venerdì 1 novembre 2019

"A che serve la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità?"

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CAPPELLA PAPALE PER LA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Mercoledì, 1° novembre 2006

Il Santo Padre ha introdotto la Celebrazione e l'atto penitenziale con le seguenti parole:

Fratelli e sorelle amatissimi, noi oggi contempliamo il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra. Noi non siamo soli, ma siamo avvolti da una grande nuvola di testimoni: con loro formiamo il Corpo di Cristo, con loro siamo figli di Dio, con loro siamo fatti santi dello Spirito Santo. Gioia in cielo, esulti la terra! La gloriosa schiera dei santi intercede per noi presso il Signore, ci accompagna nel nostro cammino verso il Regno, ci sprona a tenere fisso lo sguardo su Gesù il Signore, che verrà nella gloria in mezzo ai suoi santi. Disponiamoci a celebrare il grande mistero della fede e dell'amore, confessandoci bisognosi della misericordia di Dio.


Cari fratelli e sorelle,

la nostra celebrazione eucaristica si è aperta con l'esortazione "Rallegriamoci tutti nel Signore". La liturgia ci invita a condividere il gaudio celeste dei santi, ad assaporarne la gioia. I santi non sono una esigua casta di eletti, ma una folla senza numero, verso la quale la liturgia ci esorta oggi a levare lo sguardo. In tale moltitudine non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio.

Quest'oggi la Chiesa festeggia la sua dignità di "madre dei santi, immagine della città superna" (A. Manzoni), e manifesta la sua bellezza di sposa immacolata di Cristo, sorgente e modello di ogni santità. Non le mancano certo figli riottosi e addirittura ribelli, ma è nei santi che essa riconosce i suoi tratti caratteristici, e proprio in loro assapora la sua gioia più profonda. Nella prima Lettura, l'autore del libro dell'Apocalisse li descrive come "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7, 9). Questo popolo comprende i santi dell'Antico Testamento, a partire dal giusto Abele e dal fedele Patriarca Abramo, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dell'inizio del cristianesimo e i beati e i santi dei secoli successivi, sino ai testimoni di Cristo di questa nostra epoca. Li accomuna tutti la volontà di incarnare nella loro esistenza il Vangelo, sotto l'impulso dell'eterno animatore del Popolo di Dio che è lo Spirito Santo.

Ma "a che serve la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità?". Con questa domanda comincia una famosa omelia di san Bernardo per il giorno di Tutti i Santi. È domanda che ci si potrebbe porre anche oggi. E attuale è anche la risposta che il Santo ci offre: "I nostri santi - egli dice - non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. Per parte mia, devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri" (Disc. 2; Opera Omnia Cisterc. 5, 364ss). Ecco dunque il significato dell'odierna solennità: guardando al luminoso esempio dei santi risvegliare in noi il grande desiderio di essere come i santi: felici di vivere vicini a Dio, nella sua luce, nella grande famiglia degli amici di Dio. Essere Santo significa: vivere nella vicinanza con Dio, vivere nella sua famiglia. E questa è la vocazione di noi tutti, con vigore ribadita dal Concilio Vaticano II, ed oggi riproposta in modo solenne alla nostra attenzione.

Ma come possiamo divenire santi, amici di Dio? All'interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario innanzitutto ascoltare Gesù e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà. "Se uno mi vuol servire - Egli ci ammonisce - mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Gv 12, 26). Chi si fida di Lui e lo ama con sincerità, come il chicco di grano sepolto nella terra, accetta di morire a sé stesso. Egli infatti sa che chi cerca di avere la sua vita per se stesso la perde, e chi si dà, si perde, trova proprio così la vita (Cfr Gv 12, 24-25). 
    L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità, pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce, la via della rinuncia a se stesso. Le biografie dei santi descrivono uomini e donne che, docili ai disegni divini, hanno affrontato talvolta prove e sofferenze indescrivibili, persecuzioni e martirio. Hanno perseverato nel loro impegno, "sono passati attraverso la grande tribolazione - si legge nell'Apocalisse - e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello" (v. 14). I loro nomi sono scritti nel libro della vita (cfr Ap 20, 12); loro eterna dimora è il Paradiso. L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l'unica vera causa di tristezza e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui.

La santità esige uno sforzo costante, ma è possibile a tutti perché, più che opera dell'uomo, è anzitutto dono di Dio, tre volte Santo (cfr Is 6, 3). Nella seconda Lettura, l'apostolo Giovanni osserva: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" (1 Gv 3, 1). È Dio, dunque, che per primo ci ha amati e in Gesù ci ha resi suoi figli adottivi. Nella nostra vita tutto è dono del suo amore: come restare indifferenti dinanzi a un così grande mistero? Come non rispondere all'amore del Padre celeste con una vita da figli riconoscenti? In Cristo ci ha fatto dono di tutto se stesso, e ci chiama a una relazione personale e profonda con Lui. Quanto più pertanto imitiamo Gesù e Gli restiamo uniti, tanto più entriamo nel mistero della santità divina. Scopriamo di essere amati da Lui in modo infinito, e questo ci spinge, a nostra volta, ad amare i fratelli. Amare implica sempre un atto di rinuncia a se stessi, il "perdere se stessi", e proprio così ci rende felici.

Così siamo arrivati al Vangelo di questa festa, all'annuncio delle Beatitudini che poco fa abbiamo sentito risuonare in questa Basilica. Dice Gesù: Beati i poveri di spirito, beati gli afflitti, i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, beati i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia (cfr Mt 5, 3-10). In verità, il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù. È Lui, infatti, il vero povero di spirito, l'afflitto, il mite, l'affamato e l'assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l'operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia. 
Le Beatitudini ci mostrano la fisionomia spirituale di Gesù e così esprimono il suo mistero, il mistero di Morte e Risurrezione, di Passione e di gioia della Risurrezione. Questo mistero, che è mistero della vera beatitudine, ci invita alla sequela di Gesù e così al cammino verso di essa. Nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela - ognuno nelle sue circostanze - anche noi possiamo partecipare della sua beatitudine. Con Lui l'impossibile diventa possibile e persino un cammello passa per la cruna dell'ago (cfr Mc 10, 25); con il suo aiuto, solo con il suo aiuto ci è dato di diventare perfetti come è perfetto il Padre celeste (cfr Mt 5, 48).

Cari fratelli e sorelle, entriamo ora nel cuore della Celebrazione eucaristica, stimolo e nutrimento di santità. Tra poco si farà presente nel modo più alto Cristo, vera Vite, a cui, come tralci, sono uniti i fedeli che sono sulla terra ed i santi del cielo. Più stretta pertanto sarà la comunione della Chiesa pellegrinante nel mondo con la Chiesa trionfante nella gloria. Nel Prefazio proclameremo che i santi sono per noi amici e modelli di vita. Invochiamoli perché ci aiutino ad imitarli e impegniamoci a rispondere con generosità, come hanno fatto loro, alla divina chiamata. Invochiamo specialmente Maria, Madre del Signore e specchio di ogni santità. Lei, la Tutta Santa, ci faccia fedeli discepoli del suo figlio Gesù Cristo! Amen.

AMDG et DVM

giovedì 31 ottobre 2019

Solennità di Tutti i Santi

Tutti i Santi
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Festeggiare tutti i santi è guardare coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna. Quelli che hanno voluto vivere della loro grazia di figli adottivi, che hanno lasciato che la misericordia del Padre vivificasse ogni istante della loro vita, ogni fibra del loro cuore. I santi contemplano il volto di Dio e gioiscono appieno di questa visione. Sono i fratelli maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché, peccatori come ognuno di noi, tutti hanno accettato di lasciarsi incontrare da Gesù, attraverso i loro desideri, le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze.

Questa beatitudine che dà loro il condividere in questo momento la vita stessa della Santa Trinità è un frutto di sovrabbondanza che il sangue di Cristo ha loro acquistato. Nonostante le notti, attraverso le purificazioni costanti che l’amore esige per essere vero amore, e a volte al di là di ogni speranza umana, tutti hanno voluto lasciarsi bruciare dall’amore e scomparire affinché Gesù fosse progressivamente tutto in loro. E' Maria, la Regina di tutti i Santi, che li ha instancabilmente riportati a questa via di povertà, è al suo seguito che essi hanno imparato a ricevere tutto come un dono gratuito del Figlio; è con lei che essi vivono attualmente, nascosti nel segreto del Padre.


Martirologio Romano: Solennità di tutti i Santi uniti con Cristo nella gloria: oggi, in un unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio, allietata dalla loro protezione e coronata dalla loro vittoria davanti alla maestà divina nei secoli eterni.

«Oggi, o Padre, ci dai la gioia di contemplare la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre» canta la  Santa  Chiesa  nel  Prefazio  della Messa  di questa luminosa solennità, “Pasqua dell’autunno”, nella quale «in un unico giubilo di festa – dice il Martirologio Romano  –  la  Chiesa  ancora  pellegrina  sulla  terra  venera  la  memoria  di  coloro  della  cui compagnia esulta il cielo».
La Chiesa non contempla se stessa. Può capitare che lo facciano singoli credenti, o anche intere comunità, ma la Chiesa, Sposa di Cristo, è il suo Sposo che contempla!

Mentre si rallegra di tanta parte di sé già nella gloria eterna, è Lui che la Chiesa contempla e, se vede se stessa, vede ciò che veramente essa è: opera del Salvatore; redenta dal Sangue dell’Agnello; consapevole che il bene che è in lei, e di cui ringrazia e gioisce, viene dalla Grazia di Dio ed il male presente, di cui soffre ed invita all’umile pentimento, è frutto della fragilità degli uomini.

La Chiesa guarda con gioia gli innumerevoli suoi figli che hanno raggiunto la meta, ma sa che essi, come ha detto san Giovanni (Ap.7,2-4.9-14), «sono quelli che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» e sostenuti dalla Grazia hanno testimoniato la fede: alcuni come martiri in persecuzioni cruente, poiché coraggiosamente hanno assunto come criterio di valutazione la Parola del Signore, non l’opinione propria o di altri; alcuni come discepoli di Cristo nel cammino quotidiano della vita: alcuni “grandi”, che hanno impegnato doti elevate in opere straordinarie, altri “piccoli” che hanno vissuto senza grandi imprese; una schiera di uomini e donne che «hanno cercano il volto di Dio», (cfr. Sal. 23) rivelatosi nel volto di Gesù che proclama «beati», felici – (Mt 5,1-12) – «i poveri in spirito», coloro che sono «nel pianto», i «miti»,   «quelli che hanno fame e sete della giustizia», i «misericordiosi», i «puri di cuore», gli «operatori di pace», i «perseguitati per la giustizia» e per «causa Sua»; uomini e donne, giovani e adulti, che hanno conosciuto il peccato e i limiti della creatura umana, ma hanno lottato in un cammino di conversione a Cristo dentro le situazioni e le circostanze del viaggio terreno ed hanno fatto esperienza della misericordia di Dio, della pace che Dio dona e di cui quel martellante “Beati ” nel discorso della Montagna rivela le condizioni.

Incamminati anche noi verso «la città del cielo», destino, meta del nostro vivere sulla terra, la contempliamo, ripetendo una stupenda preghiera con la gioia e la fiducia con cui la compose Giovanni da Fécamp, nipote di san Guglielmo di Volpiano che fondò l’abbazia di S. Benigno Canavese e morì anch’egli nel monastero di Fécamp in Normandia; la facciamo nostra, consapevoli che il cammino di fede consiste nel dare a Dio, ma prima ancora nell’accogliere da Lui i Suoi doni, poiché è il Suo amore accolto ed assaporato che ci mette in movimento, e la santità che ci è proposta è consegnarci al Suo Amore, come fu per i discepoli chiamati a Sé da Gesù e che «si avvicinarono a lui», come abbiamo ascoltato nel Vangelo.

«O Casa luminosa e bellissima, io ho sempre amato il tuo splendore, il luogo dove abita la gloria del mio Signore, Colui che ti ha costruita e ti possiede. Sospiri a te il mio cammino quaggiù: io grido a Colui che ti ha fatta perché dentro le tue mura Egli possiede anche me. Io sono andato errando come una pecora smarrita, ma sulle spalle del mio Pastore, che è il tuo architetto, io spero di essere ricondotto a te.
Gerusalemme, città eterna di Dio, non si scordi di te l’anima mia. Dopo l’amore per Cristo sii tu la mia gioia ed il dolce ricordo del tuo nome beato mi sollevi da ogni triste zza e da tutto ciò che mi opprime».
     La «casa luminosa e bellissima», meta del nostro pellegrinaggio sulla terra – ci fa comprendere il monaco Giovanni – è opera di Cristo che con la Sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ci ha aperto la strada per il cielo, Lui che ha detto: Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo, e che con la Sua presenza misteriosa e reale ci sostiene nel cammino verso il traguardo.
Raggiungere questa meta è l’essenziale della vita, di questa vita che è bella non perché sia sempre piacevole, ma perché è iscritta in un Mistero d’Amore e destinata a costituire la Città eterna della quale, già ora, io sono pietra che il divino Architetto prepara lavorandola con lo scalpello del Suo amore misericordioso.

«Sospiri a te il mio cammino quaggiù» Gli diciamo con il monaco Giovanni. Questo sospiro è la voce più vera del nostro essere che manifesta l’insopprimibile desiderio di felicità posto da Dio nel cuore umano: un cuore che chiede l’Eternità, poiché è fatto così dal Creatore: per una totalità, per una pienezza: poiché per meno di tutto non vale la pena!

«Io grido a Colui che ti ha fatta, perché dentro le tue mura Egli possiede anche me ». E’ la preghiera che dalla Chiesa oggi sale al Signore con intensità speciale. La facciamo nostra perché sappiamo che anche noi «siamo andati errando come pecora smarrita», ma  «sulle spalle del Pastore, speriamo di essere ricondotti a Lui» e ci «protendiamo» perciò «nella corsa per afferrarlo noi che già siamo stati afferrati da Cristo» (cfr. Fil.3,12).

I nostri Santi, tutti i fratelli e le sorelle che abbiamo nella Gerusalemme del cielo, come amici e modelli di vita ci accompagnano nel viaggio. Noi li guardiamo commossi e con il monaco Giovanni diciamo: «Gerusalemme, città eterna di Dio, non si scordi di te l’anima mia. Il dolce ricordo del tuo nome beato mi sollevi da ogni tristezza e da tutto ciò che mi opprime».
Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato CO

AMDG et DVM

Per nascondere bufala

ULTIME NOTIZIE: Dead Men Don't Talk: sigilli della US Navy distrutti per nascondere la bufala dell'esecuzione di Bin Laden di Washington?


L'eliminazione di 30 forze speciali statunitensi nello schianto di un elicottero Chinook in Afghanistan arriva in un momento in cui la versione ufficiale di Washington di come ha effettuato l'assassinio di Osama bin Laden stava cadendo a pezzi dall'incredulità.
Tra i 38 morti nel disastro dell'elicottero - la più grande singola perdita di vite americane nella decennale guerra di occupazione in Afghanistan - si ritiene che siano stati 17 sigilli della Marina americana. I morti includono anche altri membri delle forze speciali statunitensi e commando afghani.
I primi resoconti dei media occidentali indicano che il Chinook potrebbe essere stato coinvolto in una significativa operazione militare contro i militanti afgani quando è caduto nella provincia di Wardak, non lontano a ovest della capitale, Kabul, all'inizio di sabato.
È stato riferito che fonti talebane hanno affermato che i suoi militanti hanno abbattuto il Chinook con un razzo.
Funzionari militari statunitensi affermano che stanno indagando sulla causa dell'incidente.
Tuttavia, significativamente, fonti statunitensi senza nome hanno detto ai media che credono che l'elicottero sia stato abbattuto. Questo briefing non ufficiale degli Stati Uniti sembra un po 'strano. Perché fonti militari statunitensi vorrebbero consegnare ai combattenti nemici uno straordinario colpo di propaganda?
Forse, serve agli interessi degli Stati Uniti deviare dal vero motivo e dalla causa dell'incidente dell'elicottero, sia che sia stato colpito da un razzo o meno.
Funzionari statunitensi hanno ammesso che i morti Navy Seals facevano parte dell'unità Team Six che avrebbe effettuato l'assassinio a maggio della presunta mente dell'11 settembre Osama bin Laden.
Fin dall'inizio, il racconto di Washington su come le sue forze speciali hanno ucciso Bin Laden nel suo complesso residenziale ad Abbottabad, nel nord del Pakistan, è stato segnato da contraddizioni. Perché il Bin Laden liquidato fu seppellito in fretta in mare? In che modo il "n. 1 terrorista" al mondo potrebbe risiedere in modo evidente solo a miglia di distanza dal quartier generale militare pakistano a Rawalpindi?
Più evidentemente, diverse fonti informate sono convinte che Bin Laden sia morto per cause naturali anni fa. L'autore Ralph Schoenman ha respinto la presunta esecuzione del Navy Seal come "una grande bugia". Schoenman ha citato prove su questo argomento dell'ex primo ministro pakistano Benazir Bhutto, tra gli altri, per la loro conferma che Bin Laden era morto per insufficienza renale anni prima.
Più recentemente, come riporta Paul Craig Roberts [1], i locali pakistani hanno affermato che l'operazione Navy Seal ad Abbottabad si è conclusa in un disastro, con uno dei tre elicotteri statunitensi che esplode mentre decollava da terra vicino al complesso. Gli altri due elicotteri non erano atterrati e, secondo i testimoni, sono volati dalla scena immediatamente dopo l'esplosione. Come sottolinea Roberts, ciò significa che non c'era nessun cadavere di Bin Laden da sbarazzare in mare, come sostiene Washington.
Le persone chiave che saprebbero la verità sull'incredibile assassinio di Bin Laden a Washington non sono ora disponibili per un commento. Custodia sigillata.
Finian Cunningham è un corrispondente di ricerca globale con sede a Belfast, in Irlanda.
Correzione:
in una versione precedente di questo articolo, Ralph Schoenman era stato citato per errore affermando: “Ho intervistato diversi membri del servizio di intelligence pakistano e militanti e tutti hanno confermato che Bin Laden è morto per insufficienza renale oltre 10 anni [fa ].”
Gli incontri di Schoenman con i servizi segreti pakistani hanno preceduto il presunto assassinio di Osama Bin Laden. Questi incontri hanno riguardato il ruolo dell'intelligence statunitense negli eventi dell'11 settembre e la falsa affermazione che gli Stati Uniti hanno catturato e che ora detiene in custodia Khalid Sheikh Mohammed.
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mercoledì 30 ottobre 2019

Bernardo Tolomei: ce ne parla Papa Benedetto XVI

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Bernardo Tolomei (1272-1348)  


BERNARDO TOLOMEI  nacque a Siena  il 10 maggio 1272. Ricevette al battesimo il nome di Giovanni. Fu educato dai Frati Predicatori, nel Collegio di S. Domenico di Camporeggio, in Siena; fu promosso cavaliere (miles) dall’imperatore Rodolfo I d’Asburgo († 1291). Studiò materie giuridiche nella sua città di origine, dove fece anche parte della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Notte, attivi nell’ospedale della Scala al servizio dei ricoverati. Una progressiva quasi totale cecità provocò la rinuncia ad una carriera pubblica.

In un’epoca di lotte fra le fazioni cittadine, per realizzare in modo più assoluto il proprio ideale cristiano ed ascetico, nel 1313, ormai quarantenne, insieme a due concittadini impegnati nella mercatura e nel commercio (il Beato Patrizio Patrizi † 1347 e il Beato Ambrogio Piccolomini † 1338), nobili senesi anch’essi appartenenti alla predetta Confraternita, allontanandosi da Siena, si ritirò nella solitudine di Accona, a circa 30 km. a sud-est della città. In quella regione Giovanni (che nel frattempo aveva assunto il nome di Bernardo, per venerazione nei confronti del santo abate cistercense), insieme con i suoi compagni condusse vita eremitica in alcune grotte scavate nel tufo. 

La vita penitente di questi laici eremiti era caratterizzata dalla preghiera, dalla lectio divina, dal lavoro manuale e dal silenzio. Altri compagni venuti da Siena, da Firenze e dalle regioni circostanti, si unirono presto a loro; il loro modello era la forma di vita degli Apostoli e dei primi monaci della Tebaide.

Verso la fine del 1318 o all’inizio del 1319, mentre un giorno era immerso nella preghiera, egli ebbe la percezione oculare di una scala sulla quale vide salire, aiutato dagli angeli, monaci vestiti di bianco, attesi da Gesù e Maria. Questa reminiscenza biblica costituisce un tema noto nella tradizione monastica, ma il cronista olivetano Antonio da Barga (nel 1450 ca.) assicura che Bernardo chiamò gli altri fratelli ed essi pure videro il segno della volontà divina nei loro riguardi, nella visione della “scala di Giacobbe”. Non erano sacerdoti, tuttavia, in base alla testimonianza di Antonio da Barga, “essi facevano celebrare i divini misteri da presbiteri devoti da loro conosciuti”.

Il cardinale Bertrando di Poyet, legato di Giovanni XXII allora residente in Avignone, venne a controllare l’osservanza del gruppo (tra il 1316 e il 1319). In ottemperanza alla Costituzione 13 del IV Concilio Lateranense (1315) che proibiva la fondazione di nuovi Ordini religiosi fino ad allora non approvati, per consolidare la posizione giuridica del nuovo gruppo, Bernardo, con Patrizio Patrizi, si recò dal vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala, nella cui giurisdizione si trovava in quel tempo Accona. Ne ottenne un decreto di erezione per il futuro monastero di S. Maria di Monte Oliveto, da istituire “sub regula sancti Benedicti” (26 marzo 1319), con alcuni privilegi ed esenzioni; il vescovo accolse, tramite un legato (il presbitero Restauro, affiliato alla Confraternita dei Fustigati presso la chiesa della SS. Trinità in Arezzo), la loro professione monastica. Scegliendo la Regola di S. Benedetto, Bernardo dovette temperare la primitiva scelta eremitica, con l’adozione del cenobitismo benedettino; per il desiderio di onorare la Madonna, i fondatori indossarono un abito bianco: questa devozione mariana rimase in eredità alla spiritualità della Congregazione.

Il 1 aprile 1319 nacque dunque il monastero di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore, con la posa della prima pietra della chiesa, evento registrato da regolare documento steso dal notaio senese Giovanni del fu Ventura: il deserto di Accona era diventato “Monte Oliveto”, a ricordo del Monte degli Ulivi, su cui il Signore amava ritirarsi con i suoi discepoli e dove pregò prima della sua passione, e sito tradizionale dell’Ascensione. 
Gli eremiti divennero monaci secondo lo spirito della Regola di S. Benedetto, pur con alcuni mutamenti istituzionali, in un’epoca di relativa decadenza dell’Ordine monastico. L’elemento più caratteristico dell’evoluzione istituzionale fu la temporaneità della carica di abate: all’abate che doveva durare per sempre (semel abbas, semper abbas), il Capitolo Generale deliberò che il governo dell’abate dovesse durare solo un anno; inoltre l’eletto doveva essere confermato dal vescovo di Arezzo (documento del vescovo, 28 marzo 1324). Quando fu necessario eleggere un abate, Bernardo riuscì ad allontanare da sé la scelta dei monaci a causa della propria infermità visiva; pertanto fu eletto Patrizio Patrizi il 1° settembre 1319. Per altre due volte una scelta analoga fu ripetuta con l’elezione di Ambrogio Piccolomini, il 1° settembre 1320, e il 1° settembre 1321 con quella di Simone di Tura, da Siena († 1348). Il 1° settembre 1322, Bernardo non poté opporsi al desiderio dei suoi confratelli e divenne abate del monastero di cui era fondatore, funzione di governo che ricoprì fino alla morte. Un atto del 24 dicembre 1326 attesta che il Cardinale Giovanni Caetani Orsini († 1339), legato della Sede Apostolica, dispensò dal difetto visivo l’abate Bernardo, eletto nel 1322 a succedere a Simone di Tura.

Da Avignone, Clemente VI approvò la Congregazione allora formata da 10 monasteri, con due bolle (Vacantibus sub religionis: approvazione formale e canonica del nuovo Istituto; Sollicitudinis pastoralis officium: facoltà di erigere nuovi monasteri in Italia) del 21 gennaio 1344; per quella necessità, Bernardo non si era recato personalmente in Avignone, ma vi aveva inviato i monaci Simone Tendi e Michele Tani. Le direttive pontificie, emanate dalla bolla Summi magistri (20 giugno 1336) dal papa cistercense Benedetto XII, per riformare i monasteri benedettini, furono pienamente recepite dai Capitoli Generali olivetani.

Una prova significativa della eccezionale personalità spirituale di Bernardo consiste nel fatto che i monaci, pur avendo stabilito di non rieleggere l’abate al termine del suo mandato annuale, misero da parte tale disposizione, e per ventisette anni consecutivi fino alla morte, lo vollero nell’ufficio abbaziale, rieleggendolo alla scadenza di ogni anno: anzi, un atto estremo di fiducia nella paternità abbaziale si ebbe nel Capitolo Generale del 4 maggio 1347, quando i monaci gli concessero ampia facoltà di disporre di tutto senza dover previamente consultare il Capitolo e i fratelli, confidando nella sua santità che avrebbe disposto tutto in conformità alla volontà di Dio e per la salvezza di tutti. Ormai il cenobio di S. Maria di Monte Oliveto era diventato il centro di una Congregazione monastica guidata da un solo abate, mentre i singoli monasteri stavano sotto l’autorità di un prior. Bernardo tentò almeno due volte di lasciare l’ufficio abbaziale, nel 1326 e nel 1342, dichiarando al legato pontificio e ad esperti di diritto (Giovanni di Andrea e Arnoldo da Siena, poi Paolo de Hazariis, Andrea de Guarnariis e l’arcivescovo di Pisa, Dino da Radicofani) di non essere sacerdote per aver ricevuto soltanto gli Ordini minori, e adducendo inoltre l’avvenuta dispensa - per svolgere la funzione abbaziale - motivata da una persistente infermità visiva; ma il suo governo fu dichiarato pienamente legittimo anche secondo le norme canoniche di allora. Il suo misticismo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il Crocifisso e da apparizioni di santi (per esempio San Michele).

Durante il suo abbaziato molti accorsero nel nuovo monastero da varie città. Il numero crescente dei monaci permise di accogliere le richieste di vescovi e di laici che volevano questi monaci bianchi nelle loro città e contadi, per cui Bernardo poté fondare altri dieci monasteri, strettamente legati all’abbazia principale, dalla quale ripetevano il nome, e retti da un priore. Per assicurare l’avvenire alla sua opera, Bernardo ottenne dal papa Clemente VI, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia di una nuova Congregazione benedettina, detta “S. Maria di Monte Oliveto”. In questo modo, Bernardo è l’iniziatore di un movimento monastico benedettino.

Bernardo lasciò ai suoi monaci un esempio di vita santa, di pratica delle virtù in grado eroico e un’esistenza dedita al servizio degli altri e alla contemplazione. Durante la Grande Peste del 1348, Bernardo lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto a Porta Tufi, in Siena. Qui, assistendo i suoi concittadini e i monaci colpiti dall’infezione altamente contagiosa, morì egli stesso vittima della peste, con 82 monaci, in una data che la tradizione fissò al 20 agosto 1348. 
Questo eroe di penitenza e martire di carità non passò inosservato, come constatò Pio XII in una Lettera inviata all’Abate Generale D. Romualdo M. Zilianti l’11 aprile 1948, in occasione dell’imminente sesto centenario della morte del Beato. Da giovane, Bernardo aveva servito gli infermi in un ospedale di Siena; da anziano, a 76 anni, aiutò gli appestati senza temere un contagio che si rivelò fatale: una tale generosità non si improvvisa. Il venerato abate fu sepolto nelle vicinanze della chiesa del monastero senese. Tutti i cadaveri degli appestati furono deposti in fosse comuni, nella calce viva, fuori della chiesa; gli scavi successivi non hanno consentito di identificare le reliquie di Bernardo.

Di Bernardo rimangono frammenti di 48 lettere e una omelia. Le lettere emanano la fragranza di una sapienza letteraria e spirituale, rivelano il suo temperamento e lo definiscono implicitamente un uomo che della regola di S. Benedetto si era fatto seguace sincero; consentono di percepire la sua umiltà, la sua sensibilità, il suo spirito ecclesiale e comunitario, e di valutare la sua conoscenza della Sacra Scrittura.

Della sua devozione mariana sono segno la dedicazione alla Natività di Maria Vergine della chiesa di Monte Oliveto Maggiore e l’abito bianco.

Le soppressioni degli Ordini religiosi, nella Repubblica veneta nel 1771, poi nel Granducato di Toscana e nel regno di Napoli, e in seguito nella nuova Repubblica cisalpina nel 1808 e nel Regno d’Italia (periodo napoleonico, 1797-1814), e altrove nel secolo XIX, non consentirono di condurre a termine il Processo di canonizzazione. La restaurazione della Congregazione olivetana, dalla seconda metà del secolo XIX, culminò in un nuovo sviluppo e nella ripresa della Causa nel secolo XX.  




AMDG et DVM

Quanto bisogno di luce avete voi che governate la Terra. La luce viene da Dio. Egli solo è il Padre e generatore della Luce. Rimanete dunque sotto al suo raggio santo, seguite la Luce, nonripudiatela per le Tenebre.

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 161

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

30 ottobre 1943

   1Dice Gesù: 
   «Leggiamo insieme la Sapienza. Ha inizio con la esortazione, tante volte da Me dettata, a tutti i
potenti della terra perché siano potenti più in giustizia che in forza. 
   La forza non è un attributo di santità. Non mette l’uomo ad un livello superumano. Una sola è la forza che vi eleva: quella dello spirito. Ma quella è l’antitesi della forza che voi amate e ammirate come fosse una grande cosa.
   Voi amate la "violenza", la "prepotenza", la "ferocia", e questo trinomio lo chiamate "forza" e la venerate con temenza come la belva alla catena teme l’imperio2 del domatore. Ma badate che quella forza è comune ai bruti. Forza unicamente di carne e sangue, vi fa commettere azioni di carne e sangue. E perciò ben raramente è giustizia.

   L’ho detto3 e lo ripeto: "Voi, potenti, siete tali finché io lo permetto e non oltre". Cosa è dunque questo agitare la frusta sopra coloro che non hanno una autorità specifica? Spogliàti di quella veste che vi è venuta per eredità, se siete dei re, o per fortuna e astuzia, se siete dei dignitari, dei ministri, dei capi di provincia dei capi-paese, dei direttori di un istituto, di una fabbrica, di un ufficio, di un convento, cosa siete voi di diverso dagli altri? Nulla.
   Molte volte i vostri inferiori sono più meritevoli di voi di quel posto. Meritevoli umanamente e soprattutto spiritualmente. Pensatelo sempre che se anche per paura essi tacciono, vi giudicano e vi giudica iddio, che meglio di tutti vede le vostre azioni e il vostro essere delle dorate e incoronate statue di fango, e fango nero del più corrotto stagno. i bugiardi e obbligati ossequi con cui volete essere incensati, fanno ribrezzo a Dio, il quale perdona a quelli, fra le folle, che ve li fanno perché forzati a farlo, e maledice voi e gli altri: idolatri di voi al punto da credervi dèi a di darvi quel culto di onore e rispetto che a Me non dànno.

   Uno solo è Dio. Colui che ha fatto la terra su cui voi imperate nel vostro breve giorno e col vostro stolto o crudele orgoglio. Se volete esser veramente dei "grandi", dei "forti", attingete questa grandezza e questa fortezza dal Grande e Potente: da Dio, seguendo la sua Parola, restando in Lui come figli. Non siete da più dell’ultimo fra i nati di donna, rispetto a Dio che è il Padre Creatore di tutti e che può tenere sul cuore come perla preziosa il povero che voi sprezzate, a Lui diletto per la sua santità, mentre guarda con rimprovero voi che lo sfidate dall’alto del vostro seggio precario.

   Quanto bisogno di luce avete voi che governate la Terra. La luce viene da Dio. Egli solo è il Padre e generatore della Luce. Rimanete dunque sotto al suo raggio santo, seguite la Luce, nonripudiatela per le Tenebre. 
 Cercate il Signore per vostro consigliere. Egli non è uno di quegli stolti, bugiardi, interessati consiglieri, che vi stanno intorno, adulandovi e eccitando i vostri istinti peggiori o per spirito servile o per interessato piano di trarvi in errore per creare la vostra caduta e sostituirsi a voi4 sul seggio da cui siete caduti.
  Ma non pensate di cercarlo, questo Signore santo e onniveggente, con menzogna di intenti. Maledetti coloro che sempre mi nominano, e con Me la Provvidenza mia, per illudere le folle fingendosi agnelli mentre sono lupi. Quel Nome grande e potente, che tuona e splende come sole benedetto sui buoni e come folgore sui malvagi di questa terra e della dimora di Satana, diviene sulle loro labbra blasfeme carbone che scende ad ardere il cuore.
   Io sono dove un figlio mi chiama. Ma non convalido del mio aiuto le opere dei malvagi. Pensate, o uomini, che i loro trionfi effimeri, che vi fanno credere che io sia con loro e dubitare della Giustizia mia, non sono venuti da Me. È il loro duce e padre: è Satana, che glie li concede come a suoi figli e militi devoti, per creare ad essi un sempre più grande tormento dopo la morte.
   Io sono dove è un fedele che crede in Me. Ma costoro non sono fedeli.
Se lo fossero, osserverebbero la mia Parola e la Volontà di Chi mi ha mandato. Invece essi calpestano la prima, disubbidiscono alla seconda e offendono lo Spirito Santo uccidendo il loro spirito con l’odio contrario all’amore, con la lussuria profanatrice, con la superbia corruttrice di anime.Sono barche senza timone prese da vento e da corrente malvagia. Vanno sempre più lontano dalla mèta che è Dio e finiscono a perire nel pozzo d’abisso.
   Quando un cuore è pieno di pensieri di carne o di pensieri d’inferno, quintessenza dei pensieri di carne, come può entrarvi Iddio con le sue luci? Quando un cuore, già di Dio, se ne separa male operando, come può continuare il mio Spirito ad essergli maestro?
   Sono il Misericorde. Compatisco e perdono. Tanto perdono. Perdono quello che vi vedo fare per debolezza umana, non quello fatto con freddo calcolo umano. E non sarò mai tanto severo giudice come con chi, col suo pensiero venduto a Satana, compie più delitti di un bandito, induce altri a compierne, e soprattutto compie il delitto dei delitti: quello di indurre gli animi a dubitare di Dio.
   Oggi questo delitto di omicidio e di deicidio è privativa di non pochi. Uccidono corpi ed anime e uccidono l’idea di Dio nelle anime rendendole cieche come orbite vuote.
   Troppo tardi le folle distinguono. Ma io vedo nel momento che pensate ed agite, e voi tutti, empi della carne e dello spirito, sarete giudicati con severissimo giudizio.»

   1 La scrittrice aggiunge a matita: Cap. 1° e (due parole illeggibili) 11 
   2 imperio è nostra correzione da impeio 
   3 Nel dettato del 23 ottobre, pag. 328.
   4 a voi è nostra correzione da ad essi