6. «Ma tutti, all'unanimità, incominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comperato un podere e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Il secondo disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Il terzo disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Il servo, al suo ritorno, riferì tutto questo al suo padrone» (Lc 14,18-21).
Fa' attenzione a queste tre cose: il podere, le cinque paia di buoi e la moglie.
«Ho comperato un podere, (alla lett. ) una villa. Villa viene da vallo, cioè argine, terrapieno, o fossa, ed è figura della voglia sfrenata di dominare, della quale il beato Bernardo dice: «Non temo il fuoco, non temo la spada, quanto invece temo la voglia sfrenata di dominio»: coloro che ne sono ossessionati, procedono come attorniati dal terrapieno delle ricchezze e dei beni terreni.
È quello stesso podere, chiamato Getsèmani (cf. Mt 26,36), nel quale Gesù fu tradito e catturato. Getsèmani s'interpreta «valle ingrassata» (ben concimata). Scende a valle il letame (la grassa) con il quale viene concimata. Quindi nella valle (podere) del Getsèmani, cioè in coloro che ardono dalla brama di dominare sugli altri, e non di giovare ad essi, e che se stanno tranquilli nella valle, vale a dire nei piaceri della carne, ingrassati come porci tra gli escrementi delle cose temporali, viene tradito Cristo, viene cioè distrutta la fede in Gesù Cristo. Infatti la fede rifiuta le cose temporali, non brama il dominio, desidera stare sottomessa, cresce in mezzo alle ingiurie. E questa villa (podere) del Getsèmani viene comperata, mentre non si dovrebbe accettarla neppure gratis, perché costringe ad uscire dall'interiore contemplazione di Dio e ad ingolfarsi nelle preoccupazioni esteriori.
E concorda con tutto questo ciò che leggiamo nel primo libro dei Re, dove si racconta che l'arca dell'alleanza del Signore degli eserciti, assiso sopra i cherubini, arrivò negli accampamenti e fu catturata dai filistei (cf. 1Re 4,4-11). L'arca è figura dell'uomo contemplativo, nel quale c'è la manna della soavità, le tavole della duplice legge dell'amore e la verga della correzione. Il contemplativo è chiamato «arca dell'alleanza del Signore»; con il Signore infatti ha concluso il patto di servirlo in perpetuo; e il Signore è assiso sui cherubini (Sal 79,2), nome che s'interpreta «pienezza della scienza»: è assiso cioè su quell'anima che è ricolma di amore. Infatti «la pienezza della legge è l'amore» (Rm 13,10). Quest'arca, sotto la spinta dei peccati, esce dal rifugio del volto di Dio, esce dal Santo dei santi e s'inoltra tra gli accampamenti, compera una villa e brama il dominio. Mentre così s'innalza, viene catturata dai demoni e portata ad Azoto, che s'interpreta «incendio», e simboleggia il fuoco della concupiscenza carnale. Dice dunque il primo invitato: «Ho comperato una villa».
7. «E devo uscire a vederla». Fa' attenzione a questa parola: «devo». Chi acquista la villa del dominio terreno, si carica di obblighi e di costrizioni; era libero, e si è reso schiavo di una deplorevole schiavitù. Così fu di Saul che, come narra il primo libro dei Re, spinto dalla necessità, andò in cerca di un'indovina (pitonessa) che si trovava a Endor, e le disse: «Vi sono costretto (a ricorrere a un'indovina). I filistei combattono contro di me, e Dio si è allontanato da me e non ha voluto esaudirmi» (1Re 28,15).
La villa e l'indovina simboleggiano la stessa cosa. Endor s'interpreta «sorgente della generazione», e con ciò intendiamo Adamo che fu la sorgente e l'origine della stirpe umana. Egli, pagato come prezzo il paradiso a danno della sua anima, volle comperare la villa del dominio, dando ascolto alla falsa promessa del serpente: «Sarete come dèi» (Gn 3,5). Perciò quelli che cercano il dominio, camminano secondo l'uomo vecchio e non secondo l'uomo nuovo, Gesù Cristo (cf. Col 3,9-10), il quale, come racconta Giovanni, quando si accorse che stavano arrivando degli uomini per rapirlo e proclamarlo re, fuggì sul monte (cf. Gv 6,15). Dicono alcuni che il termine «pitone» indichi il potere di risuscitare i morti e quindi la donna che ha questo potere si chiama pitonessa. Ahimè, quanti sono i religiosi, morti al mondo, sepolti nei chiostri, che questa pitonessa, cioè la brama del dominio, ha destato dal sonno della contemplazione, del silenzio e della pace, e li ha portati fuori in pubblico! Per questo Isaia dice: «Sarai umiliato, parlerai dalla terra, e dalla polvere si sentiranno le tue parole; e dalla terra uscirà la tua voce come quella della pitonessa, e dalla polvere la tua parola sarà come un bisbiglio» (Is 29,4).
Ecco che cosa accade a colui che compera la villa, che consulta la pitonessa ed esce dal sepolcro del silenzio: «sarai umiliato», cioè sarai precipitato mentre credi di salire; «della terra», cioè delle cose terrene «parlerai», tu che prima eri solito parlare delle cose celesti; «e dalla polvere», cioè dal ventre e dalla gola ancora impregnata di cibi e di bevande, «si sentiranno le tue parole» che prima facevi uscire dalla soavità della tua mente e dall'astinenza della gola; «e la tua voce» che prima era di rinuncia e di umiltà, ora è «della terra come quella della pitonessa», parla cioè di prelature e di dignità; «e dalla polvere la tua parola sarà come un bisbiglio», cioè mormorerà, tu che prima avevi riposto la tua fortezza nel silenzio e nella speranza (cf. Is 30,15). Ecco dunque quale costrizione e quanta perversità! È sempre il primo invitato dunque che dice: Ho comperato una villa e devo uscire per andare a vederla. «Devo uscire». A proposito troviamo nella Genesi che Esaù, coltivatore della terra, uscì per andare a caccia, mentre Giacobbe, uomo semplice, restando nella tenda tranquillo con i suoi pensieri, gli portò via la benedizione (cf. Gn 25, 27-33). Così quando uno, spinto dalla brama delle cose temporali, va alla ricerca di una villa, o va a consultare un'indovina, ed esce così dalla tranquillità della sua mente, senza dubbio viene privato della benedizione eterna. «Devo uscire - dice - per andare a vederla», come dicesse: voglio vederla almeno una volta, prima di morire. Questo è l'unico frutto delle ricchezze. Infatti dice l'Ecclesiastico: «Dove ci sono molte ricchezze, ci sono anche molti che le divorano; e che vantaggio ne ha il proprietario, se non quello di contemplarle con i propri occhi?» (Eccle 5,10).
Ecco, ora sai chiaramente che chi compera la villa del potere terreno non va alla cena del Signore, ma accampando una falsa scusa dice: «Ti prego, considerami giustificato». Nella voce c'è il suono dell'umiltà quando dice «ti prego», ma nel senso e nel sentimento c'è la superbia perché si rifiuta di andare. Così succede spesso che si dice al giusto: Prega per me, che sono un peccatore! In queste parole c'è appunto il suono dell'umiltà, perché si domanda la preghiera; ma resta poi la superbia nel cuore perché non ci si allontana dal peccato. E con questo concorda ciò che troviamo nel primo libro dei Re, dove si racconta che Saul disse a Samuele: «Ora, ti prego, perdona il mio peccato, e torna indietro con me, affinché io adori il Signore» (1Re 15,25).
8. «Il secondo invitato disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vado a provarli» (Lc 14,19). Osserva che nelle cinque paia di buoi vediamo raffigurati i cinque sensi del corpo. Infatti, come i buoi vengono appaiati sotto il giogo, così anche i nostri sensi funzionano con un doppio organo: due sono gli orecchi, due gli occhi, due le narici; per il gusto abbiamo la lingua e il palato; per il tatto le due mani. Questi sono i dieci «prìncipi» dei quali parla Salomone: «La sapienza rende il saggio più forte di dieci prìncipi della città» (Eccle 7,20). La sapienza, così chiamata da «sapore», consiste nell'amore e nella contemplazione di Dio, il quale sostiene il sapiente, cioè l'anima che gusta il sapore dell'amore più di dieci prìncipi della città, cioè più di tutti i piaceri che possono provenire dai «dieci» sensi (dieci organi di senso) del corpo. La sapienza appaga e sazia completamente, mentre il piacere lascia il vuoto. La sapienza procura dolcezza, il piacere lascia l'amarezza. Chi serve la sapienza è libero, chi serve il piacere è un misero schiavo.
Quindi compera cinque paia di buoi colui che, con un disgraziato affare, disprezzato il gusto dell'amore divino, con deplorevole schiavitù si sottomette al miserabile piacere dei cinque sensi. Magari l'uomo prendesse su di sé il giogo del Signore, che è piacevole (cf. Mt 11,29-30), e non quello del diavolo che è duro e pesante, e del quale Isaia dice: «Tu hai spezzato il suo giogo opprimente, la verga sulle sue spalle, e il bastone dell'aguzzino, come al tempo di Madian» (Is 9,4).
Ecco come concordano tra loro le parole del vangelo con quelle di Isaia. Dove il vangelo dice villa, Isaia dice verga; e dove il vangelo dice paia di buoi, Isaia dice giogo opprimente; e dove il vangelo dice moglie, Isaia dice bastone.
Come Gedeone, che s'interpreta «che gira nel grembo», sconfisse Madian con trecento uomini - come racconta il libro dei Giudici - armati solo di trombe e di lanterne (cf. Gdc 7,15-16), così il penitente, che deve girare nel grembo, cioè pentirsi sempre nella sua mente dei peccati che ha commesso e dei peccati di omissione, deve liberarsi dall'opprimente giogo del diavolo con trecento combattenti, vale a dire con la fede nella santa Trinità, con le trombe della confessione e le lucerne di una congrua penitenza; deve cioè rifuggire dal piacere dei cinque sensi, con il quale il diavolo opprime l'anima; deve liberare la spalla dalla sua verga, cioè dalla brama del dominio con il quale il diavolo tormenta l'uomo, come il contadino pungola il suo asino; deve liberarsi dal bastone dell'aguzzino, cioè dalla tracotanza della carne, che si manifesta con la gola e con la lussuria. Il bastone che comanda è la lussuria, che purtroppo spadroneggia quasi su tutti. L'aguzzino è la gola, la quale ogni giorno, sotto il pretesto della necessità, si abbandona al piacere del gusto.
9. E anche su questo abbiamo la concordanza del primo libro dei Re, dove si racconta che «Nacas l'ammonita si mosse e incominciò a combattere contro Iabes di Galaad. Allora gli uomini di Iabes dissero a Nacas: Consideraci tuoi alleati e noi ti serviremo. Ma Nacas rispose loro: Con voi farò solo questo patto: di cavare a tutti voi l'occhio destro e fare così di voi l'obbrobrio davanti a tutto il popolo d'Israele» (1Re 11,1-2). E aggiunge: «All'udire quelle parole, lo Spirito del Signore investì Saul, che si sentì riempire di furore. Prese un paio di buoi e li fece a pezzi» (1Re 11,6-7).
Nacas s'interpreta «serpente», nome che si addice perfettamente al diavolo, il quale, sotto forma di serpente, ingannò i nostri progenitori. Ammoniti s'interpreta «popolo afflitto», o «oppressore», oppure «che dà angoscia». Nacas dunque è il re degli Ammoniti, perché l'antico serpente, cioè satana, è il principe dei malvagi, i quali sono nell'afflizione della tristezza, la quale - secondo l'Apostolo - produce la morte (cf. 2Cor 7,10). I malvagi dunque opprimono i giusti e riempiono di sofferenze la vita dei santi. Dice infatti l'Ecclesiastico: Ciò che fa la fornace all'oro, la lima al ferro, il correggiato1 al grano, lo fa la tribolazione al giusto (cf. Eccli 27,6; Pro 27,17. 21).
L'empio vive per il profitto, per il vantaggio spirituale del giusto, perché la compagnia dei cattivi è come la graticola, il tormento dei buoni.
Nacas dunque combatte contro Iabes di Galaad. Iabes s'interpreta «disseccata», e Galaad «cumulo di testimonianze». Qui è simboleggiata l'anima che deve dapprima essere disseccata dei vizi e quindi venir riempita delle testimonianze della passione del Signore. Nacas combatte contro gli uomini di Iabes a Galaad per strappare ad essi l'occhio destro, ben sapendo che, senza quell'occhio, tutti saranno resi molto meno abili al combattimento. L'occhio destro simboleggia lo sguardo critico, lo sguardo del giudizio; il diavolo tenta di strapparlo e di lasciare invece l'occhio sinistro, quello dell'amore mondano, sapendo bene che coloro che non aspirano ai beni eterni ricercano la prosperità di questo mondo: e chi è trattenuto dalle cose terrene, facilmente viene sconfitto nella lotta per salvezza.
Chi vuole liberare la sua anima dall'assedio e dalla devastazione del diavolo, è necessario che faccia quanto segue: «E lo Spirito del Signore investì Saul... «. Saul s'interpreta «unto», consacrato, che all'inizio del suo regno, quando liberò la città di Galaad, era buono, e quindi è figura del giusto, unto con la grazia di Dio; il giusto, quando lo Spirito del Signore, cioè la contrizione del cuore, lo investe, si infuria contro i suoi peccati passati, e taglia a pezzi tutti e due i buoi. I due buoi simboleggiano i due occhi, i due orecchi, e così via. Taglia a pezzi i due buoi colui che consuma di lacrime gli occhi, con i quali ha concupito le cose illecite. Fa a pezzi i due buoi colui che custodisce gli orecchi perché non ascoltino più le calunnie o le adulazioni, e li circonda come di una siepe di spine. E così fa anche con gli altri sensi, affinché quanti sono stati i piaceri ai quali si è abbandonato, tanti siano i sacrifici che fa di se stesso.
10. Il terzo invitato si scusò dicendo: «Ho preso moglie, e quindi non posso venire» (Lc 14,20).
Non è certo il matrimonio, bensì il cattivo uso del matrimonio che tiene molti lontano e li distoglie dal partecipare alla cena del Signore. Infatti molti contraggono matrimonio non in vista della fecondità della prole, ma solo per i desideri della carne. Quindi è necessario ricordarsi che si deve prender moglie per tre scopi.
Primo, per procreare della prole, come dice la Genesi: «Crescete e moltiplicatevi» (Gn 1,28).
Secondo, per avere un aiuto; dice sempre la Genesi: «Non è bene che l'uomo sia solo: facciamogli un aiuto che gli sia simile» (Gn 2,18).
Terzo, a motivo dell'incontinenza; dice l'Apostolo: Se uno non è in grado di vivere in continenza, si sposi, purché ciò sia fatto nel Signore (cf. 1Cor 7,9. 39). Chi prende moglie per altri scopi, che non siano questi, guai a lui! Inoltre, benché il matrimonio sia in se stesso un bene, tuttavia comporta delle difficoltà e dei pericoli. Dice infatti l'Apostolo nella prima lettera ai Corinzi: «Chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso» (1Cor 7,33) tra due «preoccupazioni»: quella che riguarda Dio e quella che riguarda la moglie. È difficile procedere nel giusto mezzo, e dividersi così perfettamente tra due impegni, in modo che nessuno dei due venga trascurato.
Sta scritto infatti nel primo libro dei Re che «furono fatte prigioniere due mogli di Davide, e Davide ne fu grandemente rattristato» (1Re 30,5. 6). Se non avesse avuto le mogli, senza dubbio non avrebbe sofferto così tanto. Osserva che, in questo passo del vangelo, per moglie s'intende la lussuria della carne: di essa il vangelo non dice che la comperò, ma che la «prese»: questo perché ogni peccatore fin dal principio della sua esistenza ha con sé la tendenza al peccato della carne.
Ma si domanda: come mai i due primi invitati pregarono di essere ritenuti giustificati, mentre il terzo non lo fece per niente? A questo proposito si deve dire che la passione carnale tiene l'uomo avvinto ai piaceri in modo tale che non desidera per nulla andare alla felicità eterna, e neppure si preoccupa di scusarsi; e così è chiaro che non ama per nulla Dio, quel Dio che invitato dalle preghiere dei padri dell'Antico Testamento ad unire a sé la natura umana, venne benignamente alle nozze.
Ecco che con questa seconda parte del vangelo concorda la seconda parte dell'epistola: «Da questo abbiamo conosciuto l'amore di Dio (Figlio); egli ha dato la sua vita per noi; e quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). Fa' attenzione, perché Giovanni tocca qui tre argomenti, cioè Dio, noi e i fratelli. Chi ama Dio non compera la villa del dominio; chi ama la sua anima si libera dal giogo dei cinque sensi; chi ama il prossimo, per il quale è tenuto a dare la vita, non prende certo «moglie» di lussuria, con la quale offenderebbe e scandalizzerebbe il prossimo stesso.
Ti preghiamo dunque, Signore Gesù, di togliere da noi la villa di ogni potere umano, di aiutarci a fuggire i piaceri dei cinque sensi, e a vivere senza la maledetta moglie della concupiscenza, per essere così liberi di entrare alla tua cena. Accordacelo tu, che sei benedetto nei secoli dei secoli. Amen.