tribuis auxilium, et neminem relinquis vacuum a consolatione tua.» S. BIRGITTAE Revelationes, lib. 3, cap. 19 (verso la fine).

10 «Si quis dixerit, opera omnia, quae ante iustificationem fiunt, quacumque ratione facta sint, vere esse peccata, vel odium Dei mereri, aut, quanto vehementius quis nititur se disponere ad gratiam, tanto eum gravius peccare: anathema sit.» CONCILIUM TRIDENTINUM, Sessio 6, canon 7.

11 «Non est speciosa laus in ore peccatoris (Eccli. XV, 9). Etiam quae est in ore peccatoris poenitentis, non videtur speciosa; quia adhuc de peccati recordatione et memoria confusionem patitur, et frequenter inde compungitur. Sed tamen in eo est utilis et fructuosa confessio, etsi non speciosa decoraque laudatio.» S. BERNARDUS, Sermones de diversis, Sermo 81. ML 183-699.

12 «Sicut supra dictum est (qu. 83, art. 16)... oratio in impetrando non innititur merito, sed divinae misericordiae, quae etiam ad malos se extendit.» S. THOMAS, Sum. Theol., II-II, qu. 178, art. 2, ad 1. - «Oratio... habet... virtutem merendi et virtutem impetrandi. Oratio autem, dicut et quilibet alius actus virtutis, habet efficaciam merendi, in quantum procedit ex radice caritatis... Efficaciam autem impetrandi habet ex gratia Dei, quem oramus; qui etiam nos ad orandum inducit. Unde Augustinus...: «Non nos hortaretur ut peteremus, nisi dare vellet.» II-II, qu. 83, art. 15, C. - «Quamvis eius (peccatoris) oratio non sit meritoria, potest tamen esse impetrativa, quia meritum innititur iustitiae, sed impetratio innititur gratiae.» Ibid., ad 2.

13 «Invocatio autem nomine Matris suae (Domini Iesu), etsi merita invocantis non merentur, merita tamen Matris intercedunt ut exaudiatur.» EADMERUS monachus Cantuariensis, Liber de excellentia B. Mariae, cap. 6. Inter Opera S. Anselmi, ML 159-570.

14 «Ex Deo et homine cataplasma confectum est, quod sanaret omnes infirmitates tuas. Contusae sunt autem et commixtae hae duae species in utero Virginis, tamquam in mortariolo; sancto Spiritu, tamquam pistillo, illas suaviter commiscente. Sed quia indignus eras cui donaretur, datum est Mariae, ut per illam acciperes quidquid haberes... Nihil nos Deus habere voluit, quod per Mariae manus non transiret.» S. BERNARDUS, In Vigilia Nativitatis Domini, sermo 3, n. 10. ML 183-100.

15 «Beatus Bernardus ait: Tu mater Regis, tu mater exsulis; tu mater Dei (il contesto esige: rei), tu mater Iudicis; et tu mater Dei et hominis: cum mater sis utriusque, discordiam inter filios tuos nequis sustinere.» CONRADUS SAXON, Speculum B. M. V., lectio 3: inter Opera S. Bonaventurae, ed. Rom., Mogunt., Lugdun., VI, 432. - Questo testo però non è di S. Bernardo, ma, parte letteralmente, parte a senso, di ADAMO (+ 1203), Abbate di Persenia (Perseigne), Mariale, Sermo 1, in Annuntiatione B. M. V., ML 211-703: «Tu enim mater exsulis, tu mater Regis. Tu mater rei, tu mater Iudicis. Tu mater Dei, tu mater hominis. Per te ergo factus est reus frater Iudicis, per te facta est una hereditas Regis et exsulis. Cum enim utriusque mater, utrumque habes filium... Tu, misericordiae mater, non rogabis pro filio Filium?... Rogabis plane, quia qui Filium tuum inter Deum et homines posuit Mediatorem, te quoque inter reum et Iudicem posuit Mediatricem.»

16 «Verba Virginis gloriosae... Quantumcumque homo peccat, si ex toto corde et vera emendatione ad me reversus fuerit, statim parata sum recipere revertentem. Nec attendo quantum peccaverit, sed cum quali intentione et voluntate redit. Ego vocor ab omnibus Mater misericordiae: vere, filia, misericordia Filii mei fecit me misericordem, et misericordia eius visa compatientem.» S. BIRGITTAE Revelationes, lib. 2, cap. 23. Coloniae Agrippinae, 1628, pag. 114, col. 1. - «Maria loquitur: Nullus est tantus peccator, nec tam in vili opere positus, quin, si invocaverit me in adiutorium, ego iuvabo eum. Quod enim opus est vilius quam curare caput scabiosum? Si quis invocat me, ministrabo adiutorium ut mundetur. Quid vero vilius instrumento illo, aut sordidius, quo crassitudo terrae eiicitur de stabulo super currum? Si quis invocaverit me, ego iuvabo eum. Quid vero vilius, quam lavare plagas leprosi? Quicumque invocaverit me, ego non dedignor tangere, et ungere, et sanare plagas suas.» Id. op., lib. 6, cap. 117, pag. 438, col. 2.

17 «Haec est mulier Chananaea egressa de finibus Tyri et Sidonis, id est de profundo saecularis conversationis, quae clamat ad Deum pro filia, id est, peccatrice anima, cuius etiam personam misericorditer in se transformat, dicens: Miserere mei... fili David.» RICHARDUS A S. LAURENTIO, De laudibus B. Mariae, lib. 6, cap. 9, n. 11. Inter Opera S. Alberti Magni, Lugduni, 1651, XX, 198; ed. Paris., XXXVI, 349.

18 «Bene beatus Bernardus ait: Maria, tu peccatorem toti mundo despectum, materno affectu complecteris, foves, nec deseris, quousque horrendo Iudici miserum reconcilies.» CONRADUS SAXON, Speculum B. M. V., lectio 5.Inter Opera S. Bonaventurae, ed. Rom., Mogunt., Lugdunen., VI, 437, col. 1. Vedi Appendice, 2. - ECBERTUS, Abbas Schonaugiensis, Sermo panegyricus, alias Ad gloriosam Virginem Mariam deprecatio et laus elegantissima, n. 2, inter Opera S. Bernardi, ML 184-1010: «Tu peccatorem quantumlibet fetidum, non horres, non despicis;... tu illum... foves, nec deseris, quousque horrendo Iudici miserum reconcilies... ac toti mundo despectum materno affectu amplecteris.» Vedi Appendice, 3, B.

19 «Illi (nempe Mariae) omnem gratiae et misericordiae meae thesaurum erogandum commisi, quando filios meos omnes, potissimum autem, pro quibus tunc patiebar, peccatores, in persona Ioannis in filios commendavi. Hoc ipsa non ignorat. Propterea adeo est diligens, adeo sedula, ut officio suo satisfaciens, neminem eorum, quantum in se est, qui sibi commissi sunt, praecipue se invocantium, perire sinat, sed quantum valet, omnes mihi reducat, omnes mihi reconciliandos offerat.» LANSPERGIUS, Cartusianus, Alloquia Christi Iesu ad animam, lib. 1, pars 3 (non già parte 4, come, alla pagina 476, erroneamente vien segnato), Canon 12. Opuscula spiritualia, I, pag. 486: Coloniae Agrippinae, 1693.

20 «Huius Virginis Matris bonitas, misericordia, pietas, amicitia, benignitas, clementia, fidelitas, benevolentia, et caritas erga homines tanta est, ut nullis verbis explicari possit.» Ludovicus BLOSIUS, Abbas Laetiensis, O. S. B., Sacellum animae fidelis, pars 3, cap. 5, n. 2. Opera, Antwerpiae (Moretus), 1632, pag. 264.

21 «Amplectamur Mariae vestigia, fratres mei, et devotissima supplicatione beatis illius pedibus provolvamur. Teneamus eam, nec dimittamus donec benedixerit nobis.» S. BERNARDUS, Dominica infra octavam Assumptionis B. V. M., Sermo de duodecim praerogativis B. V. M., ex verbis Apoc. XIII, 1: Signum magnum..., n. 5. ML 183-432.

22 PACIUCHELLI, O. P., Excitationes dormitantis animae, Excitatio 3 in Ps. 86, n. 12, pag. 17, col. 1, dopo aver detto di Oza, colpito di subitanea morte per la sua temerità nel toccare l'Arca, che da molti si crede esser egli morto penitente, perché mortuus est iuxta Arcam Dei, figura di Maria, soggiunge: «His affectus D. Bonaventurae subnectam: De tua, - inquit, Virginem alloquens, - benignitate et humilitate benigna confido, quod me indignum sustinebis. Et quamvis sis arca veteris testamenti, et ego multo ignobilior, tamen cum te tetigero corde, et salutavero ore, non credo percuti, sed tuo amore infiammari, et tua pietate largissima exaudiri.» Continua il Paciuchelli, a quanto pare, a nome proprio: «Fateor, non eam, ut par est, veneror neque amore et reverentia prosequor, in eius obsequiis sexcentos defectus defleo; valde sum temerarius, et multo magis quam Oza; non mereor beneficia, sed flagella, sed plagas, sed mortem. Verum etiamsi occiderit me, sperabo in eam, et totus in ea considero, iuxta eius Imaginem mori desidero - obstruatur os loquentium iniqua - et salvus ero.» Nella nota marginale, vien segnato S. Bonaventura, Stimulus amoris, pars 3, cap. 12. Ora, né in quel capitolo 12, né altrove, né in tutto, né in parte, troviamo nello Stimulus il testo riferito. Però, osservano gli editori di S. Bonaventura (VIII, ad Claras Aquas, Prolegomena, pag. CXI, col. 1) che lo Stimulus, o manoscritto o stampato, si presenta «mira cum varietate rei et ordine partium». Il Paciuchelli ed anche S. Alfonso, in qualcuna di quelle svariate edizioni, avranno letto quanto ci riportano.

23 Carlo BOVIO, S. I., Esempi e miracoli della SS. Vergine Madre di Dio Maria, detti nella Chiesa del Gesù di Roma. Parte quarta, Venezia, 1749 (la prima edizione è del 1692, Roma), esempio 10. - Vedi Appendice, 4.

24
 «Deus, qui factus es filius feminae propter misericordiam; femina, quae facta es Mater Dei propter misericordiam, aut miseremini miseri, tu parcendo, tu interveniendo; aut ostendite ad quos tutius fugiam miericordiores, et monstrate in quibus certius confidam potentiores.» S. ANSELMUS, Cantuariensis Archiepiscopus, Orationes, Oratio 51 (al. 50). ML 158-952.

AVE MARIA PURISSIMA!