sabato 17 aprile 2021

Mia Madre si era votata alla verginità per l'amore. Ma aveva, essendo creatura perfetta, la maternità nel sangue e nello spirito.

 


VOLUME III CAPITOLO 196



CXCVI. Il sabato al Getsemani. Gesù parla della Madre e degli amori di diverse potenze.

  21 giugno 1945.

 1 La mattina del sabato è stata occupata, per la maggior parte del tempo, in ristoro dei corpi stanchi e delle vesti polverose e sgualcite dal viaggio. Nelle ampie cisterne del Getsemani, che l'acqua piovana ha fatto colme, e nel Cedron che fa tutto una sinfonia sui sassi, spumoso, pieno, per le acquate degli ultimi giorni, vi è tant'acqua che è un vero invito. E l'uno dopo l'altro i pellegrini, sfidando la frescura, scendono a tuffarvisi e poi, rivestiti a nuovo da capo a piedi, con ancora i capelli un poco stesi dagli spruzzi del torrente, attingono acqua dalle cisterne per riversarla in capaci vasche dove sono le vesti, colore per colore.
   «Oh! bene!» dice Pietro contento. «Lì si purgheranno e Maria le laverà con minor fatica».
   «Solo tu, piccolino, non ti puoi mutare. Ma domani...». Infatti ha una vesticciola pulita il fanciullo, tratta dal sacchettino suo, un sacchettino che potrebbe bastare ad una bambola tanto è piccino. Ma la vesticciola è ancora più stinta e lacera dell'altra, e Pietro la guarda con apprensione mormorando: «Come faccio a portarlo in città? Quasi quasi farei in due il mio mantello, perché con un mantello... si coprirebbe tutto».
   Gesù, che sente questo soliloquio paterno dice: «E' meglio farlo riposare ora. Questa sera andremo a Betania...».
   «Ma io voglio comprargli la veste. Gliel'ho promesso...».
   «Lo farai certamente. Ma è meglio consigliarsi con la Madre. Sai... le donne... hanno più capacità di noi negli acquisti.... e ne sarà felice di occuparsi di un bambino... Andrete insieme!».
   L'idea di andare con Maria a fare gli acquisti rapisce al settimo cielo l'apostolo. Non so se Gesù esprima tutto il suo pensiero o se ne trattenga una parte, ossia quella che avrebbe detto come sua Madre ha un gusto più fino che salva da accozzi di colori atroci. Fatto è che ottiene lo scopo senza mortificare il suo Pietro.

 2 Si spargono per l'uliveto, così bello in questo sereno giorno d'aprile. La pioggia dei giorni scorsi sembra avere inargentato gli ulivi e seminato fiori, tanto le fronde splendono al sole e sono numerosi i fioretti ai piedi degli ulivi. Gli uccelli cantano e volano da tutte le parti.
   La città è stesa là, in direzione ovest di chi guarda.
   Non si vede il formicolio della folla al suo interno, ma si vedono le carovane che vanno verso la porta dei Pesci ed altre porte di cui non so il nome, da questo lato est, e che poi vengono inghiottite dalla città come fosse un famelico ventre.
   Gesù passeggia osservando Jabé che gioca allegro con Giovanni e con i più giovani. Anche l'Iscariota, passata la stizza di ieri, è allegro e giuoca. I più anziani osservano e sorridono. «Cosa dirà tua Madre di questo fanciullo?» chiede Bartolomeo.
   «Io dico che dirà: "E' molto esile"» dice Tommaso.
   «Oh! no! Dirà: "Povero fanciullo!"» risponde Pietro.
   «Ti dirà invece. "Sono contenta che Tu lo ami"» obbietta Filippo.
   «La Madre non ne avrebbe mai dubitato. Ma io credo che non parlerà. Se lo prenderà sul cuore» dice lo Zelote.
   «E Tu, Maestro, che dici che dirà?».
   «Farà quello che voi dite. Ma molte cose, tutte anzi, le penserà e le dirà nel suo cuore, e nel baciarlo dirà solo: "Che tu sia benedetto!" e lo curerà come fosse un uccellino caduto dal nido.

 3 Un giorno, udite, mi raccontava di quando era una fanciullina. Non aveva ancora tre anni perché ancora non era nel Tempio, e il cuore le si frangeva d'amore dando, come fiore e uliva pigiati e franti nel torchio, tutti i suoi oli e i suoi profumi. E in un delirio d'amore diceva alla madre sua che voleva esser vergine per piacere di più al Salvatore, ma che avrebbe voluto essere peccatrice per potere essere salvata, e quasi piangeva perché la madre non la capiva e non sapeva dirle come si può fare ad essere la "pura" e la "peccatrice" insieme.
   Le dette pace suo padre portandole un piccolo passero che egli aveva salvato mentre pericolava sull'orlo di una fontana. Le fece la parabola dell'uccellino, dicendo che Dio l'aveva salvata in anticipo e che perciò Lei lo doveva benedire due volte. E la piccola Vergine di Dio, la grandissima Vergine Maria, esercitò la sua prima maternità spirituale su quel nidiace che Ella rese al volo quando fu forte, ma che non lasciò mai più l'orto di Nazaret, consolando con i suoi voli e coi suoi cinguettii la triste casa e i tristi cuori di Anna e Gioacchino dopo che Maria fu nel Tempio. Morì poco prima che spirasse Anna... Aveva finito il suo compito...

 4 Mia Madre si era votata alla verginità per l'amore. Ma aveva, essendo creatura perfetta, la maternità nel sangue e nello spirito. Perché la donna è fatta per essere madre, ed è aberrazione quando è sorda a questo sentimento, che è amore di seconda potenza...»
   Si sono accostati anche gli altri, piano piano.
   «Cosa vuoi dire, Maestro, dicendo amore di seconda potenza?» chiede Giuda Taddeo. 
   «Fratello mio, vi sono molti amori e di diverse potenze. Vi è l'amore di prima potenza: quello che si dà a Dio. Poi l'amore di seconda potenza: quello materno, o paterno, perché se il primo è tutto spirituale, questo è per due parti spirituale e per una sola carnale. Vi si mescola, sì, il sentimento affettivo umano, ma vi predomina il superiore, perché un padre e una madre, sanamente e santamente tali, non danno solo cibo e carezze alla carne del figlio, ma anche nutrimento e amore alla mente e allo spirito della loro creatura. E tanto è vero ciò che dico, che chi si vota all'infanzia, anche se unicamente per istruirla, finisce ad amarla come fosse sua carne».
   «Io li amavo infatti molto i miei discepoli» dice Giovanni di Endor.
   «Ho compreso che dovevi essere un buon maestro vedendo come ti comporti con Jabé».
   L'uomo di Endor si china e bacia la mano di Gesù senza parlare.
   «Continua, ti prego, la tua classificazione degli amori» prega lo Zelote.
   «Vi è l'amore per la compagna: amore di terza potenza perché fatto per metà - parlo sempre dei sani e santi amori - di spirito e metà di carne. L'uomo per la sposa è un maestro e un padre, oltre che sposo; e la donna per lo sposo è un angelo e una madre oltre che sposa. Questi sono i tre amori più elevati».

 5 «E l'amore del prossimo? Non sbagli? O lo hai dimenticato?» chiede l'Iscariota. Gli altri lo guardano stupiti e... feroci per l'osservazione.
   Ma Gesù risponde placido:
   «No, Giuda. Ma osserva. Dio va amato perché è Dio, dunque non necessita alcuna spiegazione per persuadere a questo amore. Egli è Colui che è, ossia il Tutto; e l'uomo, il nulla che diviene partecipe del Tutto per l'anima infusa dall'Eterno - senza quella l'uomo sarebbe uno dei tanti animali bruti che vivono sulla terra o nelle acque o nell'aria - deve adorarlo per dovere e per meritare di sopravvivere nel Tutto, ossia per meritare di divenire parte del popolo santo di Dio in Cielo, cittadino della Gerusalemme che non conoscerà profanazione e distruzioni in eterno. L'amore dell'uomo, e specie della donna, alla prole, ha indicazione di comando nelle parole di Dio ad Adamo ed Eva dopo averli benedetti, vedendo di aver fatto "cosa buona", in un lontano sesto giorno, il primo sesto giorno del creato. Disse loro: "Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra...". Vedo la tua inespressa obbiezione e ti rispondo subito così: posto che nel creato avanti la colpa tutto era regolato e basato sull'amore, questo moltiplicarsi dei figli sarebbe stato amore, santo, puro, potente, perfetto. E Dio lo ha dato per primo comando all'uomo: "Crescete e moltiplicatevi". "Amate perciò, dopo di Me, i vostri figli". L'amore quale ora è, il generatore attuale dei figli, allora non era. La malizia non era e con essa non era l'esecrata fame del senso. L'uomo amava la donna e la donna l'uomo, naturalmente, non naturalmente secondo natura quale noi l'intendiamo o, meglio, voi uomini l'intendete, ma secondo natura dei figli di Dio: soprannaturalmente. Dolci, primi giorni d'amore fra i due che erano fratelli, perché nati da un Padre unico, e che pure erano sposi, e che nell'amarsi si guardavano con gli innocenti occhi di due gemelli nella cuna; e l'uomo provava l'amor di padre per la compagna "osso delle sue ossa e carne della sua carne", così come è il figlio per un padre; e la donna conosceva la gioia d'esser figlia, ossia protetta da un amore ben alto, perché sentiva di avere in sé qualcosa di quello splendido uomo che l'amava, con innocenza e angelico ardore, nei bei prati dell'Eden!
   Dopo, nell'ordine dei comandi dati da Dio, con un sorriso, ai suoi pargoli diletti, viene quello che lo stesso Adamo, dotato per la Grazia di una intelligenza seconda solo a quella di Dio, decreta, parlando della compagna e di tutte le donne in lei, il decreto del pensiero di Dio, che si rifletteva netto sul terso specchio dello spirito di Adamo e fioriva in pensiero e parola: "L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie e i due saranno una carne sola". Se non ci fossero stati i piloni dei tre amori suddetti, avrebbe potuto esserci l'amore di prossimo? No. Non avrebbe potuto esserci. L'amore di Dio fa Dio amico e insegna l'amore. Chi non ama Dio, che è buono, non può certo amare il prossimo, che in maggioranza è difettoso. Se non ci fossero stati amor coniugale e paternità nel mondo, non avrebbe potuto esserci prossimo, perché il prossimo è fatto dei figli nati dagli uomini. Sei persuaso?».
   «Sì, Maestro, non avevo riflettuto».
   «E' infatti molto difficile risalire alle sorgenti. L'uomo è ormai confitto da secoli e millenni nel fango, e quelle sorgenti sono talmente sulle cime! La prima, poi, è una sorgente che viene da un abisso di altezza: Dio... Ma Io vi prendo per mano e vi conduco alle sorgenti. So dove sono...»


 6 «E gli altri amori?» chiedono insieme Simone Zelote e l'uomo di Endor.
   «Il primo della seconda serie è quello del prossimo. In realtà è il quarto in potenza. Poi viene l'amore alla scienza. Indi l'amore al lavoro».
   «E basta?».
   «E basta».
   «Ma vi sono molti altri amori!» esclama Giuda Iscariota
   «No. Vi sono altre fami. Ma non sono amori. Sono "disamori".  Negano Dio, negano l'uomo. Non possono perciò essere amori, perché sono negazioni e la negazione è odio».
   «Se io nego di acconsentire al male, è odio?» chiede ancora Giuda Iscariota.
   «Miseri noi! Ma sei più cavilloso di uno scriba! Mi dici che hai? E' l'aria fina di Giudea che ti pizzica i nervi come un crampo?» esclama Pietro.
   «No. Mi piace istruirmi e avere molte idee, e chiare. Qui è facile parlare per l'appunto con scribi. Non voglio rimanere a corto di argomenti».
   «E credi di potere, in quel momento che ti occorre, tirare fuori la filaccia del colore richiesto dal sacco dove zavorri tutti quei cenci?» interroga Pietro.
   «Cenci le parole del Maestro? Tu bestemmi!»
   «Non mi fare lo scandalizzato. In bocca a Lui non sono cenci, ma una volta che vengono malmenate da noi lo divengono. Prova tu a dare un bisso prezioso in mano di un bambino... Dopo poco è uno sbrendolo sporco e lacerato. Quello che succede a noi... Ora se tu pretendi di pescare al momento buono il brandellino che ti serve, fra che è  brandellino e fra che è sporco... hum! non so che combinerai».
   «Tu non ci pensare. Sono affari miei».
   «Oh! sta' certo che non ci penso! Ne ho basta dei miei. E poi... Mi contento che tu non faccia danno al Maestro. Perché, in questo caso, penserei anche agli affari tuoi...»
   «Quando farò male lo farai. Ma non sarà mai perché io so fare... Non sono ignorante io...»
   «Lo  sono io, lo so. Ma appunto perché lo so, non zavorro nulla per sventolarlo poi al momento buono. Ma mi raccomando a Dio, e Dio mi aiuterà per amore del suo Messia di cui io sono il servo più infimo e più fedele».
   «Fedeli siamo tutti!» ribatte arrogante Giuda.
   «Oh! cattivo! Perché offendi il padre mio? E' vecchio, è buono. Non devi. Sei un cattivo uomo e mi fai paura» dice Jabé severo, rompendo il silenzio attento in cui era.
   «E due!» esclama a bassa voce Giacomo di Zebedeo urtando col gomito Andrea. Ha parlato piano, ma l'Iscariota ha sentito.
   «Vedi, Maestro, se le parole dello stolto bambino di Magdala hanno lasciato un segno?» dice Giuda acceso di stizza.


 7 «Ma non sarebbe più bello continuare la lezione del Maestro anziché sembrare tanti capretti imbizziti?» chiede il pacifico Tommaso.
   «Ma sì, Maestro. Parlaci ancora di tua Madre. E' così luminosa la sua infanzia! Ci fa l'anima vergine per riflesso, ed io, povero peccatore, ne ho tanto bisogno!» esclama Matteo.
   «Che vi devo dire? Sono tanti episodi, uno più dolce dell'altro...Lei te li ha narrati?».
   «Qualcuno. Ma molti più Giuseppe, come il più bel racconto a Me fanciullo, e anche Alfeo di Sara che, essendo di pochi anni più vecchio di mia Madre, le fu amico nei brevi anni che Lei fu a Nazaret».
   «Oh! racconta...» prega Giovanni. Sono tutti in cerchio, seduti all'ombra degli ulivi, con Jabé al centro che guarda fisso Gesù come udisse una paradisiaca fiaba.
   «Vi dirò la lezione di castità che diede mia Madre, pochi giorni avanti l'entrata nel Tempio, al suo piccolo amico e a molti altri. Si era sposata quel giorno una fanciulla di Nazaret, parente di Sara, e anche Gioacchino ed Anna erano stati invitati alle nozze. Con essi la piccola Maria, che con altri bambini aveva l'incarico di gettare petali sfogliati sul cammino della sposa. Dicono che era bellissima, da piccina, e tutti se la contendevano dopo la festosa entrata della sposa. Era molto difficile vedere Maria perché Ella viveva molto in casa, amando una grotticella, che Lei chiama tutt'ora "dei suoi sponsali", più di ogni luogo. Quando perciò era vista, bionda, rosea e gentile, era accasciata dalle carezze. La chiamavano "il Fiore di Nazaret" oppure "la Perla di Galilea" o anche "la Pace di Dio" a ricordo di un arcobaleno enorme venuto improvviso al suo primo vagire. Ed era infatti tutto questo e più ancora. E' il Fiore del Cielo e del creato, è la Perla del Paradiso, è la Pace di Dio... Sì, la Pace. Io sono il Pacifico perché sono Figlio del Padre e figlio di Maria: la Pace infinita e la Pace soave.
   Quel giorno tutti la volevano baciare e prendere in grembo. E Lei, schiva di baci e di contatti, disse con gravità gentile: "Ve ne prego. Non mi sgualcite". Credettero parlasse della sua veste di lino, cinta di una fascia d'azzurro alla vita, ai piccoli polsi, al collo... oppure alla ghirlandetta di fiorellini azzurri di cui Anna l'aveva incoronata per trattenerle a posto i riccioli lievi, e l'assicurarono che non le avrebbero sgualcita né veste né ghirlanda. Ma Lei, sicura, piccola donna di tre anni ritta fra un cerchio di adulti, disse seria: 'Non penso a ciò che si ripara. Parlo dell'anima mia. E' di Dio. E non vuole essere toccata che da Dio'. Le obiettarono: "Ma noi baciamo te, non la tua anima". Ed Essa: "Il mio corpo è tempio dell'anima e vi è sacerdote lo Spirito. Il popolo non è ammesso nel recinto sacerdotale. Ve ne prego. Non entrate nel recinto di Dio".
   Alfeo, che aveva allora otto anni e che l'amava molto, fu colpito da questa risposta e il giorno dopo, trovandola presso la sua grotticella, intenta a cogliere fiori, le chiese: "Maria, quando sarai donna mi vorresti per sposo?". Ancora in lui durava l'effervescenza della festa nuziale a cui aveva assistito.
   Ed Ella: "Io ti amo molto. Ma non ti vedo come uomo. Ti dico un segreto. Io vedo solo l'anima dei viventi. Quella la amo molto, con tutto il cuore. Ma non vedo altro che Dio come 'vero Vivente' a cui potrò dare me stessa".
   Ecco un episodio».


   «"Vero vivente"!!! Ma sai che è parola profonda!» esclama Bartolomeo.
   E Gesù, umilmente con un sorriso: «Ella era la Madre della Sapienza».
   «Era?... Ma non aveva tre anni?»
   «Era. Io vivevo già in Lei, essendo Dio in Lei, dal suo concepimento, nella sua Unità e Trinità perfettissima».


 8 «Ma, scusa se io colpevole oso parlare, ma Gioacchino ed Anna sapevano che Ella era la Vergine prescelta?» chiede Giuda Iscariota.
   «Non lo sapevano».
   «E allora come poté dire Gioacchino che Dio l'aveva salvata in anticipo? Ciò non allude al suo privilegio sulla colpa?»
   «Vi allude. Ma Gioacchino parlava per bocca di Dio, come tutti i profeti. Lui pure non comprese la sublime verità soprannaturale che lo Spirito metteva sulle sue labbra. Perché era un giusto, Gioacchino. Tanto da meritare quella paternità. Ed era un umile. Non vi è infatti giustizia dove è superbia. Lui era  giusto ed umile. Consolò la Figlia per amor di padre. L'istruì per sapienza di sacerdote, ché tale era essendo tutore dell'Arca di Dio. La consacrò come Pontefice del titolo più dolce: "La Senza Macchia". Un giorno verrà che un altro canuto pontefice dirà al mondo: "Ella è la Concepita senza Macchia", e darà al mondo dei credenti questa verità, come articolo di fede non impugnabile, perché nel mondo d'allora, sempre più sprofondantesi in un grigiore nebbioso di eresie e di vizi, splenda, pienamente discoperta, la Tutta Bella di Dio, incoronata di stelle, vestita di raggi di luna meno puri di Lei e, sugli astri appoggiata, la Regina del Creato e dell'Increato. Perché Dio-Re ha per Regina, nel suo Regno, Maria».
   «Allora Gioacchino era profeta?».
   «Era un giusto. La sua anima disse come un'eco ciò che Dio diceva alla sua anima amata da Dio».



 9 «Quando andiamo da questa Mamma, Signore?» chiede con occhi di desiderio Jabé.
   «Questa sera. Che le dirai vedendola?».
   «"Ti saluto, Madre del Salvatore". Va bene così?»
   «Molto bene» conferma Gesù accarezzandolo.
   «Ma oggi non andremo al Tempio?» chiede Filippo.
   «Prima di partire per Betania vi andremo. E tu starai buono qui. Non è vero?».
   «Sì, Signore».
   La moglie di Giona, il conduttore dell'uliveto, che si è accostata piano piano, dice: «Perché non lo porti? Ne ha desiderio il bambino...»
   Gesù la fissa con insistenza senza parlare. La donna capisce e lo dice: «Ho capito! Ma devo avere ancora un piccolo mantello di Marco. Lo vado a cercare» e corre via lesta.
   Jabé tira Giovanni per una manica: «Saranno severi i Maestri?».
   «Oh! no. Non avere paura. E poi non è per oggi. In pochi giorni, con la Madre, sarai più sapiente di un dottore" lo conforta Giovanni.
   Gli altri sentono e sorridono alle apprensioni di Jabé.
   «Ma chi lo presenterà come fosse il padre?» chiede Matteo.
   «Io. E' naturale! A meno... che lo voglia presentare il Maestro» dice Pietro.
   «No, Simone. Io non lo farò. Ti lascio questo onore».
   «Grazie, Maestro. Ma... ci sarai anche Tu?».
   «Certamente. Tutti ci saremo. E' il "nostro" bambino...».
   Torna Maria di Giona con un mantello viola scuro, ancora buono. Ma che colore! Lei stessa lo dice: «Marco non me lo volle mai usare perché non gli piaceva il colore».
   «Sfido io! E' atroce! E il povero Jabé, così olivastro come è, sembra un annegato fra quel viola violento. Ma egli non si vede... e perciò è felice di quel mantello in cui può drappeggiarsi come un adulto...»
   «Il pasto è pronto, Maestro. La servente ha levato ora dallo spiedo l'agnello».
   «Andiamo, allora».
   E, scendendo dal luogo dove sono, entrano nella vasta cucina per il pasto.



AMDG et DVM

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La fortuna di Gianni

La fortuna di Gianni - Fratelli Grimm


La fortuna di Gianni

Una fiaba dei fratelli Grimm
8/10 - 367 voti
Gianni aveva prestato servizio dal suo padrone per sette anni, quando gli disse: -Padrone, ho terminato il tirocinio; ora vorrei tornare a casa da mia madre: datemi ciò che mi spetta-. Il padrone rispose: -Mi hai servito bene e con fedeltà: il compenso sarà pari al tuo servizio-. E gli diede un pezzo d'oro grosso come la testa di Gianni. Gianni prese di tasca il fazzoletto, e vi avvolse l'oro, se lo mise in spalla e s'incamminò verso casa. Mentre camminava, un passo dopo l'altro, vide un cavaliere che, fresco e giulivo, trottava su di un cavallo focoso. -Ah- disse Gianni ad alta voce -che bella cosa è cavalcare! Si sta seduti come su di una sedia; non si inciampa nei sassi, si risparmiano le scarpe e si va avanti senza accorgersene.- Il cavaliere che lo aveva sentito, gli gridò: -Ehi, Gianni, perché‚ tu vai a piedi?-. -Eh!- rispose Gianni -devo portare a casa questo peso: è vero che è oro, ma non posso tenere la testa diritta, mi preme sulle spalle.- -Sai un cosa?- disse il cavaliere. -Facciamo cambio, io ti do il mio cavallo e tu mi dai il tuo pezzo d'oro.- -Ben volentieri- disse Gianni -ma vi avverto che farete fatica a portarlo!- Il cavaliere smontò, prese l'oro e aiutò Gianni a salire a cavallo; gli diede le redini da tenere in mano, ben salde, e disse: -Se vuoi andare veloce, devi schioccare la lingua e gridare: "hop, hop!"-. Gianni era felice di essere in groppa al suo cavallo e di poter cavalcare a briglia sciolta. Dopo un po' gli venne in mente di andare più veloce, si mise a schioccare la lingua e a gridare: "hop, hop!." Il cavallo di mise a trottare forte e, in men che non si dica, Gianni fu sbalzato di sella e finì in un fosso che divideva i campi dalla strada. Il cavallo sarebbe scappato se non lo avesse fermato un contadino che veniva per la strada spingendo una mucca. Gianni si rimise in sesto e si alzò in piedi. Ma, indispettito, disse al contadino: -Bel divertimento andare a cavallo, soprattutto se ti capita un brocco come questo che inciampa e ti butta a terra rischiando di farti rompere l'osso del collo! Non ci salirò mai più! La vostra mucca invece sì che mi piace: uno se la tira dietro con tutto comodo, e, ogni giorno, latte, burro e formaggio sono assicurati. Cosa darei per avere una mucca simile!-. -Be'- disse il contadino -se vi piace tanto, cambierò la mucca con il vostro cavallo.- Gianni accettò tutto felice, e il contadino saltò in groppa al cavallo e corse via. Gianni menava ora la mucca tranquillamente davanti a se pensando al buon affare: -Mi basta avere un pezzo di pane, e certamente non mi mancherà, e posso mangiare burro e formaggio finché‚ ne ho voglia; se ho sete, mungo la mia mucca e bevo il latte. Cosa potrei desiderare di meglio?-. Quando arrivò a un'osteria, si fermò, mangiò allegramente tutto ciò che aveva con s‚, pranzo e cena e, con gli ultimi soldi che gli restavano, si fece portare un mezzo bicchiere di birra. Poi riprese a menare la sua mucca verso il villaggio di sua madre. Ma, verso mezzogiorno, il caldo si fece sempre più opprimente, e Gianni si trovava in una landa con un'ora di cammino davanti a s‚. Aveva un caldo tale che, per la sete, la lingua gli si era incollata al palato. "Devo fare qualcosa" pensò Gianni. "Mi metterò a mungere la mucca e mi ristorerò con il latte." La legò a un albero secco e ci mise sotto il suo berretto di cuoio, ma per quanto si desse da fare, non veniva neanche una goccia di latte. E siccome mungeva senza alcuna abilità, l'animale, impaziente, finì coll'assestargli un tale colpo alla testa con la zampa di dietro, ch'egli barcollò e cadde a terra; e per un bel po' non riuscì più a capire dove fosse. Fortunatamente, proprio in quel momento si trovava a passare un macellaio che aveva un porcellino su di una carriola. -Che brutti scherzi!- esclamò, e aiutò il buon Gianni ad alzarsi. Gianni raccontò quel che gli era successo. Il macellaio gli allungò la sua fiaschetta e gli disse: -Bevete un sorso che vi renderà le forze. Questa mucca non vi darà mai latte: è vecchia, e va giusto bene come bestia da tiro o da macello-. -Ahi, ahi- disse Gianni, passandosi una mano fra i capelli -chi l'avrebbe mai detto! Certo è una bella cosa poter macellare una bestia simile in casa propria! Quanta carne! Ma io non me ne faccio un gran che della carne di mucca: non la trovo abbastanza saporita. Un così bel maialino invece ha tutt'un altro sapore, senza parlar delle salsicce!- -Sentite, Gianni- disse il macellaio -vi farò un piacere e in cambio della mucca vi lascerò il porcello.- -Dio ricompensi la vostra cortesia!- disse Gianni; gli diede la mucca, fece slegare il porcellino dalla carriola e si fece mettere in mano la corda che lo legava. Gianni proseguì per la sua strada pensando come tutto gli andava bene: quando incappava in qualche contrattempo, subito riusciva a porvi rimedio. Poco dopo, s'imbatté‚ in un ragazzo che portava sotto il braccio una bell'oca bianca. Si salutarono e Gianni incominciò a raccontargli della sua fortuna, e degli scambi vantaggiosi che aveva fatto. Il ragazzo gli raccontò che portava l'oca a un pranzo di battesimo. -Provate un po' a sollevarla- soggiunse, afferrandola per le ali -com'è pesante ma è stata anche ingrassata per due mesi. A chi morde quest'arrosto, resterà la bocca unta!- -Sì- disse Gianni alzandola con una mano -è bella pesante, ma anche il mio maiale non scherza!- Il ragazzo prese allora a guardarsi attorno con aria pensierosa, e continuava a scuotere la testa. -Sentite- disse poi -per quel che riguarda il vostro maiale, deve esserci qualcosa sotto. Sono passato da un villaggio dove ne avevano appena rubato uno dalla stalla del sindaco. Temo proprio che si tratti di questo qui. Sarebbe un brutto affare se vi trovassero con l'animale come minimo vi ficcherebbero in gattabuia!- Il buon Gianni ebbe paura: -Ah, Dio- disse -aiutatemi a venirne fuori! Voi qui siete pratico della zona, prendetevi il maiale e lasciatemi la vostra oca.- -Certo è un bel rischio- rispose il ragazzo -ma non voglio che finiate nei guai per colpa mia.- Così prese in mano la corda e, in fretta, condusse via il maialino per una via traversa. Il buon Gianni, invece, liberato dalle sue preoccupazioni, proseguì il cammino verso casa con l'oca sotto il braccio. -A pensarci bene- diceva fra s‚ -ci ho guadagnato a fare cambio: per prima cosa c'è l'arrosto, poi tutto quell'unto che ne gocciolerà e darà grasso d'oca per tre mesi; e infine le belle piume bianche: con quelle ci farò imbottire il cuscino, così mi addormenterò senza bisogno di esser cullato. Come sarà contenta mia madre!- Attraversato l'ultimo paese, Gianni trovò un arrotino con il suo carretto; facendo girare la ruota per affilare i coltelli, egli così cantava:-Faccio l'arrotino, son svelto con la mola, giro e rigiro come una banderuola.-Gianni si fermò a guardarlo; alla fine gli rivolse la parola dicendo: -Pare proprio che ve la passiate bene, dato che siete così allegro!-. -Sì- rispose l'arrotino. -Chi conosce un mestiere è un uomo fortunato. Un bravo arrotino, quando mette la mano in tasca, ci trova del denaro. Ma dove avete comprato quella bell'oca?- -Non l'ho comprata, l'ho avuta in cambio di un maiale.- -E il maiale?- -L'ho avuto in cambio di una mucca.- -E la mucca?- -L'ho avuta in cambio di un cavallo.- -E il cavallo?- -Per averlo ho dato un pezzo d'oro grande come la mia testa.- -E l'oro?- -Eh, era la somma che mi spettava per aver prestato servizio sette anni!- -Avete sempre saputo arrangiarvi- disse l'arrotino. -Se adesso riuscite a sentir tintinnare i soldi in tasca, quando vi alzate, sarebbe fatta la vostra fortuna.- -E come potrei fare?- disse Gianni. -Dovete diventare un arrotino come me; per questo non serve che una mola, il resto viene da s‚. Ne ho qui una che è un po' rovinata, ma in cambio chiedo soltanto la vostra oca: siete d'accordo?- -E me lo chiedete?- rispose Gianni. -Diventerò l'uomo più fortunato di questa terra; se trovo del denaro ogni volta che infilo la mano in tasca, che cosa potrei desiderare di meglio?- e gli porse l'oca. -E ora- disse l'arrotino, raccogliendo una pietra qualunque che gli si trovava accanto -eccovi anche una bella pietra, su cui potrete picchiare per bene e raddrizzare i chiodi vecchi. Prendetela e serbatela con cura.- Gianni si caricò la pietra sulle spalle e proseguì il cammino con il cuore pieno di gioia; gli occhi gli luccicavano dalla contentezza, ed egli pensava fra s‚: "Devo proprio essere nato con la camicia! Tutto quello che desidero si avvera come se fossi venuto al mondo di domenica." Nel frattempo, siccome camminava dallo spuntar del giorno, incominciò a sentirsi stanco; inoltre lo tormentava la fame, poiché‚ aveva divorato in un colpo tutte le provviste, per la gioia di aver ottenuto la mucca. Ora avanzava a stento e doveva fermarsi in continuazione; e per di più le pietre gli pesavano terribilmente, Gianni continuava a pensare come sarebbe stato bello se non avesse dovuto portarle proprio allora. Lento come una lumaca, riuscì a trascinarsi fino a una sorgente, dove voleva sostare e rinfrescarsi con un bel sorso d'acqua fresca. Ma per non rovinare le pietre sedendosi, le posò con cautela accanto a s‚ sull'orlo della fonte. Poi si volse e si chinò per bere ma, per sbaglio, le urtò un poco e tutt'è due le pietre cascarono in acqua. Gianni, vedendole sprofondare, fece un salto di gioia e si inginocchiò a ringraziare Dio con le lacrime agli occhi per avergli concesso anche questa grazia: l'aveva liberato da quei pietroni in modo che egli non dovesse rimproverarsi nulla, era proprio quel che ci voleva per renderlo pienamente felice! -Felice come me- esclamò -non c'è davvero nessuno su questa terra!- A cuor leggero, e libero da ogni peso, corse via finché‚ arrivò a casa da sua madre.

AMDG et DVM

LA GLORIFICAZIONE DI MARIA CON L'ASSUNZIONE AL CIELO IN ANIMA E CORPO

 Pio XII Costituzioni Apostoliche

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PIO XII
SERVO DEI SERVI DI DIO
A PERENNE MEMORIA

COSTITUZIONE APOSTOLICA

MUNIFICENTISSIMUS DEUS(1)

LA GLORIFICAZIONE DI MARIA
CON L'ASSUNZIONE AL CIELO
IN ANIMA E CORPO

 

Il munificentissimo Dio, che tutto può e le cui disposizioni di provvidenza sono fatte di sapienza e d'amore, nei suoi imperscrutabili disegni contempera nella vita dei popoli e in quella dei singoli uomini dolori e gioie, affinché per vie diverse e in diverse maniere tutto cooperi in bene per coloro che lo amano (cf. Rm 8, 28).

Il Nostro pontificato, come anche l'età presente, è assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l'aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù; ma Ci è di grande conforto vedere che, mentre la fede cattolica si manifesta pubblicamente più attiva, si accende ogni giorno più la devozione verso la vergine Madre di Dio, e quasi dovunque è stimolo e auspicio di una vita migliore e più santa. Per cui, mentre la santissima Vergine compie amorosissimamente l'ufficio di madre verso i redenti dal sangue di Cristo, la mente e il cuore dei figli sono stimolati con maggiore impegno a una più amorosa contemplazione dei suoi privilegi.

Dio, infatti, che da tutta l'eternità guarda Maria vergine, con particolare pienissima compiacenza, «quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4, 4), attuò il disegno della sua provvidenza in tal modo che risplendessero in perfetta armonia i privilegi e le prerogative che con somma liberalità ha riversato su di lei. Che se questa somma liberalità e piena armonia di grazie dalla chiesa furono sempre riconosciute e sempre meglio penetrate nel corso dei secoli, nel nostro tempo è stato posto senza dubbio in maggior luce il privilegio della corporea assunzione al cielo della vergine Madre di Dio Maria.

Questo privilegio risplendette di nuovo fulgore fin da quando il nostro predecessore Pio IX, d'immortale memoria, definì solennemente il dogma dell'immacolata concezione dell'augusta Madre di Dio. Questi due privilegi infatti sono strettamente connessi tra loro. Cristo con la sua morte ha vinto il peccato e la morte, e sull'uno e sull'altra riporta vittoria in virtù di Cristo chi è stato rigenerato soprannaturalmente col battesimo. Ma per legge generale Dio non vuole concedere ai giusti il pieno effetto di questa vittoria sulla morte se non quando sarà giunta la fine dei tempi. Perciò anche i corpi dei giusti dopo la morte si dissolvono, e soltanto nell'ultimo giorno si ricongiungeranno ciascuno con la propria anima gloriosa.

Ma da questa legge generale Dio volle esente la beata vergine Maria. Ella per privilegio del tutto singolare ha vinto il peccato con la sua concezione immacolata; perciò non fu soggetta alla legge di restare nella corruzione del sepolcro, né dovette attendere la redenzione del suo corpo solo alla fine del mondo. 

Plebiscito unanime

Per questo, quando fu solennemente definito che la vergine Madre di Dio Maria fu immune della macchia ereditaria fin dalla sua concezione, i fedeli furono pervasi da una più viva speranza che quanto prima sarebbe stato definito dal supremo magistero della chiesa anche il dogma della corporea assunzione al cielo di Maria vergine.

Infatti si videro non solo singoli fedeli, ma anche rappresentanti di nazioni o di province ecclesiastiche e anzi non pochi padri del concilio Vaticano chiedere con vive istanze all'apostolica sede questa definizione.

In seguito queste petizioni e voti non solo non diminuirono, ma aumentarono di giorno in giorno per numero ed insistenza. Infatti per questo scopo furono promosse crociate di preghiere; molti ed esimi teologi intensificarono i loro studi su questo soggetto, sia in privato, sia nei pubblici atenei ecclesiastici e nelle altre scuole destinate all'insegnamento delle sacre discipline; in molte parti dell'orbe cattolico furono tenuti congressi mariani sia nazionali sia internazionali. Tutti questi studi e ricerche posero in maggiore luce che nel deposito della fede affidato alla chiesa era contenuto anche il dogma dell'assunzione di Maria vergine al cielo; e generalmente ne seguirono petizioni con cui si chiedeva instantemente a questa sede apostolica che questa verità fosse solennemente definita.

In questa pia gara i fedeli furono mirabilmente uniti coi loro pastori, i quali in numero veramente imponente rivolsero simili petizioni a questa Cattedra di S. Pietro. Perciò quando fummo elevati al trono del sommo pontificato erano state già presentate a questa sede apostolica molte migliaia di tali suppliche da ogni parte della terra e da ogni classe di persone: dai nostri diletti figli cardinali del sacro collegio, dai venerabili fratelli arcivescovi e vescovi, dalle diocesi e dalle parrocchie.

Per la qual cosa, mentre elevavamo a Dio ardenti preghiere perché infondesse nella Nostra mente la luce dello Spirito Santo per decidere di una causa così importante, impartimmo speciali ordini perché si fondessero insieme le forze e venissero iniziati studi più rigorosi su questo soggetto, e intanto si raccogliessero e si ponderassero accuratamente tutte le petizioni che dal tempo del Nostro predecessore Pio IX, di felice memoria, fino ai nostri tempi erano state inviate a questa sede apostolica circa l'assunzione della beatissima vergine Maria al cielo.(2)

Il magistero della chiesa

Ma poiché si trattava di cosa di tanta importanza e gravità, ritenemmo opportuno chiedere direttamente e in forma ufficiale a tutti i venerabili fratelli nell'episcopato che Ci esprimessero apertamente il loro pensiero. Perciò il 1° maggio 1946 indirizzammo loro la lettera [enciclica Deiparae Virginis Mariae, in cui chiedevamo: «Se voi, venerabili fratelli, nella vostra esimia sapienza e prudenza ritenete che l'assunzione corporea della beatissima Vergine si possa proporre e definire come dogma di fede, e se col vostro clero e il vostro popolo lo desiderate».

E coloro che «lo Spirito Santo ha costituito vescovi per pascere la chiesa di Dio» (At 20, 28) hanno dato all'una e all'altra domanda una risposta pressoché unanimemente affermativa. Questo «singolare consenso, dell'episcopato cattolico e dei fedeli»,(3) nel ritenere definibile, come dogma di fede, l'assunzione corporea al cielo della Madre di Dio, presentandoci il concorde insegnamento del magistero ordinario della chiesa e la fede concorde del popolo cristiano, da esso sostenuta e diretta, da se stesso manifesta in modo certo e infallibile che tale privilegio è verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e infallibilmente lo dichiarasse.(4) Il magistero della chiesa, non certo per industria puramente umana, ma per l'assistenza dello Spirito di verità (cf. Gv 14, 26), e perciò infallibilmente, adempie il suo mandato di conservare perennemente pure e integre le verità rivelate, e le trasmette senza contaminazione, senza aggiunte, senza diminuzioni. «Infatti, come insegna il concilio Vaticano, ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo, perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della fede».(5) Pertanto dal consenso universale di un magistero ordinario della chiesa si trae un argomento certo e sicuro per affermare che l'assunzione corporea della beata vergine Maria al cielo, - la quale, quanto alla celeste glorificazione del corpo virgineo dell'augusta Madre di Dio, non poteva essere conosciuta da nessuna facoltà umana con le sole sue forze naturali è verità da Dio rivelata, e perciò tutti i figli della chiesa debbono crederla con fermezza e fedeltà. Poiché, come insegna lo stesso concilio Vaticano, «debbono essere credute per fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa oralmente o col suo ordinario e universale magistero, propone a credere come rivelate da Dio».(6)

Di questa fede comune della chiesa si ebbero fin dall'antichità lungo il corso dei secoli varie testimonianze, indizi e vestigia; anzi tale fede si andò manifestando sempre più chiaramente.

I fedeli, guidati e istruiti dai loro pastori, appresero bensì dalla s. Scrittura che la vergine Maria, durante il suo terreno pellegrinaggio, menò una vita piena di preoccupazioni, angustie e dolori; inoltre che si avverò ciò che il santo vecchio Simeone aveva predetto, perché un'acutissima spada le trapassò il cuore ai piedi della croce del suo divino Figlio, nostro Redentore. Parimenti non trovarono difficoltà nell'ammettere che Maria sia morta, come già il suo Unigenito. Ma ciò non impedì loro di credere e professare apertamente che non fu soggetto alla corruzione del sepolcro il suo sacro corpo e che non fu ridotto in putredine e in cenere l'augusto tabernacolo del Verbo divino. Anzi, illuminati dalla divina grazia e spinti dall'amore verso colei che è Madre di Dio e Madre nostra dolcissima, hanno contemplato in luce sempre più chiara l'armonia meravigliosa dei privilegi che il provvidentissimo Iddio ha elargito all'alma Socia del nostro Redentore, e che hanno raggiunto un tale altissimo vertice, quale da nessun essere creato, eccettuata la natura umana di Cristo, è stato mai raggiunto.

L'omaggio dei fedeli

Questa stessa fede attestano chiaramente quegli innumerevoli templi dedicati a Dio in onore di Maria vergine assunta al cielo, e le sacre immagini ivi esposte alla venerazione dei fedeli, le quali pongono dinanzi agli occhi di tutti questo singolare trionfo della beata Vergine. Inoltre città, diocesi e regioni furono poste sotto la speciale tutela e patrocinio della Vergine assunta in cielo; parimenti con l'approvazione della chiesa sono sorti Istituti religiosi che prendono nome da tale privilegio. Né va dimenticato che nel rosario mariano, la cui recita è tanto raccomandata da questa sede apostolica, viene proposto alla pia meditazione un mistero che, come tutti sanno, tratta dell'assunzione della beatissima Vergine.

La liturgia delle chiese d'oriente e d'occidente

Ma in modo più splendido e universale questa fede dei sacri Pastori e dei fedeli cristiani è manifestata dal fatto che fin dall'antichità si celebra in Oriente e in Occidente una solenne festa liturgica: di qui infatti i santi padri e i dottori della chiesa non mancarono mai di attingere luce, poiché, come è ben noto, la sacra liturgia, «essendo anche una professione delle celesti verità, sottoposta al supremo magistero della chiesa, può offrire argomenti e testimonianze di non piccolo rilievo, per determinare qualche punto particolare della dottrina cristiana».(7)

Nei libri liturgici, che riportano la festa sia della Dormizione sia dell'Assunzione di santa Maria, si hanno espressioni in qualche modo concordanti nel dire che quando la vergine Madre di Dio salì al cielo da questo esilio, al suo sacro corpo, per disposizione della divina Provvidenza, accaddero cose consentanee alla sua dignità di Madre del Verbo incarnato e agli altri privilegi a lei elargiti. Ciò è asserito, per portarne un esempio insigne, in quel Sacramentario che il Nostro predecessore Adriano I, d'immortale memoria, mandò all'imperatore Carlo Magno. In esso infatti si legge: «Degna di venerazione è per noi, o Signore, la festività di questo giorno, in cui la santa Madre di Dio subì la morte temporale, ma non poté essere umiliata dai vincoli della morte colei che generò il tuo Figlio, nostro Signore, incarnato da lei».(8)

Ciò che qui è indicato con la sobrietà consueta della Liturgia romana, nei libri delle altre antiche liturgie, sia orientali, sia occidentali, è espressa più diffusamente e con maggior chiarezza. Il Sacramentario gallicano, per esempio, definisce questo privilegio di Maria «inspiegabile mistero, tanto più ammirabile, quanto più è singolare tra gli uomini». E nella liturgia bizantina viene ripetutamente collegata l'assunzione corporea di Maria non solo con la sua dignità di Madre di Dio, ma anche con altri suoi privilegi, specialmente con la sua maternità verginale, prestabilita da un disegno singolare della Provvidenza divina: «A te Dio, re dell'universo, concesse cose che sono al disopra della natura; poiché come nel parto ti conservò vergine, così nel sepolcro conservò incorrotto il tuo corpo, e con la divina traslazione lo conglorificò».(9)

La festa dell'Assunta

Il fatto poi che la sede apostolica, erede dell'ufficio affidato al Principe degli apostoli di confermare nella fede i fratelli (cf. Lc 22, 32), con la sua autorità rese sempre più solenne questa festa, stimolò efficacemente i fedeli ad apprezzare sempre più la grandezza di questo mistero. Così la festa dell'Assunzione dal posto onorevole che ebbe fin dall'inizio tra le altre celebrazioni mariane, fu portata in seguito fra le più solenni di tutto il ciclo liturgico. Il Nostro predecessore s. Sergio I, prescrivendo la litania o processione stazionale per le quattro feste mariane, enumera insieme la Natività, l'Annunciazione, la Purificazione e la Dormizione di Maria.(10) In seguito s. Leone IV volle aggiungere alla festa, che già si celebrava sotto il titolo dell'Assunzione della beata Genitrice di Dio, una maggiore solennità, prescrivendone la vigilia e l'ottava; e in tale circostanza volle partecipare personalmente alla celebrazione in mezzo a una grande moltitudine di fedeli.(11) Inoltre che già anticamente questa festa fosse preceduta dall'obbligo del digiuno appare chiaro da ciò che attesta il Nostro predecessore s. Niccolò I, ove parla dei principali digiuni «che la santa chiesa romana ricevette dall'antichità ed osserva tuttora».(12)

Ma poiché la liturgia della chiesa non crea la fede cattolica, ma la suppone, e da questa derivano, come frutti dall'albero, le pratiche del culto, i santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi rivolti al popolo in occasione di questa festa non vi attinsero come da prima sorgente la dottrina; ma parlarono di questa come di cosa nota e ammessa dai fedeli; la chiarirono meglio; ne precisarono e approfondirono il senso e l'oggetto, dichiarando specialmente ciò che spesso i libri liturgici avevano soltanto fugacemente accennato: cioè che oggetto della festa non era soltanto l'incorruzione del corpo esanime della beata vergine Maria, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste «glorificazione», a somiglianza del suo unigenito Gesù Cristo.

La voce dei santi padri

Così s. Giovanni Damasceno, che si distingue tra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l'assunzione corporea dell'alma Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: «Era necessario che colei, che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità, conservasse anche senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Era necessario che colei, che aveva portato nel suo seno il Creatore fatto bambino, abitasse nei tabernacoli divini. Era necessario che la sposa del Padre abitasse nei talami celesti. Era necessario che colei che aveva visto il suo Figlio sulla croce, ricevendo nel cuore quella spada di dolore dalla quale era stata immune nel darlo alla luce, lo contemplasse sedente alla destra del Padre. Era necessario che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio e da tutte le creature fosse onorata come Madre e Ancella di Dio».(13)

Queste espressioni di s. Giovanni Damasceno corrispondono fedelmente a quelle di altri, affermanti la stessa dottrina. Infatti parole non meno chiare e precise si trovano nei discorsi che in occasione della festa tennero altri Padri anteriori o coevi. Così, per citare altri esempi, s. Germano di Costantinopoli trovava consentanea l'incorruzione e l'assunzione al cielo del corpo della Vergine Madre di Dio, non solo alla sua divina maternità, ma anche alla speciale santità del suo stesso corpo verginale: «Tu, come fu scritto, apparisci "in bellezza", e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto domicilio di Dio; cosicché anche per questo sia poi immune dalla risoluzione in polvere; trasformato bensì, in quanto umano, nell'eccelsa vita della incorruttibilità; ma lo stesso vivo, gloriosissimo, incolume e dotato della pienezza della vita».(14) E un altro antico scrittore dice: «Come gloriosissima Madre di Cristo, nostro Salvatore e Dio, donatore della vita e dell'immortalità, è da lui vivificata, rivestita di corpo in un'eterna incorruttibilità con lui, che la risuscitò dal sepolcro e la assunse a sé, in modo conosciuto da lui solo».(15)

Con l'estendersi e l'affermarsi della festa liturgica, i pastori della chiesa e i sacri oratori, in numero sempre maggiore, si fecero un dovere di precisare apertamente e con chiarezza il mistero che è oggetto della festa e la sua strettissima connessione con le altre verità rivelate.

L'insegnamento dei teologi

Tra i teologi scolastici non mancarono di quelli che, volendo penetrare più addentro nelle verità rivelate e mostrare l'accordo tra la ragione teologica e la fede cattolica, fecero rilevare che questo privilegio dell'assunzione di Maria vergine concorda mirabilmente con le verità che ci sono insegnate dalla sacra Scrittura.

Partendo da questo presupposto, presentarono per illustrare questo privilegio mariano diverse ragioni, contenute quasi in germe in questo: che Gesù ha voluto l'assunzione di Maria al cielo per la sua pietà filiale verso di lei. Ritenevano quindi che la forza di tali argomenti riposa sulla dignità incomparabile della maternità divina e su tutte quelle doti che ne conseguono: la sua insigne santità, superiore a quella di tutti gli uomini e di tutti gli angeli; l'intima unione di Maria col suo Figlio; e quell'amore sommo che il Figlio portava alla sua degnissima Madre.

Frequentemente poi s'incontrano teologi e sacri oratori che, sulle orme dei santi padri,(16) per illustrare la loro fede nell'assunzione si servono, con una certa libertà, di fatti e detti della s. Scrittura. Così per citare soltanto alcuni testi fra i più usati, vi sono di quelli che riportano le parole del Salmista: «Vieni o Signore, nel tuo riposo; tu e l'Arca della tua santificazione» (Sal 131, 8), e vedono nell'Arca dell'Alleanza fatta di legno incorruttibile e posta nel tempio del Signore, quasi una immagine del corpo purissimo di Maria vergine, preservato da ogni corruzione del sepolcro ed elevato a tanta gloria nel cielo. Allo stesso scopo descrivono la Regina che entra trionfalmente nella reggia celeste e si asside alla destra del divino Redentore (Sal 44, 10.14-16), nonché la Sposa del Cantico dei cantici «che sale dal deserto, come una colonna di fumo dagli aromi di mirra e d'incenso» per essere incoronata (Ct 3, 6; cf. 4, 8; 6, 9). L'una e l'altra vengono proposte come figure di quella Regina e Sposa celeste, che, insieme col divino Sposo, è innalzata alla reggia dei cieli.

Inoltre i dottori scolastici videro adombrata l'assunzione della vergine Madre di Dio, non solo in varie figure dell'Antico Testamento, ma anche in quella Donna vestita di sole, che l'apostolo Giovanni contemplò nell'isola di Patmos (Ap 12, 1s). Così pure, fra i detti del Nuovo Testamento, considerarono con particolare interesse le parole «Ave, o piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne» (Lc 1, 28), poiché vedevano nel mistero dell'assunzione un complemento della pienezza di grazia elargita alla beatissima Vergine, e una benedizione singolare in opposizione alla maledizione di Eva.

Perciò sul principio della teologia scolastica il pio Amedeo, vescovo di Losanna, afferma che la carne di Maria vergine rimase incorrotta; - non si può credere infatti che il suo corpo vide la corruzione, - perché realmente fu riunito alla sua anima e insieme con essa fu circonfuso di altissima gloria nella corte celeste. «Era infatti piena di grazia e benedetta fra le donne (Lc 1, 28). Lei sola meritò di concepire Dio vero da Dio vero, che partorì vergine, vergine allattò, stringendolo al seno, ed al quale prestò in tutto i suoi santi servigi e omaggi».(17)

Tra i sacri scrittori poi che in questo tempo, servendosi di testi scritturistici o di similitudini ed analogie, illustrarono e confermarono la pia sentenza dell'assunzione, occupa un posto speciale il dottore evangelico, s. Antonio da Padova. Nella festa dell'Assunzione, commentando le parole d'Isaia: «Glorificherò il luogo dove posano i miei piedi» (Is 60, 13), affermò con sicurezza che il divino Redentore ha glorificato in modo eccelso la sua Madre dilettissima, dalla quale aveva preso umana carne. «Con ciò si ha chiaramente - dice - che la beata Vergine è stata assunta col corpo, in cui fu il luogo dei piedi del Signore». Perciò scrive il Salmista: «Vieni, o Signore, nel tuo riposo, tu e l'Arca della tua santificazione». Come Gesù Cristo, dice il santo, risorse dalla sconfitta morte e salì alla destra del Padre suo, così «risorse anche dall'Arca della sua santificazione, poiché in questo giorno la Vergine Madre fu assunta al talamo celeste».(18)

La dottrina di s. Alberto Magno e di s. Tommaso d'Aquino 

Quando nel medio evo la teologia scolastica raggiunse il suo massimo splendore, s. Alberto Magno, dopo aver raccolti, per provare questa verità, vari argomenti, fondati sulla s. Scrittura, la tradizione, la liturgia e la ragione teologica, conclude: «Da queste ragioni e autorità e da molte altre è chiaro che la beatissima Madre di Dio è stata assunta in corpo ed anima al disopra dei cori degli angeli. E ciò crediamo assolutamente vero».(19) E in un discorso tenuto il giorno dell'Annunciazione di Maria, spiegando queste parole del saluto dell'angelo: «Ave, o piena di grazia ...», il dottore universale paragona la santissima Vergine con Eva e dice espressamente che fu immune dalla quadruplice maledizione alla quale Eva fu soggetta.(20)

Il dottore angelico, seguendo le vestigia del suo insigne Maestro, benché non abbia mai trattato espressamente la questione, tuttavia ogni volta che occasionalmente ne parla, ritiene costantemente con la chiesa cattolica che insieme all'anima è stato assunto al cielo anche il corpo di Maria.(21)

L'interpretazione di s. Bonaventura

Dello stesso parere è, fra molti altri, il dottore serafico, il quale ritiene assolutamente certo che, come Dio pr eservò Maria santissima dalla violazione del pudore e dell'integrità verginale nella concezione e nel parto, così non ha permesso che il suo corpo si disfacesse in putredine e cenere.(22) Interpretando poi e applicando in senso accomodatizio alla beata Vergine queste parole della s. Scrittura: «Chi è costei che sale dal deserto, ricolma di delizie, appoggiata al suo diletto?» (Ct 8, 5), così ragiona: «E di qui può constare che è ivi (nella città celeste) corporalmente. ... Poiché infatti ... la beatitudine non sarebbe piena, se non vi fosse personalmente; e poiché la persona non è l'anima, ma il composto, è chiaro che vi è secondo il composto, cioè il corpo e l'anima, altrimenti non avrebbe una piena fruizione».(23)

Il pensiero della Scolastica nel secolo XV

Nella tarda scolastica, ossia nel secolo XV, s. Bernardino da Siena, riassumendo e di nuovo trattando con diligenza tutto ciò che i teologi del medioevo avevano detto e discusso a tal proposito, non si restrinse a riportare le principali considerazioni già proposte dai dottori precedenti, ma ne aggiunse delle altre. La somiglianza cioè della divina Madre col Figlio divino, quanto alla nobiltà e dignità dell'anima e del corpo - per cui non si può pensare che la celeste Regina sia separata dal Re dei cieli - esige apertamente che «Maria non debba essere se non dov'è Cristo»;(24) inoltre è ragionevole e conveniente che si trovino già glorificati in cielo l'anima e il corpo, come dell'uomo, così anche della donna; infine il fatto che la chiesa non ha mai cercato e proposto alla venerazione dei fedeli le reliquie corporee della beata Vergine, fornisce un argomento che si può dire «quasi una riprova sensibile».(25)

La conferma dei più recenti scrittori sacri

In tempi più recenti i pareri surriferiti dei santi Padri e dei Dottori furono di uso comune. Aderendo al consenso dei cristiani, trasmesso dai secoli passati, s. Roberto Bellarmino esclama: «E chi, prego, potrebbe credere che l'arca della santità, il domicilio del Verbo il tempio dello Spirito Santo sia caduto? Aborrisce il mio animo dal solo pensare che quella carne verginale che generò Dio, lo partorì, l'alimentò, lo portò, o sia stata ridotta in cenere o sia stata data in pasto ai vermi».(26)

Parimenti s. Francesco di Sales, dopo avere asserito che non é lecito dubitare che Gesù Cristo abbia seguito nel modo più perfetto il divino mandato, col quale ai figli s'impone di onorare i propri genitori, si pone questa domanda: «Chi è quel figlio che, se potesse, non richiamerebbe alla vita la propria madre e non la porterebbe dopo morte con sé in paradiso ?».(27)

E s. Alfonso scrive: «Gesù preservò il corpo di Maria dalla corruzione, perché ridondava in suo disonore che fosse guasta dalla putredine quella carne verginale, di cui egli si era già vestito».(28)

Chiarito però ormai il mistero che è oggetto di questa festa, non mancarono dottori i quali piuttosto che occuparsi delle ragioni teologiche, dalle quali si dimostra la somma convenienza dell'assunzione corporea della beata Vergine Maria in cielo, rivolsero la loro attenzione alla fede della chiesa, mistica Sposa di Cristo, non avente né macchia, né grinza (cf. Ef 5, 27), la quale è detta dall'apostolo «colonna e fondamento della verità» (1 Tm 3, 15) e appoggiati a questa fede comune ritennero temeraria per non dire eretica, la sentenza contraria. Infatti s. Pietro Canisio, fra non pochi altri, dopo avere dichiarato che il termine assunzione significa la glorificazione non solo dell'anima, ma anche del corpo e dopo aver rilevato che la chiesa già da molti secoli venera e celebra solennemente questo mistero mariano dell'assunzione, dice: «Questa sentenza è ammessa già da alcuni secoli ed è issata talmente nell'anima dei pii fedeli e così accetta a tutta la chiesa, che coloro che negano che il corpo di Maria sia stato assunto in cielo, non vanno neppure ascoltati con pazienza, ma fischiati come troppo pertinaci, o del tutto temerari e animati da spirito non già cattolico, ma eretico».(29)

Contemporaneamente il dottore esimio, posta come norma della mariologia che «i misteri della grazia, che Dio ha operato nella Vergine, non vanno misurati secondo le leggi ordinarie, ma secondo l'onnipotenza di Dio, supposta la convenienza della cosa in se stessa, ed esclusa ogni contraddizione o ripugnanza da parte della s. Scrittura»(30) fondandosi sulla fede della chiesa tutta, circa il mistero dell'assunzione, poteva concludere che questo mistero doveva credersi con la stessa fermezza d'animo, con cui doveva credersi l'immacolata concezione della beata Vergine; e già allora riteneva che queste due verità potessero essere definite.

Tutte queste ragioni e considerazioni dei santi padri e dei teologi hanno come ultimo fondamento la s. Scrittura, la quale ci presenta l'alma Madre di Dio unita strettamente al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Per cui sembra quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere separata da Cristo - non diciamo, con l'anima, ma neppure col corpo - colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo portò fra le braccia e lo strinse al petto. Dal momento che il nostro Redentore è Figlio di Maria, non poteva, come osservatore perfettissimo della divina legge, non onorare oltre l'eterno Padre anche la Madre diletta. Potendo quindi dare alla Madre tanto onore, preservandola immune dalla corruzione del sepolcro, si deve credere che lo abbia realmente fatto.

Maria è la nuova Eva

Ma in particolare va ricordato che, fin dal secolo II, Maria Vergine viene presentata dai santi padri come nuova Eva, strettamente unita al nuovo Adamo, sebbene a lui soggetta, in quella lotta contro il nemico infernale, che, com'è stato preannunziato dal protovangelo (Gn 3, 15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, sempre congiunti negli scritti dell'apostolo delle genti (cf. Rm cc. 5 e 6; 1 Cor 15, 21-26.54-57). Per la qual cosa, come la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la lotta che ha in comune col Figlio suo si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale: perché, come dice lo stesso apostolo, «quando... questo corpo mortale sarà rivestito dell'immortalità, allora sarà adempiuta la parola che sta scritta: è stata assorbita la morte nella vittoria» (1 Cor 15, 54).

In tal modo l'augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l'eternità «con uno stesso decreto»(31) di predestinazione, immacolata nella sua concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro, e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli (cf. 1 Tm 1, 17).

Le ragioni del nuovo dogma

Poiché la chiesa universale nella quale vive lo Spirito di verità e la conduce infallibilmente alla conoscenza delle verità rivelate, nel corso dei secoli ha manifestato in molti modi la sua fede, e poiché tutti i vescovi dell'orbe cattolico con quasi unanime consenso chiedono che sia definita come dogma di fede divina e cattolica la verità dell'assunzione corporea della beatissima vergine Maria al cielo - verità fondata sulla s. Scrittura, insita profondamente nell'animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi - riteniamo giunto il momento prestabilito dalla provvidenza di Dio per proclamare solennemente questo privilegio di Maria vergine.

Noi, che abbiamo posto il Nostro pontificato sotto lo speciale patrocinio della santissima Vergine, alla quale Ci siamo rivolti in tante tristissime contingenze, Noi, che con pubblico rito abbiamo consacrato tutto il genere umano al suo Cuore immacolato, e abbiamo ripetutamente sperimentato la sua validissima protezione, abbiamo ferma fiducia che questa solenne proclamazione e definizione dell'assunzione sarà di grande vantaggio all'umanità intera, perché renderà gloria alla santissima Trinità, alla quale la Vergine Madre di Dio è legata da vincoli singolari. Vi è da sperare infatti che tutti i cristiani siano stimolati da una maggiore devozione verso la Madre celeste, e che il cuore di tutti coloro che si gloriano del nome cristiano sia mosso a desiderare l'unione col corpo mistico di Gesù Cristo e l'aumento del proprio amore verso colei che ha viscere materne verso tutti i membri di quel Corpo augusto. Vi è da sperare inoltre che tutti coloro che mediteranno i gloriosi esempi di Maria abbiano a persuadersi sempre meglio del valore della vita umana, se è dedita totalmente all'esercizio della volontà del Padre celeste e al bene degli altri; che, mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati; che infine la fede nella corporea assunzione di Maria al cielo renda più ferma e più operosa la fede nella nostra risurrezione.

La coincidenza provvidenziale poi di questo solenne evento con l'Anno santo che si sta svolgendo, Ci è particolarmente gradita; ciò infatti Ci permette di ornare la fronte della vergine Madre di Dio di questa fulgida gemma, mentre si celebra il massimo giubileo, e di lasciare un monumento perenne della nostra ardente pietà verso la Regina del cielo.

La solenne definizione

«Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica.

Affinché poi questa Nostra definizione dell'assunzione corporea di Maria vergine al cielo sia portata a conoscenza della chiesa universale, abbiamo voluto che stesse a perpetua memoria questa Nostra lettera apostolica; comandando che alle sue copie o esemplari anche stampati, sottoscritti dalla mano di qualche pubblico notaio e muniti del sigillo di qualche persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti assolutamente da tutti la stessa fede; che si presterebbe alla presente, se fosse esibita o mostrata.

A nessuno dunque sia lecito infrangere questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o ad essa opporsi e contravvenire. Se alcuno invece ardisse di tentarlo, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso S. Pietro, nell'anno del massimo giubileo 1950, 1° novembre, festa di tutti i santi, nell'anno dodicesimo del Nostro pontificato.

Noi PIO, vescovo della chiesa cattolica,
così definendo abbiamo sottoscritto


(1) PIUS PP. XII, Const. apost. Munificentissimus Deus qua fidei dogma definitur Deiparam Virginem Mariam corpore et anima fuisse ad caelestem gloriam assumptam, 1 novembris 1950: AAS 42(1950), pp. 753-771.

La glorificazione di Maria nella sua corporea assunzione è verità radicata profondamente nel senso religioso dei cristiani, come dimostrano lungo il corso dei secoli innumerevoli forme di specifica devozione, ma soprattutto il linguaggio della liturgia dell'Oriente e dell'Occidente. I santi padri e i dottori della chiesa, facendosi eco della liturgia, nelle feste dell'Assunta parlano chiaramente della risurrezione e glorificazione del corpo della Vergine, come di verità conosciuta e accettata da tutti i fedeli. I teologi, trattando di questo argomento, dimostrano l'armonia tra la fede e la ragione teologica e la convenienza di questo privilegio, servendosi di fatti, parole, figure, analogie contenuti nella sacra Scrittura. Accertata così la fede della chiesa universale, il papa ritiene giunto il momento di ratificarla con la sua suprema autorità.

(2Petitiones de Assumptione corporea B. Virginis Mariae in Caelum definienda ad S. Sedem delatae, 2 voll., Typis Polyglottis Vaticanis, 1942.

(3) Bulla Ineffabilis DeusActa Pii IX, pars I, vol. 1, p. 615; EE 2/app. 

(4) Cf. CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 4: COD 808-809.

(5) CONC. VAT. I, Const. dogm. Pastor aeternus de Ecclesia Christi, c. 4: COD 816.

(6) CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 3: COD 807.

(7) Litt. enc. Mediator DeiAAS 39(1947), p. 541; EE 6/475.

(8Sacramentarium Gregorianum.

(9Menaei totius anni

(10Liber Pontificalis.

(11Ibidem.

(12Responsa Nicolai Papae I ad consulta Bulgarorum, 13 nov. 866.

(13) S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariae, hom. II, 14; cf. etiam ibid., n. 3.

(14) S. GERMANUS CONST., In sanctae Dei Genetricis Dormitionem, sermo I.

(15Encomium in Dormitionem sanctissimae Dominae nostrae Deiparae semperque Virginis Mariae (S. Modesto Hierosol. attributum), n. 14.

(16) Cf. S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariae, hom. II, 2, 11; Encomium in Dormitionem... (S. Modesto Hierosol. attributum). 

(17) AMEDEUS LAUSANNENSIS, De Beatae Virginis obitu, Assumptione in Caelum, exaltatione ad Filii dexteram.

(18) S. ANTONIUS PATAV., Sermones dominicales et in solemnitatibus. In Assumptione S. Mariae Virginis sermo.

(19) S. ALBERTUS MAGNUS, Mariale sive quaestiones super Evang. "Missus est", q. 132.

(20) S. ALBERTUS MAGNUS, Sermones de sanctis, sermo XV: In Annuntiatione B. Mariae; cf. etiam: Mariale, q. 132. ,

(21) Cf. Summa theol., III, q. 27, a. 1 c.; ibid., q. 83, a. 5 ad 8; Expositio salutationis angelicaeIn symb. Apostolorum expositio, art. 5; In IV Sent., D. 12, q. 1, art. 3, sol. 3; D. 43, q. 1, art. 3, sol. 1 et 2.

(22) Cf. S. BONAVENTURA, De Nativitate B. Mariae Virginis, sermo 5. 

(23) S BONAVENTURA, De Assumptione B. Mariae Virginis, sermo 1.

(24) S. BERNARDINUS SENENSIS, In Assumptione B.M. Virginis, sermo 2. 

(25) IDEM, l.c.

(26) S. ROBERTUS BELLARMINUS, Conciones habitae Lovanii, concio 40: De Assumptione B. Mariae Virginis.

(27Oeuvres de St François de Sales, Sermon autographe pour la fete de l'Assomption.

(28) S. ALFONSO MARIA DE' LIGUORI, Le glorie di Maria, parte II, disc. 1.

(29) S. PETRUS CANISIUS, De Maria Virgine.

(30) SUAREZ F., In tertiam panem D. Thomae, quaest. 27, art. 2, disp. 3, sec. 5, n. 31.

(31) Bulla Ineffabilis Deusl. c., p. 599; EE 2/app.