martedì 3 marzo 2020

Don Guido Bortoluzzi - 3

L’habitat del primo Uomo

Sull’estremo sperone roccioso di un promontorio proteso da nord a sud, e tagliato trasversalmente da larghi e profondi strati di roccia arenaria, il giovane Uomo aveva costruito la sua dimora sfruttando le particolarità del terreno. In una sequenza di cenge sovrapposte egli aveva scelto, ad una sessantina di metri d’altezza sulla pianura circostante, quella che maggiormente si prestava ad accogliere la sua abitazione. Con molto senso pratico aveva usato come fondamenta il piano di una cengia e come tetto naturale la cengia superiore, chiudendo poi lo spazio abitativo con un muro di sassi. Guardando l’abitazione frontalmente, l’ingresso si trovava sulla sinistra e, dal lato opposto, il vano prendeva luce da due finestrelle munite di barre trasversali. Davanti all’abitazione, aveva poi costruito un muro di contenimento che poggiava sulla cengia che si trovava al livello inferiore rispetto all’abitazione. Poi aveva riempito il vuoto, formatosi tra il muro di contenimento e il bordo della cengia su cui poggiava l’abitazione, con il materiale che aveva estratto dallo scavo per allargare la grotta. A lavori terminati il vano abitativo era profondo almeno cinque metri e alto non meno di tre e il muro di contenimento sorreggeva un terrapieno che in superficie formava un largo terrazzo.
Alla base del muro di contenimento si stagliava un cortiletto, raccolto ad angolo retto da un secondo edificio di proporzioni inferiori adibito, a piano terra, alla cottura del cibo e, al piano superiore, alla raccolta del grano che nella valle nasceva spontaneo. Un muretto semicircolare, dal quale si poteva ammirare la fertile pianura sottostante, cintava quel cortiletto dove praticamente si svolgeva la vita domestica.
Il giovane Uomo industrioso aveva anche deviato a monte un piccolo corso d’acqua incanalandolo in una lunga fila di canne di bambù, così da poter usufruire perennemente di una doccia per mitigare il calore del sole.
Delle scale a pioli rendevano comunicanti i vari livelli e permettevano, se sollevate dall’alto, di rendere inaccessibile quel luogo agli animali, in particolare agli ancestri che, con le loro gambe corte, erano poco agili e non avevano la possibilità di arrampicarsi. Un vero capolavoro d’ingegno.
La più immediata domanda che ognuno di noi si pone è: come poteva un ragazzo sui quindici o sedici anni aver costruito da solo tutto ciò? O meglio, quale ingegno avrà mai avuto per progettare strutture così articolate e funzionali? Noi siamo abituati a pensare ai primi uomini come a dei trogloditi che vivevano nelle caverne e che si rifugiavano alla meglio nello spazio che trovavano. Qui invece vediamo lungimiranza, progettualità e manualità perfette. I muri costruiti erano perfettamente diritti e a piombo, senza alcun difetto.
La verità è che Dio aveva creato il primo Uomo e la prima Donna perfetti sia nella loro struttura fisica sia nella loro capacità intellettiva. Non c’è paragone fra la loro intelligenza e la nostra che, sebbene sia di gran lunga superiore a quella degli uomini del paleolitico, è ben lontana da quella degli Uomini originariamente creati da Dio. Inoltre Dio faceva loro da padre e da madre attraverso locuzioni e ispirazioni. Senza l’esperienza costante di Dio che parlava loro, come fa tuttora con molti veggenti, l’Uomo e la Donna non avrebbero potuto imparare a parlare: avrebbero solo imitato i versi degli animali. Allo stesso modo Dio insegnò all’Uomo ad accendere il fuoco, ad accumulare e mettere a riparo il raccolto per la stagione in cui la terra riposa, e così via.
Qualcuno si chiederà: come ha potuto allora sbagliare Adamo, se era perfetto? Ricordiamo che Dio ha dato all’Uomo la libertà, ovvero il libero arbitrio, perché fosse realmente simile a Lui. È la libertà che ci permette di scegliere fra il bene e il male. È la possibilità di questa scelta che ci rende liberi, che ci distingue dagli animali, oltre alla parola. Quindi, nel progetto di Dio era contemplata anche la possibilità che l’Uomo sbagliasse. Dio non gli ha mai imposto la Propria volontà. Lo ha solo informato delle conseguenze che sarebbero derivate se avesse fatto di testa sua: avrebbe portato la sua discendenza alla morte, cioè alla sua estinzione come specie perfetta e al ritiro dello Spirito dai nati senza i requisiti di perfezione genetica. E poiché la responsabilità va commisurata alla capacità di intendere e di volere, la colpa di Adamo è grandissima verso Dio, e anche verso di noi, perché ci ha lasciato in eredità tanta e tanta sofferenza.

L’interno della prima abitazione

La porta d’accesso, fatta di vimini intrecciati e sostenuta da due cardini di cuoio, era tenuta chiusa da una specie di chiavistello di legno. All’interno l’abitazione si presentava come una povera stanza a due volumi, uno più piccolo di fronte all’entrata e con una finestra centrale sulla parete opposta all’ingresso, e uno più lungo, nella parte più interna della grotta, con una seconda finestra. Entrambe le finestre guardavano verso sud-est ed erano munite di sbarre trasversali, forse per impedire agli animali di entrarvi.
Addossati agli angoli di destra e di sinistra vi erano, in piedi, degli attrezzi da campagna il cui manico era stato ripulito dalla corteccia. Alle pareti erano appese delle borse pelose e gonfie.
A terra vi era un cranio di ruminante con i fori delle orbite tappati con della pece. Si direbbe un utensile che probabilmente aveva funzione di mestolo o di tazza.
Al centro della parete di destra vi era uno sgabello sul quale era appoggiata una specie di piccozza formata da una grossa amigdala legata ad un manico con delle strisce di cuoio. Su altri sgabelli vi erano altre amigdale, tutte ben ordinate, con taglio e punta, con la funzione di coltelli e raschiatoi, forse per separare le carni dalle pelli. Due scaglie bianche sembravano pietre focaie.
Lungo la parete opposta vi era un tavolo da lavoro fatto con delle grosse tavole schiette, cioè spaccate lungo la vena del legno con dei cunei. Sul tavolo, accanto ad una pelle di animale, vi era una gran varietà di pietre preziose, bianche, rosse, verdi e gialle, grosse come uova. Altre pietre simili erano incastonate lungo i bordi di una finestrella e al sole riflettevano i loro colori sulle pareti della stanza.
Il Signore interviene dicendo: “Oggetti preziosi ma pericolosi, perché l’uomo ha volto al male tutte le cose, schiavo del dèmone della cupidigia e della sensualità”. Possiamo supporre che il Signore non si riferisse tanto al primo Uomo, per il quale i preziosi avevano solo un valore estetico, quanto agli uomini a venire per i quali essi sarebbero diventati oggetto d’idolatria e causa di guerre.

Il peccato originale

Dopo la colluttazione, la femmina ancestre senza pelo viene riammessa nell’abitazione dal giovane Uomo per l’allattamento della neonata.
Passano i mesi e intanto la piccina cresce e comincia a muovere i primi passi. Di carattere socievole, giocava volentieri con i cuccioli delle altre femmine ancestri, scure e pelose, nel cortiletto sotto lo sguardo attento della femmina giallastra.
Nel cortiletto giunge l’Uomo e si siede sulla panca con la schiena appoggiata al muro guardando la scena. La femmina giallastra e glabra, goffa per le gambe corte, la testa schiacciata e le lunghe orecchie penzolanti, si affretta a raggiungerlo. Egli disdegna le sue attenzioni, ma quando essa prende inusuali iniziative verso di lui, egli capisce che per lei è giunto il periodo della fertilità. Da quei gesti di femmina in calore, che come animale segue i ritmi naturali dell’estro, l’Uomo comprende che è arrivato il tempo tanto atteso per programmare un altro figlio. Ma egli ha fatto male i suoi conti: non sa che quella femmina, senza l’intervento creatore di Dio, non può che dare dei figli ibridi secondo le leggi della genetica scoperte da Mendel. Non fu il desiderio sessuale, dunque, il movente del peccato di Adamo, poiché era immune da impulsi disordinati, ma un calcolo freddo e lucido di crearsi una discendenza solo sua, senza Dio.
Egli si ritira nell’abitacolo dove ha il suo giaciglio e la chiama. La femmina con la piccina lo raggiunge, ma esita ad entrare. Forse la regola era che non dovesse oltrepassare quell’uscio. Ma lui insiste, si corica e la invita ancora. La piccina intanto passa nella parte più interna della grotta, dove probabilmente ha il suo lettino che don Guido non vede, e sparisce. Finalmente la femmina ancestre entra e si corica sopra l’Uomo. A quel punto don Guido, disgustato, ha un sobbalzo e la scena si chiude così.
Don Guido comprende che quell’atto è il peccato originale, dalle conseguenze disastrose per il genere umano, perché a quell’atto segue la nascita di Caino, un ibrido. Comprende anche che se la Bibbia dice che il peccato originale fu commesso da Adamo ed Eva, e la femmina ancestre era stata la partner di Adamo in quel peccato, quella che noi chiamiamo Eva non è la Donna, ma quella femmina ancestre! Inoltre constata che la prima vera Donna, che a quel tempo era ancora piccina, è del tutto estranea a quel peccato, quindi è innocente.
Nella visione avuta da don Guido non appare la figura dl Tentatore. Ma, a ben riflettere, don Guido ha raccontato solo le cose concrete, materiali, visibili ai suoi occhi. Non poteva vedere un soggetto spirituale quale è Satana. Sta a noi comprendere attraverso il contesto ciò che anche la dottrina ci insegna: cioè che la tentazione si è insinuata in lui e ha influenzato il suo pensiero e sedotto la sua volontà. Ciò che dobbiamo tener presente è che ‘il serpente’ non è sinonimo di Satana e non è nemmeno un ofide. ‘Serpente’ è una metafora che sta per la femmina ancestre, soprannominata, con sottile ironia per le sue fattezze, ‘serpente’ da Mosè.
Eva è un animale e, come tale, non parlava. Ma poiché era animale in quel momento in calore, ha agito secondo gli istinti della sua natura. Se anche inconsapevolmente ha illuso Adamo con il suo atteggiamento prendendolo all’amo, come una lenza prende all’amo il pesce, essa, in quanto animale, è esente da ogni responsabilità. E tantomeno la prima Donna, che a quel momento camminava appena, può essere chiamata in causa.
Solo l’Uomo aveva la piena responsabilità delle proprie azioni perché conosceva il volere di Dio ed aveva un perfetto controllo della sua volontà. Sebbene ai nostri occhi abbia l’attenuante della sua giovane età, egli, come soggetto perfetto, era assolutamente in grado di respingere ogni tentazione che gli venisse sia dall’esterno, sia dal proprio io ambizioso e prevaricatore sulla volontà di Dio. Ricordiamo che, assieme alla libertà che Dio aveva dato all’Uomo, Dio gli aveva dato anche il discernimento, cioè la possibilità di distinguere ciò che è bene e ciò che è male per poter scegliere, oltre al perfetto controllo della volontà. È sull’uso di questa libertà che anche noi saremo giudicati, anche se il nostro libero arbitrio è parzialmente oscurato dalle conseguenze del peccato originale.
Alla nascita di Caino Adamo comprese il proprio errore, ma il suo orgoglio non gli permise di chiedere perdono a Dio. Ecco perché il Signore lasciò che le conseguenze di quell’atto avessero corso in tutta la loro gravità!
Se Dio ha permesso che questa disobbedienza pesasse così dolorosamente su tanti innocenti, è perché, evidentemente, Gli stava, e Gli sta tuttora, a cuore il recupero di Adamo. Perché è solo dal riconoscere i propri sbagli che uno si ravvede e può tornare nella verità. Adamo doveva sperimentare che fuori dalla Volontà di Dio non c’è che dolore. Infatti, alla nascita di Caino si aprirono i suoi occhi, cioè si rese conto del proprio errore, si pentì ma, da orgoglioso qual era, non chiese perdono a Dio. E si aprirono anche gli occhi della Donna che, crescendo, comprese l’accaduto. Tuttavia, nella sua umiltà e bontà, ella accettò questo fratello, che era anche figlio illegittimo del marito.
Dunque né Eva, la femmina ancestre soprannominata ‘serpente’, né la Donna furono responsabili della caduta di Adamo. È solo su di lui, Adamo, che ricade totalmente la colpa, come ripete più volte S. Paolo nelle sue Lettere.

Con il peccato originale la discendenza di Adamo ed Eva perse la perfezione originaria e il dono dello Spirito

Le conseguenze del peccato originale ricaddero sulla discendenza di Adamo ed Eva, non su quella geneticamente perfetta di Adamo e la Donna, sposa rimasta sempre fedele a Dio.
Caino dal punto di vista intellettivo era un handicappato. Era un uomo, perché aveva l’uso della parola peraltro assai ingarbugliata e tardiva, ma il suo aspetto è quello di un ancestre. ‘La parola’ era l’unico segno che lo contraddistinguesse dagli ancestri: era ‘il segno di Caino’ di cui parla la Bibbia.
La sua natura tarata si rispecchiava non solo sul suo aspetto esteriore, ma anche sulle sue qualità interiori: erano compromesse le sue capacità intellettive e anche quelle di discernere correttamente il bene dal male. Tutto in lui era alterato, sia nella sua sfera affettiva che in quella volitiva. Era maligno, vendicativo, malizioso. In sintesi, tutto ciò che riguarda l’anima in lui era corrotto.
Dicevamo che l’anima è come un contenitore dentro il quale fluisce lo Spirito paragonabile al contenuto. Ma se un contenitore perde perché è fessurato, il contenuto se ne va. Così accade anche in campo spirituale. La sua animalità non lo rendeva idoneo a trattenere lo Spirito. Se l’anima è compromessa perché tarata, lo Spirito non può attecchire. Quindi la conseguenza più tragica della natura di Caino compromessa dal peccato originale è stata la perdita dello Spirito.
E poiché le qualità dell’anima si trasmettono geneticamente come si trasmettono i caratteri esteriori, la discendenza di Caino ereditò tutte le tare fisiche e morali della sua natura geneticamente corrotta.
All’inizio del 6° capitolo della Genesi mosaica leggiamo che “quando i Figli di Dio videro che alcune figlie degli uomini (dei Cainiti) erano desiderabili per avere conoscenza (cioè per avere rapporti generativi), presero in moglie quelle che più a loro piacquero”. Così anche la stirpe perfetta dei Figli di Dio venne corrotta generando figli tarati. Dice la Bibbia che da quei rapporti promiscui nacquero i giganti, uomini possenti e violenti dai quali “Dio ritirò il Suo Spirito” (Gn 6,3), sebbene fossero i figli dei Figli di Dio.
In questo modo la stirpe dei Figli di Dio perse mano a mano la sua integrità fino ad estinguersi totalmente come stirpe perfetta. Noè fu l’ultimo Figlio di Dio sulla terra e, necessariamente se era l’ultimo, dovette sposare una donna ibrida. Dopo di che Dio con il diluvio eliminò in un sol colpo tutti quei rami fisicamente e spiritualmente irrecuperabili e la specie umana ibrida, meno inquinata di quanto non lo fosse prima, ripartì da capo. Ma questa nuova umanità non era già più perfetta come all’origine.
Questo passo è importante perché noi tutti sulla terra siamo discendenti dei figli di Noè. Siamo perciò tutti ibridi, geneticamente tarati e tutti abbiamo perduto la perfezione psicofisica originaria. Di conseguenza abbiamo perduto lo Spirito di Dio. Ci è rimasta anche un’anima tarata e non più spiritualmente vivente. Perciò tutti abbiamo bisogno di redenzione.
Comunque Dio, che è Bontà infinita, non ha lasciato che per millenni le cose rimanessero nella più completa oscurità in attesa di inviare Suo Figlio Gesù come Salvatore. È intervenuto costantemente, ancor prima di parlare ai profeti, creando nuovi gameti perfetti che, innestati in donne sterili di cui la Bibbia ci porta qualche esempio, hanno dimezzato di volta in volta il grado d’inquinamento genetico del nuovo nato e hanno così contribuito a recuperare lentamente, e solo parzialmente, il genere umano.
Parallelamente Dio è intervenuto immettendo in ogni anima il bisogno di Sé. Non lo Spirito, ma un quid che gli animali non hanno, la nostalgia di Dio. È per questo bisogno recondito che già nella preistoria gli uomini adoravano il sole e le altre forze della natura, perché scorgevano in esse una potenza superiore. Era solo un surrogato, d’accordo, ma questo spiega perché ogni uomo porti in sé un vago bisogno di Dio. È una specie di caparra che solo Gesù porterà a compimento ridonando, all’uomo che Lo accoglie, lo Spirito di Dio.
Gli Ebrei dell’Antico Testamento erano consapevoli della distinzione fra anima e Spirito. E lo erano pure S. Giovanni Evangelista e S. Paolo, per citarne qualcuno del Nuovo Testamento. Accadde però che quando la Chiesa nascente si spostò da Gerusalemme a Roma e fra i seguaci affiliò i Gentili, che erano di cultura greco-romana e avevano una visione dualistica dell’uomo (cioè formato solo di anima e di corpo), la Chiesa ne rimase influenzata. Si finì così per dare all’anima le caratteristiche attribuite allo Spirito e il termine ‘anima’ ne prese praticamente il posto.
Da allora Gesù nei Suoi messaggi assecondò per secoli l’usanza di chiamare ‘anima’ lo Spirito, forse perché non era venuto il momento di dare più precise spiegazioni mancando ancora la conoscenza dei Figli di Dio. Infatti, nel CCC (Catechismo della Chiesa Cattolica) troviamo talvolta il termine ‘anima’, o ‘anima vivente’, in sostituzione del termine Spirito. Solo nell’approssimarsi della conoscenza della rivelazione dei Figli di Dio, ossia della rivelazione data a don Guido, lo Spirito Santo ispirò il ‘Rinnovamento dello Spirito’ a rivalutare con maggior nitidezza la Terza Persona della SS. Trinità. E anche Gesù volle fare chiarezza con le Sue ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ dettate a Maria Valtorta. Spiegò fra le altre cose che mentre l’anima, presente fin dal concepimento, ha subìto a causa del peccato originale le stesse corruzioni del corpo, lo Spirito, che viene infuso nell’uomo con il Battesimo, essendo della stessa Sostanza del Padre può crescere o diminuire o anche perdersi, ma non può mai corrompersi.
Con questa spiegazione di Gesù tutto diventa chiaro e semplice: Gesù è venuto anzitutto per ridare a coloro che Lo accolgono come Figlio di Dio, e come Dio Egli stesso, quello Spirito che, a causa del peccato originale, era andato perduto. E raffigura un figlio di Dio, legittimo o adottivo che sia, come un insieme di tre cerchi concentrici nel cui mezzo ci sta lo Spirito con i Suoi doni, i sette doni dello Spirito Santo; lo Spirito poi illumina l’anima circostante la quale, beneficiata, a sua volta irradia la sua influenza positiva sul corpo che spesso ne riceve guarigione fisica o morale. Ogni buona ispirazione, o illuminazione, o preghiera, o sentimento di amore caritatevole, o opera generosa passa attraverso questi tre livelli prima di attuarsi.
Alla morte fisica lo Spirito, unito all’anima, procede il suo cammino portando con sé quell’anima affinché, purificata, possa accedere alla presenza di Dio. Il compito dello Spirito, dunque, è di divinizzare l’anima facendola salire dal regno naturale a quello soprannaturale. Perciò è tanto importante il Battesimo, perché ci dà lo Spirito di Dio. Prima del Battesimo siamo solo creature di Dio, benché tutti possediamo un’anima immortale. Perciò tutte le anime, con o senza lo Spirito, sono immortali ma, seguono percorsi diversi.
Il Battesimo è un atto di adozione spirituale a figli di Dio per mezzo della Chiesa, ma può attuarsi anche per iniziativa diretta di Gesù quando nell’uomo ci siano determinate caratteristiche che troviamo elencate nelle Beatitudini. Se un uomo pur non essendo cristiano è mite, puro di cuore e non sa mentire, se è amante della giustizia e della Verità, se è caritatevole e non vendicativo verso il prossimo ed è fedele al suo credo, allora è Gesù stesso che lo battezza. Perché Gesù, che ha dato il mandato alla Chiesa di agire per Suo conto per la salvezza delle anime, non si è privato di questo potere, in quanto ne è il Mandante. Lui, Gesù, è il Delegante, la Chiesa è la Delegata.

I due fratellastri, Caino e Abele, offrono doni al loro signore-padre-padrone Adamo

La piccina ha un’età fra intorno ai tre anni quando nasce Caino. Caino cresce allevato da Adamo come figlio.
Dopo che la Donna ebbe raggiunto la pubertà, ella, con Adamo, diede alla luce il suo primo figlio, Abele, bello e perfetto come i suoi genitori. Come loro, egli è un Figlio di Dio, perché non contaminato geneticamente dal peccato originale. Questa è la prima famiglia dei Figli di Dio.
Caino, invece, sarà soltanto figlio dell’Uomo, perché l’Uomo-Adamo aveva volutamente estromesso Dio dal suo concepimento per avere dei figli unicamente suoi. Caino è la prima vittima del peccato di suo padre perché, oltre ad aver l’aspetto animale, la sua anima tarata è spiritualmente morta, cioè privata dello Spirito di Dio. Infatti Caino, nella sua animalità, non è in grado di trattenere lo Spirito di Dio. Non ne è colpevole, ma la sua inidoneità è uno stato di fatto. Era maligno, subdolo, malizioso e non sapeva trattenere gli impulsi improvvisi.
Caino non ha alcuna colpa della sua condizione, tuttavia si trova escluso dal Regno dello Spirito. Parrebbe un’ingiustizia di Dio, ma non è così. I figli illegittimi dell’Uomo, sebbene non colpevoli, non hanno alcun diritto presso Dio perché Adamo, oltre alla libertà, ha ricevuto da Dio stesso la potestà su ogni creatura (Gn 2,19). Il termine ‘Adamo’ non significa fatto di terra, ma ‘il Signore della Terra’, il Dominus Terrae, il Padrone della Terra. Perciò Adamo li ha rivendicati a sé. Così la proprietà e la giurisdizione degli uomini ibridi è passata ad Adamo. Noi, e Caino in primis, siamo figli della disobbedienza, nasciamo proprietà del Disobbediente, e siamo privi di diritti anche presso di lui. Siamo veramente dei diseredati.
È soltanto per Grazia, cioè per dono gratuito, che Dio ci elargisce nuovamente lo Spirito attraverso la Sua Misericordia, il cui significato è ‘dono del cuore al misero’. E poiché il Cuore di Dio è lo Spirito stesso, Dio attraverso la Misericordia dona all’uomo misero il Suo Spirito. La Grazia, questo Flusso di Spirito che è Vita divina, non è un nostro diritto: è un Suo dono! L’unico nostro diritto-potere è di accogliere questa Grazia conformandoci alla Sua Volontà. È per questo che Gesù ha dato la Sua vita in cambio della nostra libertà: ci ha riscattati, ci ha spiritualmente ‘comprati’ a caro prezzo, come dice S. Paolo. Gesù ci ha comprati da Adamo pagando Lui stesso quella pena che sarebbe toccata ad Adamo! Così ci ha liberati. Ma, attenzione! Non veniamo automaticamente redenti: vengono redenti solo coloro che accolgono Lui, Gesù, come loro Signore, Re e Salvatore.
Mai è esistito un amore più grande di quello di Gesù, sia verso il Padre, sia verso di noi che verso Adamo. Con l’offerta di Sé Gesù ha riequilibrato l’offesa arrecata alla Giustizia divina. L’epoca di Adamo quale ‘Signore della Terra’ e la sua egemonia su tutti i popoli del pianeta stanno per finire. Tornerà l’obbedienza negli obbedienti a Dio. Ma bisogna essere consapevoli dell’economia della Redenzione per voler essere obbedienti!
E poiché oggigiorno tutti discendiamo da Caino, tutti abbiamo bisogno di redenzione per poter riallacciare un rapporto di figli, sia pur adottivi, con Dio. Benché siamo parzialmente rievoluti grazie alla ricostruzione che Dio ha operato nell’uomo lungo il corso dei millenni immettendo, uno solo per volta, dei gameti perfetti, non abbiamo ancora raggiunto la perfezione iniziale dei Figli di Dio per poter accogliere lo Spirito di Dio nel momento del nostro concepimento. Solo Maria ha ricevuto direttamente da Dio nel proprio concepimento entrambi i gameti perfetti, per cui può legittimamente autoproclamarsi ‘Immacolata Concezione’: ‘Immacolata’, come tutti i Figli di Dio del ramo di Seth, poiché in Lei non è entrato alcun gene corrotto dal peccato originale, ‘Innocente’ perché non ha mai peccato. E, come tutti i Figli puri di Dio, Maria è anch’Ella Figlia di Dio. Nel suo concepimento Maria, essendo stata creata direttamente da Dio, ricalca la situazione di perfezione psicofisica di Adamo.
Maria ha dato alla luce Gesù che ha ereditato da Lei la sua Natura Umana perfetta. In quanto Uomo, Gesù ha ricevuto da Maria il gamete femminile e da Dio il gamete maschile creato per l’occasione dal Padre; in quanto Dio, Gesù è stato generato nello Spirito da Dio, e ha ricevuto da Dio-Padre la Sua Natura Divina.
Per questo Gesù era il solo ad avere un titolo adeguato per pagare il debito di Adamo. È sceso sulla terra, inoltre, per insegnarci come debba vivere un figlio adottivo di Dio e darci, se lo accogliamo, il germe del Suo stesso Spirito. Non solo: è venuto a guarire le nostre ataviche ferite dell’anima, ferite che abbiamo ereditato dall’animale Eva: gli istinti della bestia riassunti nei sette vizi capitali. Per sollevarci ha istituito i Sacramenti, vere medicine spirituali che, dopo il Battesimo, servono a ricostruire e a guarire l’uomo. Ci ha donato l’Eucarestia, che è vera trasfusione di Sangue e Carne perfetti e sani di Gesù e di Maria nei nostri corpi e nelle nostre menti malate, e ha ripristinato il Matrimonio come sacramento, in cui Dio viene nuovamente invitato a partecipare con la Sua potenza guaritrice alla riedificazione dei concepiti agendo sulla loro unità psicofisica. In altre parole, Gesù non ha eliminato le malattie genetiche, ma le ha rese spiritualmente impotenti alla preclusione della Grazia. Ci ha resi idonei, benché non perfetti, ad accogliere nuovamente lo Spirito di Dio, previa la nostra accoglienza. E tutto ciò con effetto retroattivo sulle generazioni passate. Abramo, redento a posteriori, ne è l’esempio.

La prima famiglia riunita nell’ora del pasto

L’aspetto dei Figli di Dio era imponente e allo stesso tempo armonioso. L’Uomo adulto era alto due metri e mezzo, la Donna adulta gli arrivava alla spalla. Erano di carnagione rosea, bellissimi, con occhi scuri, angolo facciale retto, capelli neri, lisci e lucidi: all’Uomo arrivavano alle spalle, alla Donna fino alla vita, legati dietro la nuca, poi sciolti. Avevano gambe lunghissime che misuravano la metà della loro altezza complessiva. Godevano anche di tutti i doni preternaturali e soprannaturali. Avevano un portamento regale.
Si dice nella Bibbia che i due fratelli offrivano i loro doni al Signore. Quel signore non era il Signore Iddio, ma il signor-padre-padrone Adamo. Abele, custode del pollaio, offre al padre le uova, Caino, addetto alla raccolta di frutta, porta le mele.
La scena si svolge nel solito cortiletto davanti al vano che ospita il focolare. Gli adulti indossano delle tuniche di pelle sostenute alla spalla. La Donna, diciottenne, è in attesa del suo secondogenito, Set. È bellissima, regale e allo stesso tempo umile e premurosa. Sta portando al marito del cibo cotto, ma, prima di porgerglielo, fa una doppia genuflessione davanti all’Uomo seduto che, sicuro di sé, non fa alcuna mossa per aiutarla ad alzarsi nonostante ella sia in avanzato stato di gravidanza. Anche i due figli maschi dell’Uomo si inginocchiano davanti al padre e gli porgono i loro doni. Poi si sistemano ai due lati. Caino, figlio di Adamo ed Eva, ha quindici anni, Abele, figlio di Adamo e della Donna, ne ha tre. L’altezza dei due fratellastri non differisce molto perché somaticamente appartengono a due specie diverse, essendo diverse le loro madri. Eva, la femmina ancestre, la partner di Adamo nel peccato originale, quella che nella Tradizione ebraica porta il nome di Lilith, in queste scene non è più presente. Evidentemente era stata allontanata dopo lo svezzamento di Caino. Quindi la Tradizione ebraica, nata ancor al tempo di Mosè e raccolta in Bereshit Rabbà, riconosce ad Adamo due mogli: la prima, Lilith, che generò mostri e diavoli, la seconda che generò uomini.
Abele è un bimbo vivace, roseo di pelle, grassoccio, tutto nudo, dal visino bellissimo e dalle forme perfette. Dopo aver offerto al padre il suo dono, salta agile sulla panca dov’è seduto l’Uomo, addenta la prima mela che al centro è guasta e la getta lontano. Scende veloce, ne prende una seconda, risale, l’addenta e vede che anche questa all’interno è marcia. Allora, con la mela in mano, sale sulla coscia del padre, si tiene alla spalla di lui e scaglia la mela guasta sulla testa del fratellastro che, coprendosi la testa con le lunghe braccia, stava sogghignando con sguardo maligno e divertito. La mela rimbalza frantumandosi in quattro o cinque pezzi. Allora Abele salta a terra e corre verso l’uscita del cortile, forse a cercare una mela buona.
A Caino quella fuga pare dettata dalla paura. Lo insegue posando a terra prima la mano sinistra, poi la destra a mo’ di pertiche. Con pochi balzi esce anch’egli dal cortile scomparendo dopo Abele. Di lì a un istante si odono le grida del piccino. La Donna sobbalza agitata e sprona il marito ad andare a vedere. Ma lui non si muove facendole capire che è stanco per il lavoro compiuto.

La morte di Abele

A quelle grida disperate di Abele e al diniego del marito di correre in suo aiuto, la giovane madre si precipita ma, fatti pochi passi, si arresta con evidenti segni di dolore. Poi, curvandosi, si sostiene con le mani il ventre, si accascia, poi alza le braccia al cielo in atto di supplica. Sta per partorire Set. Il marito allora con due balzi la raggiunge e la sostiene.
Don Guido vide la Donna soffrire per le doglie del parto. Dunque i dolori del parto erano naturali anche per le Figlie di Dio, solamente rientravano in un tipo di sofferenza più normale, accettabile. L’affermazione della Bibbia ‘partorirai con dolore’ riguarda unicamente le figlie degli uomini, cioè le donne ibride discendenti da Caino che, avendo in proporzione alle spalle un bacino più stretto ereditato dalla conformazione anatomica degli ancestri, avevano maggiori difficoltà, dolori e rischi a partorire figli ibridi con testa più grande del canale di parto, a causa delle diverse dimensioni dei nascituri ereditate dalla stirpe dei Figli di Dio.
Le tragiche scene dell’episodio che segue impressionarono molto don Guido. Al richiamo del bimbo alcuni cuccioli ancestri, più piccoli di Abele, erano accorsi in suo aiuto. Si agitavano molto cercando di liberare Abele dalla stretta di Caino che stava abusando di lui. Ma i piccoli soccorritori, tirando Abele per le tenere braccia, gliele slogano assommando così dolore a dolore. A quel punto entra in scena un ancestre adulto e fedele ai padroni che, con poche mosse, pugni e calci, libera Abele e costringe Caino ad allontanarsi. Ma il piccolo Abele cade e resta a terra esanime. I cuccioli disperati, poiché amavano il loro compagno di giochi, cercano più volte di rimetterlo in piedi sperando di farlo rivivere, ma il corpicino ricade sempre a terra senza vita. Allora l’ancestre adulto che era arrivato per ultimo solleva con tenerezza sulle sue lunghe braccia Abele e lo distende supino sul prato vicino al pollaio.
Arriva il padre che si era attardato per soccorrere la moglie che, per l’angoscia di sentire Abele in pericolo, aveva nel frattempo partorito. Quando arriva, Adamo trova il figlioletto già morto e i cuccioli disperati. A quella vista rimane immobile, impietrito, e una grossa ciocca di capelli neri gli si sbianca repentinamente per lo shock.
Don Guido osserva che gli ancestri di specie pura erano miti, docili e affezionati all’Uomo. Solo Caino era perverso e con istinti sessuali deviati perché era il risultato di una combinazione disordinata e squilibrata fra geni di specie diverse. Quindi la deviazione di Caino trova la sua causa nel peccato d’origine.
Dopo la morte di Abele Adamo esasperò il suo sentimento di non fiducia in Dio trasformandolo in vendetta contro di Lui, così da negarGli, per rivalsa, altri Figli. Imputava a Dio di non aver protetto Abele che, dopotutto, era un Figlio legittimo. Ma fu proprio lui, Adamo, che, avendo escluso Dio dalla propria vita e da quella di Caino, aveva impedito a Dio di intervenire. Così Dio non mitigò le conseguenze del peccato originale, e la discendenza di Adamo attraverso il ramo di Caino piombò nell’involuzione. Sappiamo però che Dio non abbandonò quella stirpe sfortunata e, dopo il diluvio che eliminò gli individui irrecuperabili, la portò ad un lento recupero con la creazione di nuovi gameti che attenuarono progressivamente i caratteri ancestrali.

Il responsabile della morte di Abele è Adamo

Spiega il Signore a don Guido: “L’autore del primo omicidio (Caino) è un uomo disperato, ma non è del tutto responsabile. Il vero responsabile è suo padre che, per la sua disobbedienza e presunzione, è la causa prima di tanti mali e del disordine del mondo. Il padre non lo ha ucciso, e non lo ucciderà, perché (Caino) è figlio di Uomo e uomo lui stesso. I difetti, e anche il comportamento aberrante della sessualità umana, sono dovuti alla disobbedienza presuntuosa del primo Uomo”.
Quindi Caino, nonostante il suo aspetto simile a quello degli ancestri, è un uomo. Lo contraddistinguono ‘la parola’ e il numero dei cromosomi degli uomini, 46, mentre gli ancestri ne hanno 48. Solo sua madre Eva ne ha 47, per esser stata creata idonea a portare le due gravidanze dei Figli di Dio. Da qui deduciamo che Eva, pure essendo animale, aveva un genoma compatibile con quello umano. Per questo Caino non sarà sterile. Lo sappiamo con certezza perché da lui discendiamo tutti noi.
Caino dunque parlava. Abbiamo visto che la parola era il segno che lo distingueva come uomo dagli ancestri che erano animali: era quel famoso ‘segno di Caino’ di cui ci narra la Genesi mosaica, perché non venisse scambiato per un ancestre e rischiasse di venir ucciso quando, dopo la morte di Abele, l’Uomo ne compirà lo sterminio per scongiurare l’eventualità che l’albero selvatico fosse toccato, o ‘mangiato’, ancora da altri Figli dell’Albero della Vita. Risparmiò Caino per ordine di Dio, perché la morte di un uomo appartiene solo a Dio. Così Adamo eliminò gli ancestri che erano miti e fedeli e cromosomicamente incompatibili con la specie umana, e perciò non creavano oggettivamente alcun pericolo di ibridazione. Ma Adamo questo non lo poteva sapere. Il pericolo poteva venire solo da Caino con i suoi 46 cromosomi, il quale era handicappato e squilibrato, ma che doveva essere risparmiato in quanto uomo. Evidentemente la presenza di Caino e della sua discendenza dovevano far parte del progetto redentivo che Dio aveva stabilito per poter salvare Adamo e quei Figli ribelli che vennero dopo di lui. Dio desiderava il loro ravvedimento.
Cacciato dal padre, Caino vagherà per luoghi limitrofi e incontrerà sua madre, Eva, dalla quale avrà dei figli. Con ironia don Guido descrive l’infelice coppia: “lei bestia simile a donna, lui uomo simile a bestia”. Noi, purtroppo, siamo anche figli di Eva.
Adamo, come sappiamo, non riconosce che la colpa prima di questo fratricidio è sua, per aver messo al mondo un incapace contro il volere di Dio. Perciò non chiede perdono a Dio. Anzi, si vendica riproponendosi di non generare altri Figli a Dio.
Abele viene sostituito da Set che nasce il giorno stesso della morte di Abele. Quindi ad Adamo rimangono due figli maschi, Caino, a immagine e somiglianza degli ancestri, e Set, a immagine e somiglianza di Adamo e della Donna. I due fratellastri hanno discendenze distinte: la prima, quella di Caino, la troviamo scritta al capitolo 4° della Genesi mosaica, la seconda, quella di Set, la troviamo al capitolo 5°.
Poiché dalla prima famiglia al Diluvio universale sono intercorse migliaia e migliaia di generazioni, i nomi dei Patriarchi antidiluviani potrebbero essere solo quelli più significativi, oppure potrebbero indicare semplicemente i fondatori di dinastie a cui questi fanno capo. Ricordiamo che questo capitolo, scritto originariamente da Mosè, è stato manipolato dai sacerdoti e dagli scribi ebrei reduci dalla cattività babilonese dopo che assorbirono alcune influenze della filosofia di quella terra. Per questo viene detto ‘scritto sacerdotale’.
Abbiamo visto che la Bibbia narra all’inizio del sesto capitolo della Genesi che “quando i Figli di Dio videro che alcune figlie degli uomini erano desiderabili ‘per avere conoscenza’, (ossia per avere rapporti generativi) le presero in moglie”. È più probabile, diceva don Guido, che le abbiano prese come concubine anziché come mogli, per avere da loro schiavi più forti e intelligenti. Così le due discendenze si mescolarono. Questo ripetersi del peccato originale fu chiamato ‘il secondo peccato’, più grave del primo perché fatto da Uomini consapevoli dell’esito di quei rapporti. Per questo Eva viene detta ‘la madre di tutti i viventi’ perché oggigiorno, a causa di questa totale mescolanza genetica, siamo diventati tutti discendenti di Adamo e di Eva. Siamo, cioè, tutti ibridi, ossia “animali di una nuova specie”, come disse il Signore a don Guido nell’ultima rivelazione. In conclusione, senza l’adozione a figli di Dio nel Battesimo siamo solo creature intelligenti.
Ricapitolando, poiché i due fratellastri hanno un unico padre, ma madri diverse, da Adamo sono partite due discendenze: una legittima che ha per capostipiti Adamo e la Donna, detta Albero della Vita, ovvero dei Figli di Dio; e una illegittima e ibrida, detta dei figli degli uomini, che ha per capostipiti Adamo ed Eva, la femmina definita albero genealogico selvatico, o meglio ‘albero della conoscenza del bene e del male’.
Al tempo del diluvio universale la discendenza dei Figli legittimi di Dio si era già estinta qui sulla Terra, perché Noè fu l’ultimo Figlio di Dio. I suoi figli non erano già più di sangue perfetto perché avuti da una sposa ibrida e solo dopo il diluvio cominciò la distinzione delle razze e la ricostruzione del genere umano.
Diceva don Guido che il razzismo è un sentimento umano, non di Dio che guarda il cuore e non l’aspetto. Egli vede in ognuno ciò che avrebbe dovuto essere senza il peccato originale e soffre per ciò che l’uomo è. Il colore bianco della pelle, che ai bianchi può sembrare un privilegio, può diventare un ostacolo alla loro salvezza, perché può ispirare pensieri di autocompiacimento e di orgoglio, mentre quello che a noi può sembrare un pregiudizio può rivelarsi un dono. Le doti sono distribuite equamente in tutte le etnie, segno che tutti i popoli hanno pari opportunità e che sono amati equamente dal Signore.

La ribellione di Adamo

Adamo non aveva voluto ascoltare il monito di Dio: “lascerai tuo padre e tua madre (ossia il branco che ti ha allevato) e ti unirai alla tua sposa e sarete una carne sola” (ossia una unica nuova specie, Gn 2,24). Quell’ordine di unirsi solo alla sua sposa era a protezione sua e per l’integrità della sua discendenza perché, con la nascita della bambina, Dio aveva concluso la Sua opera creatrice.
La Bibbia dice che il settimo giorno Dio si riposò. È un eufemismo, per dire che da quel momento Dio non sarebbe più intervenuto avendo raggiunto il Suo scopo: la creazione dei due capostipiti dei Figli di Dio.
Dio avvertì Adamo di non ‘mangiare dell’albero selvatico, cioè di astenersi di avere rapporti generativi con la femmina ancestre, perché ne sarebbe derivata la morte, ossia l’estinzione, per la sua specie pura, ma Adamo non Gli credette. Temeva che Dio fosse geloso della sua capacità procreativa e sospettava che lo volesse limitare. La sua esperienza lo portava a pensare che se da quella femmina ancestre, Eva, aveva avuto quella bella bambina, lui avrebbe potuto generare da essa altri figli sani e belli secondo la specie umana. Perciò non ebbe fiducia in Dio. Così non volle aspettare che la bambina crescesse. Anche per impazienza volle fare a modo suo.
Ma al momento della nascita di Caino Adamo dovette, giocoforza, riconoscere il suo errore. Ammise la sua disobbedienza, tuttavia con subdola malizia imputò a Dio la propria colpa perché, secondo lui, sarebbe stato proprio Dio ad averlo ingannato avendogli insegnato la via per avergli fatto generare da quella femmina ancestre-Eva una bambina umana bella e perfetta. Da colpevole, Adamo si considera lui stesso vittima. Così, dopo la morte di Abele, per colpire Dio al cuore Gli negò altri Figli. Voleva impedire che la specie umana potesse continuare.
Ma Dio non cambia un Suo progetto perché qualcuno Gli si oppone! Lo porta a compimento trovando altre soluzioni.
Riporto quanto pensava don Guido. Ben presto Adamo si sarebbe allontanato dal nucleo familiare lasciando soli la Donna e Set. Quando Set avrà raggiunto la pubertà – diceva don Guido – è verosimile che Dio abbia fatto scendere su entrambi un profondo sonno, come aveva già fatto una trentina d’anni prima con Adamo per fargli concepire la Donna. Da quell’incontro, unico e inconsapevole da parte di tutti e due, sarebbe nata la figlia di Set che, a tempo opportuno, sarebbe diventata sua moglie. L’incesto nelle prime tre o quattro generazioni era necessario e voluto da Dio per confermare i caratteri della specie. Non vi era altra possibilità perché Dio non crea mai una seconda volta ciò che ha già creato. Gli elementi necessari alla prosecuzione della specie c’erano già.
Questo passaggio per formare la seconda coppia in luogo della prima ce lo conferma la Bibbia stessa quando mostra, sempre secondo don Guido, che per la nascita del figlio di Set, Enos, sono dovute passare due generazioni in luogo di una: più o meno lo stesso intervallo di tempo che Adamo aveva dovuto attendere prima che sua figlia, la Donna, superasse la pubertà per generare Abele. Secondo don Guido era un segno evidente che anche Set, come Adamo, aveva dovuto aspettare che la propria figlia diventasse donna.
Per giungere a questa conclusione don Guido fece questo calcolo: osservando che il tempo intercorso tra la nascita di Adamo e quella di Abele era di circa 32 anni (15 per raggiungere la pubertà di Adamo, più il tempo della gravidanza di Eva per la nascita della Donna, più altri 15 anni per attendere la pubertà della Donna, più la sua gravidanza per la nascita di Abele), don Guido constatò che questo numero era all’incirca un quarto degli anni (130) indicati dalla Bibbia quando ad Adamo nacque il figlio Abele. Da ciò dedusse che l’unità di tempo usata dalla Bibbia non fosse espressa in anni, ma in stagioni: un banale errore linguistico sorto al tempo di re Salomone quando la Genesi fu messa per iscritto in lingua ebraica. Poiché solo i primogeniti di Adamo e di Set hanno tempi di attesa lunghi pressappoco il doppio degli altri discendenti maschi annoverati in Genesi, ecco che l’intuizione di don Guido troverebbe una conferma. Sempre secondo questo modo di calcolare il tempo, don Guido dedusse anche che la longevità media dei Patriarchi prediluviani era di poco superiore ai 200 anni.

Noi tutti, uomini, siamo animali

In una radura vicina ad una foresta don Guido vede un gruppo di esseri dall’aspetto ancestrale, ovvero simile a quello degli ancestri. Sono degli uomini ibridi discendenti di Caino. Le femmine stanno allattando i loro piccoli, i maschi di varie stature sono intenti a costruire una palizzata sotto la supervisione di un Figlio di Dio, un giovane Uomo discendente di Set alto due metri e mezzo come Adamo, che li ammaestra. Sono però diversi dagli ancestri di specie pura perché hanno un’altezza disuguale e maggiore dei primi, mentre le fosse nasali non sono più scoperte, ma parzialmente coperte. Hanno la stessa sagoma della testa, le stesse orecchie lanceolate che sporgono verticali 5 o 6 cm dal capo, la stessa conformazione del corpo coperto di pelo, ma mostrano una maggior destrezza e manualità e sanno usare una specie di ascia.
Don Guido comprende che sono passate molte generazioni dai fatti precedenti, proprio perché questi esseri appaiono più evoluti degli ancestri di specie pura.
Don Guido interviene e dice ad alta voce all’Uomo che li presiede: “Industrioso questo animale! E anche gli altri!”.
Con sua sorpresa l’ibrido più vicino gli risponde: “Tutti siamo animali!”, intendendo anche don Guido. Don Guido, stupito, replica rivolgendosi ancora all’Uomo: “Mi ha capito!”.
E l’ibrido di rimando: “Eh, sì! Sono un uomo!”.
L’Uomo gigante interviene: Sono uomini, discendenti dell’Uomo”.
Gli antropologi considerano questi uomini degli ominidi per il loro aspetto. Non immaginano che avessero l’uso della parola, che potessero parlare e che avessero una discreta intelligenza. E nemmeno che fossero quasi senza naso, che avessero delle orecchie siffatte, poiché nei reperti archeologici le parti molli sono destinate a scomparire.
Molti gruppi di questi ibridi non sopravvissero alle malattie, ai cambiamenti climatici, ai cataclismi, come quello descritto nella Bibbia col nome di Diluvio universale che cancellò dalla terra gli individui spiritualmente irrecuperabili.
Tuttavia il Signore non abbandonò mai gli uomini, anche dopo che i Figli di Dio si erano estinti su questa terra. Recuperò passo dopo passo l’umanità fino a quando essa divenne in grado di intendere e di volere. La ricostruì nel corpo e nell’anima con un processo lento e continuo. Attraverso i profeti la educò ad adorare l’unico Dio e al momento giusto, quando giudicò che avesse raggiunto una sufficiente maturità (quella che venne chiamata da S. Paolo ‘la pienezza dei tempi’), mandò Suo Figlio Gesù come Redentore perché potesse trasmettere il Suo Spirito a coloro che Lo avessero accolto. Gesù comunicò attraverso il Vangelo i Suoi principi con una morale non più umana ma divina, oggettiva, definitiva e non dipendente dal mutare dei tempi e dei luoghi.
Gesù istituì la Chiesa e le diede il mandato di evangelizzare, di risuscitare quelli che sono spiritualmente morti riconciliandoli con Dio, di scacciare i demoni, e infine di guarire la povera gente dalle malattie psicofisiche ereditate dal peccato originale. La Chiesa, attraverso la preghiera, l’imposizione delle mani, le benedizioni e soprattutto attraverso i Sacramenti (che sono come una dialisi spirituale e fisica con cui Dio rinnova il nostro corpo e il nostro sangue dalle inclinazioni ancestrali, goccia dopo goccia, con il Corpo e Sangue reali e perfetti di Gesù), è chiamata a compiere in nome di Gesù una seconda creazione.

La Fede e la vera Scienza nascono entrambe da Dio

Molto si è discusso su quale delle due, Fede o Scienza, abbia un primato sull’altra. Sono diatribe illogiche e inconsistenti poiché la vera Scienza non potrà mai essere in contrasto con la Fede perché provengono entrambe da Dio. Hanno però ruoli diversi. La Fede dà le coordinate a tutta la conoscenza spingendosi in campo metafisico e spirituale; la Scienza, che deve essere obiettiva e veritiera, ha il compito di migliorare le condizioni psicofisiche e materiali dell’uomo per condurlo a una relativa felicità già in questa vita.
Ciò che ha distolto il pensiero da Dio negli ultimi secoli è la falsa scienza o una scienza parziale e settoriale. Influenzati dalla convinzione che la scienza dovesse sradicarsi dalla Fede per essere valida, molti studiosi iniziarono a contestare la Fede. Da un certo umanesimo sempre meno cristiano, che mise al centro della vita l’uomo al posto di Dio, si passò ben presto ad una visione illuministica per cui l’uomo si illuse di poter fare tutto senza Dio, a volte perfino contro Dio. Negare Dio era diventato un vanto intellettuale. Così si giunse a dare un arbitrario primato all’ideologia sia sulla Scienza che sulla Fede: si giunse agli errori degli ultimi due secoli e di oggi.
Un prodotto dell’ideologia illuminista è l’evoluzionismo. Nato con Darwin, che però non intendeva contestare la Fede, l’evoluzionismo si staccò ben presto dalle sue origini darwiniane per diventare neoevoluzionismo, il cui obiettivo era invece combattere la Fede. Si affermò che la natura si evolve da sola, ‘per caso’, e del caso si fece una bandiera. Si affermò che l’uomo deriva dalla scimmia per spontanea evoluzione e si sostenne questa tesi mostrando reperti di transizione più o meno veritieri. La scienza divenne a questo punto un’arma impropria contro la Fede.
L’ambiente e la selezione avrebbero avuto un ruolo determinante nella trasformazione di una specie in un’altra, contravvenendo a quanto dice la Genesi con risoluta insistenza che “ogni specie si moltiplica secondo la propria specie”. Non si tenne in debito conto che fra le scimmie e l’uomo vi è un salto da 48 a 46 cromosomi. Per alcuni decenni ciò sembrò un fatto irrilevante, perché si pensava che la scienza prima o poi avrebbe dimostrato come quel salto fosse possibile; ma più la scienza approfondiva il problema, più si constatò che quella eventualità era praticamente impossibile.
La riduzione cromosomica è la pietra contro la quale l’evoluzionismo si è infranto. Uno studio onesto e libero da pregiudizi, condotto da menti non condizionate dall’ideologia, ha dimostrato in modo inequivocabile che ogni sottrazione o aggiunta di un cromosoma, o soltanto di una parte di esso, porta ‘sempre’ malformazioni significative, se non addirittura l’impossibilità della vita.
Il grande salto qualitativo nella ricerca in questo settore è stato possibile grazie alla scoperta dei funzionamenti della cellula attraverso la biologia molecolare che è una disciplina assai recente. Tutte le sindromi genetiche accadono quando nella prima cellula del nuovo individuo, cioè nello zigote, si crea una disarmonia che aumenti o sottragga materiale genetico. Allora si instaura automaticamente una sindrome che nella maggior parte dei casi porta addirittura all’espulsione automatica dell’embrione.
Ora, per passare dal numero dei cromosomi della scimmia a quelli dell’uomo, occorrerebbe che si potesse passare senza danni al nuovo individuo dai 48 ai 47 e poi ancora dai 47 ai 46 cromosomi, ma non è così. Se in un individuo della specie umana si toglie un cromosoma riducendo il numero complessivo dei cromosomi da 46 a 45, abbiamo una monosomia, ossia un solo cromosoma al posto di una coppia. Nessuna riduzione di un cromosoma in una qualsiasi coppia di cromosomi dalla prima alla ventiduesima, cioè in tutte le coppie di cromosomi che codificano prevalentemente i caratteri somatici, consente l’attecchimento dell’ovulo fecondato, impedendo così il buon esito del concepimento. Solo nella coppia 23, la coppia che determina il sesso e che ha i cromosomi xy per il maschio e xx per la femmina, si trovano casi di monosomia, cioè la perdita di un cromosoma e, guarda caso, i feti che sopravvivono alla nascita sono tutte femmine. Uno studio statistico ha preso in esame un campione di 100.000 concepimenti presi a caso. Di questi solo 1350 dimostrano una monosomia, e questi 1350 casi appartengono tutti alla coppia 23. Non solo. Di questi 1350 casi solo 8, e tutte femmine, sopravvissero fino alla nascita, mentre tutti gli altri finirono in aborti spontanei. Inoltre l’aspettativa di vita di questi 8 feti sopravvissuti durante la gravidanza si mostrò ridottissima, e tutte queste femmine, una volta nate, dimostrano incapacità riproduttive per mancanza di compiutezza degli organi riproduttivi. (Da “Genetics Analysis of Genes and Genomes” di Daniel L. Harti e Elizabeth W. Jones, edito da Jones and Bartbett, VI Edition, table n. 8.2 pag. 309). Questo studio ha dimostrato che la riduzione cromosomica non esiste in natura e che il passaggio dalla scimmia all’uomo è solo un’ideologia.
Ci sono poi i casi di trisomie, ossia quando al posto di una coppia di cromosomi c’è un cromosoma in più. Le trisomie non sono l’effetto di una riduzione da 48 a 47 cromosomi ma, date le malformazioni che ne derivano, ci confermano l’origine ibrida dell’attuale specie umana che ha avuto per padre Caino con i suoi 46 cromosomi e per madre Eva con i suoi 47.
Alcuni portatori di trisomie sopravvivono alla nascita, ma tutti presentano gravi sindromi genetiche con profonde malformazioni e con bassa aspettativa di vita.
Quindi, pensare che la specie umana derivi spontaneamente da quella delle scimmie è pura fantasia, perché nella realtà questa possibilità non esiste. Inoltre, si dovrebbe presumere che la riduzione cromosomica porti delle migliorie alla specie, mentre constatiamo che è sempre estremamente invalidante e peggiorativa.
Infine bisognerebbe che due scimmie, maschio e femmina, avessero avuto ‘casualmente’ un cromosoma in meno, che ‘casualmente’ si fossero incontrate e che ‘casualmente’ non avessero trasmesso sindromi genetiche di alcun genere ai loro figli, il che è praticamente impossibile. Ecco dunque che la Genesi dimostra di essere veritiera anche in campo scientifico quando afferma che ogni specie può riprodursi solo entro i limiti della specie stessa.
Diciamo infine che la gestione della vita appartiene a Dio e non all’uomo. Questo è un limite che il primo Uomo ha voluto infrangere, e il risultato è stato Caino. Ora nei laboratori di genetica si sta sperimentando ogni genere di ibridazione, saltando perfino dal regno animale a quello vegetale. I mostri che ne derivano non sono una conquista, ma un abuso che non può chiamarsi scienza! Pensiamo forse che Dio sorvoli su queste atrocità e lasci che l’uomo agisca impunemente mettendo a soqquadro l’umanità e la natura? Dovrà per forza intervenire perché tutta la Sua creazione, già manomessa alle origini, non sia del tutto distrutta. Cancellerà tutto l’inquinamento ideologico e materiale per sostituirlo con una nuova creazione, riconducendo l’uomo verso la perfezione delle origini
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http://www.donguidobortoluzzi.com/lopera-di-don-guido-bortoluzzi/
AMDG et DVM

La creazione mediata - 2

La creazione mediata

Tutte le specie, quella umana compresa, sono state create non adulte, ma in seme, cioè come prima cellula del primo e poi del secondo esemplare. Questa è stata la regola con cui il Signore ha creato ogni specie di esseri viventi. Perciò è sempre stato necessario disporre, ancor prima, di un luogo dove poter far germogliare queste cellule e far crescere il feto fino alla nascita. Per ottenere questo risultato il Signore si è sempre servito dell’utero di una femmina di una specie già esistente, la più somigliante a quella che voleva innestare, e questa femmina fu usata come ‘incubatrice biologica’.
La prassi richiedeva due passaggi, prima creando lo zigote, cioè il gamete femminile e quello maschile insieme, del primo esemplare della nuova specie; poi creando solo il gamete che fecondasse il gamete che questo nuovo esemplare avrebbe prodotto naturalmente appena raggiunta la maturità sessuale. Nessun gene della femmina usata come ‘incubatrice biologica’ passò mai al feto della nuova specie, ma passò solo il nutrimento. Questo concetto è assai importante. Quindi Dio ha sempre usato la creazione diretta per ogni specie. Una volta creati i primi due esemplari la specie era fatta e doveva moltiplicarsi secondo la propria specie. Come conseguenza logica nelle prime generazioni era necessario l’incesto per mantenere intatti i caratteri della specie. Quinto giorno.
Mentre per tutti gli animali Dio creò sempre prima la femmina e poi il maschio, per la specie umana creò prima il maschio Adamo, perché proteggesse la Donna nella sua tenera età: una premurosa attenzione di Dio.
Anche per la creazione del primo Uomo e della prima Donna c’era dunque bisogno di una ‘incubatrice biologica’. E perché la loro prima cellula potesse sopravvivere e alimentarsi, il Signore ha usato come incubatrice l’utero di una femmina di una specie già esistente, una specie intermedia fra le scimmie e l’Uomo. Gli appartenenti a questa specie intermedia il Signore li chiamò “ancestri”. Non erano dunque uomini, ma animali a stazione eretta, più intelligenti del cane, ma pur sempre animali, e senza l’uso della parola.
L’aspetto degli ancestri era alquanto sgraziato. Erano alti circa un metro e dieci i maschi, le femmine un metro. Camminavano su due gambe cortissime tali da parer in ginocchio; erano pelosi d’un pelo scuro e arruffato su una pelle color rame brunito. Avevano un muso piatto con bocca larga fino quasi agli orecchi, labbra sottili, canini più lunghi degli altri denti, cranio schiacciato, ed erano senza naso con le fosse nasali scoperte. I maschi avevano orecchi lunghi, appuntiti e verticali che sporgevano 5/6 cm sopra il capo, mentre le femmine avevano orecchi orizzontali e penzolanti come quelli delle pecore. Avevano piedi larghi e tozzi e braccia lunghissime fino a metà del polpaccio. Le mani erano lunghe con il pollice opponibile e unghie robuste e ricurve. Avevano secondo don Guido 48 cromosomi come le scimmie perché erano geneticamente incompatibili con l’Uomo. Erano stati voluti da Dio per essere d’ausilio all’Uomo nelle fatiche dei campi, nel trasporto di pietre o in qualunque altro compito che richiedesse anche un po’ d’ingegno. Questa specie allo stato puro ora è scomparsa perché vive fusa nell’uomo.
La femmina ancestre predisposta dal Signore per essere l’incubatrice della prima coppia umana era eccezionalmente giallastra e senza pelo, forse per agevolare l’allattamento. Perciò appariva meno brutta delle altre femmine della sua specie. Aveva il tronco di una donna, ma la testa e gli arti erano simili a quelli delle sue sorelle ancestri, esclusa la mancanza di pelo.
Aveva eccezionalmente 47 cromosomi (uno in meno degli individui della sua specie e uno in più della specie umana), creata da Dio con geni compatibili con il DNA umano, cosa necessaria per evitare il rigetto di un feto umano durante la gestazione. Questa particolarità, come si vedrà, la rendeva idonea a concepire sia dall’Uomo che dal maschio della sua specie. Ed è su di lei che don Guido vide scendere dall’alto, come un puntino illuminato, lo zigote, ossia la prima cellula completa che diede origine al primo Uomo.
Quel puntino bianco era illuminato, non luminoso. Ciò significa che non aveva luce propria, ma che prendeva luce da una sorgente esterna, cioè da Dio. Tuttavia era illuminato, e non semplicemente colorato, per farci comprendere che aveva una Vita non solo fisica, ma anche spirituale: c’era in quel puntino anche lo Spirito di Dio.
Mentre tutti gli animali hanno solo un corpo fisico ed una psiche, sia pur molto semplice, l’Uomo e la Donna originari e perfetti, e i loro discendenti legittimi che la Genesi chiama ‘i Figli di Dio’, avevano anche lo Spirito di Dio: erano cioè trinitari, composti di corpo, anima e Spirito. Erano, a tutti gli effetti, Suoi Figli legittimi. I loro requisiti rispecchiavano ogni perfezione. Il loro aspetto era maestoso. Alti due metri e mezzo gli Uomini e poco meno le Donne, erano bellissimi, iperdotati nel fisico e nella psiche. Avevano tutti i doni preternaturali e soprannaturali, un’intelligenza elevatissima e un perfetto controllo della loro volontà. Erano perciò idonei a ricevere e trattenere lo Spirito di Dio. Lo Spirito di Dio nell’Uomo è una particella di Dio stesso, dello stesso Dio che ha creato tutto ciò che esiste. Quindi l’Uomo originario e perfetto portava in sé una scintilla di Vita divina.
Tutto il creato è immerso in Dio, ma nei Suoi Figli Dio era presente in modo speciale, era presente con una parte di Se stesso: con il Suo stesso Spirito. Questo non era avvenuto prima in nessun altro essere della natura: avvenne solo nell’Uomo e nella Donna originari e perfetti e nei loro discendenti legittimi. In altre parole, Dio ha donato loro un frammento della Sua stessa Vita divina. Perciò i Figli di Dio, avendo per loro costituzione lo Spirito di Dio, sotto questo aspetto erano divini.
È bene che approfondiamo cosa intendiamo per Spirito. Lo Spirito è come l’Anima dell’anima.
E allora, che cos’è l’anima? L’anima è la parte invisibile che si eredita, per via genetica, dai genitori. Per esempio, un figlio non eredita dai genitori solo il colore degli occhi o dei capelli, la statura, la carnagione, i lineamenti, ma eredita anche certe doti o alcuni difetti. Può ereditare il senso musicale, la manualità o la predisposizione alle attività artistiche; può ereditare la sensibilità o la mancanza di sensibilità; può ereditare il carattere; può ereditare dei gusti o un aspetto dell’intelligenza piuttosto che un altro. Perché ci sono varie forme d’intelligenza e non è detto che chi ne possiede una ne possieda anche un’altra. Tutte queste qualità che non sono fisiche, ma che tuttavia si trasmettono per via genetica, fanno parte dell’anima che gli antichi greci chiamavano ‘psiche’. Anche gli animali hanno una loro psiche, quindi hanno un’anima animale.
Lo Spirito invece è tutt’altra cosa. Non si trasmette per via genetica, ma viene generato dall’Alto, direttamente da Dio. Per gli originari Figli di Dio lo Spirito entrava nell’Uomo nell’attimo del concepimento; invece noi, figli degli uomini che abbiamo perso la perfezione iniziale con il peccato d’origine e con essa lo Spirito (Gn 6,3), lo riacquistiamo nel momento in cui diventiamo figli ‘adottivi’ di Dio in Gesù con il Battesimo. È Gesù che ci genera in Spirito quali figli adottivi del Padre. Se volessimo raffigurare l’anima e lo Spirito, potremmo dire che l’anima è la coppa dentro la quale Dio versa il Suo Spirito.
Il Signore, esauriente come sempre nelle Sue spiegazioni, ci ha dato anche le coordinate del luogo dove la prima famiglia umana è stata creata. Zoomando l’emisfero settentrionale con cerchi concentrici, Egli ridusse a don Guido la visuale ad un punto: il luogo dove oggi sorge Mossul, presso l’antica Ninive (nell’Iraq settentrionale), terra a quel tempo lussureggiante, con foreste, ampie e rigogliose praterie con messi spontanee e frequenti corsi d’acqua.

La femmina ancestre partorisce la prima Donna

Ritorniamo alla femmina ancestre che ha ricevuto nel suo utero, da Dio, la prima cellula del primo Uomo unita allo Spirito. Dopo aver partorito il primo Uomo, questa femmina partorisce, 15 anni più tardi, anche la prima Donna. Dio dunque attese che l’Uomo avesse superato la pubertà perché voleva che ne fosse il padre. Voleva che Adamo fosse il capostipite dell’intera umanità, quindi anche della prima Donna.
Ma non è tutto: la Donna fu concepita anche dall’ovulo che il Signore stesso aveva predisposto nell’utero di quella stessa femmina ancestre. Mentre Dio era intervenuto nel concepimento dell’Uomo con la creazione di entrambi i gameti, in quello della Donna Dio era intervenuto creando solo il gamete femminile, l’ovulo. Con questo atto si completa il sesto giorno.
La Bibbia dice che la Donna fu plasmata dalla costola di Adamo. Questo è un eufemismo per dire che fu concepita dal seme di Adamo, nel sonno, come dice la Bibbia, perché lui non se ne accorgesse. Il motivo di quel sonno era dovuto non solo ad una delicatezza di Dio nei confronti del giovane Uomo, ma anche ad una precauzione perché la cosa non doveva ripetersi. Perciò al tempo del concepimento della prima Donna, Adamo non aveva compreso quanto era accaduto. Lo capirà alla nascita della bambina.
Siamo nella piana ai piedi del promontorio sul quale si trova l’abitazione del giovane Uomo. La puerpera è semiseduta mentre la sua vecchia madre ancestre, che le ha fatto da levatrice, porge al giovane padre la neonata. Ma ora, vista la sua somiglianza con la piccina, si rende conto di esserne il papà e solleva la neonata al cielo come per dire a Dio che quella era sua figlia, che era sua proprietà. Un gesto non di amore o di riconoscenza, come tutti avremmo pensato, ma di arroganza e di superbia. La frase biblica che gli viene attribuita “Questa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa” non è un atto di ringraziamento a Dio, bensì la rivendicazione di ciò che ritiene esclusivamente suo. È da quel momento che nasce in Adamo la tentazione di avere dalla stessa femmina ancestre altri figli altrettanto belli che siano totalmente suoi, escludendo Dio. Crede di aver carpito a Dio il segreto della vita. Non sa che in quel concepimento Dio era intervenuto creando un ovulo della specie umana perfetta. Pensa che solo il padre dia origine alla nuova creatura, come il seme che germoglia nel solco della terra. Perciò non crede al Signore che gli raccomanda di non toccare, né mangiare, ovvero ‘conoscere’ (perché ‘mangiare’ o ‘conoscere’ in senso biblico significa ‘avere rapporti generativi’) mai più quella femmina, perché senza l’intervento di Dio ne sarebbe derivata la morte, ossia l’estinzione della sua specie perfetta. La prima caduta di Adamo è quella di non essersi fidato di Dio!
La Bibbia dice che due erano gli alberi in mezzo al giardino, ossia in evidenza, nel paradiso terrestre: “l’Albero della Vita” e “l’albero della conoscenza del bene e del male”. Sono due espressioni metaforiche. Per albero si intende ‘albero genealogico’. Poiché la femmina ancestre poteva dare sia frutti buoni (del bene), perché aveva partorito con l’intervento di Dio i primi due Figli di Dio, sia frutti cattivi (del male), poiché partorirà Caino concepito senza l’intervento di Dio, è lei per Adamo l’albero della conoscenza del bene e del male. Infatti Adamo, diffidente verso Dio pensando che fosse un Dio geloso della sua capacità procreativa, attuerà ugualmente il suo piano disobbediente mirato a generare da quella femmina ancestre degli altri figli, tutti suoi, escludendo di proposito Dio. Non sapeva che Dio aveva posto nell’utero di quella femmina ancestre i gameti necessari al concepimento sia suo che della neonata e che Dio aveva così terminato la Sua opera creatrice. In quelle due occasioni, infatti, nessun gene era passato da quella femmina ancestre ai feti, solo il nutrimento. Ma senza l’intervento di Dio un nuovo concepimento avrebbe dato come esito un figlio ibrido. Così quella femmina ancestre che aveva partorito ‘in bene’ prima lui e poi la Donna, genererà ad Adamo ‘in male’ un frutto cattivo, cioè ibrido: Caino. Ecco cosa significa ‘albero della conoscenza del bene e del male’. Perciò il Signore gli aveva ordinato ‘di non mangiare’ di quell’albero.
Ora che abbiamo visto che cos’era il secondo albero, vediamo cosa significa ‘Albero della Vita’. Per ‘Vita’ si intende la Vita spirituale, non quella fisica. Infatti la creazione dell’Uomo, e con lui della Donna, ha portato una novità assoluta sul pianeta terra: la presenza dello Spirito di Dio nei Figli di Dio. Questi ultimi, e i loro discendenti legittimi, appartenevano all’Albero della Vita.
Anche i Figli di Dio morivano fisicamente, perché chi nasce muore, diceva don Guido, cioè passa dall’altra parte della vita. Ma in questo episodio della Genesi e in molti altri passi della Bibbia l’espressione ‘morte’ ha un significato spirituale: è spiritualmente morto chi non possiede lo Spirito di Dio.
I Figli di Dio dopo la morte fisica erano destinati a salire al cielo in Spirito, anima e corpo, sebbene in altra dimensione, come la Vergine Maria che sperimentò la dormizione; i disobbedienti, invece, dopo la morte fisica dovevano affrontare la loro purificazione.

Adamo coglie un favo di miele

La Bibbia dice che l’Uomo avrebbe dovuto “lasciare suo padre e sua madre”, ossia il branco degli ancestri nel quale era stato allevato, per formare con la neonata, una volta cresciuta, una sola carne, ossia la nuova specie, quella umana. È un altro eufemismo per dire che l’Uomo avrebbe dovuto tener lontana la femmina ancestre dalla sua abitazione allo scopo di evitare l’occasione di lasciarsi sedurre dalla tentazione, ossia di illudersi di avere da quella femmina altri figli simili a sé. Infatti, con la nascita della bambina, l’opera creatrice di Dio era finita e Dio non sarebbe più intervenuto, avendo raggiunto il Suo scopo: la creazione dei capostipiti della specie umana perfetta. L’espressione della Bibbia ‘nel settimo giorno Dio si riposò’ è un altro eufemismo perché Dio non si stanca quando crea: vuol dire che dopo la nascita della prima Donna Dio si astenne dal creare altre nuove specie superiori a quella umana.
Riconsegnata la neonata alla femmina ancestre, ‘incubatrice biologica’ della piccina, Adamo si allontana per cogliere un favo di miele da portarle in dono. Il suo intento era di distrarla in modo da portarle via la bambina. È probabile che questo sia stato un comando di Dio per evitare un’inopportuna convivenza. Al latte poteva supplire con quello di altri animali domestici.
La scena della raccolta del favo è significativa: a quegli strappi uno sciame di api lo assale e lo punge ovunque. Le smorfie sul suo volto rivelano che egli sente dolore. Il viso gli diventa arrossato e tumefatto. Dunque i dolori fisici c’erano già prima del peccato originale. Infatti non è a quelli che si riferisce la Genesi quando parla dei dolori che avrebbero raggiunto l’umanità a causa della disobbedienza. Certi dolori, come quelli legati a lesioni o a ustioni, sono cautelativi perché impediscono che uno si ferisca o si bruci senza accorgersene. I dolori a cui si riferisce la Bibbia sono invece quelli dovuti alle malattie genetiche derivate dal compenetrarsi di cromosomi delle due specie, cioè alle malattie fisiche e psichiche conseguenti al peccato originale che accadrà tra poco, oltre all’abbassamento del quoziente intellettivo.

La femmina ancestre mangia il favo che le è stato donato

Adamo consegna il favo di miele alla femmina ancestre che, addentandone e strappandone un grosso boccone, dimostra di averlo molto gradito. Dalla sua larga bocca cadono molti fili di miele vischioso e trasparente. Masticava molto volentieri, ma non era bella a vedersi. Aveva il palato piatto e le labbra sottili e larghe fino alla radice delle mascelle. I capelli erano castano scuro e opachi, corti a caschetto: evidentemente non le crescevano più di così. Le orecchie larghe e sporgenti erano ripiegate verso la punta e le uscivano dai capelli. Aveva la carnagione giallastra e le lunghe dita terminavano in unghie robuste e adunche. Era glabra, con poco pelo solo all’inizio degli arti, a differenza delle sue sorelle di pelle rosso-rame e interamente coperte di pelo arruffato e scuro. Le gambe erano cortissime: un terzo della sua statura, mentre le lunghe braccia le arrivavano a metà polpaccio.
Tuttavia aveva dimostrato uno spiccato senso materno se aveva nutrito e allevato l’Uomo nei suoi primi anni di vita. Non aveva l’uso della parola, ma emetteva suoni scomposti accompagnati da vibrazioni della lunga lingua che allungava in modo sgraziato. I suoi denti erano bianchi e ben allineati, ma i canini erano più lunghi degli incisivi e dei molari.
La fronte era bassa, il mento sfuggente, gli occhi sporgenti e il capo schiacciato. Il suo viso piatto con le narici scoperte le dava un aspetto sinistro che ricordava vagamente quello di un serpente. Perciò Mosè con non poca ironia la soprannominò ‘serpente’, anche perché era effettivamente l’animale più intelligente e astuto di tutti quelli presenti in quel luogo. Comunicava solo con il suo atteggiamento e con il suono della voce perché non aveva l’uso della parola.
Lo stratagemma del favo ha funzionato, e mentre essa avida era intenta a mangiare il miele, il giovane padre le porta via la figlioletta. Egli sa che avrebbe potuto nutrirla ugualmente con il latte di cangura, perché i canguri a quei tempi erano presenti in quel sito ed erano addomesticati.
Così, approfittando della sua distrazione, le sottrae la neonata e s’incammina, poi corre per il viottolo che sale lungo il lato scosceso della collina verso la propria abitazione.
A quel punto la femmina scatta in piedi furiosa. Gli occhi grossi sembrano uscirle dalle orbite. Le labbra tirate mostrano tutte intere le due file di denti fino alla radice delle mascelle. La lingua appuntita e la gola vibrano. Urla. Anche gli enormi orecchi vibrano fuori dalla cortina di capelli disordinati.

Colluttazione fra la femmina ancestre e Adamo

Infuriata per essersi lasciata rapire la sua creatura, la femmina pone la mano sinistra a terra e, servendosi del lungo braccio come fosse una pertica, spicca un salto dopo l’altro agilmente, sale anch’essa per il sentiero, raggiunge il giovane Uomo e lo assale presso un passo pericoloso. Egli tiene alta la bimba con la mano destra accostata alla spalla e con la sinistra cerca di difendersi. Ma essa, con quegli unghioni lunghi, forti e ovali, gli produce dei solchi profondi e sanguinanti dalla spalla al femore sinistro, dalla gola al ventre.
Il giovane reagisce e con la mano sinistra tenta di allontanarla. Ma essa gliela afferra e la morde profondamente. I denti canini penetrano nel dorso e nel palmo. A quel punto il giovane padre le fa uno sgambetto e la fa rovesciare verso la scarpata ed essa sparisce. Poi Adamo, insanguinato e piangente, con la piccina in mano riprende il sentiero.
Il Signore commenta: “Quella femmina sarà il dèmone per l’uomo. Con il suo sangue di albero (genealogico) selvatico corromperà il sangue perfetto dei Figli di Dio, quando l’Uomo, che già l’aveva conosciuta ‘in bene’, vorrà conoscerla ‘in male’ (fuori dal progetto di Dio per avere dei figli tutti suoi). È lei ‘il serpente’ che condurrà l’umanità a perdere la propria integrità fisica e psichica di specie perfetta per farla sopravvivere allo stato di ominide a causa dell’ibridazione della specie umana e della prevalenza numerica dei nati con caratteri ancestrali”.
Queste affermazioni sono la previsione del futuro peccato originale e delle sue conseguenze. Infatti il giovane padre, considerando che dopotutto questa femmina era stata con lui premurosa e solerte come una madre e che avrebbe potuto allattare la piccina con altrettanta cura, la riammette nella sua abitazione.
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AMDG et DVM