lunedì 29 giugno 2020

Karl Rahner e le rivelazioni private in quanto ‘necessarie’

Karl Rahner e le rivelazioni private in quanto ‘necessarie’

Chi nega la possibilità assoluta di rivelazioni particolari, va contro la fede e chi contesta che esse possano avvenire anche dopo il tempo degli Apostoli, si oppone ad una dottrina teologicamente sicura […] Ciascuno che voglia essere cristiano, deve chiedersi se egli non viva in un atteggiamento di pregiudiziale chiusura di una tale rivelazione di Dio. 
Ancora, il credente deve verificare se la sua apparente opposizione ai fenomeni visionari, che la Scrittura stessa attesta e crede, nasce dal fatto di esserci abituati e non piuttosto da una protesta razionalistica nei loro confronti […].
Chiamiamo visioni mistiche quelle che, per finalità e contenuto, si riferiscono esclusivamente alla vita religiosa ed al perfezionamento personale del veggente. Visioni profetiche sono quelle che, oltre a ciò, sollecitano ed incaricano il veggente di rivolgersi al proprio mondo circostante e ultimamente alla Chiesa, per rendere noto un messaggio, ammonire, sollecitare o predire il futuro. Sebbene diverse negli scopi, le due visioni possono presentarsi con le stesse caratteristiche psicologiche e tuttavia, nonostante la loro somiglianza psicologica, devono essere valutate diversamente, soprattutto per ciò che riguarda i criteri della loro autenticità, in quanto fanno valere pretese essenzialmente diverse nei confronti dell’ambiente che circonda il veggente.
Visioni mistiche sarebbero, per esempio, quelle di santa Gemma Galgani, perché riguardano unicamente la sua propria vita religiosa. Profetiche, invece, sarebbero quelle di santa Maria Margherita Alacoque, perché implicano delle indicazioni rivolte ad altri. La necessità di una diversa valutazione delle due visioni diventa particolarmente chiara quando si ponga attenzione al rischio completamente diverso che la fede in queste visioni comporta.
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Volendo ora dire qualcosa di più preciso sulle rivelazioni private, intendiamo riferirci alle “visioni profetiche”. Dobbiamo dunque parlare di quelle rivelazioni private che non riguardano soltanto il singolo e la sua vita personale, ma che attraverso colui che le riceve si rivolgono, benché siano private, alla Chiesa o a gran parte di essa. Rivelazioni private che raccomandano a molti una certa devozione, esortano alla penitenza, impartiscono determinati ordini, mettono in guardia contro certe dottrine, raccomandano un insegnamento spirituale ecc.             Senza dubbio, lungo la storia della Chiesa, si sono succedute continuamente rivelazioni private di questo genere ed hanno esercitato un grande influsso. Nei loro confronti si pongono questioni non solo psicologiche, ma anche teologiche.        Quando si parla di “rivelazioni private” fra cattolici, si pone generalmente la questione della psicologia di questi fenomeni e di qui la domanda relativa all’autenticità di queste rivelazioni e la verità del loro contenuto. […].  Tuttavia crediamo che un tale modo di considerare le cose sia unilaterale. 
Risulta necessario che esso venga integrato da considerazioni di natura propriamente teologica. 
Ora, […] da una parte, una certa teologia delle rivelazioni private è troppo “negativa”: assume soltanto il fondamento della compiutezza della rivelazione pubblica, per cui le rivelazioni posteriori vengono solo negativamente connotate come “private”, precludendo la possibilità di sviluppare una teoria strettamente teologica del loro significato e della loro necessità per la Chiesa come tale, un significato che esse certamente hanno avuto. Gli spunti contenuti nella Scrittura per una teologia della profezia nella Chiesa e per la Chiesa, non vengono adeguatamente sviluppati.
[…] Prima di Cristo, nella storia, senza però che essa venisse superata o tolta, poteva ancora verificarsi qualcosa di nuovo in vista della salvezza che ancora non c’era, qualche cosa che avrebbe cambiato essenzialmente la situazione dell’uomo di fronte a Dio: Dio poteva emanare una nuova legge, stipulare o annullare un’alleanza. La decisione di Dio, inaspettata e imprevedibile, poteva essere l’ira oppure la grazia (entrambe atti della libertà di Dio). In breve: dalle insondabili possibilità del Dio libero – del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non del dio dei filosofi, poteva realizzarsi nella “rivelazione” questo oppure quello, e questo accadere dell’agire divino, essendo non determinabile dall’uomo, doveva essere accolto, in un atteggiamento di sempre rinnovata obbedienza, quale imprevedibile disposizione di Dio. L’uomo doveva essere pronto per una sempre nuova rivelazione di Dio, capace di ridefinire radicalmente la sua posizione salvifica […]. Ora, però, con Cristo e dopo Cristo è venuta la fine dei tempi,  [la fine dei tempi malvagi, ma non la fine del mondo]  l’agire salvifico di Dio verso l’umanità ha raggiunto in Cristo la sua fase decisiva, in linea di principio insuperabile e definitiva. Con Cristo è arrivato il tempo ultimo che non è provvisorio, ma è anzi così definitivo che nell’eone di Cristo non possiamo aspettarci più nulla in grado di cambiare essenzialmente la nostra situazione salvifica. Se prima di Cristo un tale cambiamento nell’uomo non solo poteva, ma doveva essere atteso, ora invece ciò che il cristiano può attendere ancora è solo l’ultimo giorno, la manifestazione definitiva del dramma dialogico fra Dio e l’uomo che in Cristo è già avvenuta. […] La teologia della rivelazione possiede a questo punto ormai soltanto un significato di retrospezione, senza alcuna tendenza prospettica: l’attesa della rivelazione di Dio nella storia è attesa dalla [della]  rivelazione di Dio che compie la storia.
E tuttavia anche in questo tempo ultimo si danno rivelazioni di Dio, non solo al singolo come tale, ma anche alla Chiesa, almeno nel senso che il carisma del singolo ritorna a beneficio dell’intero corpo ecclesiale. 
Ora, però, per quanto da un punto di vista puramente psicologico possano essere simili alla rivelazione di Dio prima di Cristo e in Cristo, queste rivelazioni devono non di meno manifestare una differenza essenziale, qualitativa, rispetto a quelle precristiane. E ciò al fine di mantenere quanto abbiamo detto sopra, a proposito del carattere particolare dell’ultimo tempo, nel quale non ci possono essere più rivelazioni costitutive per la situazione salvifica. -- Bisognerà determinare l’essenza di queste rivelazioni private postcristiane, potremmo dire ecclesiali e cioè significative ad un livello che non è puramente individuale, in modo che esse si inseriscano intimamente in questa situazione salvifica finale. 
Come è possibile questo?
Abbiamo già visto che non è sufficiente dire che le rivelazioni private non si rivolgono alla Chiesa o all’umanità nel suo complesso e che il loro contenuto non è positivamente garantito dal magistero ecclesiastico. Se ci si dicesse che il contenuto delle rivelazioni private, in confronto con quello della revelatio publica, non è così “significativo”, che è perciò inessenziale o qualcosa del genere, allora nascerebbe la domanda su come potrebbe essere “senza importanza” qualcosa che Dio rivela. E inoltre da dove si potrebbe sapere che quanto è stato rivelato, se aggiunto al depositum fidei divinae, non comporterebbe variazioni fondamentali nella situazione salvifica fino a questo punto. Se si dice, invece, che le rivelazioni private contengono sempre solo ciò che, indipendentemente da esse, può essere conosciuto dalla rivelazione generale come tale (per esempio la possibilità e l’utilità di una nuova devozione), allora sorge la questione perché Dio riveli ancora questo contenuto e non lasci più semplicemente una tale deduzione all’acume dei teologi. Se riflettiamo su tutto ciò, ci rimarrà quale risposta soddisfacente alla nostra domanda circa l’essenza teologica di una rivelazione ‘privata’ postcristiana alla Chiesa, soltanto questa: la sua essenza non consiste nella rivelazione di un contenuto materiale oggettivo – e cioè nel suo carattere assertorio – che quindi si aggiungerebbe alla rivelazione generale solo accidentalmente. 
Piuttosto: le rivelazioni private sono nella loro essenza un ‘imperativo’ sul modo in cui la comunità cristiana debba comportarsi in una determinata situazione storica. Esse non rappresentano, nella loro essenza, una nuova asserzione, ma un nuovo comando. A livello delle ‘asserzioni’, in fondo, esse dicono quanto già saputo dalla fede e dalla teologia. E tuttavia esse non sono superflue, una sorta di ‘corso celeste’ di ripetizione della rivelazione generale o una maieutica intellettuale per la conoscenza di qualcosa che, fondamentalmente, si potrebbe scoprire anche senza questo aiuto. Poiché ciò che è volontà di Dio in una determinata situazione, non può essere determinato logicamente in maniera univoca soltanto dai principi generali del dogma e della morale, neppure attraverso l’analisi della situazione concreta in cui ci si trova.
Queste riflessioni teoretiche possono dischiudere lo spazio dell’agire corretto e necessario dell’uomo – in molti casi così bene che risulta praticamente univoco comprendere come si debba agire – e sono quindi in ogni caso necessarie. Tuttavia, esse non [???] possono dire, in linea di principio, quale tra le diverse decisioni sempre ancora possibili dentro questo spazio, corrisponda effettivamente alla volontà di Dio e come debba essere presa. Una concezione contraria vorrebbe falsamente dissolvere nel ‘generale’ la concretezza ed indeducibilità dell’agire dell’uomo, riducendo ciò che è spiritualmente concreto ad un puro caso del generale. 
Secondo Ignazio, esistono dei tempi di elezione per la conoscenza della volontà di Dio circa una particolare ‘decisione’, i quali avvengono nella luce della fede al di fuori e ‘prima’ di ogni riflessione razionale. Poiché in essi l’uomo fa esperienza della volontà di Dio mosso da Dio stesso, la riflessione teologico-morale o logica rappresenta soltanto un ‘sostituto’ nel caso in cui il movimento divino si ferma o non viene conosciuto con sufficiente chiarezza, e comunque questo ‘sostituto’ non può essere visto come il caso normale di una decisione.
Ora deve esserci per la vita della Chiesa, nella ‘decisione’ della Chiesa, qualcosa di analogo, l’azione di un impulso divino che non può essere sostituita dalle riflessioni teoretiche e dalle deduzioni dei teologi e dei moralisti, o da una pura ‘assistentia Spiritus Sancti di per sé negativa’, in virtù della quale queste riflessioni possano certo essere preservate dal falso, ma le cui autentiche fonti rimangono pur sempre i puri principi fondamentali e la situazione concreta.
[…] In linea di principio, lo Spirito Santo può, attraverso ogni membro della Chiesa, operare su di essa e farle conoscere ciò che richiede da lei, cioè l’imperativo che in quella data ora le si impone. L’imperativo ispirato da Dio ad un membro della Chiesa per l’agire della Chiesa in una determinata situazione storica, questo ci sembra l’essenza di una data ‘rivelazione privata’ profetica di tipo postcristiano. ‘Come’ poi tale rivelazione privata si trasmetta dal singolo alla Chiesa o a gran parte di essa, se attraverso una proclamazione ufficiale: ‘haec dicit Dominus’, oppure seguendo la via di un metodo deduttivo o in qualsiasi altro modo, questa è una questione secondaria. Così come, secondo l’insegnamento classico degli antichi, il ‘singolo’, posto davanti alla sua decisione nel caso concreto non dovrebbe solamente chiedersi: che cosa è ‘ragionevole’ qui e ora secondo i principi generali del dogma e della morale, ma anche secondo ‘l’impulso dello Spirito Santo’, così nelle decisioni della Chiesa bisognerebbe domandarsi: ‘Non est propheta… ut interrogemus per eum?’ (1Re 22,7). Non si dovrebbe trattare troppo sbrigativamente il carisma della profezia più o meno come un privilegio ormai passato della Chiesa primitiva. Le forme sociologiche e psicologiche del carisma profetico e del suo intervento lungo il cammino della storia della Chiesa possono variare. Ma sempre dev’esserci nella Chiesa, accanto all’ufficio trasmesso per l’imposizione delle mani, anche la vocazione umanamente non trasferibile del profeta. Nessuno dei due doni può rimpiazzare l’altro […]”.
“Visioni e profezie: mistica ed esperienza della trascendenza” – di Karl Rahner (1952), ed. it. a cura di Vita e pensiero, Milano 1995, pp. 41-45.48-52.
AMDG et DVM

Possedete la testimonianza di Gesù

  


Valdragone di San Marino, 28 giugno 1989. Esercizi spirituali sotto forma di cenacolo
con i sacerdoti del M.S.M. di America e di Europa.



Possedete la testimonianza di Gesù.

«Figli prediletti, con che amore vi guardo e come il mio Cuore addolorato è consolato da
questo vostro continuo Cenacolo, che ripete qui la realtà di quello di Gerusalemme.

Vi raccogliete in una preghiera continua, intensa, fatta con Me.

Come gradisco la preghiera della Liturgia delle ore, il Rosario intero che recitate,

l'Adorazione Eucaristica, la solenne concelebrazione della Messa, che forma il cuore di tutto il
Cenacolo.

Vi riunite come fratelli che si amano, si aiutano, per portare insieme il peso delle difficoltà
che incontrate.

Rinnovate ogni giorno il vostro atto di consacrazione al mio Cuore Immacolato, in lingue
diverse, e così realmente vi unite a tutti i vostri fratelli del mio Movimento, che si trovano
sparsi in ogni parte del mondo.

Voi fate parte della mia schiera.

Siete porzione preziosa della mia materna eredità.

Voi possedete la testimonianza di Gesù e osservate i Comandamenti di Dio.

Contro di voi Satana si scatena, perché formate il mio calcagno, cioè la parte più debole e
fragile di Me stessa, e perché siete la mia progenie. Così oggi vi insidia in maniera potente e si
scatena contro di voi con ogni genere di tentazioni e di persecuzioni.

Restate sereni. Abbiate fiducia in Me.

Questi sono i tempi della battaglia e voi dovete combattere per la mia vittoria.

Per questo oggi vi invito a possedere tutti la testimonianza di Gesù.

Possedete la testimonianza di Gesù in questi tempi della purificazione, per camminare sulla
strada della fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, e di una sempre più grande santità.

Allora voi restate nella sicurezza e nella pace, nella fiducia e nel filiale abbandono in Me.

Possedete la testimonianza di Gesù in questi tempi dell'apostasia, per essere forti e
coraggiosi testimoni di fede. 
Per questo vi invito ad essere sempre più uniti al Papa, a
sostenerlo con la vostra preghiera e col vostro amore, ad accogliere e diffondere il suo
Magistero: così indicate alle anime la via sicura da seguire per restare nella vera fede.

Conservate la testimonianza di Gesù in questi tempi della grande tribolazione. Sono giunti i
giorni predetti dal Vangelo e dall'Apocalisse. Le forze del male, unite dalla potenza di chi si
oppone a Cristo, faranno grandi prodigi in cielo e sulla terra, così da sedurre gran parte
dell'umanità.

Voi restate saldi nella vostra eroica testimonianza a Gesù e combattete con Me contro la
forza potente di colui che si manifesta come il nemico di Cristo.

Alla fine potrete contemplare con gioia la mia grande vittoria nel glorioso trionfo di Cristo.
Tutti vi benedico con i vostri cari, le anime che vi sono affidate, il vostro ministero
sacerdotale, ed accolgo fra le mie mani tutte le intenzioni di bene che portate nel cuore.


AVE MARIA PURISSIMA!

TU SEI PIETRO...

Santi Pietro e Paolo
El Greco: Pietro e Paolo, Apostoli
https://www.lacabalesta.it/testi/santi/pietro_paolo_apostoli.html



CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE  
IL PRIMATO
DEL SUCCESSORE DI PIETRO
NEL MISTERO DELLA CHIESA


1. Nell'attuale momento della vita della Chiesa, la questione del Primato di Pietro e dei Suoi Successori presenta una singolare rilevanza, anche ecumenica. In questo senso si è espresso con frequenza Giovanni Paolo II, in modo particolare nella Lettera enciclica Ut unum sint, nella quale ha voluto rivolgere specialmente ai pastori ed ai teologi l'invito a « trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova ». 1
La Congregazione per la Dottrina della Fede, accogliendo l'invito del Santo Padre, ha deciso di proseguire l'approfondimento della tematica convocando un simposio di natura prettamente dottrinale su Il Primato del Successore di Pietro, che si è svolto in Vaticano dal 2 al 4 dicembre 1996, e di cui sono stati pubblicati gli Atti. 2

2. Nel Messaggio rivolto ai partecipanti al simposio, il Santo Padre ha scritto: « La Chiesa Cattolica è consapevole di aver conservato, in fedeltà alla Tradizione Apostolica e alla fede dei Padri, il ministero del Successore di Pietro ».3 Esiste infatti una continuità lungo la storia della Chiesa nello sviluppo dottrinale sul Primato. Nel redigere il presente testo, che compare in appendice al suddetto volume degli Atti, 4 la Congregazione per la Dottrina della Fede si è avvalsa dei contributi degli studiosi, che hanno preso parte al simposio, senza però intendere offrirne una sintesi né addentrarsi in questioni aperte a nuovi studi. Queste “Considerazioni” — a margine del Simposio — vogliono solo ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato, grande dono di Cristo alla sua Chiesa in quanto servizio necessario all'unità e che è stato anche spesso, come dimostra la storia, una difesa della libertà dei Vescovi e delle Chiese particolari di fronte alle ingerenze del potere politico.


I
ORIGINE, FINALITÀ E NATURA DEL PRIMATO

3. « Primo Simone, chiamato Pietro ». 5 Con questa significativa accentuazione della primazia di Simon Pietro, San Matteo introduce nel suo Vangelo la lista dei Dodici Apostoli, che anche negli altri due Vangeli sinottici e negli Atti inizia con il nome di Simone 6 Questo elenco, dotato di grande forza testimoniale, ed altri passi evangelici 7 mostrano con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro ed al suo ruolo nel gruppo dei Dodici. 8 Perciò, già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l'immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell'Apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto fra i Dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria e specifica funzione. Egli è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa;è colui che, una volta convertito, non verrà meno nella fede e confermerà i fratelli; 10 è, infine, il Pastore che guiderà l'intera comunità dei discepoli del Signore. 11
Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro, nella sua presenza e nella sua morte a Roma — attestate dalla più antica tradizione letteraria e archeologica — la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza: « Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia ». 12 La Chiesa, fin dagli inizi e con crescente chiarezza, ha capito che come esiste la successione degli Apostoli nel ministero dei Vescovi, così anche il ministero dell'unità, affidato a Pietro, appartiene alla perenne struttura della Chiesa di Cristo e che questa successione è fissata nella sede del suo martirio.

4. Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa Cattolica insegna, come dottrina di fede, che il Vescovo di Roma è Successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale; 13 questa successione spiega la preminenza della Chiesa di Roma, 14 arricchita anche dalla predicazione e dal martirio di San Paolo.
Nel disegno divino sul Primato come « ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori », 15 si manifesta già la finalità del carisma petrino, ovvero « l'unità di fede e di comunione » 16 di tutti i credenti. Il Romano Pontefice infatti, quale Successore di Pietro, è « perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli », 17 e perciò egli ha una grazia ministeriale specifica per servire quell'unità di fede e di comunione che è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa. 18

5. La Costituzione Pastor aeternus del Concilio Vaticano I indicò nel prologo la finalità del Primato, dedicando poi il corpo del testo a esporre il contenuto o ambito della sua potestà propria. Il Concilio Vaticano II, da parte sua, riaffermando e completando gli insegnamenti del Vaticano I,19 ha trattato principalmente il tema della finalità, con particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum. 20 Tale considerazione permise di mettere in rilievo con maggiore chiarezza che la funzione primaziale del Vescovo di Roma e la funzione degli altri Vescovi non si trovano in contrasto ma in un'originaria ed essenziale armonia. 21
Perciò, « quando la Chiesa Cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi “vicari e legati di Cristo” » (Lumen gentium, n. 27). Il Vescovo di Roma appartiene al loro collegio ed essi sono i suoi fratelli nel ministero. 22 Si deve anche affermare, reciprocamente, che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del Primato né lo deve relativizzare.

6. Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum 23 in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati. 24 Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi —, 25 la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli. 26 Il ministero del Successore di Pietro, perciò, non è un servizio che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'esterno, ma è iscritto nel cuore di ogni Chiesa particolare, nella quale « è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo »,27 e per questo porta in sé l'apertura al ministero dell'unità. Questa interiorità del ministero del Vescovo di Roma a ogni Chiesa particolare è anche espressione della mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare. 28
L'Episcopato e il Primato, reciprocamente connessi e inseparabili, sono d'istituzione divina. Storicamente sono sorte, per istituzione della Chiesa, forme di organizzazione ecclesiastica nelle quali si esercita pure un principio di primazia. In particolare, la Chiesa Cattolica è ben consapevole della funzione delle sedi apostoliche nella Chiesa antica, specialmente di quelle considerate Petrine — Antiochia ed Alessandria — quali punti di riferimento
della Tradizione apostolica, intorno a cui si è sviluppato il sistema patriarcale; questo sistema appartiene alla guida della Provvidenza ordinaria di Dio sulla Chiesa, e reca in sé, dagli inizi, il nesso con la tradizione petrina.  29


II
L'ESERCIZIO DEL PRIMATO E LE SUE MODALITÀ

7. L'esercizio del ministero petrino deve essere inteso — perché « nulla perda della sua autenticità e trasparenza » 30 — a partire dal Vangelo, ovvero dal suo essenziale inserimento nel mistero salvifico di Cristo e nell'edificazione della Chiesa. Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane: 31 non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.
Il Romano Pontefice è — come tutti i fedeli — sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione. 32 Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato.

8. Le caratteristiche dell'esercizio del Primato devono essere comprese soprattutto a partire da due premesse fondamentali: l'unità dell'Episcopato e il carattere episcopale del Primato stesso. Essendo l'Episcopato una realtà « una e indivisa », 33 il Primato del Papa comporta la facoltà di servire effettivamente l'unità di tutti i Vescovi e di tutti i fedeli, e « si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana »; 34 a questi livelli, per volontà di Cristo, tutti nella Chiesa — i Vescovi e gli altri fedeli — debbono obbedienza al Successore di Pietro, il quale è anche garante della legittima diversità di riti, discipline e strutture ecclesiastiche tra Oriente ed Occidente.

9. Il Primato del Vescovo di Roma, considerato il suo carattere episcopale, si esplica, in primo luogo, nella trasmissione della Parola di Dio; quindi esso include una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice, 35 dato che la comunione ecclesiale è una realtà essenzialmente destinata ad espandersi: « Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda ». 36
Il compito episcopale che il Romano Pontefice ha nei confronti della trasmissione della Parola di Dio si estende anche all'interno di tutta la Chiesa. Come tale, esso è un ufficio magisteriale supremo e universale; 37 è una funzione che implica un carisma: una speciale assistenza dello Spirito Santo al Successore di Pietro, che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell'infallibilità.  38 Come « tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità di Cristo », 39 allo stesso modo i Vescovi sono testimoni della verità divina e cattolica quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice.  40



10. Insieme alla funzione magisteriale del Primato, la missione del Successore di Pietro su tutta la Chiesa comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l'unità di fede e di comunione; tra questi si consideri, ad esempio: dare il mandato per l'ordinazione di nuovi Vescovi, esigere da loro la professione di fede cattolica; aiutare tutti a mantenersi nella fede professata. Come è ovvio, vi sono molti altri possibili modi, più o meno contingenti, di svolgere questo servizio all'unità: emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc. Per il carattere supremo della potestà del Primato, non v'è alcuna istanza cui il Romano Pontefice debba rispondere giuridicamente dell'esercizio del dono ricevuto: « prima sedes a nemine iudicatur ». 41 Tuttavia, ciò non significa che il Papa abbia un potere assoluto. Ascoltare la voce delle Chiese è, infatti, un contrassegno del ministero dell'unità, una conseguenza anche dell'unità del Corpo episcopale e del sensus fidei dell'intero Popolo di Dio; e questo vincolo appare sostanzialmente dotato di maggior forza e sicurezza delle istanze giuridiche — ipotesi peraltro improponibile, perché priva di fondamento — alle quali il Romano Pontefice dovrebbe rispondere. L'ultima ed inderogabile responsabilità del Papa trova la migliore garanzia, da una parte, nel suo inserimento nella Tradizione e nella comunione fraterna e, dall'altra, nella fiducia nell'assistenza dello Spirito Santo che governa la Chiesa.


11. L'unità della Chiesa, al servizio della quale si pone in modo singolare il ministero del Successore di Pietro, raggiunge la più alta espressione nel Sacrificio Eucaristico, il quale è centro e radice della comunione ecclesiale; comunione che si fonda anche necessariamente sull'unità dell'Episcopato. Perciò, « ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo. Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama », 42 come nel caso delle Chiese che non sono in piena comunione con la Sede Apostolica.


12. « La Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo ». 43 Anche per questo, l'immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole.
I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l'applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l'unità della Chiesa). La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno.
Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice; e, viceversa, il solo fatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato.


13. In ogni caso, è fondamentale affermare che il discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio è un discernimento da compiersi in Ecclesia, ossia sotto l'assistenza dello Spirito Santo e in dialogo fraterno del Romano Pontefice con gli altri Vescovi, secondo le esigenze concrete della Chiesa. Ma, allo stesso tempo, è chiaro che solo il Papa (o il Papa con il Concilio ecumenico) ha, come Successore di Pietro, l'autorità e la competenza per dire l'ultima parola sulle modalità di esercizio del proprio ministero pastorale nella Chiesa universale.
* * *
14. Nel ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato del Successore di Pietro, la Congregazione per la Dottrina della Fede è certa che la riaffermazione autorevole di tali acquisizioni dottrinali offre maggior chiarezza sulla via da proseguire. Tale richiamo è utile, infatti, anche per evitare le ricadute sempre nuovamente possibili nelle parzialità e nelle unilateralità già respinte dalla Chiesa nel passato (febronianesimo, gallicanesimo, ultramontanismo, conciliarismo, ecc). E, soprattutto, vedendo il ministero del Servo dei servi di Dio come un grande dono della misericordia divina alla Chiesa, troveremo tutti — con la grazia dello Spirito Santo — lo slancio per vivere e custodire fedelmente l'effettiva e piena unione con il Romano Pontefice nel quotidiano camminare della Chiesa, secondo il modo voluto da Cristo.  44

15. La piena comunione voluta dal Signore tra coloro che si confessano suoi discepoli richiede il riconoscimento comune di un ministero ecclesiale universale « nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede ». 45 La Chiesa Cattolica professa che questo ministero è il ministero primaziale del Romano Pontefice, successore di Pietro, e sostiene con umiltà e con fermezza « che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale — nel disegno di Dio — della comunione piena e visibile ». 46 Non sono mancati nella storia del Papato errori umani e mancanze anche gravi: Pietro stesso, infatti, riconosceva di essere peccatore. 47 Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili 48 il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine e della misericordia di Dio. 49
Quando e come si raggiungerà la tanto desiderata mèta dell'unità di tutti i cristiani? « Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico ». 50 Siamo tutti invitati ad affidarci allo Spirito Santo, ad affidarci a Cristo, affidandoci a Pietro.


+ Joseph Card. Ratzinger,
Prefetto
+ Tarcisio Bertone, Arcivescovo emerito di Vercelli,
Segretario
   

Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, 25-V-1995, n. 95.
Il Primato del Successore di Pietro, Atti del Simposio teologico, Roma 2-4 dicembre 1996, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.
Giovanni Paolo II, Lettera al Cardinale Joseph Ratzinger, in Ibid, p. 20.
Il Primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa, Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, in Ibid, Appendice, pp. 493-503. Il testo è pubblicato anche in un apposito fascicolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.
Mt 10,2.
Cf. Mc 3,16; Lc 6,14; At 1,13.
Cf. Mt 14,28-31; 16,16-23 e par.; 19,27-29 e par.; 26,33-35 e par.; Lc 22,32; Gv 1,42; 6,67-70; 13,36-38; 21,15-19.
La testimonianza per il ministero petrino si trova in tutte le espressioni, pur differenti, della tradizione neotestamentaria, sia nei Sinottici — qui con tratti diversi in Matteo e in Luca, come anche in San Marco —, sia nel corpo Paolino e nella tradizione Giovannea, sempre con elementi originali, differenti quanto agli aspetti narrativi ma profondamente concordanti nel significato essenziale. Questo è un segno che la realtà petrina fu considerata come un dato costitutivo della Chiesa.
Cf. Mt 16,18.
10 Cf. Lc 22,32.
11 Cf. Gv 21,15-17. Sulla testimonianza neotestamentaria sul Primato cf. anche Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 90ss.
12 S. Ambrogio di Milano, Enarr. in Ps., 40, 30: PL 14, 1134.
13 Cf. ad esempio S. Siricio I, Lett. Directa ad decessorem, 10-11-385: Denz-Hün, n. 181; Conc. di Lione II, Professio fidei di Michele Paleologo, 6-VII-1274: Denz-Hün, n. 861; Clemente VI, Lett. Super quibusdam, 29-IX-1351: Denz-Hün, n. 1053; Conc. di Firenze, Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307; Pio IX, Lett. Enc. Qui pluribus, 9-XI-1846: Denz-Hün, n. 2781; Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 2: Denz-Hün, nn. 3056-3058; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, cap. IlI, nn. 21-23; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 882; ecc.
14 Cf. S. Ignazio d'Antiochia, Epist. ad Romanos, Intr.: SChr 10, 106-107; S. Ireneo di Antiochia, Adversus haereses, III, 3, 2: SChr 211, 32-33.
15 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 20.
16 Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051. Cf.. S. Leone I Magno, Tract. in Natale eiusdem, IV, 2: CCL 138, p. 19.
17 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23. Cf.. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051; Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, n. 88. Pio IX, Lett. del S. Uffizio ai Vescovi d'Inghilterra, 16-IX-1864: Denz-Hün, n. 2888; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, nn. 3305-3310.
18 Cf.. Gv 17,21-23; Conc. Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 1; Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 77: AAS 68 (1976) 69; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 98.
19 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18.
20  Cf. ibidem, n. 23.
21 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3061; cf. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, nn. 3112-3113; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, n. 3310; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 27. Come spiegò Pio IX nell’'Allocuzione dopo la promulgazione della Costituzione Pastor aeternus: « Summa ista Romani Pontificis auctoritas, Venerabiles Fratres, non opprimit sed adiuvat, non destruit sed aedificat, et saepissime confirmat in dignitate, unit in caritate, et Fratrum, scilicet Episcoporum, jura firmat atque tuetur » (Mansi 52, 1336 A/B).
22 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 95.
23 2 Cor 11,28.
24 La priorità ontologica che la Chiesa universale, nel suo essenziale mistero, ha rispetto ad ogni singola Chiesa particolare (cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communìonis notio, 28-V-1992, n. 9) sottolinea anche l'importanza della dimensione universale del ministero di ogni Vescovo.
25 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, 3059; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22; cf. Conc. Di Firenze, Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307.
26 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, nn. 3060.3064.
Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22.
27 Conc. Vaticano II, Decr. Christus Dominus, n. 11.
28Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis Notio,n. 13.
29 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Decr. Orientalium Ecclesiarum, nn. 7 e 9.
30 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 93.
31 Cf. ibidem, n. 94.
32 Cf. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, n. 3114.
33 Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051.
34 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
35 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Leone XIII, Lett. Enc. Grande munus, 30-IX-1880: ASS 13 (1880) 145; CIC can. 782 § 1.
36 Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 14. Cf. CIC can. 781.
37 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aetemus, cap. 4: Denz-Hün, nn. 3065-3068.
38 Cf. ibidem: Denz-Hün, nn. 3073-3074; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25; CIC can. 749 § 1; CCEO can. 597 § 1.
39 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
40 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25.
41 CIC, can. 1404; CCEO, can. 1058. Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3063.
42 Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio, n. 14. Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1369.
43 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.
44 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 15.
45Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 97.
46 Ibidem.
47 Cf. Lc 5,8.
48 Cf. 2 Cor 4,7.
49 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 91-94.
50 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 102.

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SANTI PIETRO E PAOLO

29 Giugno, oggi è festa di San Pietro e Paolo al tempo del ...

San Pietro e Paolo: visitate la più straordinaria fortezza della Russia

Sergej Fomin/Global Look Press
Qui, il 27 maggio del 1703, ebbe inizio la storia di San Pietroburgo. E queste mura, che conservano le ossa degli zar, nel frattempo hanno visto di tutto, ospitando un terribile carcere politico, la zecca, un laboratorio scientifico segretissimo e molto altro
Fondata il 27 maggio 1703 sull’isola delle Lepri, alla foce del fiume Neva, questa fortezza, edificata su progetto dall’architetto Domenico Trezzini, divenne il cuore della nuova capitale di Pietro il Grande. E il giorno in cui sono iniziati i lavori per la Fortezza di Pietro e Paolo, viene celebrato come il compleanno di San Pietroburgo.
Secondo la leggenda, l’isola era abitata da numerosi gruppi di lepri. Una saltò addirittura sugli stivali dello zar russo quando sbarcò sull’isola. Oggi, un monumento alla lepre può essere visto fuoriuscire dall’acqua vicino al ponte Ioannovskij, che collega la fortezza con la terraferma. Si ritiene che se si lancia una moneta sul monumento alla lepre, si avrà una grande fortuna. 
Pietro il Grande desiderava dimostrare che San Pietroburgo era destinata a diventare la città più importante della Russia, la cui architettura avrebbe superato persino quella di Mosca. Uno dei suoi progetti più ambiziosi fu la Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, fondata nel 1712 sul territorio della fortezza e completata 21 anni dopo. 
Con un’altezza di 122,5 metri, la Cattedrale divenne l’edificio più alto della Russia e mantenne questo primato fino al 1952, anno in cui fu costruita sul lungofiume di Mosca una delle Sette sorelle di Stalin, l’Edificio residenziale in Kotelnicheskaja naberezhnaja (176 metri). Ancora oggi la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo ha il campanile ortodosso più alto del mondo.
Per due secoli, la cattedrale funse da cripta imperiale e ospita ancora oggi i resti di quasi tutti gli imperatori e le imperatrici russi, da Pietro il Grande a Nicola II e alla sua famiglia (portati qui da Ganina Jama). 
Pur essendo sempre pronta per il combattimento, la fortezza non ha mai preso parte a nessuna battaglia. Tuttavia, fu pesantemente bombardata durante la Seconda guerra mondiale e il terribile assedio di Leningrado (come la città si chiamava allora), con gravi danni alla cattedrale.
La Fortezza di Pietro e Paolo fu usata come principale prigione politica della Russia. Tra i suoi famosi prigionieri ci sono stati Aleksej, figlio di Pietro il Grande, nonché membri del governo provvisorio russo, rovesciato durante la Rivoluzione bolscevica del 1917, e persino alcuni membri della famiglia Romanov furono giustiziati dai plotoni di esecuzione nei cortili. 
Nel 1925, i bolscevichi volevano distruggere la Fortezza di Pietro e Paolo e costruire qui lo stadio per la squadra di calcio dello Zenìt, appena fondata. Fortunatamente, questo intento venne abbandonato.
Dagli anni Venti, la Fortezza opera come museo. Ciò, tuttavia, non ha impedito a due importanti istituzioni di essere attive all’interno delle sue mura. Una era la Zecca di Stato, e l’altro era il segretissimo Laboratorio di Dinamica dei Gas, che ha dato un enorme contributo allo sviluppo delle tecnologie militari (tra cui il mitico lanciarazzi Katjusha) e spaziali sovietiche. Se la zecca è ancora in funzione, il laboratorio scientifico è invece da tempo scomparso, e al suo posto si può trovare il Museo dello Spazio e della Tecnologia missilistica. 
Sul territorio della fortezza i turisti possono vedere anche uno dei monumenti più insoliti di San Pietroburgo: una scultura dedicata a Pietro il Grande. Ha un corpo enorme, ma una testa piccola. L’artista ha fatto una riproduzione esatta del volto dello zar, usando la sua maschera mortuaria.
Ogni giorno, alle ore 12, un pezzo di artiglieria della fortezza spara un colpo a salve per annunciare l’ora. Solo un cannone spara, ma uno extra viene sempre tenuto pronto e caricato in caso il primo faccia cilecca. Gli ospiti importanti della città partecipano spesso alla cerimonia. Così, per esempio, nel 2003, fu il principe Carlo a sparare con questo pezzo di artiglieria.
Come visitare gratis i musei di San Pietroburgo 

sabato 27 giugno 2020

UNA ATTIVA PARTECIPAZIONE ALLA MIA REDENZIONE

Papa Giovanni Paolo I - Wikipedia
5 maggio 1975
LI VOGLIO VIVI

Figlio mio, non mi accontento della adesione poco più che formale di molti miei sacerdoti.
Figlio, dai miei sacerdoti voglio una attiva partecipazione alla mia Redenzione.
Voglio i miei sacerdoti con me sul Calvario. Molti si rifiutano di seguirmi nella mia dolorosa ascesa.
I miei sacerdoti li voglio oranti e operanti con Me nell'Eucaristia. Alcuni non credono neppure alla mia presenza sugli altari, altri mi trascurano e si dimenticano di Me, altri - novelli Giuda - mi tradiscono.
Voglio i miei sacerdoti costruttori del Regno nelle anime, non devastatori del mio Regno!
Voglio dai miei sacerdoti l'amore, perché Io li amo infinitamente dall'eternità. Anima dell'amore è la sofferenza: si ama nella misura con cui si soffre. Ma oggi da molti si fugge dalla sofferenza, quindi dall'amore.
Figlio, voglio i miei sacerdoti consapevoli, responsabili e coscienti del loro ruolo nel Corpo (p. 7) Mistico. Li voglio vivi: vibranti di grazia, di fede, di amore e quindi di sofferenza.
Quanto tempo perduto, quanto bene non compiuto, quanti ostacoli e intoppi nel mio Corpo Mistico! Che sciupio di soprannaturale... perché molti, molti non hanno come supporto che scarsa fede, speranza e amore.
Poveri miei sacerdoti che vanno brancolando nel buio! Li amo, voglio la loro conversione, figlio.
Ti stupisce dunque se per loro ti domando di soffrire un poco e di pregare?

Li voglio coscienti
- Gesù, fammi intendere che cosa vuoi da noi sacerdoti.
 Te l'ho già detto: vi voglio coscienti della vostra vocazione. Io vi ho scelti, con speciale predilezione e amore.
Voglio i miei sacerdoti coscienti della loro partecipazione al mio Sacrificio, non simbolico ma reale. Ciò importa unione e fusione della mia e della loro sofferenza. Non formalismo esteriore ma stupenda e tremenda realtà: la santa Messa!
Il sacerdote deve unirsi a Me nell'offerta di Me stesso al Padre. Che Messa è quella del sacerdote carente di questa coscienza e convinzione? (p. 8)
Pensa, figlio mio, che dignità, grandezza e potenza, ho dato ai miei sacerdoti! Il potere di transustanziare il pane e il vino in Me stesso: nel mio Corpo, nel mio Sangue, in tutto Me stesso. Nelle loro mani ogni giorno si ripete il prodigio dell'Incarnazione.
Li ho costituiti depositari e distributori dei frutti divini del Mistero della Redenzione. Ho conferito a loro il potere divino di rimettere o di ritenere i peccati degli uomini.
Come il mio Padre putativo, li ho costituiti miei custodi sulla terra. Ma per molti quale differenza tra l'amore con cui mi custodiva San Giuseppe e la loro noncuranza di Me nel tabernacolo!
Figlio, ai miei sacerdoti ho affidato il compito di annunciare la mia Parola. Ma in che modo si attua questo importante compito del ministero sacerdotale? Lo dice la sterilità in genere che accompagna la predicazione.
Ai miei sacerdoti è affidato il compito di combattere contro le forze oscure dell'Inferno. Ma chi si cura di farlo? di cacciare i Demoni? Per far questo bisogna tendere alla santità; così pure per guarire gli infermi occorrono preghiere e mortificazione.
Figlio mio, i miei sacerdoti li voglio santi perché debbono santificare. Non debbono fare affidamento, per il loro ministero, sui mezzi umani come da molti si fa. Non devono confidare nelle (p. 9) creature, ma nel mio Cuore Misericordioso e nel Cuore Immacolato di mia Madre.
I sacerdoti sono veri ministri miei ma non hanno, fatta eccezione di pochi, coscienza di questa loro qualifica. Sono i miei ambasciatori, accreditati da Me presso gli uomini, le famiglie e i popoli.

Vanno con il mondo
" I sacerdoti sono realmente partecipi del mio eterno Sacerdozio. Il sacerdote è protagonista, nel Corpo Mistico, di grandi fatti ed avvenimenti soprannaturali.
I sacerdoti devono essere ostie da donarsi e immolarsi per la salvezza dei fratelli.
E' gravissimo peccato pensare di salvare le anime con le proprie umane risorse di intelligenza e di attività. Ogni attività esteriore del sacerdote che difetta di fede, amore, sofferenza e preghiera è nulla, è vana.
Il Sacerdozio è un servizio. Chi serve si differenzia dal servito; non si identifica con le persone servite. Il sacerdote deve differenziarsi dalle ani- me a lui affidate, come il pastore si differenzia dal suo gregge.
Se i sacerdoti vedessero la grandezza della loro (p. 10) dignità, la sublime soprannaturale potenza di cui sono rivestiti (come queste cose vedeva Francesco di Assisi) avrebbero per se stessi e per i confratelli un grande, devoto rispetto.
Figlio, purtroppo alcuni cercano se stessi, dimenticandosi di Me. Molti altri vanno con il mondo, pur sapendo che il mondo non è di Dio ma di Satana.
Alcuni mi tradiscono, altri demoliscono il mio Regno nelle anime seminando errori ed eresie. Altri sono aridi per carenza della linfa vitale dell'anima: l'amore, la cui vera anima è la sofferenza.
Devi quindi pregare e offrirti, con sensibile corrispondenza ai miei inviti, alla riparazione, alla penitenza, alla preghiera perché tutti i miei sacerdoti si convertano. Sì, si convertano e ognuno prenda il suo posto nel Corpo Mistico: ad majorem Dei gloriam e per la salvezza delle anime.

Reale rinnovazione
- Alla mia domanda che cosa intendeva precisamente, dicendo: " Voglio i miei sacerdoti oranti e operanti con Me nell'Eucaristia ", la risposta è stata questa:
" Che cosa ho fatto e faccio Io nel sacrificio della Croce e della Santa Messa? Come ho pregato (p. 11) il Padre? " Padre, se è possibile, passi da me questo calice, però non la mia ma la tua volontà si compia ".
Non dimenticare (come molti dimenticano) che il sacrificio della Santa Messa è la reale rinnovazione del sacrificio della Croce.
Nel sacrificio della Croce vi è la mia preghiera al Padre, unita all'annientamento della mia volontà, annientamento totale. Vi è l'offerta totale di Me stesso con atto di infinito amore e di infinita sofferenza; vi è l'immolazione di Me stesso per le anime.
Il sacerdote che si unisce, e che lo voglio unito a Me in questa sofferenza, partecipa più che mai al mio Sacerdozio. Non è mai tanto sacerdote come quando fa questo con Me.

Sciupio di soprannaturale
Quante Sante Messe prive di questa anima vitale, di questa unione intima e feconda!
L'amore a Dio e l'amore al prossimo il sacerdote lo attesta nell'atto più importante della sua giornata quando, responsabilmente in unione con Me, annienta se stesso nell'offerta efficace della sua volontà al Padre, e accetta di immolarsi per le anime per le quali lo incessantemente mi immolo.
Insomma il sacerdote deve nella Santa Messa realmente donarsi con Me al Padre per essere dal Padre donato alle anime.
Questo deve precedere ogni attività del sacerdote, altrimenti vi è sciupio di tempo e di soprannaturale, altrimenti si rende sterile in radice ogni sua attività.
Figlio, se ti facessi vedere come vengono celebrate molte, molte Sante Messe, ne rimarresti spaventato a tal punto da morire...
In questo senso ti ripeto: voglio oranti e operanti, come lo fui e sono, i miei sacerdoti; e solo così che si fanno strumenti per sè e per i fratelli di vera rinnovazione spirituale.
Quante attività inutili, figlio mio, perché private della loro anima naturale! (p. 13)


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