"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
lunedì 6 gennaio 2020
domenica 5 gennaio 2020
CRISTIANI MASSACRATI IN AFRICA A NATALE
CRISTIANI MASSACRATI IN AFRICA A NATALE DAI JIHADISTI. MA NON INTERESSANO A NESSUNO PERCHE’ NON SONO MIGRANTI E NON POSSONO ESSERE USATI CONTRO “I SOVRANISTI”
29 Dic, 2019
Il giorno di Natale, in Nigeria, lo Stato islamico – secondo quanto riferisce l’agenzia Asianews – ha “decapitato” 11 cristiani, che erano stati da loro catturati. I Jihadisti hanno rivendicato la strage come “messaggio ai cristiani del mondo intero”. Anche alla vigilia di Natale, in un villaggio cristiano vicino a Chibok, avevano ucciso sette persone e avevano rapito un giovane.
Tuttavia questo macello del terrorismo musulmano non sembra interessare ai nostri media e ai governi dell’Occidente (con l’eccezione di Boris Johnson che in questi giorni ha tuonato contro le persecuzioni ai cristiani e contro il boicottaggio a Israele).
A quanto pare solo se muoiono sui gommoni che affondano davanti alle coste libiche, in partenza verso l’Italia, le popolazioni africane fanno notizia e infiammano la coscienza dei “buoni” e degli umanitari.
La notizia degli undici cristiani decapitati a Natale e dei sette uccisi il giorno prima è caduta nella generale indifferenza (come altri episodi analoghi negli anni scorsi). Niente prime pagine, né titoloni. Niente proclami accorati di Bergoglio, che parla spesso di popolazioni africane, ma solo se si trasformano in migranti che vogliono arrivare in Italia e possono essere evocati contro Salvini e contro i cosiddetti “sovranisti”.
Per la povera gente dell’Africa che muore ammazzata nella sua terra non si accendono i riflettori, tanto più se sono cristiani (uccisi in quanto cristiani) e se a massacrarli sono gli islamisti. In Vaticano per loro nessuno s’indigna.
Eppure queste ultime stragi fanno parte di quella guerra, scatenata dai musulmani di Boko Haram e altri gruppi jihadisti, che in Nigeria, negli ultimi dieci anni, secondo i dati dell’Onu, ha fatto circa 36 mila vittime e due milioni di sfollati.
I cristiani sono il gruppo umano più perseguitato del pianeta. Secondo l’ultimo rapporto della World Watch List del 2019 sono saliti a 245 milioni i fedeli di Cristo che subiscono persecuzione. Su 150 Paesi monitorati, ben 73 mostrano un livello di persecuzione “alta, molto alta o estrema”. L’anno precedente erano 58.
Anche i martiri cristiani – uccisi per la loro fede – sono cresciuti: dai 3.066 del 2017 ai 4.305 del 2018. È un dramma che va avanti da anni, ma che da noi sembra aver commosso e indignato – ad esempio – più il mondo ebraico che le gerarchie clericali.
Tempo fa il Rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni lanciò l’allarme su queste persecuzioni che sembrano lasciare indifferente l’Occidente. Il mondo ebraico ben conosce la persecuzione, nella sua storia, così Di Segni intervenne sul “Foglio” con un articolo intitolato: “Colpevoli silenzi e reazioni insufficienti dietro il dramma dei cristiani”.
Scriveva: “La comunità ebraica non può rimanere indifferente davanti alle persecuzioni religiose che colpiscono oggi i cristiani in molte parti del mondo”.
Ma subito segnalava una strana “rimozione” collettiva: “La persecuzione dei cristiani, in un paese cristiano come l’Italia, non è notizia che solleva attenzione, l’attenzione che merita. O forse sono i sistemi di informazione che non la mettono al centro dell’attenzione”.
Poi aggiungeva qualcosa sulla Chiesa: “Si rimane perplessi dalla timidezza delle reazioni cristiane davanti all’entità degli orrori. Nell’esperienza della comunità ebraica, purtroppo vi sono stati tanti episodi recenti di intolleranza antisemitica; li abbiamo denunciati con forza e abbiamo ricevuto la solidarietà e la simpatia di molti. Per i cristiani perseguitati avremmo voluto dimostrare la nostra simpatia e solidarietà scendendo in piazza e manifestare, come molti hanno fatto per noi. Trovare qualcuno a cui esprimere solidarietà, per non parlare di una sponda organizzativa, è stata un’ardua impresa”.
Sono parole misurate, ma la sostanza è impressionante. Il Vaticano è insofferente di fronte a chi gli chiede di intervenire in difesa dei cristiani perseguitati. Non è animato dalla volontà di soccorrere i perseguitati, ma dal desiderio di non dispiacere né al mondo musulmano, né al mondo comunista.
Questo è anche il motivo dell’incredibile silenzio di Bergoglio sulle manifestazioni di massa a Hong Kong dove i cattolici sono stati in prima fila in difesa della libertà della città dal regime comunista di Pechino (a cui, peraltro, Bergoglio ha praticamente sottomesso la Chiesa perseguitata con il recente controverso accordo, contestato dagli eroici cattolici cinesi).
E’ uno strano silenzio, quello su Hong Kong, per un papa che a getto continuo interviene sulle questioni politiche di altri paesi, come l’Italia, dove i suoi attacchi ai “sovranisti” – anche durante le campagne elettorali – sono così faziosi da essere consonanti con quella Sinistra che, contro il centrodestra, lancia l’allarme fascismo (e che infatti esalta Bergoglio).
Di ritorno dal recente viaggio in Giappone, in aereo, Bergoglio non ha potuto più sfuggire alle domande dei giornalisti su Hong Kong, ma ha trovato il modo per eludere egualmente il problema dicendo che non conosceva abbastanza la situazione.
Una risposta imbarazzante, condita da parole di affetto per la Cina (“mi piacerebbe andare a Pechino, io amo la Cina”), che ha suscitato la gratitudine del portavoce del regime comunista e il deluso rammarico del leader pro democrazia di Hong Kong, Joshua Wong.
Bergoglio è, in genere, un sostenitore e propagandista delle cause del “pensiero unico” politicamente corretto (e sostanzialmente anticattolico). Ma non del cattolicesimo.
I cristiani – e specialmente quelli perseguitati – non vedono in lui un padre, né un loro difensore. Spesso nemmeno amico. Mentre si mostra amico di regimi persecutori come quello cinese.
Antonio Socci
Da “Libero”, 29 dicembre 2019
San Gerardo Maiella : Un’anima pura che ha visto Dio
Mosaico della Parrocchia San Gerardo Maiella, Fort Oglethorpe (Stati Uniti) |
Come un cristallo purissimo attraversato da intensi raggi di Sole, l'anima di San Gerardo Maiella lasciò passare la luce divina senza opporLe resistenza. Per questo, egli ha potuto, mentre era ancora in questa valle di lacrime, "vedere Dio"!
Suor Clara Isabel Morazzani Arráiz, EP
"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5, 8). Forse questa è una delle più belle frasi del Vangelo, e una delle più conosciute. Tuttavia, non sempre troviamo il significato più profondo voluto dal Divino Maestro nel pronunciarla. Di certo non si riferiva solo alla purezza dei Santi nel Cielo, né a quella per cui il cuore, ancor qui sulla Terra, è continuamente alla ricerca di Dio, ma anche alla visione che l'innocente possiede di tutte le creature, discernendo in loro un riflesso del Creatore.
Ora, secondo Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino e altri Dottori, è possibile per un uomo cominciare a godere, ancora in questa vita, dei premi promessi nel Discorso della Montagna. Circa la ricompensa dei puri, scrive il Dottor Angelico: "Con la visione purificata dal dono dell'intelligenza, Dio può, in un certo modo, esser visto".1
Se tutti i Santi raggiungono questa singolare verginità di spirito, in alcuni essa sembra brillare con maggior splendore, servendo da modello da imitare. Così avviene con San Gerardo Maiella, che nella sua breve esistenza di soli 29 anni lasciò alla Chiesa un esempio vivo di questa beatitudine. "O mio Dio, di tutte le virtù che Ti sono gradite, la mia preferita è la purezza di cuore"2 – ha scritto.
Percorrendo la sua storia, analizzando le sue virtù, i suoi miracoli e, soprattutto, le terribili sofferenze che dovette affrontare, abbiamo l'impressione di contemplare un cristallo purissimo attraversato da intensi raggi di Sole: la sua anima lasciò passare la luce divina senza opporLe resistenza. Per questo, egli ha potuto, mentre era ancora in questa valle di lacrime, "vedere Dio"!
Un bambino predestinato
Ultimo figlio di una pia famiglia, Gerardo nacque nella piccola città di Muro Lucano, vicino a Napoli, nell'aprile del 1726. Fin da molto giovane diede manifestazioni di essere un'anima prediletta dalla Provvidenza: non chiedeva mai di mangiare e, in alcuni giorni della settimana, arrivava a rifiutarlo, preannunciando i digiuni che avrebbe più tardi praticato e la sua celebre massima: "L'amore a Dio non entra nell'anima se lo stomaco è pieno".3
Il suo principale passatempo consisteva nell'erigere piccoli altari, adornandoli con candele e fiori; ma il suo luogo preferito era la cappella di Capodigiano, dedicata alla Santissima Vergine, distante da Muro circa 2 km.
Da qui tornò, una volta, portando un piccolo pane bianco. Alla mamma che gli chiese chi gli avesse dato l'alimento, rispose: "Il figlio di una bella signora col quale ho giocato".4
Siccome il fatto si ripeté quotidianamente per vari mesi, una delle sue sorelle lo seguì un giorno, senza che lui se ne accorgesse, e poté testimoniare il seguente spettacolo: appena Gerardo si inginocchiò ai piedi della statua di Maria, il Bambino Gesù scese dalle braccia di sua Madre per giocare con lui e, al momento di salutarlo, gli consegnò un pezzo di pane.
Di notte, scalava il campanile della cattedrale per introdurvisi attraverso le arcate delle campane e andare a pregare ai piedi del Santissimo SacramentoLa città di Muro, con in cima la Concattedrale di San Nicola |
La sua Prima Comunione non fu meno straordinaria: avendo ricevuto dal parroco una categorica risposta negativa, perché era ancora troppo piccolo per ricevere il Pane dei forti, il piccolo Gerardo si mise a singhiozzare in fondo alla chiesa. Quella stessa notte gli apparve San Michele Arcangelo e gli amministrò la Sacra Eucaristia!
Già nell'adolescenza, segno di contraddizione
A somiglianza di Nostro Signore Gesù Cristo, Gerardo fu, fin dai primi anni, un segno di contraddizione (cfr. Lc 2, 34) negli ambienti che frequentava. A causa della morte di suo padre, si vide obbligato a lavorare come apprendista di un sarto. Il padrone dello stabilimento si affezionò a lui; ma il capo dei dipendenti, al contrario, fu preso da antipatia per il giovinetto, proprio perché lo vedeva così pio. Lo accusava di essere un vagabondo, lo copriva di schiaffi, al punto che, una volta, gli fece perdere i sensi. Gerardo non si lamentava mai col padrone; anzi, era contento di patire per Gesù e ripeteva al suo carnefice: "Battimi, battimi ancora, che merito questo castigo"!5
Qualche tempo dopo, si mise a servizio di Mons. Albini, Vescovo di Lacedonia, noto per il suo carattere irascibile. Per tre anni Gerardo sopportò umiliazioni, reprimende, maltrattamenti... Una volta, fece cadere nella cisterna il mazzo di chiavi della residenza episcopale. Preso da una terribile afflizione, trovò solo una via d'uscita: fece scendere fino in fondo al pozzo, legata alla corda, una statua del Bambino Gesù, e nel contempo supplicava: "Solo Tu puoi aiutarmi... Se non vieni in mio soccorso, Monsignore mi sgriderà. Per favore, riportami la chiave!".6 Tirò la corda e – oh, meraviglia! – la statua aveva le chiavi in mano. Questo prodigio e la sua eroica pazienza gli valsero l'ammirazione di tutta la città, eccezion fatta per lo stesso prelato. E quando questi morì, Gerardo dimostrò con le sue lacrime quanto stimava colui che tanto lo faceva soffrire:
– Ho perso il mio migliore amico! – esclamava sconsolato.
"Più pazzo sei Tu, Signore"!
Ritornato a Muro, Gerardo aprì una sartoria. Mentre l'ago correva tra le sue agili dita, la sua anima si elevava alle altezze della contemplazione. Nutriva una filiale devozione per Maria Santissima, cui aveva consacrato la sua verginità, e gli bastava pronunciare il suo nome per sperimentare trasporti d'amore.
Inebriato dalla "stoltezza" della Croce (cfr. I Cor 1, 18), cercava di imitare in tutto le sofferenze del Salvatore: si flagellava fino a sanguinare, si comportava da pazzo per attirare il disprezzo dei suoi concittadini, passava giorni interi senza mangiare e, le notti, scalava il campanile della cattedrale per introdurvisi attraverso le arcate delle campane e andare a pregare ai piedi del Santissimo Sacramento. Se, da un lato, il demonio gli ordiva delle trappole, prendendo le sembianze di un cane furioso o provocando incidenti, dall'altro, il Signore lo ricompensava con numerose consolazioni.
Andreas F. Borchert (CC-3.0) |
Non appena vide alcuni religiosi redentoristi, Gerardo comprese che quella era la sua vocazioneSant'Alfonso de' Liguori - Cattedrale di Carlow (Irlanda) |
In una di queste lunghe veglie, una voce soave, proveniente dal tabernacolo, ruppe il silenzio notturno: "Pazzerello!".7 La risposta uscì rapida dalle sue labbra ardenti: "Più pazzo sei Tu, Signore, che per amore stai qui, prigioniero nel tabernacolo!".8
Nella Congregazione del Santissimo Redentore
Essere religioso era stato sempre il sogno di Gerardo; tuttavia, alla Provvidenza piacque provare la sua perseveranza prima di accettare la sua consegna. Non riuscì in due tentativi ad entrare nei Cappuccini e in una breve esperienza come anacoreta. Questo avrebbe scoraggiato qualunque altro, non il giovane Maiella!
Alcuni preti della Congregazione Redentorista, che era appena stata fondata da Sant'Alfonso de' Liguori, giunsero a Muro per predicare una missione. Non appena li vide, Gerardo comprese che questa era la sua vocazione, e chiese di essere ammesso. Il superiore, padre Paolo Cafaro, si rifiutò esplicitamente, allegando che lui non possedeva le forze necessarie per sopportare i rigori della vita religiosa. Siccome si era incaponito nella sua decisione e lo importunava incessantemente, padre Cafaro chiese a sua madre di chiuderlo a chiave in camera, il giorno della partenza dei missionari. Il giovane, però, usando una corda fabbricata con le lenzuola, scappò dalla finestra e corse dietro ai redentoristi, lasciando un biglietto per la famiglia: "Vado a farmi santo. Dimenticatemi".9
Li raggiunse per strada e li seguì fino alla città vicina, ricevendo sempre lo stesso rifiuto. Infine, la sua santa e serena tenacia poté più della determinazione ferrea del superiore: nel maggio 1749, a 23 anni, fu accolto, a titolo di prova, nel convento di Deliceto.
Instancabile apostolo, grande taumaturgo
Cominciava per Gerardo l'ultima tappa della sua vita: soltanto sei anni lo separavano dalla sua dipartita per l'eternità... sei anni fecondi in meriti, ricchi di fatti miracolosi e rapimenti celesti, inframmezzati da difficoltà e sofferenze quasi sovrumane.
Considerato inutile per qualsiasi lavoro a causa della sua estrema magrezza, non tardò a smentire questa fama. Il fuoco interiore che lo consumava suppliva alla mancanza di robustezza, al punto che i religiosi affermavano che rendeva per quattro persone. Si prodigava in attenzioni verso gli altri e assumeva su di sé gli incarichi più umili: giardiniere, sacrestano, collettore di elemosine, portinaio... La sua presenza fu contesa nelle diverse case della Congregazione.
Esimio nel compimento degli obblighi, si rivelò anche apostolo infaticabile e irresistibile nelle missioni. Scrive uno dei suoi biografi: "Il suo aspetto, la sua semplice presenza, raccontano i testimoni, valevano una predicazione; si sentiva Dio in lui. La sua parola ardente imprimeva nelle anime l'orrore per il peccato, l'ardore per la preghiera, l'amore a Gesù e a Maria, e la fedeltà ai doveri di stato. [...] Esalava dalla sua persona un non so che di divino che consolava i cuori, guariva le anime e trascinava alla virtù".10
Assecondato dal dono di miracoli concesso dalla Provvidenza, produceva abbondanti frutti di apostolato. Gli elementi, le malattie e i demoni obbedivano alla sua parola. Guarì un numero sterminato di infermi, tra i quali una bambina paralitica dalla nascita. In varie occasioni, moltiplicò il cibo e giunse ad aprire le acque di un fiume che gli impediva il passaggio.
Uno dei suoi più clamorosi prodigi fu quello realizzato a Napoli. Una folla riunita in riva al mare si affliggeva davanti allo spettacolo di un'imbarcazione piena di passeggeri che si dibatteva tra le onde, in mezzo a una furiosa tempesta. Passando per di lì, Gerardo si gettò in acqua e ordinò alla barca, in nome della Santissima Trinità, di fermarsi. Dopo la trascinò fino a terra, come se fosse paglia, e uscì dall'acqua con gli indumenti interamente asciutti. Tutto il popolo lo acclamava, volendo rendergli omaggio, ma egli fuggì di corsa per le vie della città.
Un serafino in carne e ossa
Tuttavia, dove più si faceva sentire l'aroma della sua santità era nel recinto sacro del convento. In tal modo in questo religioso esemplare rivaleggiavano le virtù, che sarebbe difficile indicarne una come la principale. Non c'era nessuno più umile, più obbediente, più osservante della regola! I suoi stessi maestri lo prendevano a modello e i confessori si confondevano davanti all'integrità di quel fratello laico, neofita nella vita religiosa e già elevato alle vette della perfezione. Alcuni suoi contemporanei giunsero ad affermare che sembrava non essere stato toccato dal peccato originale, come un serafino in carne e ossa!
I fenomeni mistici con cui fu graziato sono uno dei tratti più sorprendenti della sua spiritualità. "A quanto pare, tutti i favori concessi da Dio agli altri santi, nell'ordine mistico, Egli ha voluto riunirli nella persona del nostro serafico confratello",11 scrive il citato padre Saint-Omer. Infatti, in un secolo nel quale il razionalismo cercava di negare l'esistenza del soprannaturale e, in fondo, di Dio stesso, la vita di Gerardo mostrava come siano tenui i veli che ci separano dal mondo invisibile, per cui dobbiamo convincerci che siamo sempre sotto lo sguardo di Dio.
Visioni, estasi, levitazioni, dono di profezia, scienza infusa, discernimento degli spiriti, conoscenza a distanza, aureole, bilocazioni, invisibilità... Impossibile descrivere nell'esiguo spazio di un articolo ognuna di queste meraviglie!
All’improvviso, Gerardo fu chiamato a Pagani, dove allora risiedeva Sant’Alfonso de Liguori. Era il primo incontro dell’umile frate col fondatore... e quanto doloroso! Cella e cappella privata di Sant’Alfonso de’ Liguori, Pagani |
Citiamo soltanto due esempi. In visita al Carmelo di Ripacandida, entrò improvvisamente in estasi e il suo corpo diventò incandescente al punto di sciogliere la grata di ferro che egli toccava con le mani. Gli accadde anche di sollevarsi dal suolo, contemplando un bel dipinto della Santissima Vergine, fino a raggiungere l'altezza del quadro e, baciandolo con ineffabile affetto, esclamare: "Come è bella! Guarda com'è bella!".12
Sotto il segno del dolore
Si farebbe comunque, un'idea sbagliata riguardo a Gerardo, chi credesse che egli sia stato un uomo quasi magico, immune dalle tentazioni e dalle sofferenze. Nulla di più contrario della realtà! Dal suo ingresso nella Congregazione, soffrì terribili privazioni spirituali, nelle quali si riteneva abbandonato da Dio, pronto a soccombere alla disperazione. La sua stessa descrizione, in una lettera a una religiosa, è più convincente di qualsiasi narrazione: "Sono sceso così in basso che non vedo più nemmeno la possibilità di uscire da questo precipizio... poco mi preoccuperei se per lo meno potessi amare Dio e piacerGli. Ma, ecco la spina che trafigge il mio cuore: mi sento che soffro senza Dio. [...] Mi vedo come sospeso sull'abisso della disperazione. Mi sembra che Dio sia scomparso per sempre, che le sue divine misericordie si siano esaurite, che sopra la mia testa aleggino minacciosi i fulmini della sua giustizia".13
Fatto curioso: nella misura in cui Gerardo progrediva in virtù, le angosce si facevano più frequenti e intense. Nel 1754, un anno prima della morte, sopravvenne la grande prova, terribile e spaventosa. All'improvviso, fu chiamato a Pagani, dove allora risiedeva Sant'Alfonso de Liguori. Era il primo incontro dell'umile frate col fondatore... e quanto doloroso! Dopo averlo salutato, Sant'Alfonso lesse a voce alta due lettere nelle quali qualcuno accusava il giovane religioso di un crimine commesso proprio contro la virtù che lui più amava: la castità!
Ciò nonostante, senza far trasparire alcuna emozione, Gerardo rimase in silenzio. Tale atteggiamento equivaleva a un assenso... Sorpreso, il fondatore decise di non espellerlo, ma gli impose una durissima penitenza: privazione dell'Eucaristia e proibizione di trattare con persone esterne alla Congregazione. Per più di due mesi egli sopportò questa situazione vessatoria, sorvegliato dai superiori, oggetto di sospetto di quanti lo conoscevano. Quello che più gli faceva male, però, era la mancanza della Comunione. Gli costava contenere gli ardori del desiderio di ricevere un così augusto Sacramento. A un sacerdote che lo esortava a servire da accolito la sua Messa, rispose: "Non mi tentare, caro padre, potrei strapparti l'Ostia dalle mani!".14
"Figlio mio, perché non hai parlato? Perché non hai pronunciato neppure una parola per difendere la tua innocenza?"Conversazione tra Sant'Alfonso e San Gerardo - Santuario di Pagani (Salerno) |
Finalmente, la verità venne fuori: altre due lettere, che smentivano la calunnia delle precedenti, rivelarono a Sant'Alfonso la falsità dell'accusa alla quale il suo cuore di padre si rifiutava di dare interamente credito... Invitato, ancora una volta, a presentarsi davanti al fondatore, Gerardo fu ricevuto con queste parole: "Figlio mio, perché non hai parlato? Perché non hai pronunciato neppure una parola per difendere la tua innocenza?".15 Al che egli replicò: "Padre mio, come avrei potuto farlo, se la nostra regola non ammette scuse di fronte ai rimproveri dei superiori?".16
"La volontà divina e io siamo una cosa sola"
Gerardo non era più di questo mondo. Del resto, non lo era mai stato! Tuttavia, quella tribolazione lo aveva allontanato ancor più dalle cose terrene. Nell'agosto del 1755, durante una missione, ebbe la prima emottisi. Il suo superiore lo indirizzò al convento di Materdomini, affinché si ristabilisse. Lungi dal regredire, la malattia peggiorò rapidamente: sangue, febbre, malesseri infiniti. Nulla, tuttavia, riuscì a strappargli un solo lamento: "La volontà divina e io siamo una cosa sola",17 diceva con gioia. A costo di enorme sforzo lasciava il letto per passare alcune ore in ginocchio davanti al Crocefisso della sua cella.
Anche questo periodo fu segnato da fatti straordinari: dal suo corpo minato dalla tubercolosi emanava un profumo così penetrante che i visitatori identificavano la sua stanza con facilità. Più edificante ancora fu la sua obbedienza: avendo ricevuto l'ordine di guarire, si alzò subito e riprese la vita comunitaria per varie settimane.
Senza dubbio, la volontà di Dio era un'altra, e in ottobre la malattia lo attaccò con maggior rigore. Nei pochi giorni che gli restavano, patì, per uno speciale favore del Cielo, i tormenti della Passione di Cristo. Giunto il giorno 15, annunciò che sarebbe morto quella sera stessa. Ricevette la mattina il Viatico e, nel pomeriggio, recitò il Salmo Miserere. Due ore prima di morire, vedendo approssimarSi la Regina del Cielo, si inginocchiò sul letto ed entrò in estasi. Era circa la mezzanotte quando la sua anima abbandonò il corpo.
Immediatamente il suo volto inerte si trasfigurò, acquistando una bellezza angelica. E quando il campanaro del convento volle far suonare il rintocco dei defunti, sentì una forza irresistibile che lo obbligò a suonare il carillon delle grandi feste!
Nel 1893, Leone XIII elevò Gerardo Maiella all'onore degli altari, come Beato. Undici anni dopo, San Pio X iscrisse nel Catalogo dei Santi questo religioso esemplare che mantenne sempre intatta la sua purezza di cuore.
1 SAN TOMMASO D'AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.69, a.2, ad 3.
2 DUNOYER, CSsR, Jean-Baptiste. Vie de Saint Gérard Majela, rédemptoriste. Saint-Étienne: Bureaux de "L'Apôtre du Foyer", 1943, p.103.
3 REY-MERMET, CSsR, Thèodule. San Gerardo Maiella, il "pazzerello" di Dio. Materdomini: Stampa Valsele, 1992, p.51.
4 SAINT-OMER, CSsR, Édouard. Le Thaumaturge du XVIIIe siècle ou la vie, les vertus et les miracles du Bienheureux Gérard-Marie Majela. Desclée de Brouwer et Cie, 1893, p.2.
5 DUNOYER, op. cit., p.21.
6 Idem, p.32.
7 REY-MERMET, op. cit., p.32.
8 Idem, ibidem.
9 Idem, p.46.
10 SAINT-OMER, op. cit., p.75.
11 Idem, p.80.
12 Idem, p.46.
13 DUNOYER, op. cit., p.276- 277.
14 REY-MERMET, op. cit., p.114.
15 Idem, p.115.
16 Idem, ibidem.
17 Idem, p.133.
2 DUNOYER, CSsR, Jean-Baptiste. Vie de Saint Gérard Majela, rédemptoriste. Saint-Étienne: Bureaux de "L'Apôtre du Foyer", 1943, p.103.
3 REY-MERMET, CSsR, Thèodule. San Gerardo Maiella, il "pazzerello" di Dio. Materdomini: Stampa Valsele, 1992, p.51.
4 SAINT-OMER, CSsR, Édouard. Le Thaumaturge du XVIIIe siècle ou la vie, les vertus et les miracles du Bienheureux Gérard-Marie Majela. Desclée de Brouwer et Cie, 1893, p.2.
5 DUNOYER, op. cit., p.21.
6 Idem, p.32.
7 REY-MERMET, op. cit., p.32.
8 Idem, ibidem.
9 Idem, p.46.
10 SAINT-OMER, op. cit., p.75.
11 Idem, p.80.
12 Idem, p.46.
13 DUNOYER, op. cit., p.276- 277.
14 REY-MERMET, op. cit., p.114.
15 Idem, p.115.
16 Idem, ibidem.
17 Idem, p.133.
(Rivista Araldi del Vangelo, Ottobre/2014, n. 138, p. 35 - 39)
AMDG et DVM
Fratres: Christus humiliávit semetípsum, factus obédiens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod et Deus exaltávit illum, et donávit illi nomen, quod est super omne nomen, ut in nómine Iesu omne genu flectátur.
Inno
Gesù, Re ammirabile,
trionfatore nobile,
dolcezza ineffabile,
tutto desiderabile.
Quando il cuor nostro visiti,
allor luce ad esso la verità,
vile diventa la vanità del mondo
e dentro arde la carità.
Gesù, dolcezza del cuori,
fonte viva, luce delle menti,
tu superi ogni gioia,
e ogni desiderio.
Gesù tutti riconoscete,
il suo amor domandate:
Gesù con ardore cercate,
cercandolo ardetene.
Te, o Gesù, canti la nostra voce,
te esprimano i nostri costumi,
te amino i nostri cuori,
e ora e in perpetuo.
Amen.
Hymnus
Iesu, Rex admirábilis,
Et triumphátor nóbilis,
Dulcédo ineffábilis,
Totus desiderábilis.
Quando cor nostrum vísitas,
Tunc lucet ei véritas,
Mundi viléscit vánitas,
Et intus fervet cáritas.
Iesu, dulcédo córdium,
Fons vivus, lumen méntium,
Excédens omne gáudium,
Et omne desidérium.
Iesum omnes agnóscite,
Amórem eius póscite:
Iesum ardenter quǽrite,
Quæréndo inardéscite.
Te nostra, Iesu, vox sonet,
Nostri te mores exprímant,
Te corda nostra díligant,
Et nunc, et in perpétuum.
Amen.
---------
Inno
Gesù, decoro degli Angeli,
all'orecchio dolce cantico,
alla bocca miele dolcissimo,
al cuore nettar celeste.
Quelli che ti gustano, hanno ancor fame;
quelli che ti bevono, hanno ancor sete;
desiderar non sanno,
se non Gesù, che amano.
O Gesù mio dolcissimo,
speranza dell'anima che sospira!
te cercano le pie lacrime,
te il grido intimo del Cuore.
Rimani con noi, o Signore,
e c'illumina colla tua luce:
ne fuga la caligine dell'anima,
riempi il mondo della tua dolcezza.
Gesù, fior della Vergine Madre,
amor nostro dolcissimo,
a te la lode, l'onor del nome,
il regno della beatitudine.
Amen.
Hymnus
Iesu decus angélicum,
In aure dulce cánticum,
In ore mel miríficum,
In corde nectar cǽlicum.
Qui te gustant, esúriunt;
Qui bibunt, adhuc sítiunt;
Desideráre nésciunt,
Nisi Iesum, quem díligunt.
O Iesu mi dulcíssime,
Spes suspirántis ánimæ!
Te quærunt piæ lácrimæ,
Te clamor mentis íntimæ.
Mane nobíscum, Dómine,
Et nos illústra lúmine;
Pulsa mentis calígine,
Mundum reple dulcédine.
Iesu, flos Matris Vírginis,
Amor nostræ dulcédinis,
Tibi laus, honor nóminis,
Regnum beatitúdinis.
Amen.
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