domenica 13 dicembre 2020

Dieci riflessioni utili del Papa Benedetto XVI per rafforzare la propria fede.

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Dalla Bibbia alla Liturgia, così sentiamo la presenza del Signore più vicina a noi

Dieci riflessioni utili del Papa emerito Benedetto XVI per rafforzare la propria fede. Si possono ricavare leggendo “Io Credo” (edizioni San Paolo) a cura dello stesso Ratzinger.

1) ALIMENTARSI CON LA BIBBIA

Dove possiamo ascoltare Dio e la sua parola? Fondamentale è la Sacra Scrittura, in cui la Parola di Dio si fa udibile per noi e alimenta la nostra vita di “amici” di Dio. Tutta la Bibbia racconta il rivelarsi di Dio all’umanità; tutta la Bibbia parla di fede e ci insegna la fede narrando una storia in cui Dio porta avanti il suo progetto di redenzione e si fa vicino a noi uomini, attraverso tante luminose figure di persone che credono in Lui e a Lui si affidano, fino alla pienezza della rivelazione nel Signore Gesù.

2) GLI OCCHI DELLA FEDE

Gli occhi della fede sono dunque capaci di vedere l’invisibile e il cuore del credente può sperare oltre ogni speranza, proprio come Abramo, di cui Paolo dice nella Lettera ai Romani che «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18).

3) PRESENZA DI VITA E SALVEZZA

Affermare «Io credo in Dio» ci spinge, allora, a partire, ad uscire continuamente da noi stessi, proprio come Abramo, per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede: la certezza, cioè, della presenza di Dio nella storia, anche oggi; una presenza che porta vita e salvezza, e ci apre ad un futuro con Lui per una pienezza di vita che non conoscerà mai tramonto.

4) CREDO IN DIO ONNIPOTENTE

Quando diciamo «Io credo in Dio Padre onnipotente», noi esprimiamo la nostra fede nella potenza dell’a- more di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna, quella dei figli che desiderano essere per sempre nella “Casa del Padre”. Dire «Io credo in Dio Padre onnipotente», nella sua potenza, nel suo modo di essere Padre, è sempre un atto di fede, di conversione, di trasformazione del nostro pensiero, di tutto il nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere.

5) L’ANNUNCIO DELLA RISURREZIONE

Occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo. Soltanto a partire dalla Risurrezione si comprende la vera natura della Chiesa e della sua testimonianza, che non è qualcosa di staccato dal mistero pasquale, bensì ne è frutto, manifestazione e attuazione da parte di quanti, ricevendo lo Spirito Santo, sono inviati da Cristo a proseguire la sua stessa missione (Cfr. Gv 20,21-23).

6) LA PREGHIERA SUSCITA VOCAZIONI

Elemento fondamentale e riconoscibile di ogni vocazione al sacerdozio e alla consacrazione è l’amicizia con Cristo. Gesù viveva in costante unione con il Padre, ed è questo che suscitava nei discepoli il desiderio di vivere la stessa esperienza, imparando da Lui la comunione e il dialogo incessante con Dio. Se il sacerdote è l’“uomo di Dio”, che appartiene a Dio e che aiuta a conoscerlo e ad amarlo, non può non coltivare una profonda intimità con Lui, rimanere nel suo amore, dando spazio all’ascolto della sua Parola. La preghiera è la prima testimonianza che suscita vocazioni.

7) ATTENTI ALLA MENTALITA’ EDONISTICA

Viviamo in un contesto culturale segnato dalla mentalità edonistica e relativistica, che tende a cancellare Dio dall’orizzonte della vita, non favorisce l’acquisizione di un quadro chiaro di valori di riferimento e non aiuta a discernere il bene dal male e a maturare un giusto senso del peccato. Questa situazione rende ancora più urgente il servizio di amministratori della Misericordia Divina. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che c’è una sorta di circolo vizioso tra l’offuscamento dell’esperienza di Dio e la perdita del senso del peccato.

8) L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

Nella prospettiva cristiana, l’ascolto è prioritario. Al riguardo Gesù afferma in modo esplicito: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,28).

Ascoltare insieme la parola di Dio; praticare la lectio divina della Bibbia, cioè la lettura legata alla preghiera; lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai invecchia e mai si esaurisce, della parola di Dio; superare la nostra sordità per quelle parole che non si accordano con i nostri pregiudizi e le nostre opinioni. Tutto ciò costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l’unità nella fede, come risposta all’ascolto della Parola.

9) PRATICARE LA FEDE CON I SACRAMENTI

Centro del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non siamo noi uomini a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo agire, ci guarda e ci conduce verso di sé.

E c’è ancora qualcos’altro di singolare: Dio ci tocca per mezzo di realtà materiali, attraverso doni del creato che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso (Santa Messa del Crisma, Omelia del Santo Padre Benedetto XVI, Basilica Vaticana, Giovedì Santo, 1° aprile 2010).

10) LA LITURGIA E’ IL COLLOQUIO CON DIO

La Liturgia è il luogo privilegiato dove ciascuno di noi entra nel “noi” dei figli di Dio in colloquio con Dio. È importante: il Padre Nostro comincia con le parole «Padre Nostro»; solo se io sono inserito nel “noi” di questo «Nostro», posso trovare il Padre; solo all’interno di questo “noi”, che è il soggetto della preghiera del Padre Nostro, sentiamo bene la Parola di Dio. Quindi, questo mi sembra molto importante: la Liturgia è il luogo privilegiato dove la Parola è viva, è presente, dove anzi la Parola, il Logos, il Signore, parla con noi e si dà nelle nostre mani; se ci poniamo in ascolto del Signore in questa grande comunione della Chiesa di tutti i tempi, lo troviamo (Visita al Seminario Romano Maggiore in occasione della Festa della Madonna della Fiducia, Incontro di Sua Santità Benedetto XVI con i seminaristi, sabato 17 febbraio 2007).

tratto da  https://it.aleteia.org/2017/03/20/vuoi-avere-una-fede-piu-forte-ecco-10-consigli-di-benedetto-xvi/

Gelsomino Del Guercio/Aleteia | Mar 20, 2017

La statua miracolosa di Nostra Signora di Guadalupe che piange lacrime n...

Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo: Santa e Gloriosa Martire Lucia da Siracusa

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sabato 12 dicembre 2020

O Santa Vergine Maria, non c'è al mondo creatura bella come Te: Figlia... Madre... Sposa...

 

I Francescani in difesa dell’Immacolata

Dalle Fonti Francescane 281 Antifona assai familiare al Serafico Padre San Francesco:

<<Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te, nata nel mondo, fra le donne, Figlia e immagine perdono di assisiancella dell’altissimo Re, il Padre celeste, Madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, Sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le virtù dei cieli, e con tutti i santi, presso il tuo santissimo Figlio diletto, nostro Signore e Maestro.>>



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Per Franciscum defensa

I Francescani in difesa dell’Immacolata

San Massimiliano Maria Kolbe, il “cavaliere dell’Immacolata” del XX secolo, guardando alla storia francescana in tutta la sua complicata trama di divisioni, riforme, innovazioni e liti vedeva un solo fattore che non solo aveva accomunato tutti i movimenti francescani, ma che addirittura conferiva loro una vera identità francescana: l’Immacolata. La “causa dell’Immacolata”, ovvero la difesa di questa sentenza quando ancora non era stata dogmatizzata dalla Chiesa, è il vero filo d’oro che dalle origini determina l’identità e la crescita del Francescanesimo, tanto che essa meritò il nome di opinio minorum o tesi francescana. Non a caso un diffuso adagio, quanto mai veritiero e puntuale, sosteneva che l’Immacolata era stata “per Christum praeservata, per Franciscum defensa”: preservata dal peccato originale da Cristo e difesa da san Francesco.

L’intuizione mistica di san Francesco
Senza ombra di dubbio san Francesco non fu certo un Teologo nel senso tecnico della parola, però l’edificio delle sue virtù costruito sul saldissimo fondamento dell’umiltà, gli consentì una penetrazione intuitiva dei misteri di Dio, superiore a qualsiasi altro: «La teologia di questo santo padre – come disse un Domenicano che lo aveva interrogato – portata sulle ali della purezza della contemplazione, è come un’aquila in volo. La nostra scienza, a paragone, striscia con il ventre per terra».

Arrivò con le ali della contemplazione il Serafico Padre alla verità luminosissima ma ancora abbagliante dell’Immacolata Concezione?
Secondo alcune notizie storiche dubbie san Francesco avrebbe eretto a Rovigo sin dal 1223 un altare dedicato all’Immacolato Concepimento di Maria. Sono del tutto silenziosi invece gli scritti e le fonti biografiche di san Francesco sull’Immacolato Concepimento di Colei che il Serafino d’Assisi aveva proclamato “avvocata” del suo ordine? Forse no, se, sforzandoci anche noi di penetrare con spirito mistico le preghiere di san Francesco, ne sappiamo cogliere il significato profondo. Nel celebre Saluto alla Vergine il Santo scrive: «Ave Signora, santa Regina, santa Madre di Dio, Maria, […] nella quale fu ed è ogni pienezza di grazia ed ogni bene». Ora, l’Immacolata Concezione di Maria non dice solo l’estraneità della Vergine ad ogni peccato, anche a quello originale, bensì, nel suo aspetto positivo, vuole significare la pienezza di grazia santificante e di carità verso Dio (“pienezza di grazia e ogni bene”).

È poi senza senso questa duplicazione del verbo essere, al presente e al passato? È un mero elemento retorico? Pensiamo di no: il presente (“è”) indica la condizione stabile della Madre di Dio, la sua sconfinata pienezza di grazia, il suo essere ricolma di ogni bene e il suo perfetto amore verso Dio, ma il passato non può che indicare che tale condizione non è stata acquistata dalla Madonna o a Lei donata ad un certo punto ma c’è sempre stata sin dal suo apparire alla vita, cioè fin dal suo concepimento.
La Teologia mistica e orante di san Francesco aveva già svelato al mondo la bellezza suprema dell’unica creatura concepita senza peccato e pertanto ripiena, sopra ogni misura, della grazia divina.

I precursori dell’Immacolata
Non è dunque un caso che siano stati proprio i Francescani i grandi araldi dell’Immacolata Concezione: tale eredità, sorta spontaneamente nel ventre mistico del Serafico Padre, si è trasmessa “geneticamente” ai figli, che solo col passare del tempo ne hanno colto il significato e l’importanza.

Alla fine del XIII secolo però già due autori incominciano a difendere, seppur in mezzo a un ambiente piuttosto ostile, la sentenza dell’Immacolata Concezione. Preceduto forse già dal celebre Roberto Grossatesta, il maestro francescano Guglielmo di Ware († 1300 c.a.), fu tra i primi seguaci di san Francesco a proporre e a dimostrare la pia sentenza dell’Immacolata Concezione: per lui però l’esigenza prima era quella di difendere la festa liturgica, già ampiamente diffusa in Inghilterra da secoli, senza però penetrare profondamente nel significato teologico.

Tuttavia fu lo Ware l’autore del celebre potuit, decuit, ergo fecit (poteva, era conveniente, e dunque lo fece): Dio poteva creare Maria del tutto priva di peccato (possibilità), ciò risulta del tutto conveniente nell’economia della Salvezza e ciò basta per dimostrare il fatto che lo ha fatto effettivamente.

Non sappiamo se lo Ware abbia mai insegnato fuori dalla sua Patria: sicuramente fu così invece per l’irrequieto spirito speculativo-mistico del geniale Terziario francescano Raimondo Lullo († 1315), proclamato beato dalla Chiesa per il suo martirio in terra islamica. Il maiorchino difese a più riprese la verità dell’Immacolato Concepimento di Maria e, meno di una decina di anni prima di Scoto, osò sostenere tale sentenza tra le ostili mura della Sorbona, la celebre Università di Parigi, capitale della Teologia cattolica. Il Beato sostenne apertamente la sentenza immacolista nel suo Arbor Scientiae prima, e nel Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, elaborato e proposto a Parigi poi.

Con il Lullo osserviamo una netta chiarificazione della questione: non si tratta di parlare di una “Santificazione” di Maria Santissima, ovvero di una purificazione di Maria dal peccato originale in un ipotetico momento (quello dell’infusione dell’anima) tra il concepimento (del corpo) e la nascita, bensì della Concezione stessa che sarebbe stata immacolata, ovvero, a differenza degli altri uomini, la legge divina della trasmissione del peccato originale nella natura umana sarebbe stata sospesa.

Tra le motivazioni poi che il beato Lullo propone a sostegno della sua tesi vi è quella della “ri-creazione”, ovvero della redenzione dell’uomo da parte del Verbo Incarnato, che avrebbe ricalcato i passi della Creazione stessa; scrive il Lullo: «Come Adamo ed Eva furono nello stato di innocenza prima del peccato originale, così quando incominciò la ri-creazione, […] era necessario che l’Uomo e la Donna [ovvero Cristo e Maria] fossero nello stato di innocenza completamente e continuamente, dal principio fino alla fine. Altrimenti la ri-creazione non avrebbe potuto essere principio ma sarebbe stata essa stessa principiata». Maria, socia del Redentore, non avrebbe potuto partecipare all’opera della Redenzione se non fosse stata anch’essa, al pari del Verbo Incarnato, senza peccato sin dal suo inizio.

Il cavaliere vittorioso dell’Immacolata
I grandi Dottori della Sorbona, illustrata nel secolo XIII dalle menti di due Dottori come san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio, rimanevano però ostili a questa sentenza, considerata certo “pia” ma difficilmente digeribile teologicamente.

Il punto che lasciava i grandi Dottori sospettosi verso la festa liturgica dell’Immacolata Concezione (che sempre più si diffondeva in Europa) era questo: se Maria fosse stata da sempre senza peccato originale, Ella non avrebbe avuto bisogno della Redenzione di Cristo; ciò però contrasterebbe con il Dogma, espresso a chiare parole nella lettera ai Romani («Tutti hanno peccato in Adamo», Rm 5,12), dell’universalità del peccato originale e di conseguenza dell’universale Redenzione di Cristo. In altre parole, se Maria fosse stata concepita Immacolata allora Essa non sarebbe stata redenta da Cristo in quanto non avrebbe avuto bisogno della Redenzione: per Lei Cristo sarebbe morto invano! A risolvere la questione ci volle una speculazione intellettuale intrisa di devozione, attenta contemporaneamente ai dati della Tradizione e a quelli del sensum fidelium del popolo di Dio: tale fu quella del beato Giovanni Duns Scoto († 1308), a giusto titolo chiamato “Dottore Mariano” e “Dottore dell’Immacolata”. Tale titolo è ancor più legittimo se si pensa che lo stesso Beato sempre attribuì la prestanza del suo intelletto all’intervento miracoloso della Vergine Maria che lo avrebbe reso tutto d’un tratto incredibilmente intelligente, chiedendo una sola cosa in cambio: che ne facesse uso solo per la Sua gloria!

È un fatto che la sentenza in favore dell’Immacolata, prima tenuta in ostilità alla Sorbona, divenne la sentenza comune dell’Università parigina dopo la celebre disputa del 1305, quando Scoto ebbe ragione sui Maestri domenicani dimostrando con profusione di argomenti come Maria fosse stata concepita senza peccato originale.

L’abbondanza ma, soprattutto, la qualità e la profondità delle motivazioni apportate dal Beato francescano vinsero il riserbo delle menti e l’ostilità dei cuori di tanti teologi e uomini di Chiesa. In particolare, suo grande merito fu comprendere come l’Immacolata Concezione, anziché contrastare l’universalità della Redenzione di Cristo, la confermava e la rafforzava. Come? Non esiste solo la redenzione curativa, con la quale Cristo salvò tutti gli uomini macchiati dal peccato originale, anzi, perché Cristo fosse perfetto redentore, avrebbe dovuto realizzare almeno una volta una redenzione perfetta, cioè una redenzione preservativa. Ciò si realizzò nella Santissima Madre di Dio che non fu guarita dal peccato originale ma fu, per far risaltare ancor meglio la potenza di Dio, preservata completamente dal peccato originale, in vista dei meriti della Passione e Morte di Cristo. Se ciò è possibile e conveniente poi, dato che dobbiamo attribuire a Maria ciò che è più eccellente (a patto che non ripugni all’autorità della Chiesa e della Scrittura), allora Dio certamente lo fece: creò Maria senza macchia alcuna, non perché Lei fosse sottratta all’opera della Redenzione ma perché fosse la prima (pre)redenta, chiamata a collaborare a titolo specialissimo, come sua Madre e Alma socia, all’opera della Redenzione di tutti gli uomini.

Il beato Duns Scoto, vero cavaliere e difensore dell’Immacolata, fu senza dubbio colui che meglio penetrò il mistero dell’Immacolata unendo all’amore per la Santissima Vergine una precisione e chiarezza teologica che risolveva la contraddizione apparente: da lì in poi la sentenza dell’Immacolata divenne la bandiera dei figli di san Francesco che compresero il loro ruolo provvidenziale nel difenderla, tanto che essa divenne nota come l’opinio minorum.



La battaglia per l’Immacolata
La vittoriosa disputa della Sorbona tuttavia non fu la fine ma l’inizio di una vera e propria battaglia teologica attorno alla sentenza dell’Immacolata Concezione. Non senza qualche eccezione dall’una e dall’altra parte, i due schieramenti furono ben definiti: da una parte i figli di san Francesco orgogliosi nel voler difendere la perfetta santità della Madre di Dio fin dal suo concepimento, con il medesimo ardore cavalleresco del beato Duns Scoto; dall’altra i Domenicani e i seguaci di san Tommaso che vedevano nella posizione del Dottore Angelico, ostile all’Immacolata Concezione in ragione dell’universalità della Redenzione di Cristo, una norma da cui non distaccarsi.

Numerose furono le dispute pubbliche e le discussioni a colpi di libelli e trattati tra i due schieramenti: per primo il Minore francese Pietro Aureolo († 1322), grande discepolo di Scoto, intrattenne uno scambio libresco con il Domenicano Guglielmo Gannaco; nel 1325 diversi maestri Francescani e Domenicani disputarono davanti a Giovanni XXII alla corte di Avignone, risolvendosi in un parziale successo per la pia sentenza dell’Immacolata; poi, nel 1386 alla Sorbona i Francescani Giovanni Vital e Andrea da Novocastro ebbero ragione sul Domenicano Giovanni de Monzon, che in seguito si sarebbe talmente radicato nei suoi errori e nella sua caparbietà da finire scomunicato. Alle provocazioni di un Frate domenicano il beato Bernardino da Feltre (1439-’94), grande apostolo francescano del Nord Italia, rispose sfidando il suo oppositore alla “prova del fuoco”: «I sostenitori dell’Immacolata Concezione – disse il Beato – piuttosto preferirebbero morire bruciati, o di qualsiasi altra causa, piuttosto che desistere dal loro proposito». Al che il Domenicano desistette dal protrarre il dibattito.

La disputa che però maggiormente ridondò a gloria della Santissima Madre di Dio fu quella che si svolse davanti al Pontefice Sisto IV (1471-’84), il secondo figlio di san Francesco ad ascendere al Soglio pontificio. Il Pontefice, venendo a conoscenza dell’ardore con cui si dibatteva intorno all’Immacolata, volle porsi ad arbitro di una pubblica disputa. Convocò il Domenicano Vincenzo Bandelli, il più acceso e intrigante oppositore dell’Immacolata, mentre per la difesa scelse il Ministro generale dei Frati Minori Conventuali, Fra Francesco Nani da Brescia. Nonostante le penetranti obiezioni del Bandelli costituissero come tante funi con cui avvolgeva il suo avversario, il Francescano seppe districarsi da tutte queste e sciogliere uno per uno i nodi del Domenicano tanto da convincere il Pontefice. Con arguzia questi concluse la disputa in favore del Francescano dicendo: «Tu sei il vero Sansone». Come Sansone con le sue braccia robuste aveva rotto le funi con cui i Filistei lo avevano legato, così Fra Francesco con la saldezza e la forza della sua Teologia aveva avuto ragione delle obiezioni contro l’Immacolata Concezione. Di lì in poi il Francescano sarebbe stato noto a tutti come Francesco “Sansone” da Brescia.

Il Papa e il poeta dell’Immacolata
Una spinta verso la sempre maggior pubblicità del culto in onore dell’Immacolata Concezione, oltre che per la difesa della sua verità teologica, venne anche dal già citato Sisto IV (1471-84), al secolo Francesco della Rovere, ligure di nascita e divenuto lettore di Filosofia e Teologia, e poi Ministro generale dell’Ordine Francescano. Almeno due grandi meriti per il progresso della “Causa dell’Immacolata” vanno ascritti a Sisto IV: nel 1476 con la bolla Cum praecelsa, in ringraziamento per lo scampato pericolo di un’imminente e pericolosa inondazione del Tevere, approvò l’Ufficio della Concezione della Beata Vergine Maria scritta dal Canonico veneziano Leonardo de’ Nogarolis, nei quali risuonava chiaramente la dottrina immacolatista.

Con le due bolle Grave nimis del 1481 e del 1483 invece, per far tacere la petulante e chiassosa opposizione del già citato Domenicano Bandelli, imponeva sotto pena di scomunica che si rispettassero le sentenze pro e contro l’Immacolata, evitando accese e scandalose dispute, e che si rispettasse anche l’ormai secolare festa del Concepimento di Maria. La decisione moderata d’imporre il silenzio alle due parti, lasciando però ben aperta la porta al progresso della devozione in campo liturgico e teologico, significò comunque un non piccolo punto di vantaggio per il successo della Causa dell’Immacolata.

Il Papato di Sisto IV s’interseca poi con la grande attività apostolica e letteraria del beato Bernardino de’ Bustis (1450-1515), francescano milanese, convertito dalla Giurisprudenza alla vita serafica. Grande predicatore e animo poetico, il de’ Bustis compose numerosi sermoni, poesie e altri scritti per celebrare le grandezze di Maria: in particolare difese l’Immacolata Concezione. Riguardo a quest’ultima, gran parte dei sermoni che costituiscono il suo Mariale, sono dedicati a questo argomento.

Grande merito del de’ Bustis fu in particolar modo comporre l’Ufficio e la Messa per la festa dell’Immacolata Concezione, che ricevette l’approvazione di Sisto IV nel 1480. Infatti, nonostante il Sommo Pontefice avesse già approvato l’ufficio composto dal Canonico veneziano Nogarolis, il già citato Domenicano Vincenzo Bandelli si era subito opposto: in risposta aveva sostenuto che la Liturgia, culto pubblico della Chiesa, avrebbe potuto solo festeggiare la Santificazione di Maria (in un istante successivo alla Concezione) e per questo aveva composto sua sponte un Ufficio della Santificazione in cui poneva l’accento sull’universalità del peccato originale, che avrebbe contaminato anche Maria Santissima. L’anima serafica del Beato rispose invece con un altro Ufficio, usato per diversi secoli dai Francescani, in cui invece risultasse chiaro, con citazioni scritturistiche e dei Padri della Chiesa, il sublime Privilegio di Maria Santissima.

Vergini e mistiche dell’Immacolata
Mentre il beato Giovanni Duns Scoto e i suoi seguaci, da baldi cavalieri dell’Immacolata, difendevano con la penna e con la parola l’Immacolata Concezione, già l’Altissimo si degnava di dare una conferma e un conforto dall’alto all’impegno dei suoi apostoli. Fece questo attraverso le famose rivelazioni concesse alla mistica santa Brigida di Svezia (1303-’73), Regina del Paese scandinavo e Terziaria francescana prima, Fondatrice dell’Ordine del Santissimo Salvatore poi. In ben nove rivelazioni alla Mistica svedese è affermato, più o meno chiaramente, l’eccelso Privilegio di Maria Santissima: «Maria – le svela l’Eterno Padre – fu vaso mondo, e non mondo: mondo perché fu tutta bella, né trovavasi in Lei tanto d’immondezza, che vi si potesse figgere una punta d’ago; fu non mondo, perché procedette dalla radice di Adamo, e nacque da peccatori; benché concepita senza peccato, affinché il mio Figliuolo nascesse da Lei senza peccato».

Maria Santissima stessa poi non mancò di rivelare a questa sua figlia prediletta anche il motivo per cui solo allora si cominciasse ad avere conoscenza di questa sua straordinaria prerogativa: «Sappi che la Concezione mia non fu nota a tutti perché così come volle Iddio, che avanti la legge scritta vi fosse la legge naturale e la scelta volontaria del bene e del male, e poi venisse la legge scritta che raffrenasse i moti disordinati; così piacque a Dio, che gli amici suoi piamente dubitassero della mia Concezione, e ciascuno mostrasse il suo zelo finché si rischiarasse la verità del tempo preordinato».

Nel secolo successivo invece l’ispirazione e la grazia di Dio toccò ancor più profondamente la vita di una giovane nobildonna portoghese, santa Beatrice da Silva (1424-’92). Dimorando alla corte di Spagna la giovane, di bell’aspetto e maniere delicate, venne notata dal Re, ma ciò suscitò l’ira della Regina che la fece chiudere per due giorni in una cassa: qui sopravvisse grazie all’apparizione della Regina del Cielo, vestita con un abito bianco e uno scapolare azzurro, il futuro abito delle Concezioniste. Confortata da un incontro con due Frati, che più tardi capì essere san Francesco e sant’Antonio, decise di lasciare il mondo e dimorò per trent’anni in un Monastero di Domenicane, senza prendere il velo. Spronata da aiuti celesti, comprese che la sua missione sulla terra fosse quella di radunare uno stuolo di vergini che dedicassero la loro vita a diffondere e aumentare in tutto il mondo la venerazione all’Immacolata Concezione, rivivendone nella pratica la sua purità e immacolatezza. Così, con l’aiuto della Regina Isabella di Spagna, fondò l’Ordine delle Concezioniste, assumendo un abito bianco-celeste cinto da un cordone francescano, tributo a coloro che erano da un secolo i difensori dell’Immacolata e a cui volle anche che il suo Ordine fosse affidato e sottomesso.

Tra le numerose giovani che entrarono nei Monasteri delle Concezioniste nel corso dei secoli, desiderose di riprodurre l’Immacolata nella loro vita religiosa, vi fu anche una straordinaria anima mistica, la venerabile Maria di Gesù d’Agreda (1602-’65), autrice della celebre Mistica città di Dio, nella quale registra le sue esperienze e visioni sulla vita della Madonna. In questo meraviglioso affresco di “teologia narrativa” la Concezione Purissima di Maria (come si era soliti chiamarla in Spagna) è il fondamento di tutta la vita della Madonna, scrutata con gli occhi di Dio: Maria è la Mistica Città di Dio che come quella dell’Apocalisse, è misurata con una “canna d’oro”, ovvero con l’umanità santissima di Gesù, assunta dalla Persona divina del Verbo. In tal senso Maria è proporzionata e misurata a Gesù, in modo che «non le mancasse niente delle grazie e dei doni possibili, ed anzi questi fossero di tale pienezza da non avere difetto alcuno»; tutti i privilegi e i doni di cui fu adorna però «dipendono e hanno origine dal suo essere Immacolata e piena di grazia nella sua Concezione Purissima». La capillare diffusione di questa biografia teologica mariana fu un potente veicolo per espandere la devozione all’Immacolata Concezione e per infiammare ancor più i cuori verso la Santissima Madre di Dio, adorna di questo Privilegio.

I Teologi dell’Immacolata
Il periodo barocco non fu solo un periodo d’immensa fioritura devozionale, esito dell’efficace pastorale proposta al Concilio di Trento, ma anche di una grandiosa e approfondita riflessione teologica, che meritò il nome di Seconda Scolastica.

Insieme alla diffusione popolare del culto dell’Immacolata, la Teologia di questo periodo, in cui il nome di Duns Scoto s’impose alla pari di quello di san Tommaso, approfondì e difese sistematicamente questa “divina” prerogativa della Vergine: nomi come quelli di Suarez e san Roberto Bellarmino, tra i Gesuiti, si affiancarono a celebri Teologi francescani quali Angelo Volpi, san Lorenzo da Brindisi, e Carlo del Moral, tutti uniti nella difesa dell’Immacolata Concezione.

San Lorenzo da Brindisi (1559-1619), Frate Cappuccino, nonostante la sua poliedrica attività culturale, apostolica, ecclesiastica e politica, fu soprattutto un’anima ardente di amore per Gesù Bambino e per la Santissima Vergine, amore che riversò nelle dense pagine del suo Mariale, del quale ben dodici sermoni sono dedicati all’Immacolata Concezione. La Mariologia del Santo Cappuccino è limpida e chiara e trae in abbondanza dalle fonti della Sacra Scrittura, di cui san Lorenzo poteva vantare una conoscenza approfondita, anche nelle lingue originali, e si rafforza con la teologia del beato Giovanni Duns Scoto.

Le ragioni del cuore, che lo portano ad attribuire a Maria Santissima quanto vi sia di più eccelso, sono però ben rafforzate da molti argomenti che la Sacra Scrittura offre: non è forse l’Angelo Gabriele a chiamare Maria Santissima “piena di grazia”? E ciò non significa, dal lato opposto, che Maria è del tutto priva di peccato? E perché porre limiti temporali all’affermazione dell’Angelo… Maria è sempre stata “piena di grazia”, perché da sempre ordinata a essere Madre di Dio e Tempio del Verbo Incarnato, e proprio per questo non conviene che Ella sia stata mai toccata dal peccato originale.

Accanto alla Mariologia “serena” di san Lorenzo da Brindisi non mancò quella dei redivivi cavalieri, ancora volenterosi di combattere la buona battaglia dell’Immacolata, senza risparmiare fatiche letterarie e asprezza di toni. In questo particolare campo si cimentò soprattutto il Francescano spagnolo Fra Pedro Alva Y Astorga (1602-’67): temperamento focoso, l’amore per il Privilegio mariano lo spinse ad ardite polemiche di cui sono testimonianza testi, peraltro di grande erudizione e impegno, come l’Armentarium Seraphicum, un prontuario “militare” di argomenti in difesa dell’Immacolata Concezione, e il testo Militia Immaculatae, una specie di enciclopedia di autori immacolisti. A causa della veemenza della sua polemica contro i Domenicani anti-immacolisti fu esiliato dalla Spagna per volontà del Re, trovando rifugio nei Paesi Bassi.

I missionari dell’Immacolata
La verità dell’Immacolata Concezione però, ben lungi dal rimanere una mera verità astratta, è una verità salvifica di primaria importanza: l’Immacolato Concepimento di Maria indica chiaramente il ruolo di corredentrice e di avversaria di satana e del peccato che Maria riveste, da Madre premurosa, per la salvezza eterna dei figli in tutta la storia dell’umanità. In altre parole la verità dell’Immacolata Concezione si deve tradurre in pratica, cioè diventare effettiva ed efficace opera di salvezza delle anime: ecco perciò che l’apostolato serafico non dimenticò di portare l’Immacolata nel Vecchio e nel Nuovo Mondo, per ottenere frutti ancora più grandi dalla predicazione e dall’evangelizzazione.

Straordinaria è la figura del neo-canonizzato san Junipero Serra (1713-’84), passato dalla cattedra di Teologia scotista in Spagna alle missioni nel Nuovo Mondo, dove divenne pioniere dell’evangelizzazione della California. Devotissimo alla “Purissima Concezione”, che aveva promesso di difendere fino alla morte e alla quale attribuì il merito della vocazione missionaria, ne diffuse la devozione tra gli indigeni del Messico e della California: dove la Croce di Cristo infatti non sortiva effetto, verificò che la figura materna dell’Immacolata sapeva far breccia nei cuori dei nativi americani, che spontaneamente omaggiavano e veneravano questa figura colma di misericordia, bontà e purezza. Davanti poi al successo di missioni ben avviate e al fervore dei neofiti, lo stesso Serra disse che nulla lo emozionava e lo commuoveva quanto sentirli intonare il Tota Pulchra alla Purissima Prelata.

Nelle “missioni” al di qua dell’Oceano, nelle missioni popolari, san Leonardo da Porto Maurizio (1676-1741), grande predicatore e apostolo, fece la medesima esperienza: quando il pentimento dei fedeli non arrivava alla vista della sofferenza patita da Cristo durante la sua Passione e Morte, ecco che i cuori si scioglievano a sentir parlare della bontà misericordiosa della Madonna, sempre pronta a riallacciare i legami della grazia tra i suoi figli e l’Eterno Padre.

Nessuno forse come san Leonardo si premurò di ottenere dal Papa il passo ultimo e definitivo: la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, «il più grande affare, che doverebbe ultimarsi nel Mondo», affinché, come scrive al Cardinal Belmonte, «di quella Luna, che tiene sotto ai piedi, sene formasse un Diadema al Gran Mistero della sua Immacolatissima Concezione». Per ottenere ciò, su consiglio di Papa Clemente XIII, si premurò di sondare il sentimento dei Cardinali scoprendo che uno solo (tra l’altro morto pochi mesi dopo) fosse contrario a tale definizione dogmatica: «Che vogliamo di più? Facciamo dunque orazione, acciò lo Spirito Santo inspiri al Papa ad abbracciar con fervore un’Opera di sì grande rilievo, da cui dipende la quiete del Mondo, tenendo per certissimo che se si farà un sì grande onore alla Sovrana Imperatrice, si vedrà subito fatta la Pace universale, oh che gran bene, oh che gran Bene».

Il Papa del Dogma
Nel 1821 un giovane Sacerdote, Terziario francescano, mentre si trovava in ritiro spirituale a san Bonaventura al Palatino a Roma, il Convento dove aveva dimorato e dove è sepolto san Leonardo, poté leggere, appesa alla parete della cella del Santo, questa lettera al Cardinal Belmonte: tale lettura non lo lasciò indifferente anzi… Giovanni Maria Mastai Ferretti, divenuto nel 1846 Sommo Pontefice con il nome di Pio IX (1846-’78), oggi beato per la Chiesa Cattolica, non dimenticò mai la lettura di questa lettera e, personalmente, era assolutamente convinto della verità dell’Immacolata Concezione.

Furono però i tragici avvenimenti della Rivoluzione Romana del 1848, con l’insediamento dei rivoluzionari al Governo e la conseguente fuga del Papa a Gaeta, a portarlo ad una decisione definitiva: nella Cappella Aurea della fortezza di Gaeta, mentre era in preghiera e pensava alle tempeste che stava attraversando la Chiesa, Pio IX, forse riportando alla mente quella lettera letta più di venti anni prima e con qualche aiuto celeste, capì che l’unica cosa che avrebbe potuto fare per salvare la Chiesa e il mondo sarebbe stata la proclamazione dogmatica dell’Immacolata Concezione, proprio come aveva profetizzato san Leonardo un secolo prima.
La lettera di san Leonardo indicò poi al Beato persino il modo con cui proclamare questo Dogma: non la convocazione di un Concilio Ecumenico, quasi impossibile in quegli anni di rivoluzioni e sommosse, bensì una consultazione scritta di tutti i Vescovi, i Sovrani, le Università, i Teologi e chiunque altro fosse ritenuto in grado di testimoniare la fede del popolo di Dio su questo punto. Ritornato a Roma, mise subito mano alla questione, nominando una commissione per lo studio della possibilità della proclamazione dogmatica. La “santa fretta” di Pio IX non fece comunque mancare alla prudenza e l’iter si concluse solo sei anni dopo: ben 546 su 603 consultati si erano dichiarati favorevoli alla proclamazione dogmatica.

L’8 dicembre 1854 nella Basilica di San Pietro Papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus proclamava che «la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale» era da ritenersi vera e rivelata: un raggio di luce, strano per quell’ora e per quella stagione, colpì proprio in quel momento Pio IX, segno della predilezione celeste per quello che sarebbe passato alla storia come il “Papa dell’Immacolata”.

I nuovi cavalieri dell’Immacolata
È così terminata la “causa dell’Immacolata”? Quale sarà dunque ora la funzione provvidenziale dell’Ordine Serafico? È chiaro e radicale san Massimiliano Kolbe: la lotta per la proclamazione dogmatica è stata la prima pagina, quella introduttiva, ora siamo alla “seconda pagina” della Causa dell’Immacolata, «vale a dire seminare questa verità nei cuori di tutti coloro che vivono e vivranno sino alla fine dei tempi, e curarne l’incremento e i frutti di santificazione. Introdurre l’Immacolata nei cuori degli uomini, affinché Ella innalzi in essi il trono del Figlio Suo, li conduca alla conoscenza di Lui e li infiammi d’amore verso il Suo Sacratissimo Cuore» (SK 486).

La Causa dell’Immacolata continua nella diffusione popolare del significato dell’Immacolata Concezione, nell’apostolato e nella pastorale ma anche nella Teologia, comprendendo più profondamente questo Dogma e le sue conseguenze, per rendere più fulgida la corona della nostra Celeste Madre. E l’eredità dei grandi cavalieri e difensori dell’Immacolata è stata raccolta nel secolo XX da grandi Francescani come san Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), il servo di Dio Leone Veuthey (1896-1974), il grande Teologo Padre Carlo Balic (1899-1977), Padre Bonaventura Blattmann (1860-1942), il beato Gabriele Allegra (1907-’76), San Pio da Pietrelcina (1887-1968)… tutte esimie firme di questa seconda pagina che attende ancora numerosi e diligenti scrittori che la portino a compimento.

FONTE: Carlo Codega

https://www.stellamatutina.eu/i-francescani-in-difesa-dellimmacolata/

AMDG et DVM

SALVE SANCTE PATER: PATRIAE LUX...

 Due secoli fa venne ritrovato il corpo di San Francesco d'Assisi

Era il 12 dicembre del 1818; i frati in gran segreto scavarono per tutta la notte. Mons. Felice Accrocca ricorda l'anniversario sulle pagine dell'Osservatore Romano 

Due secoli fa venne ritrovato il corpo di San Francesco d'Assisi

Un bellissimo anniversario, quello di oggi, che che pose fine alle leggende e alle dicerie. Era il 12 dicembre del 1818 quando i frati, dopo aver scavato di notte, in gran segreto,  trovarono i resti del santo. Francesco era morto presso la  Porziuncola, la sera del 3 ottobre 1226. "Meno di due anni dopo, il 16 luglio 1228, - scrive Accrocca -  Gregorio IX si recò personalmente nella città umbra per presiedere alla cerimonia della sua canonizzazione e anche - come ammise lo stesso Pontefice nella lettera Speravimus hactenus del 16 giugno 1230 - per porre la prima pietra della basilica dedicata al novello santo". Il progetto era quello di "giungere alla canonizzazione dell’Assisiate fosse già sufficientemente chiarito nel 1226: la cura con cui Francesco fu vigilato negli ultimi momenti della sua vita - si era ben coscienti che i suoi resti mortali sarebbero divenuti una reliquia preziosa per la città — come pure la scelta di deporne le spoglie in un tumulo provvisorio, spingono infatti a concludere che fin da allora fosse andato delineandosi non solo il disegno di una sua prossima elevazione agli altari, ma, con buona probabilità, anche l’idea di costruire una chiesa in suo onore".

Lo studioso delle fonti francescane e della storia dell’Ordine dei frati Minori individua già nella scelta della sepoltura del poverello nella Cattedrale di Assisi per non pregiudicare l’avvio e la costruzione della futura chiesa. C’era l’evidente rischio di essere venerato e anche confinato nella lista dei tanti patroni delle città.

L’elevazione agli altari di Francesco fu dunque concepita come la proclamazione di un santo fondatore, di un modello per tutta la cristianità. Due anni dopo, il 25 maggio 1230, le spoglie mortali del santo furono traslate nella basilica a lui dedicata, che per volontà di Gregorio IX (privilegio solenne Is qui ecclesiam, 22 aprile 1230) andava soggetta solo al romano Pontefice e doveva essere considerata dai Minori loro «capo e madre» (caput et mater). A gestire con notevole abilità l’intera operazione fu frate Elia, il compagno di Francesco che rimase alla guida dell’Ordine minoritico dal 1221 fino alla morte del santo (e lo guiderà̀ ancora dopo il generalato di Giovanni Parenti)”.

L’interessante studio di Felice Accrocca evidenzia pure la scelta di tutelare le spoglie mortali del santo dalla foga dei cercatori di reliquie, così come accadde l’anno successivo con quelle di Sant’Antonio. Altri santi finiro per essere smembrati dai tanti devoti, come nel caso di Elisabetta d’Ungheria. Questo non accadde per Francesco, il cui corpo fu tututelato dalle autorità che fecero intervenire la milizia a protezione del carro, impedendone il contatto anche a frati e legati papali. Il corpo fu portato in Chiesa e seppellito in un punto ignoto a tutti.

Inaccessibilità e invisibilità dettero però luogo, nel corso dei secoli, a un’infinità di leggende, fino a diffondere l’idea che Francesco, a immagine di Cristo, fosse anch’egli risorto: coloro che dichiaravano di essersi addentrati nelle viscere della terra, assicuravano infatti di essersi trovati non di fronte a un cadavere, bensì a un corpo incorrotto e ritto in piedi, quasi fosse vivo. Ciò contribuì ad accrescere la curiosità di tanti, dando adito a molteplici tentativi per ritrovare il passaggio segreto che conduceva a quelle spoglie, diciamo così, “incorporee”.

Ci furono tentativi di scavo e di ricerca ai quali si accompagnarono vibrate proteste dei frati e dei devoti, fino a il gesuita e bollandista Costantino Suyskens, che curò la parte relativa a san Francesco d’Assisi negli Acta Sanctorum, “indicasse e poi ribadisse con esattezza – afferma Accrocca - nella corrispondenza che intrattenne con alcuni frati conventuali, il luogo dove si sarebbe dovuto scavare, vale a dire sotto l’altare maggiore della basilica inferiore. Di lì a qualche anno, i frati furono testimoni impotenti dell’amara violazione perpetrata dalle truppe francesi al tempo della Repubblica giacobina: nel 1798 i francesi si resero infatti colpevoli del furto di una parte del tesoro di san Francesco, soprattutto arredi e argenti”.

La ricerca del corpo del Santo riprese nel 1806, quando il ministro generale dei conventuali, Nicola Papini con l’ausilio di alcuni frati condusse nel più assoluto segreto “lavorando di notte e occultando al mattino ogni traccia dei lavori”; per l’arrivo dei francesi la prudenza rallentò ancora una volta la ricerca.

Nel 1818 sotto il generalato di Giuseppe Maria de Bonis ripresero gli scavi segreti. “Dopo un primo tentativo andato fallito – riferisce Accrocca - si riprese a scavare nella direzione avviata nel 1806 da Papini e finalmente - per l’appunto il 12 dicembre - i resti del santo vennero rinvenuti. Ed erano veramente i suoi, anche se la scienza del tempo non poté́ allora documentarlo in modo incontrovertibile, come si potrà fare invece più tardi: non un corpo incorrotto e in piedi, ma semplici ossa di una persona che aveva sofferto e che, proprio a motivo di ciò, avrebbe potuto costituire per altri come lui un più̀ reale termine di riferimento. L’icona, in definitiva, di un uomo in carne e ossa che aveva fatto del Cristo la sua ragione di vita”.

San Francesco d’Assisi da sempre riconosciuto come «somigliantissimo a Cristo», capace lui, simplex et idiota, di lasciar trasparire dietro il suo volto e il suo agire, l’umanità di Gesù. Per la sua somiglianza spirituale nel suo costante diminuire “perché Cristo crescesse nei cuori di chi lo incontrava” si è meritato il titolo di alter Christus. Dalla familiarità con la Scrittura, e in particolare con il Vangelo, si coglie come la Parola continua ad incarnarsi, dal suo morire santamente la piena e perfetta conformazione al suo Signore del quale si è fatto banditore della perfetta letizia. Le sue stimmate sono state solo il segno di una vita e di un corpo che si erano completamente “consegnati” al Maestro.

12/12/2018 di Enzo Gabrieli

 Altra fonte PDF: http://www.fratellofrancesco.org/www.fratellofrancesco.org/pdf/tomba_1818.pdf