sabato 20 luglio 2019

Storia del più accanito e strenuo difensore di San Padre Pio da Pietrelcina

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EmanueleBrunatto
Primo figlio spirituale di San Padre Pio da Pietrelcina- il dossier ritrovato -di Cinquestelle 
       Emanuele Brunatto, morto in circostanze misteriose la notte del 9 febbraio 1965 a Roma fu il più accanito e strenuo difensore di Padre Pio. Con lui scomparve anche il suo poderoso archivio personale costituito da un'infinità di documenti, che scagionavano P. Pio e accusavano pesantemente i suoi persecutori.
Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione
       La vita di san Padre Pio da Pietrelcina è conosciuta da milioni di persone e di fedeli, attraverso migliaia di pubblicazioni e di articoli, nonché da almeno un centinaio di libri di decine e decine di scrittori, e su questo grandissimo ed eccezionale uomo di Dio si dovrebbe –oramai– sapere tutto. O quasi.       Mancano all’appello soltanto i motivi per cui questa meravigliosa figura del XX° secolo fu pesantemente condannata ed ostracizzata dai vertici vaticani dell’epoca in cui visse ed operò.       La Chiesa, in ultimo giudizio –grazie alle insistenti ed incessanti richieste dei milioni di fedeli dell’umile cappuccino stigmatizzato– si è trovata costretta a rivedere le sue precedenti posizioni, elevandola così agli onori dell'Altare che ampiamente meritava.       I motivi di queste omissioni sono state volute e dettate dal timore di offendere la Chiesa in cui questo santo uomo credeva e a cui obbediva, ma soprattutto perché queste testimonianze scomparvero misteriosamente, così come la persona che raccolse tali prove.       In questo piccolissimo stralcio che leggerete –vergato di proprio pugno con una penna stilografica intorno alla fine degli anni “30 – compaiono nomi, date, riferimenti, località, circostanze ed eventi che sono realmente accaduti e che possono essere debitamente documentati.       Sono il frutto delle indagini del più accanito e strenuo difensore dell’ora finalmente santo Padre Pio, di Emanuele Brunatto, morto in circostanze misteriose la notte del 9 febbraio 1965 a Roma, nella sua abitazione-ufficio di via Nazionale, al numero 243.       Con lui scomparve anche il suo poderoso archivio personale.       E’ una piccola, piccolissima parte di una delle sue opere di denuncia –ora non più introvabile– dal titolo “Gli Anticristi nella Chiesa di Cristo” da lui scritta con lo pseudonimo di John Willougby, dalla casa editrice Aldana e da lui fondata a Parigi, nel 1933.       Con questa opera Emanuele Brunatto esercitò fortissime pressioni sulle alte gerarchie ecclesiastiche dell’epoca, affinché venissero ritirate le odiose ed ingiuste restrizioni imposte dal Santo Uffizio a carico del suo amatissimo padre spirituale.       Il “ricatto” ebbe buon fine e le restrizioni furono temporaneamente ritirate –con decreto papale– il 16 luglio del 1933.       “E’ la prima volta, nella storia della Chiesa, che il Santo Uffizio si rimangia i suoi decreti” (papa Pio XI° al cardinale Sbarretti –primi di luglio 1933)
     
La vita di Emanuele 

       La storia di Emanuele inizia il 9 settembre 1892, giorno in cui nasce a Torino, in Piazza Madre di Dio al numero 5.
      Il padre, Felice Brunatto, fu uno dei primi e celebri penitenti e benefattori di don Bosco ed Emanuele, eclettico ed estroverso, fu sempre motivo di grande preoccupazione per i suoi genitori, tant’è che nel 1911, appena terminata l’istruzione superiore presso i salesiani e appena maggiorenne, si sposa con una donna di due lustri più anziana e con dei fratelli che espiavano una lunga pena detentiva per reati contro il patrimonio, in Germania.
      Il forte divario di età tra i due, nonché la discussa dirittura morale di lei, scatena grande scandalo nella bigotta società torinese di allora, residenza del Re e capitale del Regno: siamo oramai nel terzo millennio, ed il fatto creerebbe tutt’ora qualche perplessità a più di un genitore odierno.
      Nel 1914 Emanuele è un acceso interventista e l’anno dopo partecipa alla Grande Guerra nei ranghi di una compagnia di servizi, con il compito di organizzare il vettovagliamento e il reperimento delle derrate alimentari –e quant’altro necessario– per il sostentamento materiale delle truppe italiane al fronte.
      Spinto dal suo carattere, e sostenuto dal suo comandante di compagnia, organizza un vero e proprio commercio clandestino. Nel frattempo conduce una vita agiata e si accompagna con alcune donne.
      Tutto ciò scatena prima l’invidia e poi i sospetti dei suoi superiori, che avviano così una indagine.
      Messo alle strette durante un interrogatorio da parte delle autorità militari superiori, confessa il traffico di merci destinate al mercato nero, cercando di scagionare il suo comandante, che nel frattempo era caduto in un periodo di forte crisi depressiva. Ciò gli valse l’immediato trasferimento al fronte, in prima linea, ove ebbe modo di assistere alle atrocità di quella immensa carneficina che fu la prima guerra mondiale.
      Qualche mese dopo il suo trasferimento, il suo vecchio comandante si suicidava per la vergogna dello scandalo, a seguito dell’inchiesta. E’ un duro periodo per Emanuele, al quale viene anche negato il permesso per recarsi a casa, in punto di morte del padre.
      La guerra finalmente termina ed Emanuele fa ritorno a Torino, dove si immerge nuovamente nella sua solita vita disordinata e ribelle. Per sostentarsi economicamente avvia una attività nel settore del commercio di legname da costruzione prima, e dopo come fabbricante di concimi e fertilizzanti per l’agricoltura, ma alcuni illeciti bancari lo costringono ad un “salutare” allontanamento da Torino… e dalla moglie.
      Diventa girovago e, accompagnandosi con una certa Juliette, intraprende l’attività nel mondo dello spettacolo itinerante: l’avanspettacolo. Diviene poi rappresentante di una grande ditta di vini e di liquori del centro-sud-Italia, continuando la sua abituale vita sregolata.
      Ma il 20 giugno del 1919, seduto ad un bar di Napoli, legge un articolo apparso sul“Mattino “, quotidiano all’epoca diretto da Scarfoglio, a firma di un certo Trevisani. Per la prima volta la stampa si occupa e si interessa del caso sensazionale di un fraticello di un oscuro e sperduto paesino nel Gargano, nelle Puglie.
      Nell’articolo si descrive la storia di un umile e mite cappuccino, sul cui corpo sono forse impressi i segni dell’ultima sofferenza di Gesù: le stigmate. Vi si racconta inoltre di alcuni eventi miracolosi di guarigione, e di uno di questi è anche testimone diretto ed oculare lo stesso giornalista.
      La curiosità è forte, intensa e subitanea, ma Emanuele è ancora attratto dai piaceri della vita.
      Sostenuto dalla sua “buona stella” si lancia allora nel mondo dell’alta moda, aprendo un atelier, facendo arrivare da Parigi due abili sarte e cucitrici che, affiancate e guidate da Juliette e dalla sua prima moglie (fatta venire da Torino) conducono e gestiscono gli affari ed il lavoro, tanto che nel 1920 viene allestita e presentata una serata di alta moda, in cui è presente tutta la nobiltà e l’alta borghesia napoletana. All’evento mondano sono presenti anche il Re e la Regina d’Italia. Tutto procede a gonfie vele, ma un tarlo opprime insistentemente i pensieri di Emanuele.
      Un capovolgimento di sorte, dovuto anche alla impossibile situazione creata dalla vicinanza delle due donne, crea dapprima scompiglio, poi il successivo fallimento della attività sartoriale.
      Sua moglie si allontana da Napoli e dalla sua vita, ritornando definitivamente a Torino ed Emanuele, ridotto al lastrico ma per nulla disperato, definisce e chiude le sue attività e si mette in viaggio per… come si chiama quel paesino del Gargano?…sì, San Giovanni Rotondo, per conoscere di persona questo… già, Padre Pio da Pietrelcina.
      Il momento e la storia della conversione di Emanuele è cosa nota per coloro che conoscono la vita di San Padre Pio, e la sua è di tipo travolgente e totalitaria. Si installa prima nei pressi del convento (in una capanna con il tetto di paglia, solitamente adibita alla raccolta delle olive) e poi, su invito dell’intera comunità francescana, nella cella n° 6, accanto a quella di Padre Pio, la n° 5.
      Per sei anni la vicinanza non è solamente“spaziale” –per così dire– ma anche e soprattutto emotiva e spirituale: Emanuele cambia totalmente modo di vivere e diviene la persona più vicina al frate stigmatizzato, la sua perenne ombra, il suo officiante di Messa, il suo aiutante, suo figlio spirituale… ed il suo personale e fidato cane da guardia!
      Padre Pio lo apostrofava benevolmente «’u francese» il francese, ma soprattutto «’u poliziotto» –il poliziotto– ed il perché lo scoprirà dopo.
      Intanto, il 22 gennaio 1922 muore papa Benedetto XV° ed al trono di Pietro gli succede Pio XI°, il 12 febbraio .
      Il 2 giugno dello stesso anno si hanno i primi provvedimenti restrittivi all’opera sacerdotale di Padre Pio, a cui seguiranno quelli del 31 maggio del 1923 (dichiarazione ufficiale del Santo Uffizio) e poi ancora quelli del 24 luglio 1924 (monito del Santo Uffizio), del 23 aprile 1926 (comunicato del Santo Uffizio) e dell’11 luglio dello stesso anno (ulteriore comunicato del Santo Uffizio). Emanuele assiste quindi in prima persona, addolorato ed impotente, alle iniziali prime persecuzioni e provvedimenti restrittivi imposti dal supremo tribunale della Chiesa, nei confronti del suo amato padre spirituale, che obbedisce e tace diligentemente, come gli è imposto dal suo voto sacerdotale.
      Ma lo stesso voto di obbedienza non appartiene ad Emanuele, il quale interviene in prima persona e fa arrestare il canonico-maestro elementare Miscio Giovanni (di San Giovanni Rotondo) per una turpe e vigliacca vicenda di ricatto ai danni della famiglia Forgione, e nel 1925 inizia a raccogliere materiale sulle complicità e sulle malversazioni a carico dell’arcivescovo di Manfredonia Gagliardi Pasquale, dell’arciprete di S. G. Rotondo Prencipe Giuseppe e di un canonico dello stesso paese, Palladino Domenico, che con le loro lettere anonime furono i primi ed iniziali persecutori del frate stigmatizzato.
      L’intera documentazione viene da Emanuele poi personalmente e privatamente consegnata –nel giugno del 1925, su espresso consiglio di don Orione– al:
       cardinale Pietro Gasparri segretario di Stato Vaticano
       cardinale Raffaele Merry del Valsegretario del Santo Uffizio
       cardinale Basilio Pompily vicario di Pio XI°
       cardinale Donato Sbarretti prefetto del Concilio
       cardinale Gaetano de Lai prefetto alla Concistoriale
       cardinale Michele Lega prefetto ai Sacramenti
       cardinale Guglielmo Van Rossum prefetto della Propaganda della Fede
       cardinale Augusto Sily prefetto Tribunale della Segnatura
       padreLudovico Billot superiore francescano
       Monsignor Carlo Perosi assessore al Santo Uffizio
       PadreRosa direttore di “Civiltà Cattolica”
       PadreTacchi-Venturi superiore gesuita .
       Le sue precise indagini ed investigazioni (ecco il perché del «’u poliziotto») convincono ed attraggono sia il cardinal Gasparri che il cardinal Bevilacqua, che lo invitano ad accettare l’incarico in alcune “investigazioni nei riguardi di alcuni canonici” (documentazione del 15 e del 19 dicembre 1927), con la carica di aiuto-visitatore-laico di monsignor Bevilacqua.
       In quel periodo organizza anche l’attività nella costruzione della villa di Maria Pyle a San Giovanni Rotondo e del convento di Pietrelcina, che la stessa ricca mecenate americana sovvenziona.
       Viaggia instancabilmente da S.G.Rotondo a Roma, da Pietrelcina a Firenze, e poi ancora a Bologna, Roma, S. G. Rotondo…e raccoglie numerosissimo materiale, grazie alle sue personali investigazioni e da fonti attendibili, tra le quali l’Archivio Vaticano, a cui ha libero accesso in virtù del suo incarico.
      Nel frattempo le misure restrittive nei confronti del suo amato padre spirituale non si attenuavano…anzi!
      Emanuele la pazienza la perde alla fine del 1927, anno in cui dovrà allontanarsi dal convento di S. G. Rotondo a causa di “pressioni superiori” ed inizia così a prendere forma l’idea di esercitare le sue, di “pressioni”, sul mondo ecclesiastico, affinché fosse ristabilita la verità. Pubblica a Lipsia –con l’aiuto di Francesco Morcaldi, sindaco di S. G. Rotondo e suo personale e fidato amico– “Lettera alla Chiesa” Leipzig 1929, un esplosivo dossier di 500 pagine, a firma di Felice de Rossi , suo pseudonimo del momento.
      Lo sconcerto da parte delle autorità religiose fu grande e molte accuse vennero lanciate da tutte e due le parti in causa, fra Brunatto e le alte cariche religiose, e alla stesura poi dei Patti Lateranensi (11-02-1929) i rapporti tra Emanuele e monsignor Bevilacqua si interrompono bruscamente e definitivamente.
      In quel periodo Padre Pio è invitato dalla contessa Augusta Sily nell’accettare una quota azionaria in una società per azioni, ma non potendolo fare per il voto di povertà che ogni frate francescano compie all’atto della sua entrata nell’ordine, si fa quindi rappresentare da Emanuele in questa società legata ad una serie di meccanismi innovativi per il trasporto su rotaia, per mezzo e tramite dei brevetti degli inventori Fausto Zarlatti e Umberto Simoni.
      Tra i maggiori azionisti di questa società vi era l’alta nomenclatura fascista dell’epoca, nelle persone dei conti Vincenzo Baiocchi, Alessandrini, l’avvocato Antonio Angelini Rota, ecc..
      Fa fare una barca di soldi alla società, vendendo i brevetti a molti stati europei, e ne fa anch’esso, di soldi. Tanti.
      Nel frattempo che Emanuele girava per l’Europa per lavoro, l’ 11 luglio del 1931 viene sancita la segregazione di Padre Pio, e nel contempo alte autorità religiose convincono il Morcaldi a consegnare l’intero stock di libri (998) e 13 pacchi, tra clichès e documenti vari, al segretario della Nunziatura Apostolica di Monaco di Baviera, il 10-10-1931, ed in una seconda tranche altre 21 buste di documentazione originale, ad un intermediario ecclesiastico, il 19-10-1931.
      In cambio, le “alte autorità ecclesiastiche” si impegnavano formalmente con il Morcaldi a fare ritirare i provvedimenti del Santo Uffizio a carico di Padre Pio… cosa che però non avvenne !
      Emanuele intanto, tornato in Italia e venuto a sapere tutto ciò, scatena un vero e proprio putiferio, apostrofando pesantemente l’intero entourage a cui aveva consegnato l’intero materiale, oramai definitivamente perduto.
      Si trasferisce in Francia, a Parigi, e decide di continuare la sua battaglia scrivendo un nuovo dossier, “Gli Anticristi nellaChiesa di Cristo” con il nome di John Willougby (altro suo pseudonimo) nel 1933, e ne fa stampare 2000 copie, che tiene pronte ad essere immesse nel mercato editoriale internazionale e decidendo il 16 luglio quale data per l’uscita dell’opera, di comune accordo con l’editore.
      Mentre nella “Lettera alla Chiesa” erano smascherate le persone implicate nelle calunnie e nelle malversazioni a carico di Padre Pio, nell’opera “Gli Anticristi nella Chiesa di Cristo” la denuncia investe e riguarda altissime personalità della Chiesa di Roma… fino al trono di San Pietro.
      L’oppressione nei confronti del suo amato padre spirituale… improvvisamente cessa (p.s. il 14 luglio 1933 si conclude la segregazione di Padre Pio) ed Emanuele decide così di non immettere il dossier nel mercato editoriale: ritira tutte le copie e non da seguito alla pubblicazione, pagando una forte penale all’editore, mantenendo però l’intera documentazione.
Nel 1934 conosce e si accompagna con Arlette Champrou (Parigi 1917-Roma 1990), di venticinque anni più giovane, e con lei mette al mondo ben quattro figli: Paolo (1936), Felicia (1937), Itala Monique (1938-1981) e Franca Brunatto (1938). Le ultime due, ovviamente, gemelle.
Durante il secondo conflitto mondiale Emanuele viaggia per l’Europa per affari, risiedendo spesso a Ginevra, mentre la sua nuova famiglia risiede invece a Quarrata, in Toscana.
Il 9 gennaio 1940 Padre Pio manifesta apertamente e pubblicamente il suo intento nella costruzione dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, e il 3 giugno del 1941 Emanuele, dalla capitale francese, fa pervenire una lettera di accredito al Credito Italiano di Firenze da parte della Banque Italo-Francaise de Credit (con sede sociale a Parigi, 1, Boulevard des… Capucines) della somma di 3.500.000 franchi francesi al “  Comitato per la costruzione della Clinica di San Giovanni Rotondo –Foggia“. Con questa iniziale e cospicua donazione si gettano delle solide basi per la costruzione dell’ospedale tanto desiderato da Padre Pio ed inaugurato il 5-5-1956.
      Alla fine del secondo conflitto mondiale Emanuele è di nuovo a Parigi, Ginevra , Roma e fonda l’«Associazione per la difesa delle opere e della persona di Padre Pio da Pietrelcina». Nel 1955 collabora e finanzia la pubblicazione di “Legge e Giustizia”, rivista di critica giuridica, diretta dall’avvocato Giacomo Primo Augenti, con sede in via Tacito 64, telefono 311273. Dirige e sovvenziona la pubblicazione di “Franciscus”, rivista dell’ Associazione dei Fondatori ed Oblatori della Casa Sollievo della Sofferenza, con sede sociale a Ginevra in rue de Roveray 16, telefono 022-361034, segretaria madame Sordido, ufficio di Parigi 2°, 8 rue San Marc, telefono 0815, ufficio di Roma in via Nazionale 243, telefono 484847, segretaria la signorina Emmanuela Gomez de Teràn.
      Ha quindi notevoli disponibilità economiche ed appare a tutti come un uomo potente, cui nulla è negato. Continua ad avere contatti con alte cariche civili, politiche e religiose, ma su espresso desiderio di Padre Pio è impegnato nel vincolo del silenzio, rimanendo purtuttavia animato dal suo spirito ribelle, che potrebbe fare scoppiare scandalo enorme.
       Dopo lo sporco affare dei magnetofoni nella cella e nel confessionale di Padre Pio pubblica, nel giugno del 1963, il “ Libro Bianco “, casa editrice AID, rue de Roveray –Geneve– (n.d.r. di cui ne sono rimaste solo due copie ) chiedendo che venisse sottoposto all’arbitrato internazionale dell’ O.N.U. e con sue personali iniziative sostiene la campagna a difesa e a favore del suo padre spirituale, rovesciando le diffamazioni e le calunnie, smascherando la congiura che mirava unicamente nell’accaparrare i soldi che le opere del cappuccino stigmatizzato facevano arrivare al convento di San Giovanni Rotondo, sotto forma di offerte dei fedeli .
      La sera del 9 febbraio 1965, intuendo chissà cosa, telefona al suo amico Luigi Peroni di Roma e lo prega urgentemente di andarlo a trovare nel suo studio-appartamento di via Nazionale. Al suo arrivo (al commendatore non si può dire di no...) Emanuele lo prega insistentemente di prendere in consegna il suo materiale (bobine, appunti, libri,documenti…) e di tenerli in custodia in un luogo sicuro. Il Peroni è letteralmente frastornato e confuso di fronte a tutto quel materiale, così numeroso che ci sarebbe voluta una macchina e lui, venendo dal suo ufficio, non l’aveva con sé. Chiede quindi un po’ di tempo per organizzare il tutto, almeno una notte…
      Emanuele è trovato morto la mattina del 10 febbraio, dalla donna incaricata delle pulizie del suo ufficio-studio-abitazione. La polizia afferma che sia stato stroncato da un infarto, altri (tra questi il suo amico, imprenditore veneto, Giuseppe Pagnossin) d’avvelenamento da stricnina. Consumava infatti i pasti facendosi recapitare il cibo da un vicino ristorante. Da una semplice inchiesta presso la Biblioteca Nazionale di Roma è emerso che la notte del 9 febbraio del 1965… non è successo nulla.
      Nessuna notizia, nessun necrologio, nessun articolo.
      Niente sul Messaggero, nulla sul Paese Sera, l’Unità, l’Avanti, il Tempo.
      Il Brunatto, già morto, non esiste più, nemmeno come semplice notizia, neppure sui quotidiani del 10, 11, 12, 13 febbraio… e non esistono più le bobine, la documentazione, i libri, i manoscritti ( n.d.r. il giorno del suo funerale fu fatto sparire l’intero mobilio!).
      Non esiste più la sede di Ginevra, quella di Parigi, di Roma, i soldi, i conti bancari.
      Niente di niente.

      Ma in una bella e soleggiata mattina di primavera … ma questa è un’altra storia, quella di Emanuele finisce qui.
       P.S. Si dice e si racconta che se vi recate sulla tomba di qualcuno lungamente cercato, e gli ponete una –ed una sola– domanda, egli forse vi risponderà.
       Qualcuno lo ha fatto… ed Emanuele gli ha risposto.
Cinquestelle

      
…dal manoscritto di Emanuele Brunatto:
Mons. Rudolph Gerlach
(selezione di Cinquestelle)

       Naturalmente, le inchieste De Samper e Caccia Dominioni mi avevano portato ad esaminare l’ambiente che aveva permesso ai due di godere una lunga impunità sotto due pontificati successivi. Non si trattava, infatti, di perseguire semplicemente l’uno o l’altro pederasta, ma di smantellare un sistema di perversione che si era inserito nelle stanze superiori della Chiesa.
       Dovetti, di conseguenza, riesaminare il dossier di Rudolph Gerlach, che faceva parte del sistema allo stesso titolo di Caccia Dominioni , De Samper, Diana, ecc… sin dall’inizio del pontificato di Benedetto XV°.( 310-311-312-313-314).
      Intorno a questa mafia di invertiti che si contendevano i favori di Benedetto XV°, un’altra mafia di Gesuiti e di prelati erano lungi dal combattere lo scandalo e lo utilizzavano a fini personali, per mettere a profitto le miserie del Papa le cui tragiche ribellioni di Benedetto XV° ed i suoi disperati ritorni alla pietà erano visti come un pericolo dalla clicca infame: Rodolfo Gerlach, aspirante ufficiale, era stato espulso dalla armata tedesca per un affare di falso. Nel 1907 entrava nel collegio salesiano di Friburgo, continuava i suoi studi al Capranica di Roma, e finalmente veniva ordinato sacerdote al Collegio dei Mobili. Prestò alla corte pontificale in qualità di cameriere secreto partecipante. Bel giovane, fu per un certo tempo il preferito di Benedetto XV°( 315-316). Gerlach non perdeva il suo tempo nell’alcova papale., ma era l’agente, il più efficace ed attivo dello spionaggio tedesco in Italia. Lavorava al sicuro nello splendido osservatorio vaticano, situato nel cuore del Paese, e dove affluivano le notizie e i personaggi ben informati del mondo intero. Sotto pretesto di propaganda nei giornali cattolici, cominciò a distribuire i fondi tedeschi per assicurarsi delle complicità nella corte pontificale ed alla segreteria di Stato (317-318-319-320). Appoggiato dai Gesuiti che aspiravano alla revisione della famosa legge di Bismark, egli organizzava per mezzo della stampa una campagna disfattista e antinazionale (321-322). Nel contempo operava da collegamento tra i servizi di spionaggio francesi ed italiani (323-324). Aveva un servizio speciale nel porto di Genova, che controllava le più importanti importazioni d’ armi (325) mandava spie in abito sacerdotale sul fronte (326), raccoglieva informazioni economiche, militari e politiche nei rapporti segreti dei nunzi apostolici (327-328-329-330-331), si serviva di preti e prelati per corrispondere col barone Stocckmaker, capo dei servizi di spionaggio degli Imperi Centrali, ed utilizzava a fini spionistici il corriere diplomatico nella persona di monsignor Tedeschini (332-333-334), riceveva da Parigi i piani di difesa della capitale, viaggiava all’estero munito di lasciapassare vaticano, raccoglieva informazioni sugli spostamenti di truppe verso i Balcani e li trasmetteva ai sottomarini tedeschi operanti nel Mediterraneo (335-336-337), finanziava la ribellione dei disertori nelle foreste della Sila e degli agrumeti calabresi e siciliani (338-339-340-341).
       Contribuì ad organizzare il disastro della Leonardo da Vinci (342). In una parola, Gerlach era divenuto l’eroe dello spionaggio tedesco in Italia, e si guadagnava le più alte decorazioni. Ma una improvvisa irruzione dei servizi italiani di contro-spionaggio in certi ambienti sospetti di Roma, rivelò le sue attività e quelle di alcuni suoi complici. Gerlach, avvertito, fece operare le più gravi minacce del Pontefice. La segreteria di Stato negoziò febbrilmente con il governo italiano ed ottenne di far partire, sotto scorta, la spia in Svizzera, dove fu accolto nel quartiere generale della Compagnia di Gesù, insediato a Einsiedeln presso Zizers (343-344-345-346). Il processo contro Gerlach ed i suoi complici si aprì il 12 Aprile 1917 dinnanzi al Tribunale Militare di Roma. Fra gli imputati figurava Giuseppe Ambrogetti, invertito iscritto negli schedari della polizia, segretario di Gerlach e familiare della alcova di Benedetto XV°. Il padre Massaruti, superiore gesuita, i monsignori Tedeschini, Ciccone nonché il Prefetto della Biblioteca Vaticana, monsignor Achille Ratti, l’Ammiraglio della Chiesa e fratello del Papa, il comandante della guardia Svizzera, il seminarista del Vaticano, i direttori dei giornali cattolici…nessuno mancò all’appello per difendere la spia (347-348-349-350-351-352). Il Tribunale condannò mons. Gerlach, contumace, all’ergastolo. Il giorno dopo la sentenza questi dedicava a suo padre una fotografia, in cui faceva sfoggio delle sue recenti decorazioni: croce di ferro, gran cuore di Francesco Giuseppe, ordine (…) di Baviera, merito civile Bulgaro, croce a collare dei Castellani tedeschi, croce di Ludovico di Baviera, ecc…(353). Poco tempo dopo, lasciata Einsiedeln ed i suoi amici gesuiti, Rudolph Gerlach reclamava la restituzione del denaro lasciato a Roma…ed anche un po’ di più, che gli venne facilmente accordato: con la minaccia di pubblicare i documenti in suo possesso, ottenne una forte indennità (354-355).
       Nel 1921, la celebre spia si sparava a Baden-Baden (356).

      
Carlo Diana

      E’ probabile, ma non ne ho la prova, che Carlo Diana sia stato introdotto, nel 1916, da mons. Gerlach, alla corte pontificale. Carlo Diana era nato a Pordenone nel 1892. Suo padre era l’amministratore della vasta proprietà dei fratelli Scholl, cittadini tedeschi. Fu maestro elementare a Campiello ed a Pordenone.

      
…hanno scritto su di lui :Francobaldo Chiocci, Renzo Allegri, Rino Cammilleri, Lello Vecchiarino…
(selezione di Cinquestelle)

 
da: L’uomo che salvò Padre Pio
– vita, avventure e morte di Emanuele Brunatto-

di Francobaldo Chiocci
ADNKronoslibri-

      “Ebbe quattro nomi ed almeno due vite. Fu un comprovato libertino, ma fu anche l’uomo cha attraversò avventurosamente due nazioni per difendere un frate.
      Per difendere San Pio da Pietrelcina.
      Somiglia ad un romanzo ottocentesco, ma è tutta vera l’incredibile storia di Emanuele Brunatto, gran peccatore e gran devoto, praticamente ignorato nella agiografia di Padre Pio. Anche se, tra gli anni ’20 e ’30 e poi tra gli anni ’60 la sua intraprendenza fu determinante per riabilitare il cappuccino calunniato e segregato.
      Fu lui ad infiltrarsi tra i persecutori del frate, a scoprirne i vizi e a demolire le loro accuse.
      Fu lui ad inserirsi con forza, coinvolgendo anche l’O.N.U., nel doloroso conflitto tra Padre Pio e il Vaticano, tra dossiers segretissimi poi misteriosamente rubati.
      Morì misteriosamente, dopo aver telefonato ad un altro celebre convertito, l’industriale Giuseppe Pagnossin, per confidargli:” vogliono farmi la pelle...”
      E venne rapidamente dimenticato.”


da: I miracoli di Padre Piodi Renzo Allegri
Best Sellers Mondatori

      “Emanuele Brunatto, colui che divenne il suo difensore, il suo 007, l’amministratore del capitale che sarebbe servito per la costruzione della “Casa sollievo della Sofferenza”, per la sua condotta, per i suoi trascorsi, era un personaggio scomodo. Molto scomodo.
      Per questo le biografie ufficiali di Padre Pio lo ignorano, oppure lo citano di sfuggita.
      
Sembra che gli autori non riescano a trovare giustificazioni al fatto che il Padre abbia voluto accanto a sé quell’individuo e gli abbia affidato incarichi importanti e delicati. Secondo loro Padre Pio, almeno in questo caso, si era sbagliato.
      
Ma non fu così. Il Padre “leggeva nei cuori” ed aveva capito che in quello di Emanuele Brunatto, insieme a tutti i difetti e le colpe, c’erano delle eccezionali qualità che avrebbero fatto di lui un collaboratore prezioso.
      
Padre Pio sapeva tutto di Brunatto. Fin dal primo momento.
      
E nonostante quello che sapeva lo scelse subito per suo figlio spirituale”.

      
da: La storia di Padre Pio
- capitolo decimo: Il viveur
di Rino Cammilleri
PiemmeEdizioni

       “Quando la meretrice entrò non invitata,discinta ed in lacrime, nella sala del banchetto e si mise a profumare il capo di Gesù, tutti ne furono indignati. Ma il Signore li mise a tacere: ”In verità vi dico: in tutto il mondo, ovunque sarà predicato questo Vangelo, sarà pure narrato quello che essa ha fatto, a ricordo di lei” (Mt 26,13).
      Un personaggio del genere c’è nella vita di Padre Pio. Quando vi irruppe, molti se ne scandalizzarono per via dei suoi trascorsi. Ma non si può narrare la vita del frate con le stimmate senza di lui.
      Si tratta di Emanuele Brunatto, classe 1892, figura rocambolesca ed avventurosa che accompagnò il Padre come un cane fedelissimo per tutta la vita, mostrando i denti a quelli che lo insidiavano e intervenendo in prima persona, a volte anche risolutivamente, quando il frate non voleva difendersi”.


da: Padre Pio: fango,intrighi e carte false.di Lello Vecchiarino
Bastogi Editrice Italiana

       “…Pochi sapevano che Brunatto per oltre dieci anni era andato raccogliendo compromettenti documenti sul clero di Manfredonia che perseguitava Padre Pio. Molti di quei documenti hanno stazionato in territorio elvetico: prima al sicuro in una cassetta di sicurezza di una banca, poi custoditi da una persona in Italia di cui non si conosce il nome. (...)
       Scrisse un libro-verità sulle persecuzioni contro il frate del Gargano e una copia formato lusso fu regalata –con tanto di dedica– all’allora capo del governo, Benito Mussolini. Quel che emerge dall’analisi di alcuni documenti e registrazioni –molti dei quali conservati nell’archivio dei cappuccini– è che il Brunatto aveva allestito una vera e propria rete informativa che gli consentiva di mettere le mani anche sulla corrispondenza segreta che, ad esempio, intercorreva tra alcuni monaci del convento e personaggi esterni, anche del Vaticano.
       Al Regio Ufficio Postale, in qualche ufficio giudiziario, in più di una Ambasciata romana, alla Curia Sipontina, negli stessi uffici d’oltre Tevere: Brunatto aveva conoscenze e fidati collaboratori.
       Sapeva che una sorta di regia occulta cospirava contro il suo padre spirituale, ed era stato necessario approntare mezzi da vero e proprio contro-spionaggio (scambio di tavolette, copialettere, fotografie di documenti, pedinamenti, lauti compensi per ottenere copie di documenti e significative missive) senza che Padre Pio nulla sapesse, ma a sua difesa.
       Lettere, copie fotostatiche,documenti e ritagli, Brunatto li teneva catalogati e racchiusi in numerose cartelline color marrone; una biblioteca della quale era solito dire: “Ecco il mio tesoro. Non sono volumi, è dinamite. Se le circostanze me lo imporranno, non esiterò ad accendere la miccia.” (…) Brunatto faceva paura a chi sapeva di aver tutto da perdere se certi documenti fossero stati dati in pasto alla pubblica opinione, anche internazionale.
       Bisognava fermarlo, e soltanto un uomo era capace di farlo: Padre Pio.
       Da questi, infatti, «’u poliziotto» ricevette una lettera scritta nella notte tra il 14 e il 15 marzo del 1933…


da: Epistolario di Padre Pio da Pietrelcina- libro IV°, pagg. 740-741-742- terza edizione (1998)
edizioni “Padre Pio da Pietrelcina” Convento S.M. delle Grazie 7103 S. G. Rotondo

“San Giovanni Rotondo, 14-15 marzo 1933 (1)
       Caro Emmanuele, la grazia del Signore sia sempre teco.
       Ti scrivo la presente per esternarti la mia sorpresa ed il mio dolore nel sentire che vuoi dare alle stampe ciò che assolutamente non deve essere stampato non solo, ma che nessun essere umano deve conoscere. Ed il mio dolore aumenta quando penso che tu minacci di fare ciò se il sottoscritto non viene subito riabilitato. Ma io assolutamente non voglio ottenere la mia liberazione o riabilitazione con atti che ripugnano, che fanno arrossire il più volgare delinquente. Emmanuele, mi vuoi davvero bene? Ed allora tu devi almeno per amor mio desistere da tale proposito e non pensarvi mai più. Anzi sono a pregarti e a scongiurarti di disfarti di tutta codesta robaccia, consegnando subito i documenti che tieni. (…) E poi devo dirti in coscienza che non posso assolutamente permettere che tu mi difenda o cerchi di liberare col gettare fango, e quale fango, in faccia a persone che io, tu e tutti abbiamo un sacrosanto dovere di rispettare. (…) Tu con la tua malaugurata stampa di detto libro, oltre a tutto il male di cui sarai cagione, verrai a peggiorare certamente le condizioni di tutti coloro che tu vuoi difendere. (…) Si bruci e si consegni quanto prima a chi di dovere il tutto che vuoi stampare.
       
Nella speranza che vorrai ascoltarmi, ti benedico con tutta l’effusione del cuore.
Aff.mo in Gesù e nel padre San Francesco,F. Pio da Pietrelcina, minore cappuccino.”
(1) La lettera fu scritta da Padre Pio dietro esplicita richiesta dei Visitatori mons. Luca Pasetto e mons. Felice Bevilacqua, che giunsero a S. G. Rotondo il 14 marzo 1933. Quindi la lettera risale al 14-15 di quel mese. Fu datata 28 marzo 1933 e spedita il 31 da Foggia, dalla Casa Provincializia.


L'uomo che salvò un Santo:  http://www.emanuelebrunatto.it/



AMDG et DVM

venerdì 19 luglio 2019

Ri-pubblicazione

Questa mattina, mi aiuta la Voce
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13 novembre 2007

JNSR:    Poiché le parabole erano dei racconti allegorici, con una morale dal significato nascosto che GESÙ rivelava ai soli Apostoli e ai Discepoli, gli eventi miracolosi della Santa Bibbia avevano spesso un secondo significato, vicino o lontano nel tempo, oltre al fatto miracoloso stesso.

Così è delle Moltiplicazioni dei pani e della loro parte nascosta che il Signore lascia scoprire nel tempo voluto. Queste due Moltipli­cazioni e il ritorno di Gesù nella barca con i Suoi Apostoli (la  Barca della Chiesa) non erano da scoprirsi fino ad oggi.

La prima Moltiplicazione e l’Istituzione della Santa Eucaristia con il Sacerdozio conferito agli Apostoli, sono in sintonia. È la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, che è così istituita la sera del Giovedì Santo secondo il nostro calendario. Ma, in quel momento, per Cristo e i Suoi Apostoli al Cenacolo di Gerusalemme, la giornata del Venerdì Santo è già cominciata in quello stesso Giovedì Santo, alle ore 18 passate. Questo Santo Ufficio della Messa sarà perpetuato fino ai nostri giorni dai Preti, che hanno ricevuto dagli Apostoli e dai loro successori il Sacramento dell'Ordine.

« Prendete e mangiate, questo e il Mio Corpo. Prendete e bevete, questo e il Mio Sangue. Fate questo in memoria di Me. »

E quel giorno del Venerdì Santo lascia il posto al “Shabat” seguente, ugualmente dopo le ore 18 del giorno seguente. A quell'ora, già il Corpo di GESÙ è stato deposto dalla Croce e messo nel Sepolcro.

Questa prima Moltiplicazione ci dimostra che, anche dopo la dispersione dei Cristiani causata dalla Morte di GESÙ, essi sono rimasti uniti e credenti (è la Chiesa) fino alla seconda Moltiplicazione dei pani che ci trasporta a DOZULÈ, dove GESÙ chiederà, in commemorazione della Sua Morte e della Sua Santa Resurrezione e l'annuncio del Suo ritorno imminente, quella Croce gigantesca di 738 metri, 1'altezza del Golgota.

Tutto questo spaventerà il Clero al quale è stata chiesta in modo speciale. E a quel punto si riscontra la diminuzione catastrofica del numero dei veri Cristiani. Una catastrofe enorme per Dio, più ancora di tutti questi sconvolgimenti che si succedono sulla Terra, nei mari e nei cieli.

Secondo Avvertimento a questa Umanità che lotta contro Dio e la Sua Croce. Secondo Avvertimento che terminerà con un disastro più grande ancora di quello di Noè, ma che sarà diminuito dal Segno del Figlio dell'Uomo che apparirà nel cielo.

«Se voi non elevate la Mia Croce, la eleverò Io stesso, ma non ci sarà più Tempo!»

Il nostro Tempo scompare con tutti gli ingrati, ahimè, peggio che al tempo di Noé! – ci dirà GESÙ a Dozulé. E la Chiesa non L'ha creduto e rifiuta ancora di vedere quello che avviene nel mondo oggi ; e che tutto questo è il riflesso della seconda Grande Disobbedienza a Dio, dopo il Peccato Originale. Perché questo NO a Dio è detto soprattutto al Figlio di Dio, al quale il Padre ha tutto consegnato.

Egli è il Padrone del Mondo.


Nel nostro tempo, tempo della Seconda Moltiplicazione, ci sono ancora più Pani di Comunione: 7 anziché i 5 della prima Moltiplicazione. Ma meno fedeli: 4000.

I Preti che restano (7) sono ancora solidali alla Chiesa, essendo 7 la cifra completa. Ma meno di prima.

E Dio aspetta ancora quelli che mancano: 3000 per i 7 pani: 1000 Ebrei e 1000 Arabi, tutti figli di Àbramo, e 1000 di religioni diverse. GESÙ aspetta ancora questi che mancano fino al giorno in cui la Pazienza di Dio, uguale alla Sua Santa Misericordia, ordinerà al Suo Divin Figlio di alzare anche Lui la Sua Voce, per gridare insieme:  « BASTA! » e lasciar cadere il Suo braccio sulla Terra intera, sprofondata nel caos che essa stessa si è procurato.

In questa Grande Disobbedienza al Nostro Signore e Dio, GESÙ chiede ancora delle Sante Messe in segno del Grande Pentimento Mondiale che non si è fatto a Dozulé a causa del rifiuto della Santa Croce di Salvezza.

E allora voi vedrete la Barca della Chiesa con gli Apostoli (i Vescovi e i Preti) e GESÙ che dice loro: « Voi non avete ancora capito che Solo Io sono nella vostra Chiesa con voi. E che importanza ha tutto il nutrimento che vi dà il mondo? Io sono qui, con voi! lo sono il Pane di Vita

E se i primi Apostoli, al loro tempo, non potevano comprendere, GESÙ dirà ancora:

«Padre, perdonali, non sanno quel che fanno.
Sono ancora ciechi e sordi spiritualmente.»

Fin qui, GESÙ mi ha guidata per terminare questo scritto, e notare che è facile dire: «lo non capisco», piuttosto che confessare: «Io non cerco di capire », come ha fatto il Clero «per la Mia Croce di Dozulé.»

JNSR, aiutata dalla Voce che non sbaglia.

IL SANTO oggi PIU' DIMENTICATO: preghiamolo di più

San Vincenzo de' Paoli
Risultati immagini per gigantesca statua di san vincenzo, è collocata nella basilica di san pietro

Nella storia della cristianità, fra le innumerevoli schiere di martiri e santi, spiccano in ogni periodo storico delle figure particolari, che nel proprio campo di apostolato, sono diventate dei colossi, su cui si fonda e si perpetua la struttura evangelica, caritatevole, sociale, mistica, educativa, missionaria, della Chiesa.
E fra questi suscitatori di Opere, fondatori e fondatrici di Congregazioni religiose, pastori zelanti di ogni grado, ecc., si annovera la luminosa figura di san Vincenzo de’ Paoli, che fra i suoi connazionali francesi era chiamato Monsieur Vincent”.

Gli anni giovanili

Vincenzo Depaul, in italiano De’ Paoli, nacque il 24 aprile del 1581 a Pouy in Guascogna (oggi Saint-Vincent-de-Paul); benché dotato di acuta intelligenza, fino ai 15 anni non fece altro che lavorare nei campi e badare ai porci, per aiutare la modestissima famiglia contadina.
Nel 1595 lasciò Pouy per andare a studiare nel collegio francescano di Dax, sostenuto finanziariamente da un avvocato della regione, che colpito dal suo acume, convinse i genitori a lasciarlo studiare; che allora equivaleva avviarsi alla carriera ecclesiastica.
Dopo un breve tempo in collegio, visto l’ottimo risultato negli studi, il suo mecenate, giudice e avvocato de Comet senior, lo accolse in casa sua affidandogli l’educazione dei figli.

Vincenzo ricevette la tonsura e gli Ordini minori il 20 dicembre 1596, poi con l’aiuto del suo patrono, poté iscriversi all’Università di Tolosa per i corsi di teologia; il 23 settembre 1600 a soli 19 anni, riuscì a farsi ordinare sacerdote dall’anziano vescovo di Périgueux (in Francia non erano ancora attive le disposizioni in materia del Concilio di Trento), poi continuò gli studi di teologia a Tolosa, laureandosi nell’ottobre 1604.

Sperò inutilmente di ottenere una rendita come parroco, nel frattempo perse il padre e la famiglia finì ancora di più in ristrettezze economiche; per aiutarla Vincent aprì una scuola privata senza grande successo, anzi si ritrovò carico di debiti.
Fu di questo periodo la strabiliante e controversa avventura che gli capitò; verso la fine di luglio 1605, mentre viaggiava per mare da Marsiglia a Narbona, la nave fu attaccata da pirati turchi ed i passeggeri, compreso Vincenzo de’ Paoli, furono fatti prigionieri e venduti a Tunisi come schiavi.

Vincenzo fu venduto successivamente a tre diversi padroni, dei quali l’ultimo, era un frate rinnegato che per amore del denaro si era fatto musulmano.
La schiavitù durò due anni, finché riacquistò la libertà fuggendo su una barca insieme al suo ultimo padrone da lui convertito; attraversando avventurosamente il Mediterraneo, giunsero il 28 giugno 1607 ad Aigues-Mortes in Provenza.
Ad Avignone il rinnegato si riconciliò con la Chiesa, nelle mani del vicedelegato pontificio Pietro Montorio, il quale ritornando a Roma, condusse con sé i due uomini.
Vincenzo rimase a Roma per un intero anno, poi ritornò a Parigi a cercare una sistemazione; certamente negli anni giovanili Vincenzo de’ Paoli non fu uno stinco di santo, tanto che alcuni studiosi affermano, che i due anni di schiavitù da lui narrati, in realtà servirono a nascondere una sua fuga dai debitori, per la sua fallimentare conduzione della scuola e pensionato privati.
Riuscì a farsi assumere tra i cappellani di corte, ma con uno stipendio di fame, che a stento gli permetteva di sopravvivere, senza poter aiutare la sua mamma rimasta vedova. 

Parroco e precettore

Finalmente nel 1612 fu nominato parroco di Clichy, alla periferia di Parigi; in questo periodo della sua vita, avvenne l’incontro decisivo con Pierre de Bérulle, che accogliendolo nel suo Oratorio, lo formò a una profonda spiritualità; nel contempo, colpito dalla vita di preghiera di alcuni parrocchiani, padre Vincenzo ormai di 31 anni, lasciò da parte le preoccupazioni materiali e di carriera e prese ad insegnare il catechismo, visitare gli infermi ed aiutare i poveri.

Lo stesso de Brulle, gli consigliò di accettare l’incarico di precettore del primogenito di Filippo Emanuele Gondi, governatore generale delle galere.

Nei quattro anni di permanenza nel castello dei signori Gondi, Vincenzo poté constatare le condizioni di vita che caratterizzavano le due componenti della società francese dell’epoca, i ricchi ed i poveri. 

I ricchi a cui non mancava niente, erano altresì speranzosi di godere nell’altra vita dei beni celesti, ed i poveri che dopo una vita stentata e disgraziata, credevano di trovare la porta del cielo chiusa, a causa della loro ignoranza e dei vizi in cui la miseria li condannava.

Anche la signora Gondi condivideva le preoccupazioni del suo cappellano, pertanto mise a disposizione una somma di denaro, per quei religiosi che avessero voluto predicare una missione ogni cinque anni, alla massa di contadini delle sue terre; ma nessuna Congregazione si presentò e il cappellano de’ Paoli, intimorito da un compito così grande per un solo prete, abbandonò il castello senza avvisare nessuno.

Gli inizi delle sue fondazioni – Le “Serve dei poveri”

Le fondazioni di Vincenzo de’ Paoli, non scaturirono mai da piani prestabiliti o da considerazioni, ma bensì da necessità contingenti, in un clima di perfetta aderenza alla realtà.

Lasciato momentaneamente il castello della famiglia Gondi, Vincenzo fu invitato dagli oratoriani di de Bérulle, ad esercitare il suo ministero in una parrocchia di campagna a Chatillon-le-Dombez; il contatto con la realtà povera dei contadini, che specie se ammalati erano lasciati nell’abbandono e nella miseria, scosse il nuovo parroco.

Dopo appena un mese dal suo arrivo, fu informato che un’intera famiglia del vicinato, era ammalata e senza un minimo di assistenza, allora lui fece un appello ai parrocchiani che si attivassero per aiutarli, appello che fu accolto subito e ampiamente.

Allora don Vincenzo fece questa considerazione: “Oggi questi poveretti avranno più del necessario, tra qualche giorno essi saranno di nuovo nel bisogno!”. Da ciò scaturì l’idea di una confraternita di pie persone, impegnate a turno ad assistere tutti gli ammalati bisognosi della parrocchia; così il 20 agosto 1617 nasceva la prima ‘Carità’, le cui associate presero il nome di “Serve dei poveri”; in tre mesi l’Istituzione ebbe un suo regolamento approvato dal vescovo di Lione.

La Carità organizzata, si basava sul concetto che tutto deve partire da quell’amore, che in ogni povero fa vedere la viva presenza di Gesù, e dall’organizzazione, perché i cristiani sono tali solo se si muovono coscienti di essere un sol corpo, come già avvenne nella prima comunità di Gerusalemme.

La signora Gondi riuscì a convincerlo a tornare nelle sue terre e così dopo la parentesi di sei mesi come parroco a Chatillon-les-Dombes, Vincenzo tornò, non più come precettore, ma come cappellano della massa di contadini, circa 8.000, delle numerose terre dei Gondi.

Prese così a predicare le Missioni nelle zone rurali, fondando le ‘Carità’ nei numerosi villaggi; s. Vincenzo avrebbe voluto che anche gli uomini, collaborassero insieme alle donne nelle ‘Carità’, ma la cosa non funzionò per la mentalità dell’epoca, quindi in seguito si occupò solo di ‘Carità’ femminili.

    Quelle maschili verranno riprese un paio di secoli dopo, nel 1833, da Emanuele Bailly a Parigi, con un gruppo di sette giovani universitari, tra cui la vera anima fu il beato Federico Ozanam (1813-1853); esse presero il nome di “Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli”.
Intanto nel 1623 Vincenzo de’ Paoli, si laureò in diritto canonico a Parigi e restò con i Gondi fino al 1625.

Le “Dame della Carità”

Vincenzo de’ Paoli, vivendo a Parigi si rese conto che la povertà era presente, in forma ancora più dolorosa, anche nelle città e quindi fondò anche a Parigi le ‘Carità’; qui nel 1629 le
“Suore dei poveri” presero il nome di “Dame della Carità”.

Nell’associazione confluirono anche le nobildonne, che poterono dare un valore aggiunto alla loro vita spesso piena di vanità; ciò permise alla nobiltà parigina di contribuire economicamente alle iniziative fondate da “monsieur Vincent”.
L’istituzione cittadina più importante fu quella detta dell’”Hotel Dieu” (Ospedale), che s. Vincenzo organizzò nel 1634, essa fu il più concreto aiuto al santo nelle molteplici attività caritative, che man mano lo vedevano impegnato; trovatelli, galeotti, schiavi, popolazioni affamate per la guerra e nelle Missioni rurali.
Fra le centinaia di associate a questa meravigliosa ‘Carità’, vi furono la futura regina di Polonia Luisa Maria Gonzaga e la duchessa d’Auguillon, nipote del Primo Ministro, cardinale Richelieu.
Le prime ‘Carità’ vincenziane sorsero in Italia a Roma (1652), Genova (1654), Torino (1656). 

I “Preti della Missione” o “Lazzaristi”

Anche in questa fondazione ci fu l’intervento munifico dei signori Gondi; la sua origine si fa risalire alla fortunata predicazione che il fondatore tenne a Folleville il 25 gennaio 1617; le sue parole furono tanto efficaci che non bastarono i confessori.

Il bene ottenuto in quel villaggio, indusse la signora Gondi ad offrire una somma di denaro a quella comunità che si fosse impegnata a predicare periodicamente ai contadini; come già detto non si presentò nessuno, per cui dopo il suo ritorno a Parigi, Vincenzo de’ Paoli prese su di sé l’impegno, aggregandosi con alcuni zelanti sacerdoti e cominciò dal 1618 a predicare nei villaggi.

Il risultato fu ottimo, ed altri sacerdoti si unirono a lui, i signori Gondi aumentarono il finanziamento e anche l’arcivescovo di Parigi diede il suo appoggio, assegnando a Vincenzo ed ai suoi missionari rurali, una casa nell’antico Collegio dei Bons-Enfants in via S. Vittore; il contratto fra Vincenzo de’ Paoli ed i signori Gondi porta la data del 17 aprile 1625.

La nuova comunità, si legge nel contratto, doveva fare vita comune, rinunziare alle cariche ecclesiastiche, e predicare nei villaggi di campagna; inoltre occuparsi dell’assistenza spirituale dei forzati e insegnare il catechismo nelle parrocchie nei mesi estivi.

La “Congregazione della Missione” come si chiamò, fu approvata il 24 aprile 1626 dall’arcivescovo di Parigi, dal re di Francia nel maggio 1627 e da papa Urbano VIII il 12 gennaio 1632.

Intanto i missionari si erano spostati nel priorato di San Lazzaro, da cui prenderanno anche il nome di “Lazzaristi”.

In seguito Vincenzo accettò che i suoi Preti della Missione o Lazzaristi, riuniti in una Congregazione senza voti, si dedicassero alla formazione dei sacerdoti, con Esercizi Spirituali, dirigendo Seminari e impegnandosi nelle Missioni all’estero come in Madagascar, nell’assistenza agli schiavi d’Africa.
Quando morì nel 1660, la sola Casa di San Lazzaro, aveva già dato 840 missioni e un migliaio di persone si erano avvicendate in essa, per turni di Esercizi Spirituali.

Le “Figlie della Carità”

La feconda predicazione nei villaggi, suscitò la vocazione all’apostolato attivo, prima nelle numerose ragazze delle campagne poi in quelle della città; desiderose di lavorare nelle ‘Carità’ a servizio dei bisognosi, ma anche consacrandosi totalmente.

Vincenzo de’ Paoli intuì la grande opportunità di estendere la sua opera assistenziale, lì dove le “Dame della Carità” per la loro posizione sociale, non potevano arrivare personalmente.

Affidò il primo gruppo per la loro formazione, ad una donna eccezionale s. Luisa de Marillac (1591-1660) vedova Le Gras, era il 29 novembre 1633; Luisa de Marillac le accolse in casa sua e nel luglio dell’anno successivo le postulanti erano già dodici.

La nuova Congregazione prese il nome di “Figlie della Carità”; i voti erano permessi ma solo privati ed annuali, perché tutte svolgessero la loro missione nella più piena libertà e per puro amore; l’approvazione fu data nel 1646 dall’arcivescovo di Parigi e nel 1668 dalla Santa Sede.
Nel 1660, anno della morte del fondatore e della stessa cofondatrice, le “Figlie della Carità” avevano già una cinquantina di Case.
    Con il loro caratteristico copricapo, che le faceva assomigliare a degli angeli, e a cui le suore hanno dovuto rinunciare nel 1964 per un velo più pratico, esse allargarono la loro benefica attività d’assistenza ai malati negli ospedali, ai trovatelli, agli orfani, ai forzati, ai vecchi, ai feriti di guerra, agli invalidi e ad ogni sorta di miseria umana.
Ancora oggi le Figlie della Carità, costituiscono la Famiglia religiosa femminile più numerosa della Chiesa.

La formazione del clero

Attraverso l’Opera degli Esercizi Spirituali, i Preti della Missione divennero di fatto, i più prestigiosi e qualificati formatori dei futuri sacerdoti, al punto che l’arcivescovo di Parigi dispose che i nuovi ordinandi, trascorressero quindici giorni di preparazione nelle Case dei Lazzaristi, in particolare nel Collegio dei Bons-Enfants di cui Vincenzo de’ Paoli era superiore.

Più tardi, nel priorato di San Lazzaro, l’Opera degli Esercizi Spirituali si estese a tutti gli ecclesiastici che avessero voluto fare un ritiro annuale e anche a folti gruppi di laici.

Da ciò scaturì nei sacerdoti il desiderio di riunirsi settimanalmente, per esortarsi a vicenda nel cammino di una santa vita sacerdotale; così a partire dal 1633, un folto gruppo di ecclesiastici, con la guida di Vincenzo de’ Paoli, prese a riunirsi il martedì, dando vita appunto alle “Conferenze del martedì”.

Tale meritoria opera di formazione non sfuggì al potente cardinale Richelieu, il quale volle essere informato sulla loro attività e chiese pure al fondatore, una lista di nomi degni di essere elevati all’episcopato.
Lo stesso re Luigi XIII, chiese a ‘monsieur Vincent’, una seconda lista di degni ecclesiastici adatti a reggere diocesi francesi; il sovrano poi lo volle accanto al suo letto di morte, per ricevere gli ultimi conforti spirituali.
Anche la direzione dei costituendi Seminari delle diocesi francesi, voluti dal Concilio di Trento, vide sempre nel 1660, ben dodici rettori appartenenti ai Preti della Missione 

Alla corte di Francia

Nel 1643, Vincenzo de’ Paoli fu chiamato a far parte del Consiglio della Coscienza o Congregazione degli Affari Ecclesiastici, dalla reggente Anna d’Austria; presieduto dal card. Giulio Mazzarino, il compito del Consiglio era la scelta dei vescovi ed il rilascio di benefici ecclesiastici. 

Il potente Primo Ministro faceva scelte di opportunità politica, soprassedendo sulle qualità morali e religiose; era inevitabile lo scontro fra i due, Vincenzo gli si oppose apertamente, anche criticandolo nelle sue scelte di politica interna, specie nei giorni oscuri della Fronda, quando Mazzarino tentò di mettere alla fame Parigi in rivolta, Vincenzo allora organizzò una mensa popolare a San Lazzaro, dando da mangiare a 2000 affamati al giorno.
Nel 1649 giunse a chiedere alla regina, l’allontanamento del Mazzarino per il bene della Francia; la richiesta non poté aver seguito e quindi Vincenzo de’ Paoli cadde in disgrazia e fu definitivamente allontanato dal Consiglio di Coscienza nel 1652.
La reggente Anna d’Austria gli concesse l’incarico di Ministro della Carità, per organizzare su scala nazionale gli aiuti ai poveri; si disse che dalle sue mani passasse più denaro che in quelle del ministro delle Finanze.

Altri aspetti della sua opera

Vincenzo de’ Paoli
divenne il maggiore oppositore alle idee gianseniste propugnate in Francia dal suo amico Giovanni du Vergier, detto San Cirano († 1642) e poi da Antonio Arnauld; dopo la condanna del giansenismo da parte dei papi Innocenzo X nel 1653 e Alessandro VIII nel 1656, Vincenzo si adoperò, affinché la decisione pontificia fosse accettata con sottomissione da tutti gli aderenti alle idee del vescovo olandese Giansenio (1585-1638).

   *Il movimento eterodosso del giansenismo affermava, che per la salvezza dell’uomo, a causa della profonda corruzione scaturita dal peccato originale, occorreva l’assoluta necessità della Grazia, la quale sarebbe stata concessa solo ad alcuni, per imperscrutabile disegno di Dio.*

Fu riformatore della predicazione, fino allora barocca, introducendo una semplice tecnica oratoria: della virtù scelta per argomento, ricercare la natura, i motivi di praticarla, ed i mezzi più opportuni

Per lui apostolo della carità fra i prigionieri ed i forzati, re Luigi XIII, su suggerimento di Filippo Emanuele Gondi, istituì la carica di Cappellano capo delle galere (8 febbraio 1619), questo gli facilitò il compito e l’accesso nei luoghi di pena e di partenza dei galeotti rematori; dal 1640 il compito passò anche ai suoi Missionari e alle Dame e Figlie della Carità.

Inoltre si calcola che tra il 1645 e il 1661, Vincenzo de’ Paoli e i suoi Missionari, liberarono non meno di 1200 schiavi cristiani in mano ai Turchi musulmani.

Monsieur Vincent fu fin dai primi anni, membro attivo della potente “Compagnia del SS. Sacramento”, sorta a Parigi nel 1630, composta da ecclesiastici e laici insigni e dedita ad “ogni forma di bene”.

Vincenzo de’ Paoli fu spesso ispiratore della benefica attività della Compagnia e da essa ricevé aiuto e collaborazione, per le sue tante opere assistenziali. 

Il pensiero spirituale

Nei dodici capitoli delle “Regulae”, Vincenzo ha condensato lo spirito che deve distinguere i suoi figli come religiosi: la spiritualità contemplativa del pensiero del card. de Bérulle, sotto la cui direzione egli rimase per oltre un decennio; l’umanesimo devoto di s. Francesco di Sales, suo grande amico, del quale lesse più volte le opere spirituali e l’ascetismo di s. Ignazio di Loyola, del quale assimilò il temperamento pratico; elaborando da queste tre fonti una nuova dottrina spirituale. 

Le virtù caratteristiche dello spirito vincenziano, secondo la Regola dei Missionari, sono le “cinque pietre di Davide, cioè la semplicità, l’umiltà, la mansuetudine, la mortificazione e lo zelo per la salvezza delle anime.

La morte, patronati

Il grande apostolo della Carità, si spense a Parigi la mattina del 27 settembre 1660 a 79 anni; ai suoi funerali partecipò una folla immensa di tutti i ceti sociali; fu proclamato Beato da papa Benedetto XIII il 13 agosto 1729 e canonizzato da Clemente XII il 16 giugno 1737.

I suoi resti mortali, rivestiti dai paramenti sacerdotali, sono venerati nella Cappella della Casa Madre dei Vincenziani a Parigi.

È patrono del Madagascar, dei bambini abbandonati, degli orfani, degli infermieri, degli schiavi, dei forzati, dei prigionieri. Leone XIII il 12 maggio 1885 lo proclamò patrono delle Associazioni cattoliche di carità.
In San Pietro in Vaticano, una gigantesca statua, opera dello scultore Pietro Bracci, è collocata nella basilica dal 1754, rappresentante il “padre dei poveri”.
La sua celebrazione liturgica è il 27 settembre.

Autore: 
Antonio Borrelli


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Die 19 Julii

S. VINCENTII A PAULO

Confessoris

Duplex



Introitus Ps. 91, 13-14
JUSTUS ut palma florébit: sicut cedrus Líbani multiplicábitur: plantátus in domo Dómini: in átriis domus Dei nostri. Ps. ibid., 2 Bonum est confitéri Dómino: et psállere nómini tuo, Altíssime. V/. Glória Patri.

Oremus

DEUS, qui ad evangelizándum paupéribus et ecclesiástici órdinis decórem promovéndum, beátum Vincéntium apostólica virtúte roborásti: praesta, quaésumus ; ut, cujus pia mérita venerámur, virtútum quoque instruámur exémplis. Per Dóminum.

Léctio Epístolae beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

1 Cor. 4, 9-14

FRATRES: Spectáculum facti sumus mundo, et Angelis, et homínibus. Nos stulti propter Christum, vos autem prudéntes in Christo: nos infírmi, vos autem fortes: vos nóbiles, nos autem ignóbiles. 


Usque in hanc horam et esurímus, et sitímus, et nudi sumus, et cólaphis caédimur, et instábiles sumus, et laborámus operántes mánibus nostris: maledícimur, et benedícimus: persecutiónem pátimur, et sustinémus: blasphemámur, et obsecrámus: tamquam purgaménta hujus mundi facti sumus, ómnium peripséma usque adhuc. 


Non ut confúndam vos, haec scribo, sed ut fílios meos caríssimos móneo: in Christo Jesu Dómino nostro.



Graduale Ps. 36, 30-31 Os justi meditábitur sapiéntiam, et lingua ejus loquétur judícium. V/. Lex Dei ejus in corde ipsíus: et non supplantabúntur gressus ejus.
Allelúja, allelúja. V/. Ps. 111, 1 Beátus vir, qui timet Dóminum: in mandátis ejus cupit nimis. Allelúja.

+ Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc. 10, 1-9

IN illo témpore: Designávit Dóminus et álios septuagínta duos: et misit illos binos ante fáciem suam in omnem civitátem et locum, quo erat ipse ventúrus. Et dicébat illis: Messis quidem multa, operárii autem pauci. 


Rogáte ergo Dóminum messis, ut mittat operários in messem suam. Ite: ecce, ego mitto vos sicut agnos inter lupos. Nolíte portáre sácculum, neque peram, neque calceaménta, et néminem per viam salutavéritis. 

In quamcúmque domum intravéritis, primum dícite: Pax huic dómui: et si ibi fúerit fílius pacis, requiéscet super illum pax vestra: sin autem, ad vos revertétur. In eádem autem domo manéte, edéntes et bibéntes quae apud illos sunt: dignus est enim operárius mercéde sua. 


Nolíte transíre de domo in domum. Et in quamcúmque civitátem intravéritis, et suscéperint vos, manducáte quae apponúntur vobis: et curáte infírmos, qui in illa sunt, et dícite illis: Appropinquávit in vos regnum Dei.



Offertorium Ps. 20, 2-3 In virtúte tua, Dómine, laetábitur justus, et super salutáre tuum exsultábit veheménter: desidérium ánimae ejus tribuísti ei.

Secreta


PRAESTA nobis, quaésumus, omnípotens Deus: ut nostrae humilitátis oblátio, et pro tuórum tibi grata sit honóre Sanctórum, et nos córpore páriter et mente puríficet. Per Dóminum.


Communio Matth. 19, 28 et 29 Amen dico vobis: quod vos, qui reliquístis ómnia, et secúti estis me, céntuplum accipiétis, et vitam aetérnam possidébitis.
Postcommunio


QUAESUMUS, omnípotens Deus: ut, qui caeléstia aliménta percépimus, intercedénte beáto Vincéntio Confessóre tuo, per haec contra ómnia advérsa muniámur. Per Dóminum.

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AMDG et DVM