sabato 17 aprile 2021

La società moderna è in possesso dei mezzi per proteggersi, senza negare ai criminali la possibilità di redimersi.

 La chiesa cattolica di fronte alla pena di morte.

di Mons. Giannino Piana -teologo
FONTE : http://www.juragentium.unifi.it Jura Gentium, Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, ISSN 1826-8269


I primi tre secoli della vita della Chiesa sono stati contrassegnati da un atteggiamento di netto rifiuto della pena capitale. Tale atteggiamento, che è rintracciabile nelle testimonianze di molti Padri - Lattanzio, Tertulliano, Minucio Felice, Ippolito e così via - si inscrive all'interno di un contesto di più generale rifiuto di ogni forma di violenza; rifiuto che non si traduce soltanto nel respingere la guerra ma anche nel fare obiezione di coscienza al servizio militare, rinunciando perciò a ogni forma di partecipazione all'esercito. L'assoluta fedeltà al radicalismo evangelico, che include quale istanza fondamentale la non-violenza, è il motivo di un atteggiamento tanto drastico.

Accanto a questa motivazione, che occupa senza dubbio il posto centrale, ne esistono tuttavia anche altre, prima fra tutte - come osservano molti studiosi di tale periodo - la volontà di respingere una concezione assolutistica della politica, che assegnava all'autorità civile un potere assoluto con connotati persino sacrali - a Roma vigeva il culto dell'imperatore - e che sfociava nell'attribuzione a essa del diritto di vita e di morte nei confronti dei cittadini. Per questo in diversi scritti patristici il diniego della pena di morte risulta strettamente connesso alla polemica anti-idolatrica verso il mondo pagano; polemica che ha caratterizzato i primi secoli di vita della chiesa e che aveva di mira la desacralizzazione del potere politico - Cesare non è Dio - nonché la sottrazione a esso di una disponibilità assoluta sulla vita di coloro che sono governati.

La motivazione più importante della condanna della pena capitale (come d'altronde di ogni altro attentato alla vita umana), però, era costituita dalla sua inconciliabilità con il comandamento dell'amore, l'asse portante dell'intera esperienza morale del cristiano. La carità, che implica il dono di sé all'altro, e dunque la rottura di ogni barriera di separazione fino alla caduta della linea di demarcazione tra "prossimo" e "nemico" - ogni uomo è prossimo e va come tale trattato - è infatti del tutto incompatibile con l'esercizio di qualsiasi forma di violenza, soprattutto con la soppressione della vita umana.

Nel IV secolo questa posizione viene improvvisamente a cadere. Il ripristino del legame tra religione e politica, che ha luogo in epoca costantiniana con la definizione di un patto di mutuo sostegno, riporta nell'alveo politico la questione della vita. Il sinodo di Arles del 314 - a ridosso dell'editto di Milano del 313 che riconosce la libertà religiosa per la professione di fede cristiana - non solo permette ai cristiani l'esercizio del servizio militare, ma dichiara addirittura che tale servizio è un dovere, punendo la diserzione con l'esclusione dai sacramenti. A sua volta, a distanza di alcuni decenni, sia pure con le dovute precisazioni e con l'obiettivo di fissare i limiti della sua applicabilità, Agostino introduce il concetto di "guerra giusta"; concetto che permarrà a lungo nell'ambito della tradizione cristiana. La pace infatti, da lui definita tranquillitas ordinis o ordinata concordia e considerata, per lo stretto rapporto con la giustizia, come il compito supremo della comunità politica, rende legittimo da parte dello stato l'uso della forza laddove si danno situazioni di conflitto, che non possono essere diversamente sanate.

Il riconoscimento della legittimità della pena di morte è dunque motivato da una ragione di ordine sociopolitico. Alla quale si aggiunge tuttavia - e godrà in seguito per tutto il medioevo di un'indiscussa importanza - una ragione strettamente intraecclesiale, l'interesse della chiesa a combattere i propri nemici, gli eretici, e perciò il ricorso al potere politico come strumento privilegiato ("braccio secolare") per l'esecuzione di tale compito.

L'etica postcostantiniana è dunque una etica del compromesso, dominata - grazie soprattutto all'enorme influenza del pensiero di Agostino - da un forte pessimismo antropologico e dal riconoscimento della possibilità (e dell'utilità) che il potere politico commini (ovviamente quale extrema ratio) la pena di morte in vista del mantenimento dell'ordine sociale o della preservazione dell'integrità dottrinale all'interno della chiesa, facendo affidamento quale correttivo - come vuole lo stesso Agostino - sul potere di intercessione del vescovo: "La vostra severità - egli scrive alludendo al potere dei magistrati - è utile perché assicura la nostra tranquillità: la nostra intercessione è utile perché tempera la vostra severità". 16 Le grandi istanze del discorso della montagna sono del tutto accantonate; la tendenza è a farne una lettura sempre più "interiorizzata" e "privatistica", escludendo in partenza la loro applicabilità alla conduzione della vita pubblica.

La giustificazione della legittimità della pena di morte persiste inalterata nella Chiesa anche in epoca medioevale. Anzi, sembra persino rafforzarsi, sia grazie ad alcuni pronunciamenti ufficiali della gerarchia, sia, e soprattutto, in forza dell'elaborazione, a livello teologico, di più solide argomentazioni dottrinali.Sul primo versante - quello del magistero - le posizioni non sempre sono omogenee. Mentre appare infatti chiara, da un lato, la conferma della liceità della pena capitale - è sufficiente ricordare la dura condanna della posizione assunta dai valdesi che ne impugnavano la legittimità - e si assiste persino a una maggiore intransigenza rispetto al passato, che porta alla sostituzione dell'intervento mitigante del vescovo auspicato da Agostino (la intercessio episcopalis) con l'imposizione al potere secolare, in presenza di un eretico, di rendere esecutiva la pena; si fa strada, dall'altro, in alcuni casi, soprattutto a seguito di una sempre maggiore distinzione delle competenze tra potere spirituale e potere temporale, il divieto di processi che prevedano la comminazione della pena capitale in luoghi dipendenti dalla giurisdizione ecclesiastica (è quanto prescrive, per esempio, il sinodo di Rouen del 1190).

Dal canto suo, la teologia medioevale affina le motivazioni che ne legittimano il ricorso, dando la prevalenza a quelle di ordine etico-politico. Lo sviluppo dell'idea di "bene comune" e la convinzione diffusa che esso deve avere il primato su quello individuale diviene la ragione determinante per giustificare la soppressione di chi rappresenta un serio pericolo per la sua preservazione. "Il bene comune - afferma in termini perentori Tommaso d'Aquino - è migliore del bene particolare di una sola persona. Si deve quindi sottrarre un bene particolare per conservare il bene comune. Ora la vita di alcuni uomini pestiferi impedisce il bene comune". (1) Accanto alla ridiscussione delle motivazioni, ha inoltre, luogo in questo ultimo periodo, una più precisa definizione della casistica nella quale la pena di morte può essere applicata. Il dibattito che si apre chiama in causa gli aspetti di continuità, ma anche di differenza, tra peccato e reato. Il primato assegnato alle motivazioni di ordine sociale spinge a dare la preminenza a quegli atti che hanno un'immediata ricaduta sull'ordine pubblico. Ma l'ancora insufficiente distinzione tra i due piani lascia sussistere frequenti oscillazioni dall'uno all'altro: un esempio di questa incoerenza è costituito dalla posizione di Duns Scoto, il quale sostiene la necessità della pena di morte per i casi di assassinio e di bestemmia, mentre si oppone alla sua applicazione nei casi di furto e di adulterio. (2)

La riforma protestante non modifica sostanzialmente la posizione medioevale. Lutero afferma con forza l'esistenza di un potere di vita e di morte delegato da Dio agli uomini investiti di autorità politica. Egli si oppone tuttavia all'uso della pena capitale per motivi esclusivamente intraecclesiali, limitandone l'applicabilità soltanto ai casi di criminalità comune. A spingerlo in tale direzione è soprattutto la preoccupazione di evitare la commixtio regnorum, cioè la commistione tra legge e vangelo. Per questo, al contrario di Zwingli e di Calvino, che considerando l'eresia anche un delitto politico, optano per la pena di morte degli eretici, egli è decisamente contrario in questo caso alla sua applicazione. (3)
La manualistica morale cattolica, che ha inizio nel XVII secolo, ribadisce la legittimità della pena di morte, approfondendone le motivazioni, che vengono ricondotte a tre argomentazioni, non necessariamente alternative, assegnando, di volta in volta, all'una o all'altra la prevalenza. La prima individua il fondamento della pena di morte nella retribuzione del reato: essa rappresenterebbe un tipo di ritorsione, sotto forma di sofferenza, inflitta al fine della restaurazione dell'ordine violato: malum passionis quod infligitur ob malum actionis. La seconda riconduce il fondamento all'intimidazione: la pena di morte assolverebbe, in questo caso, a una funzione di prevenzione e di dissuasione, costituendo il timore del castigo esemplare una sorta di deterrente nei confronti della tentazione di commettere lo stesso reato. Infine, la terza rinvia alla tutela della sicurezza pubblica: la pena di morte concorrerebbe alla preservazione dell'ordine sociale e andrebbe ascritta all'istituto della legittima difesa, il cui raggio d'azione non può essere circoscritto alla sola sfera privata ma deve estendersi anche a quella pubblica.

Note

*. Da P. Costa (a cura di), Il diritto di uccidere, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 125-29.
1. Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, n. 146.
2. Cfr. Duns Scoto, IV Sentent., dist. XV, q. 3.
3. Cfr. Lutero, Scritti politici, n. 426. In ambito cattolico la legittimità della pena di morte per gli eretici è soprattutto sostenuta, in questo periodo, da  Roberto Bellarmino. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1997)
 2280 Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel'ha donata. E' lui che ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime. Siamo gli amministratori, non i proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo.
 2263 La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un'eccezione alla proibizione di uccidere l'innocente, uccisione in cui consiste l'omicidio volontario. “Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l'altro è l'uccisione dell'attentatore. . . Il primo soltanto è intenzionale, l'altro è involontario” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7].
 2264 L'amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. E' quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale:  Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita. . . E non è necessario per la salvezza dell'anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l'uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7].
 2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.
 2266 Corrisponde ad un'esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l'ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.
 2267 L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poichè essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più cnformi alla dignità della persona umana. « Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti. »(Giovanni Paolo II, enciclica Evangelium vitae, 56: AAS 87 (1995) 464)

Giovanni Paolo II durante la sua visita negli Stati Uniti, il 27 gennaio 1999 il pontefice ha dichiarato:« La nuova evangelizzazione richiede ai discepoli di Cristo di essere incondizionatamente a favore della vita. La società moderna è in possesso dei mezzi per proteggersi, senza negare ai criminali la possibilità di redimersi. La pena di morte è crudele e non necessaria e questo vale anche per colui che ha fatto molto del male. » 
-La pena di morte in Città del Vaticano non è prevista dal 1967, su iniziativa di papa Paolo VI; è stata rimossa definitivamente il 12 febbraio 2001, su iniziativa di Giovanni Paolo II. 
-Nel giugno 2004, Joseph Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dichiarava in una nota inviata alla Conferenza episcopale americana nel giugno 2004: « Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell’aborto e dell’eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull’applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi per questa ragione indegno di presentarsi a ricevere la Santa Comunione. Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell’applicare una pena a criminali, può tuttavia essere consentito prendere le armi per respingere un aggressore, o fare ricorso alla pena capitale. Ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all’aborto e all’eutanasia.»

(N.B. d.R.):Dopo tutto sono giunto a convincermi che FIN TANTO DURA LA PENA DI MORTE  è come toglierci la vita per sempre.

cfr anche: http://www.corsodireligione.it/vari/chiesa_penamorte.html


LETTERA APOSTOLICA DATA MOTU PROPRIO NORMAS NONNULLAS DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO PP. XVI SU ALCUNE MODIFICHE ALLE NORME RELATIVE ALL'ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE

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LETTERA APOSTOLICA
DATA MOTU PROPRIO

NORMAS NONNULLAS

DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO PP. XVI

SU ALCUNE MODIFICHE ALLE NORME RELATIVE
ALL'ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE

 

Con la Lettera apostolica De aliquibus mutationibus in normis de electione Romani Pontificis, data Motu Proprio a Roma l’11 giugno 2007 nel terzo anno del mio Pontificato, ho stabilito alcune norme che, abrogando quelle prescritte al numero 75 della Costituzione apostolica Universi Dominici gregis promulgate il 22 febbraio 1996 dal mio Predecessore il Beato Giovanni Paolo II, hanno ristabilito la norma, sancita dalla tradizione, secondo la quale per la valida elezione del Romano Pontefice è sempre richiesta la maggioranza dei due terzi di voti dei Cardinali elettori presenti.

Considerata l’importanza di assicurare il migliore svolgimento di quanto attiene, pur con diverso rilievo, all’elezione del Romano Pontefice, in particolare una più certa interpretazione ed attuazione di alcune disposizioni, stabilisco e prescrivo che alcune norme della Costituzione apostolica Universi Dominici gregis e quanto io stesso ho disposto nella summenzionata Lettera apostolica siano sostituite dalle norme che seguono:

n. 35. “Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto, fermo restando quanto prescritto al n. 40 e al n. 75 di questa Costituzione.”

n. 37. “Ordino inoltre che, dal momento in cui la Sede Apostolica sia legittimamente vacante, si attendano per quindici giorni interi gli assenti prima di iniziare il Conclave; lascio peraltro al Collegio dei Cardinali la facoltà di anticipare l’inizio del Conclave se consta della presenza di tutti i Cardinali elettori, come pure la facoltà di protrarre, se ci sono motivi gravi, l’inizio dell’elezione per alcuni altri giorni. Trascorsi però, al massimo, venti giorni dall’inizio della Sede Vacante, tutti i Cardinali elettori presenti sono tenuti a procedere all’elezione.”

n. 43. “Dal momento in cui è stato disposto l’inizio delle operazioni dell’elezione, fino al pubblico annunzio dell’avvenuta elezione del Sommo Pontefice o, comunque, fino a quando così avrà ordinato il nuovo Pontefice, i locali della Domus Sanctae Marthae, come pure e in modo speciale la Cappella Sistina e gli ambienti destinati alle celebrazioni liturgiche, dovranno essere chiusi, sotto l’autorità del Cardinale Camerlengo e con la collaborazione esterna del Vice Camerlengo e del Sostituto della Segreteria di Stato, alle persone non autorizzate, secondo quanto stabilito nei numeri seguenti.

L’intero territorio della Città del Vaticano e anche l’attività ordinaria degli Uffici aventi sede entro il suo ambito dovranno essere regolati, per detto periodo, in modo da assicurare la riservatezza e il libero svolgimento di tutte le operazioni connesse con l’elezione del Sommo Pontefice. In particolare si dovrà provvedere, anche con l’aiuto di Prelati Chierici di Camera, che i Cardinali elettori non siano avvicinati da nessuno durante il percorso dalla Domus Sanctae Marthae al Palazzo Apostolico Vaticano.”

n. 46, 1° comma. “Per venire incontro alle necessità personali e d’ufficio connesse con lo svolgimento dell’elezione, dovranno essere disponibili e quindi convenientemente alloggiati in locali adatti entro i confini di cui al n. 43 della presente Costituzione, il Segretario del Collegio Cardinalizio, che funge da Segretario dell’assemblea elettiva; il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie con otto Cerimonieri e due Religiosi addetti alla Sagrestia Pontificia; un ecclesiastico scelto dal Cardinale Decano o dal Cardinale che ne fa le veci, perché lo assista nel proprio ufficio.”

n. 47. “Tutte le persone elencate al n. 46 e al n. 55, 2° comma della presente Costituzione apostolica, che per qualsivoglia motivo e in qualsiasi tempo venissero a conoscenza da chiunque di quanto direttamente o indirettamente concerne gli atti propri dell’elezione e, in modo particolare, di quanto attiene agli scrutini avvenuti nell’elezione stessa, sono obbligate a stretto segreto con qualunque persona estranea al Collegio dei Cardinali elettori: per tale scopo, prima dell’inizio delle operazioni dell’elezione, dovranno prestare giuramento secondo le modalità e la formula indicate nel numero seguente.”

n. 48. “Le persone indicate nel n. 46 e nel n. 55, 2° comma della presente Costituzione, debitamente ammonite sul significato e sull’estensione del giuramento da prestare, prima dell’inizio delle operazioni dell’elezione, dinanzi al Cardinale Camerlengo o ad altro Cardinale dal medesimo delegato, alla presenza di due Protonotari Apostolici di Numero Partecipanti, a tempo debito dovranno pronunziare e sottoscrivere il giuramento secondo la formula seguente:

         Io N. N. prometto e giuro di osservare il segreto assoluto con chiunque non faccia parte del Collegio dei Cardinali elettori, e ciò in perpetuo, a meno che non ne riceva speciale facoltà data espressamente dal nuovo Pontefice eletto o dai suoi Successori, circa tutto ciò che attiene direttamente o indirettamente alle votazioni e agli scrutini per l’elezione del Sommo Pontefice.

         Prometto parimenti e giuro di astenermi dal fare uso di qualsiasi strumento di registrazione o di audizione o di visione di quanto, nel periodo della elezione, si svolge entro l’ambito della Città del Vaticano, e particolarmente di quanto direttamente o indirettamente in qualsiasi modo ha attinenza con le operazioni connesse con l’elezione medesima.

Dichiaro di emettere questo giuramento, consapevole che una infrazione di esso comporterà nei miei confronti la pena della scomunica «latae sententiae» riservata alla Sede Apostolica.”

         Così Dio mi aiuti e questi Santi Evangeli, che tocco con la mia mano.”

n. 49. “Celebrate secondo i riti prescritti le esequie del defunto Pontefice, preparato quanto è necessario per il regolare svolgimento dell’elezione, il giorno stabilito, ai termini del n. 37 della presente Costituzione, per l’inizio del Conclave tutti i Cardinali converranno nella Basilica di San Pietro in Vaticano, o altrove secondo l’opportunità e le necessità del tempo e del luogo, per prender parte ad una solenne celebrazione eucaristica con la Messa votiva pro eligendo Papa (19). Ciò dovrà essere compiuto possibilmente in ora adatta del mattino, così che nel pomeriggio possa svolgersi quanto prescritto nei numeri seguenti della stessa Costituzione.”

n. 50. “Dalla Cappella Paolina del Palazzo Apostolico, dove si saranno raccolti in ora conveniente del pomeriggio, i Cardinali elettori in abito corale si recheranno in solenne processione, invocando col canto del Veni Creator l’assistenza dello Spirito Santo, alla Cappella Sistina del Palazzo Apostolico, luogo e sede dello svolgimento dell’elezione. Parteciperanno alla processione il Vice Camerlengo, l’Uditore Generale della Camera Apostolica e due membri di ciascuno dei Collegi dei Protonotari Apostolici di Numero Partecipanti, dei Prelati Uditori della Rota Romana e dei Prelati Chierici di Camera.”

n. 51, 2° comma. “Sarà pertanto cura del Collegio Cardinalizio, operante sotto l’autorità e la responsabilità del Camerlengo coadiuvato dalla Congregazione particolare di cui al n. 7 della presente Costituzione, che, all’interno di detta Cappella e dei locali adiacenti, tutto sia previamente disposto, anche con l’aiuto dall’esterno del Vice Camerlengo e del Sostituto della Segreteria di Stato, in maniera che la regolare elezione e la riservatezza di essa siano tutelate.”

n. 55, 3° comma. “Se una qualsiasi infrazione a questa norma venisse compiuta, sappiano gli autori di essa che incorreranno nella pena della scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica.”

n. 62. “Aboliti i modi di elezione detti per acclamationem seu inspirationem e per compromissum, la forma di elezione del Romano Pontefice sarà d’ora in poi unicamente per scrutinium.

Stabilisco, pertanto, che per la valida elezione del Romano Pontefice si richiedono almeno i due terzi dei suffragi, computati sulla base degli elettori presenti e votanti.”

n. 64. “La procedura dello scrutinio si svolge in tre fasi, la prima delle quali, che si può chiamare pre-scrutinio, comprende: 1) la preparazione e la distribuzione delle schede da parte dei Cerimonieri – richiamati intanto nell’Aula insieme col Segretario del Collegio dei Cardinali e col Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie – i quali ne consegnano almeno due o tre a ciascun Cardinale elettore; 2) l’estrazione a sorte, fra tutti i Cardinali elettori, di tre Scrutatori, di tre incaricati a raccogliere i voti degli infermi, denominati per brevità Infirmarii, e di tre Revisori; tale sorteggio viene fatto pubblicamente dall’ultimo Cardinale Diacono, il quale estrae di seguito i nove nomi di coloro che dovranno svolgere tali mansioni; 3) se nell’estrazione degli Scrutatori, degli Infirmarii e dei Revisori, escono i nomi di Cardinali elettori che, per infermità o altro motivo, sono impediti di svolgere tali mansioni, al loro posto vengano estratti i nomi di altri non impediti. I primi tre estratti fungeranno da Scrutatori, i secondi tre da Infirmarii, gli altri tre da Revisori.”

n. 70, 2° comma. “Gli scrutatori fanno la somma di tutti i voti che ciascuno ha riportato, e se nessuno ha raggiunto almeno i due terzi dei voti in quella votazione, il Papa non è stato eletto; se invece risulterà che uno ha ottenuto almeno i due terzi, si ha l’elezione del Romano Pontefice canonicamente valida.”

n. 75. “Se le votazioni di cui ai nn. 72, 73 e 74 della sopramenzionata Costituzione non avranno esito, sia dedicato un giorno alla preghiera, alla riflessione e al dialogo; nelle successive votazioni, osservato l’ordine stabilito nel n. 74 della stessa Costituzione, avranno voce passiva soltanto i due nomi che nel precedente scrutinio avevano ottenuto il maggior numero di voti, né si potrà recedere dalla disposizione che per la valida elezione, anche in questi scrutini, è richiesta la maggioranza qualificata di almeno due terzi di suffragi dei Cardinali presenti e votanti. In queste votazioni, i due nomi che hanno voce passiva non hanno voce attiva.”

n. 87. “Avvenuta canonicamente l’elezione, l’ultimo dei Cardinali Diaconi chiama nell’aula dell’elezione il Segretario del Collegio dei Cardinali, il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie e due Cerimonieri; quindi, il Cardinale Decano, o il primo dei Cardinali per ordine e anzianità, a nome di tutto il Collegio degli elettori chiede il consenso dell’eletto con le seguenti parole: Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice? E appena ricevuto il consenso, gli chiede: Come vuoi essere chiamato? Allora il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, con funzione di notaio e avendo per testimoni due Cerimonieri, redige un documento circa l’accettazione del nuovo Pontefice e il nome da lui assunto.”

Questo decido e stabilisco, nonostante qualsiasi disposizione in contrario.

Questo documento entrerà in vigore subito dopo la sua pubblicazione su L’Osservatore Romano.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 22 del mese di febbraio, nell’anno 2013, ottavo del mio Pontificato.

 

BENEDICTUS PP. XVI

DIRETTORIO PER IL MINISTERO E LA VITA DEI PRESBITERI nuova edizione

 DIRETTORIO

PER IL MINISTERO
E LA VITA DEI PRESBITERI

nuova edizione




http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cclergy/documents/rc_con_cclergy_doc_20130211_direttorio-presbiteri_it.html#1.4_%C2%A0Dimensione_ecclesiologica

MINISTRORUM INSTITUTIO

 Benedetto XVI Motu Proprio

EN  - ES  - FR  - IT  - LA  - PT ]

LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI 
MOTU PROPRIO

MINISTRORUM INSTITUTIO

DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO PP. XVI

CON LA QUALE È MODIFICATA LA COSTITUZIONE APOSTOLICA PASTOR BONUS
E SI TRASFERISCE LA COMPETENZA SUI SEMINARI
DALLA “
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA
ALLA “
CONGREGAZIONE PER IL CLERO

 

La formazione dei sacri ministri fu tra le principali preoccupazioni dei Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II, che scrissero: «Il Concilio Ecumenico, ben consapevole che l'auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa dipende in gran parte dal ministero sacerdotale animato dallo spirito di Cristo, afferma solennemente l'importanza somma della formazione sacerdotale» (Decr. Optatam totius, 1). In questo contesto, il can. 232 CIC rivendica alla Chiesa il “diritto proprio ed esclusivo” di provvedere alla formazione di coloro che sono destinati ai ministeri sacri, ciò che avviene di regola nei Seminari, una istituzione voluta dal Concilio Tridentino, il quale decretò che in tutte le diocesi venisse istituito un “Seminarium perpetuum” (Sessione XXIII [15 luglio 1563], can. XVIII), mediante il quale il Vescovo provvedesse ad «alere et religiose educare et ecclesiasticis disciplinis instituere» i candidati al Sacerdozio.

Il primo organismo a carattere universale, incaricato di provvedere alla fondazione, al governo ed all’amministrazione dei Seminari, ai quali «sono strettamente legate le sorti della Chiesa» (Leone XIII, Ep. Paternae providaeque [18 settembre 1899]: ASS 32 [1899-1900], 214), fu l’apposita Congregatio Seminariorum, istituita da Benedetto XIII con la Costituzione Creditae Nobis (9 maggio 1725: Bullarium Romanum XI, 2, pp. 409-412). Essa si estinse con l’andar del tempo e i Seminari continuarono ad essere fatti oggetto di particolari cure da parte della Santa Sede per mezzo della Sacra Congregazione del Concilio (oggi Congregazione per il Clero) od anche della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, e, dal 1906, solo per mezzo di quest’ultima. San Pio X, con la Costituzione apostolica Sapienti consilio (29 giugno 1908: AAS 1 [1909], 7-19), riservò la giurisdizione sui Seminari alla Sacra Congregazione Concistoriale, presso la quale venne eretto uno speciale ufficio (cfr AAS 1 [1909] 9-10, 2°, 3).

Benedetto XV, con il Motu proprio “Seminaria clericorum” (4 novembre 1915: AAS 7 [1915], 493-495), unendo l’Ufficio per i Seminari eretto presso la Sacra Congregazione Concistoriale e la Sacra Congregazione degli Studi, creò un nuovo Dicastero, che assunse il nome di Sacra Congregatio de Seminariis et Studiorum Universitatibus. Il Santo Padre motivò la decisione perché preoccupato del numero crescente degli affari e dell’importanza dell’ufficio: «Verum cum apud hanc Sacram Congregationem negotiorum moles praeter modum excrevit, et Seminariorum cum maiorem in dies operam postulet, visum est Nobis ad omnem eorum disciplinam moderandam novum aliquod consilium inire» (AAS 7 [1915], 494).

Il nuovo Dicastero, cioè la Sacra Congregatio de Seminariis et Studiorum Universitatibus, fu accolto nel Codex Iuris Canonici del 1917, al can. 256, e nel medesimo Codice la formazione dei chierici fu inserita come titolo XXI, De Seminariis, nella IV parte, De Magisterio ecclesiastico, del libro III, De rebus.

È significativo rilevare che, durante la redazione del nuovo Codice, si sia discusso circa l’opportunità di conservare la medesima disposizione, ma, alla fine, sembrò più opportuno premettere l’intera normativa, come introduzione, alla trattazione sui chierici. Quindi le norme e le direttive sui Seminari sono state inserite nel II libro, parte I, titolo III, cap. I, con l’appropriata denominazione “La formazione dei Chierici” (cfr cann. 232-264 CIC). La nuova collocazione è senza dubbio significativa e il titolo (De clericorum institutione) particolarmente appropriato, poiché comprende in tal modo la formazione integrale da impartire ai futuri ministri del Signore: formazione non solo dottrinale, ma anche umana, spirituale, ascetica, liturgica e pastorale.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II ricorda nuovamente che: «i Seminari maggiori sono necessari per la formazione sacerdotale» (Decr. Optatam totius, 4) e la formazione da impartire nel Seminario maggiore è specificamente sacerdotale, ordinata cioè, spiritualmente e pastoralmente, al ministero sacro: «L’educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formare dei veri pastori di anime sull’esempio di Cristo Maestro, Sacerdote e Pastore» (ibidem).

In questo senso: «I giovani che intendono accedere al sacerdozio siano formati ad una vita spirituale ad esso confacente e ai relativi doveri presso il Seminario maggiore durante tutto il tempo della formazione, oppure, se a giudizio del Vescovo diocesano le circostanze lo richiedono, almeno per quattro anni» (can. 235, §1 CIC).

Quindi i Seminari rientrano, secondo il Concilio Ecumenico Vaticano II e il Codice di Diritto Canonico del 1983, nell’ambito della “formazione dei Chierici”, che per essere vera ed efficace deve saldare la formazione permanente con la formazione seminaristica « ...proprio perché la formazione permanente è una continuazione di quella del Seminario …», come ha affermato il mio venerato predecessore, il beato Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis (25 marzo 1992): «La formazione permanente dei sacerdoti … è la continuazione naturale e assolutamente necessaria di quel processo di strutturazione della personalità presbiterale che si è iniziato e sviluppato in Seminario … con il cammino formativo in vista dell’Ordinazione. È di particolare importanza avvertire e rispettare l’intrinseco legame che esiste tra la formazione precedente l’ordinazione e quella successiva. Se, infatti, ci fosse una discontinuità o perfino una difformità tra queste due fasi formative, deriverebbero immediatamente gravi conseguenze sull’attività pastorale e sulla comunione fraterna tra i presbiteri, in particolare tra quelli di differente età. La formazione permanente non è una ripetizione di quella acquisita in Seminario, semplicemente riveduta o ampliata con nuovi suggerimenti applicativi. Essa si sviluppa con contenuti e soprattutto attraverso metodi relativamente nuovi, come un fatto vitale unitario che, nel suo progresso - affondando le radici nella formazione seminaristica - richiede adattamenti, aggiornamenti e modifiche, senza però subire rotture o soluzioni di continuità. E viceversa, fin dal Seminario maggiore occorre preparare la futura formazione permanente, e aprire ad essa l’animo e il desiderio dei futuri presbiteri, dimostrandone la necessità, i vantaggi e lo spirito, e assicurando le condizioni del suo realizzarsi» (n. 71: AAS 84 [1992], 782-783).

Ritengo pertanto opportuno assegnare alla Congregazione per il Clero la promozione e il governo di tutto ciò che riguarda la formazione, la vita e il ministero dei presbiteri e dei diaconi: dalla pastorale vocazionale e la selezione dei candidati ai sacri Ordini, inclusa la loro formazione umana, spirituale, dottrinale e pastorale nei Seminari e negli appositi centri per i diaconi permanenti (cfr can. 236, §1° CIC), fino alla loro formazione permanente, incluse le condizioni di vita e le modalità di esercizio del ministero e la loro previdenza e assistenza sociale.

Pertanto, alla luce di queste riflessioni, dopo avere esaminato con cura ogni cosa e avere richiesto il parere di persone esperte, stabilisco e decreto quanto segue:

Art. 1

La «Congregatio de Institutione Catholica (de Seminariis atque Studiorum Institutis)» assume il nome di «Congregatio de Institutione Catholica (de Studiorum Institutis)».

Art. 2

L’art. 112 della Costituzione apostolica Pastor bonus è sostituito con il testo seguente: «La Congregazione esprime e traduce in atto la sollecitudine della Sede Apostolica circa la promozione e l'ordinamento dell'educazione cattolica».

Art. 3

E’ abrogato l’articolo 113 della Costituzione apostolica Pastor bonus.

Art. 4

L’art. 93 della Costituzione apostolica Pastor bonus  è sostituito con il testo seguente:

«§ 1. Salvo il diritto dei Vescovi e delle loro Conferenze, la Congregazione si occupa di quelle materie che riguardano i presbiteri e i diaconi del clero secolare in ordine sia alle loro persone, sia al loro ministero pastorale, sia a ciò che è loro necessario per l'esercizio di tale ministero, ed in tutte queste questioni offre ai Vescovi l'aiuto opportuno.

§ 2. La Congregazione esprime e traduce in atto la sollecitudine della Sede Apostolica circa la formazione di coloro che sono chiamati agli Ordini sacri».

Art. 5

Il testo dell’art. 94 della Costituzione apostolica Pastor bonus è sostituito con il seguente:

«§ 1. Assiste i Vescovi perché nelle loro Chiese siano coltivate col massimo impegno le vocazioni ai ministeri sacri e nei seminari, da istituire e dirigere a norma del diritto, gli alunni siano adeguatamente educati con una solida formazione sia umana e spirituale, sia dottrinale e pastorale.

§ 2. Vigila attentamente perché la convivenza ed il governo dei seminari rispondano pienamente alle esigenze dell'educazione sacerdotale ed i superiori e docenti contribuiscano, quanto più è possibile, con l'esempio della vita e la retta dottrina alla formazione della personalità dei ministri sacri.

§ 3. Ad essa spetta, inoltre, di erigere i seminari interdiocesani e di approvare i loro statuti».

Art. 6

La Congregazione per l’Educazione Cattolica è competente per l’ordinamento degli studi accademici di filosofia e di teologia, sentita la Congregazione per il Clero, per quanto di rispettiva competenza.

Art. 7

La Pontificia Opera delle Vocazioni Sacerdotali (cfr Motu Proprio di Pio XII, in data 4 novembre 1941) è trasferita presso la Congregazione per il Clero.

Art. 8

Per ragione di materia, il Prefetto della Congregazione per il Clero presiede ex officio la Commissione interdicasteriale permanente “Per la formazione dei candidati agli Ordini Sacri”, costituita a norma della Costituzione apostolica Pastor bonus, art. 21, §2, della quale fa parte anche il Segretario.

Art. 9

La Commissione interdicasteriale “Per una distribuzione più equa dei sacerdoti nel mondo” è soppressa.

Art.10

Il giorno dell’entrata in vigore delle presenti norme, i procedimenti pendenti presso la Congregazione per l’Educazione Cattolica sulle materie di competenza qui trasferite saranno trasmessi alla Congregazione per il Clero e da essa saranno definiti.

Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul quotidiano “L’Osservatore Romano”, entrando in vigore quindici giorni dopo la promulgazione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 gennaio dell’anno 2013, ottavo del Pontificato.

 

 
BENEDICTUS PP. XVI

FIDES PER DOCTRINAM

 Benedetto XVI Motu Proprio

EN  - ES  - FR  - IT  - LA  - PT ]

LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO

FIDES PER DOCTRINAM

DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO PP. XVI

CON LA QUALE SI MODIFICA LA COSTITUZIONE APOSTOLICA PASTOR BONUS
E SI TRASFERISCE LA COMPETENZA SULLA CATECHESI
DALLA 
CONGREGAZIONE PER IL CLERO AL PONTIFICIO CONSIGLIO
PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

 

La fede ha bisogno di essere sostenuta per mezzo di una dottrina capace di illuminare la mente e il cuore dei credenti. Il particolare momento storico che viviamo, segnato tra l’altro da una drammatica crisi di fede, richiede l’assunzione di una consapevolezza tale da rispondere alle grandi attese che sorgono nel cuore dei credenti per i nuovi interrogativi che interpellano il mondo e la Chiesa. L’intelligenza della fede, quindi, richiede sempre che i suoi contenuti siano espressi con un linguaggio nuovo, capace di presentare la speranza presente nei credenti a quanti ne chiedono ragione (cfr 1 Pt 3,15).

E’ compito particolare della Chiesa mantenere vivo ed efficace l’annuncio di Cristo, anche attraverso l’esposizione della dottrina che deve nutrire la fede nel mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio fatto uomo per noi, morto e risorto per la nostra salvezza. Essa lo deve compiere instancabilmente attraverso forme e strumenti adatti, perché quanti accolgono e credono all’annuncio del Vangelo rinascano a nuova vita mediante il Battesimo.

Nel cinquantesimo anniversario dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, mentre la Chiesa riflette ancora sulla ricchezza d’insegnamento contenuto in quei documenti e trova nuove forme per attuarlo, è possibile verificare il grande cammino compiuto in questi decenni nell’ambito della catechesi, cammino però che non è stato esente, negli anni del dopo Concilio, da errori anche gravi nel metodo e nei contenuti, che hanno spinto ad una approfondita riflessione e condotto così all’elaborazione di alcuni Documenti postconciliari che rappresentano la nuova ricchezza nel campo della Catechesi.

Il Venerabile Servo di Dio Paolo VI ebbe a scrivere, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: «Una via da non trascurare nella evangelizzazione è quella dell'insegnamento catechetico. L'intelligenza, soprattutto quella dei fanciulli e degli adolescenti, ha bisogno di apprendere, mediante un insegnamento religioso sistematico, i dati fondamentali, il contenuto vivo della verità che Dio ha voluto trasmetterci e che la Chiesa ha cercato di esprimere in maniera sempre più ricca, nel corso della sua lunga storia» (n. 44: AAS 68 [1976], 34).

Alla stessa stregua, il beato Giovanni Paolo II, a conclusione del Sinodo dei Vescovi dedicato alla Catechesi scrisse: «Lo scopo della Catechesi, nel quadro generale dell’evangelizzazione, è di essere la fase dell’insegnamento e della maturazione, cioè il tempo in cui il cristiano, avendo accettato mediante la fede la persona di Gesù Cristo come il solo Signore e avendogli dato un’adesione globale mediante una sincera conversione del cuore, si sforza di conoscere meglio questo Gesù, al quale si è abbandonato» (Esort. ap. Catechesi tradendae, 20: AAS 71 [1979], 1294).

Per celebrare il ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il beato mio Predecessore convocò un altro Sinodo dei Vescovi e, in quella sede, i Padri Sinodali espressero il vivo desiderio che si procedesse alla stesura di un Catechismo per offrire alla Chiesa universale una sintesi sistematica della dottrina e della morale secondo il dettato conciliare. Con la Costituzione apostolica Fidei depositum, dell’11 ottobre 1992, il beato Giovanni Paolo II promulgava il Catechismo della Chiesa Cattolica e, con Motu Proprio del 28 giugno 2005, io stesso ho approvato e promulgato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Non si possono dimenticare altre tappe significative per precisare la natura, i metodi e le finalità della Catechesi nel processo dell’evangelizzazione. Nel 1971, la Congregazione per il Clero pubblicò il Direttorio Catechistico Generale con l’intento di compiere una prima sintesi riguardo al cammino compiuto nelle diverse Chiese locali, che, nel frattempo, avevano realizzato un loro proprio percorso catechetico. A seguito della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, la stessa Congregazione per il Clero, nel 1997, emanò il Direttorio Generale per la Catechesi, ribadendo il desiderio della Chiesa che una prima tappa del processo catechistico sia ordinariamente dedicata ad assicurare la conversione (cfr n. 62).

L’insegnamento conciliare e il Magistero successivo, facendosi interpreti della grande tradizione della Chiesa in proposito, hanno legato in maniera sempre più forte la Catechesi al processo di evangelizzazione. La Catechesi, quindi, rappresenta una tappa significativa nella vita quotidiana della Chiesa per annunciare e trasmettere in maniera viva ed efficace la Parola di Dio, così che questa giunga a tutti, e i credenti siano istruiti ed educati in Cristo per costruire il Suo Corpo che è la Chiesa (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 4).

Con la Lettera apostolica, in forma di Motu ProprioUbicumque et semper, ho istituito, il 21 settembre 2010, il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che svolge «la propria finalità sia stimolando la riflessione sui temi della nuova evangelizzazione, sia individuando e promuovendo le forme e gli strumenti atti a realizzarla» (art. 1 § 2: AAS 102 [2010], 791). In modo particolare, ho voluto assegnare al nuovo Dicastero il compito di «promuovere l’uso del Catechismo della Chiesa Cattolica, quale formulazione essenziale e completa del contenuto della fede per gli uomini del nostro tempo» (art. 3, 5°: AAS 102 [2010], 792).

Ciò considerato ritengo opportuno che tale Dicastero assuma tra i suoi compiti istituzionali quello di vegliare, per conto del Romano Pontefice, sul rilevante strumento di evangelizzazione che rappresenta per la Chiesa la Catechesi, nonché l’insegnamento catechetico nelle sue diverse manifestazioni, in modo da realizzare un’azione pastorale più organica ed efficace. Questo nuovo Pontificio Consiglio potrà offrire alle Chiese locali e ai Vescovi diocesani un adeguato servizio in questa materia.

Perciò, accogliendo la concorde proposta dei Capi Dicastero interessati, ho deciso di trasferire al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione le competenze che, in materia di Catechesi, la Costituzione apostolica Pastor bonus, del 28 giugno 1988, aveva affidato alla Congregazione per il Clero, con la stessa giurisdizione che finora esercitava la medesima Congregazione in questa materia ed è richiesta dall’ordinamento canonico.

Di conseguenza, alla luce delle considerazioni precedenti, dopo aver esaminato con cura ogni cosa e aver richiesto il parere di persone esperte, stabilisco e decreto quanto segue:

Art. 1

È abrogato l’art. 94 della Costituzione apostolica Pastor bonus, e la competenza che in materia di Catechesi svolgeva finora la Congregazione per il Clero è integralmente trasferita al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

Art. 2

È ugualmente trasferito al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione il “Consiglio Internazionale per la Catechesi” istituito dal Venerabile Servo di Dio Paolo VI con Lettera del 7 giugno 1973. Di tale Consiglio assume la presidenza il Presidente del Pontificio Consiglio e ne farà parte ex officio il Segretario dello stesso Dicastero.

Art. 3

In base alle competenze conferite con il presente Motu proprio, il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione:

§ 1. cura la promozione della formazione religiosa dei fedeli di ogni età e condizione;

§ 2. ha facoltà di emanare norme opportune perché l’insegnamento della Catechesi sia impartito in modo conveniente secondo la costante tradizione della Chiesa;

§ 3. ha il compito di vigilare perché la formazione catechetica sia condotta correttamente nel rispetto delle metodologie e finalità secondo le indicazioni espresse dal Magistero della Chiesa;

§ 4. concede la prescritta approvazione della Sede Apostolica per i catechismi e gli altri scritti relativi all’istruzione catechetica, con il consenso della Congregazione per la Dottrina della Fede;

§ 5. assiste gli Uffici catechistici in seno alle Conferenze Episcopali, segue le loro iniziative riguardanti la formazione religiosa ed aventi carattere internazionale, ne coordina l’attività ed eventualmente offre loro l’aiuto necessario.

Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul quotidiano “L’Osservatore Romano”, entrando in vigore quindici giorni dopo la promulgazione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 gennaio dell’anno 2013, ottavo del Pontificato.

 
BENEDICTUS PP. XVI