sabato 6 luglio 2019

Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane.

VOLUME III 

CAPITOLO 171



CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge. 

  25 maggio 1945
 1 Continua il discorso del Monte.
   Il luogo e l'ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 
   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l'Uomo e comprendo le debolezze dell'uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all'abisso nero, ma all'Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l'abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.

   Io non muto un iota della Legge. E chi l'ha data fra i fulmini del Sinai? L'Altissimo.
   Chi è l'Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l'ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l'ha data? Con la sua Parola.
   Perché l'ha data? Per il suo Amore.

   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all'Amore, parlò per il Pensiero e per l'Amore.

   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loropensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l'ordine. Ora è più dell'ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all'istante è re perché ha raggiunto il "perfetto", perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l'amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.

   Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all'estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l'eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all'ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l'aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.

   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d'errore. Essi vengono a voi in veste d'agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.

   L'uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un'altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l'uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l'ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.

   Ma gli atti dell'uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: "Costui è un servo del Signore". Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L'uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l'aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all'uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: "Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli". Anzi vi dico: "Lasciatene a Dio il compito". Ma vi dico: "Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi".

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l'ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
   Un tempo era detto: "Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico" No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l'uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l'uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l'amore di prossimo a perfezione che unifica l'amico al nemico.
   Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l'altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l'ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell'affronto. Siete derubati? Non pensate: "Questo mio prossimo è un avido", ma pensate caritativamente: "Questo mio povero fratello è bisognoso" e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
   Voi dite: "Ma potrebbe essere vizio e non bisogno". Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l'iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: "Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?", e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.

   L'antica parola: "Occhio per occhio, dente per dente", che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l'uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: "Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare". Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell'amore e perciò vi dico: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.

   Tanto è grande il precetto d'amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d'amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: "Non uccidete", perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: "Non vi adirate" perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all'altare se prima non si è sacrificato nell'interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all'altare, fa' prima l'immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all'altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell'uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all'avversario fino all'ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: "Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?". Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: "Guariscimi", perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: "Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre".
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 
   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L'anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore... io so che Tu non vuoi che dica: "sì ", e perciò non lo dico.. - ma lo penso.. - ed è lo stesso...»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora... Oh! quanti cuori pieni di scaglie d'odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall'alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».



Il Papa Pio XII decretò che il 6 luglio fosse la festa liturgica annuale di santa Maria Goretti

Breve riassunto della vita di 

SANTA MARIA GORETTI

Considerando che la gioventù sembra aver dimenticato i comandamenti di Dio, e pertanto non è felice, proponiamo un breve riassunto della vita di santa Maria Goretti nella speranza che possa far riflettere i giovani, i genitori e tutti coloro che hanno delle responsabilità nell' educazione. 
NEL SEGNO DELLA POVERTÀ
Santa Maria Goretti nacque a Corinaldo il 16 ottobre 1890 in provincia di Ancona, vicino a Senigallia, da Luigi e Assunta Carlini. Prima di lei era nato Tonino, che morì pochi mesi dopo la nascita, poi Angelo; dopo di lei nacquero Mariano, Alessandro, Ersilia e Teresa alle Ferriere, tre mesi prima della morte del padre. Il 17 ottobre venne battezzata, entro le 24 ore dalla nascita, nella chiesa di San Francesco con il nome di Maria e Teresa. La madre si chiamava Assunta Carlini, era orfana, fu adottata da due coniugi senza prole, più poveri di lei che era sola al mondo... In compenso quei genitori adottivi erano rigorosi in fatto di morale e la salvaguardavano dai pericoli del mondo e dalla vita libera, abituandola alle privazioni e ai dolori della vita. Purtroppo non fu mandata neanche a scuola. Le verità del catechismo e le preghiere le imparò a furia di ascoltarle. Fu questa donna che Luigi Goretti conobbe ed amò. Egli era per natura un uomo mite e di cuore buono. Non poteva patire di vederla così; tanto più che notava in lei tante belle qualità di vita pratica e laboriosa, una rettitudine ed una fortezza d'animo a tutta prova.

Maria ricevette l'educazione in famiglia dal padre e specialmente dalla madre, educazione che impartivano in modo uguale agli altri figli perchè crescessero buoni cristiani. La madre insegnava ai piccoli le orazioni: il Pater, l'Ave Maria, il Credo e i primi elementi della vita cristiana. Ella ricordava: «In special modo, Maria, che era la più grande delle figliole, approfittava dei miei insegnamenti e a sua volta si faceva maestra dei fratellini. Finché fummo a Corinaldo, ella fu sempre buona, ma non notai nulla di straordinario nella sua condotta». Mons. T. Signori, Arciprete di Nettuno, scrisse che secondo la testimonianza della mamma: «[Maria] aveva un'indole buona, docile arrendevole; quindi il terreno era molto ben disposto perchè vi lavorasse la divina grazia, fino a spingerla all'eroismo nei primi albori della vita».

La casa di Corinaldo, in località Pregiagna, in cui abitavano non era molto grande, essi erano con la famiglia del fratello del papà, il terreno era poco e così cominciarono a pensare di emigrare, come facevano molti marchigiani. "Dio sempre provvede" disse allora Luigi. Assunta approvò quel sentimento di fede che era anche il suo. Prima di partire fecero cresimare Angelo di 8 anni e Maria di 6 anni perché intuivano di andare incontro all'ignoto e dubitavano di trovare, nella campagna romana, l'opportunità di far cresimare all'età giusta i due bambini maggiori. D'altra parte, a Corinaldo, lì a due passi, il Vescovo amministrava la Cresima. I genitori fecero imparare loro l'essenziale. Mamma Assunta racconta che Maria aveva tanta soggezione del sacerdote che le rivolgeva le domande che non rispondeva. Allora la madre dell'Arciprete la prese in braccio e in questo modo rispose a tutte le piccole domande e recitò le sue preghiere, così il giorno di San Francesco, 4 ottobre 1896, la piccola Maria ricevette il sacramento della Cresima da Mons. Boschi, Vescovo di Senigallia. Era quanto le occorreva per la futura lotta contro il peccato e il demonio. 

EMIGRANTI

Il 12 dicembre 1896, dunque, la famiglia Goretti emigrò a Colle Gianturco (FR), vicino a Paliano, nella campagna romana, nell'azienda del senatore Scelsi. Là Giovanni e Alessandro Serenelli, padre e figlio, anch'essi marchigiani, vennero ad abitare con loro perché anche essi erano soli e poveri. Infatti il senatore Scelsi li consigliò di associarsi con un'altra famiglia dicendo ai Serenelli: «Voi non potete fare da soli, perchè non associarsi coi Goretti?». Fatto chiamare Luigi Goretti gli espose il caso. Fu così che i Serenelli presero a convivere con la famiglia Goretti.

Di Maria, mamma Assunta ricorda l'ubbidienza esatta; fin d'allora cominciò ad essere d'aiuto nella cura della casa e dei fratelli minori. L'animo buono della bambina fu notato anche da altri, tra i quali Angela Terenzi che aveva la stessa età di Maria. Costei, incontrandola, cercò più volte di avvicinarla e di parlarle come fanno le bambine di quell'età. Maria rallentava un istante, la sogguardava e seria si allontanava, quasi avesse timore. Noi preferiamo pensare al carattere riservato della fanciulla e alla sua premura di ubbidire alla mamma, che sempre le raccomandava di non attardarsi lungo il cammino. Inoltre a casa c'era Ersilia, nata da pochi mesi. Maria era incaricata della sua custodia e perciò cercava di tornare presto, camminando svelta, con quei suoi piedini scalzi.

Il lavoro a Colle Gianturco venne interrotto bruscamente perchè Giovanni Serenelli litigò col figlio del senatore Scelsi, il "sor Peppino", il quale licenziò sui due piedi il Serenelli ed i suoi soci, cioè la famiglia Goretti. Era febbraio e che cosa dovevano fare così fuori stagione? Lì per lì non videro altra soluzione che quella di seguire tanti altri marchigiani che scendevano nelle Paludi Pontine, dove si richiedeva mano d'opera senza fine. D'altronde anche i loro amici Cimarelli avevano fatta quella strada. 

ALLE PALUDI PONTINE

Nel mese di febbraio 1899, la famiglia Goretti, seguita dai due Serenelli, si trasferì a Le Ferriere di Conca, nelle Paludi Pontine, dove il conte Mazzoleni prometteva pane e benessere. La casa, chiamata Cascina Antica, era ampia, spaziosa e in muratura. Così le due famiglie abitarono nello stesso casolare. Il terreno era fertile, il clima mite, ma vi era un'alta mortalità causata dalla malaria. Le speranze di un futuro migliore diventavano finalmente concrete. Dopo tanto lavoro il raccolto fu buono, i Goretti erano contenti e nel frattempo era nata Teresa. Però il 6 maggio 1900 Luigi Goretti, di 41 anni, si ammalò, fu chiamato il medico e la diagnosi fu terribile: malaria, polmonite e meningite. Morì lasciando tutto il peso del mantenimento della famiglia, formata da sei figli, sulle spalle di mamma Assunta. Giova ricordare che, ad onta dell'ignoranza, delle superstizioni e dei pregiudizi che regnavano sovrani tra la gente delle Paludi, Luigi Goretti fu assistito da un buon medico e ricevette in punto di morte tutti i conforti religiosi.

Fu in questa circostanza che Maria, di appena dieci anni, rivelò un contegno ed un'assennatezza, così superiore alla sua età, da destare l'ammirazione di tutti. Infatti le prime parole che conosciamo di lei vennero pronunciate in quel momento: «Mamma, non ti abbattere, io penserò alle faccende di casa, tu prenderai il posto di papà in campagna. Vedrai, Dio non ci abbandonerà». Disse questo in lacrime, in quell'occasione di lutto che turbò profondamente l'animo di mamma Assunta e mise in scompiglio tutta la sua famiglia. Ricordava così le espressioni udite dal padre che era un uomo pieno di fede e che seppe trasmetterla ai figli. 
Egli era stato un uomo laborioso, un marito esemplare ed un padre premuroso. La sera soleva radunare i suoi figli per la recita del santo Rosario, mentre la moglie finiva di preparare la cena. A Corinaldo e poi a Colle Gianturco, come in seguito alle Ferriere, i coniugi Goretti si erano sempre preoccupati d'impartire un'educazione cristiana ai loro figli, secondo le direttive tradizionali che essi stessi avevano appreso in seno alle loro famiglie. Essi si recavano alla Messa domenicale, davano testimonianza di vita onesta e laboriosa e si distinsero nettamente dagli altri coloni della Palude, diversificandosi, per così dire, per un più elevato e dignitoso comportamento morale.

Le chiese di Corinaldo, di San Procolo a Paliano, di Conca, di Campomorto e di Nettuno li videro assidui alla Messa e ai sacramenti. In quindici anni di vita matrimoniale quei coniugi ebbero sette figli e aiutarono i sei sopravvissuti a crescere tutti timorati di Dio e fiduciosi nella divina Provvidenza. Possiamo notare che mentre oggi in Italia, secondo le statistiche, vi è la natalità più bassa del mondo, in quella famiglia vi era una grande fede e un abbandono fiducioso nella Provvidenza. «Chi accoglie uno di questi piccoli in mio nome, accoglie me», disse un giorno Gesù (Mt 18, 5), questa generosità è una promessa di una grande ricompensa eterna. Nello stesso senso Pio XII diceva agli sposi: «Ricordatevi, figlioli miei, che in cielo i vostri figli saranno la vostra corona». 

LA SANTITÀ DI MARIA

Il martirio della santa non fu effetto dell'abiezione o dell'ignoranza, ma della fede e della educazione cristiana ricevuta in famiglia. Il difficile ambiente della Palude contribuì negli ultimi tre anni della sua vita, a rendere più matura la sua personalità di fanciulla cristiana, che si era già andata formando nella natia Corinaldo e poi nella contrada di Colle Gianturco. Se infinite furono le privazioni e le angustie alle quali dovettero far fronte, bisogna dire, col Manzoni, che, fortunatamente per loro, Dio non tenta mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più grande e duratura!

Quando la piccola Maria giunse con la famiglia alle Ferriere aveva già quasi nove anni e possedeva un bagaglio di educazione e conoscenze religiose sufficienti per farle capire la sostanziale differenza tra il bene e il male e il dovere cristiano di scegliere sempre il bene, evitando il male. La fanciulla era in grado di formulare i suoi buoni propositi. Poi la grazia di Dio fece il resto. Questo si rileva dalla lettura attenta dei processi canonici, compilati con scrupolosità per provare la sua santità di vita ed il suo martirio.

Riguardo alla famiglia Goretti non fa meraviglia che la piccola Maria crescesse così buona, perché i suoi genitori ne davano l'esempio ed ella diventò presto matura seguendo le loro orme. La povera mamma Assunta era una donna del popolo, analfabeta, ma dotata di buon senso. «Maria era desiderosa - racconta la madre - di imparare le cose della fede e più volte mi ha chiesto di parlare in proposito. Non ricordo sia mancata alla Santa Messa e pur non sapendo leggere si era imparata a memoria l'Ave Maria, il Padre Nostro e le altre preghiere e soprattutto il Santo Rosario che le era indispensabile come l'aria che respirava». «In chiesa - ricorda Teresa Cimarelli - era molto devota e raccolta, si vedeva che era una figliola tirata su per il Signore».

Una testimone che gestiva la dispensa di Conca disse: «La fanciulla non dava confidenza a nessuno, non si associava per strada ad altre ragazze; nessuno poté mai farle un appunto, ma tutti invidiavano sua madre perché aveva una figlia così buona! ».

Mamma Assunta poi ci assicura che, dopo la morte del povero Luigi: «Marietta era quella che reggeva la casa», specialmente quando ella si trovava a lavorare nei campi.

La fanciulla non litigava mai coi fratelli, se riceveva qualche dono di frutta o altro era lieta di distribuirlo ai fratellini e alla mamma. Per sé riservava i resti. «Maria - diceva mamma Assunta - nel mangiare contentava prima gli altri e poi se stessa e non assaggiava nulla se prima non aveva fatto la parte a me ed ai fratellini. E se le sembrava che io avessi preso poco, insisteva perché prendessi dell'altro». «Prendete mamma: io sono più piccola di voi!»

Tale era la frase che ripeteva ogni volta che la mamma stanca ed affaticata, ma preoccupata dei figli piccoli, si privava a tavola anche del necessario.
Con tutti era sincera e leale; non fu mai intesa dire bugie. Raggiunse l'età dell'adolescenza senza aver mai dato motivo a critiche e lagnanze a suo riguardo. 

LA PRIMA COMUNIONE

Il pensiero di Maria in quel tempo andava irresistibilmente orientandosi verso il Tabernacolo. Era l'anno 1900, da qualche mese il padre era morto in seguito alla malaria; Maria aveva 10 anni e portava il peso del lavoro in casa; in quei tempi l'età media per accostarsi alla Santa Comunione per la prima volta si aggirava sui 12 anni e nessuno a quell'epoca avrebbe immaginato che san Pio X, nel 1910, avrebbe pubblicato il decreto Quam Singularis che avrebbe permesso ai piccoli di ricevere la Santa Eucaristia a partire dall'età di ragione, cioè verso i 7 anni. Un giorno ella disse alla mamma: «Mamma quando faccio la Comunione io?».
La madre rispose: «Cuore mio, come la puoi fare se non sai bene la dottrina?... Non sai leggere, non ci sono soldi per farti il vestito, le scarpe, il velo; non hai un minuto di tempo libero; c'è sempre da fare...». «Mamma cara, ma così non la faccio mai! ».
«Ma che ci può fare la sventurata mamma tua, cuore mio? Tocca di vedervi venire su come bestioline».

«Ebbene, mamma Dio provvederà. A Conca c'è la sora Elvira che sa leggere. Io vi prometto di sbrigar prima tutte le faccende di casa, ed il tempo libero voi me lo lasciate per andare a Conca ad imparare la dottrina». Maria era una bambina tenace e volenterosa, il suo impegno di responsabilità in casa lo portava avanti con cura e precisione, si occupava bene anche dei fratellini e così per anticipare il giorno della sua Prima Comunione imparò tutto a memoria. Ella era così attenta a quello che apprendeva che a sera in casa, rivelando notevoli capacità comunicative, insegnava ai fratellini, ciò che aveva imparato. Una volta, dopo aver assistito alla funzione del Venerdì Santo nel Santuario di Nettuno, ripeté a casa per filo e segno l'intera omelia dimostrando così la sua grande memoria. Durante quel tempo Maria non solo apprendeva le nozioni di catechismo ma andava diventando sempre più buona. Il pensiero di ricevere Gesù la spronava ad ornarsi delle più belle virtù. Era sempre più raccolta, più devota, più affettuosa verso la mamma e i fratellini, la prima ad accorrere in chiesa e l'ultima ad uscirne.

Maria non aveva i dodici anni richiesti così mamma Assunta per togliersi ogni scrupolo, la vigilia della Prima Comunione, prese la bambina e la portò con sé a Nettuno dall'Arciprete Temistocle Signori. A lui espose la cosa e lo pregò di nuovo di esaminare la figliola. L'Arciprete esaminò attentamente la fanciulla e tutto contento disse alla mamma: «Voi affidatela alla Madonna e mettetela sotto il suo manto e poi non abbiate paura». Poi la confessò per prepararla bene a ricevere Gesù per la prima volta nel suo cuore.

Il 16 giugno 1901 Maria ricevette la Prima Comunione nella chiesa di Conca, oggi Borgo Montello. Prima di presentarsi in chiesa in quell'importante giorno si avvicinò alla mamma e le chiese perdono di ogni mancanza che avesse potuto commettere, poi per suggerimento della mamma chiese perdono anche ai Serenelli, padre e figlio, dimostrando così che il catechismo lo aveva imparato non solo a memoria. Il fratello Angelo, quel mattino, non ci voleva andare perché non aveva le scarpe nuove. Allora Maria si avvicinò per convincerlo e gli disse: «Ma Gesù non guarda mica le scarpe... guarda il cuore». In chiesa la mamma e le altre persone notarono in lei una compostezza «ad occhi bassi» tutta straordinaria. 
Si confessò di nuovo al sacerdote passionista che era venuto per la cerimonia. La mamma pregava: «Madonna mia fatela riuscire bene questa Santa Comunione! Vergine Santa, io la affido tutta a voi!». Alla Messa il sacerdote si volse verso i comunicandi e parlò loro di Gesù che è tutto bontà e purezza... di Gesù che deve restare sempre nel loro cuore... Perciò guerra al peccato, sempre, anche a costo della loro vita... insieme al grande amore per Gesù i fanciulli dovranno avere una specialissima devozione alla Madonna, imitandone le virtù e onorandola ogni giorno con l'Ave Maria». La parola di Dio affondava nel cuore della piccola Maria come il buon seme in un terreno ben preparato. Non una sillaba era caduta invano. In chiesa con Maria vi erano dodici bambine e due bambini per la stessa festa. Tra i banchi della chiesa, vi erano parenti ed amici, a far da cornice ad una cerimonia sentita particolarmente dalla gente semplice.

Quando Maria ricevette Gesù ripeté a Lui la sua grande promessa, già formulata da molto tempo: «O Gesù piuttosto che offenderti mi faccio ammazzare». Poi il suo pensiero volò al padre defunto. Gli aveva voluto tanto bene. Quella preziosa Prima Comunione fu fatta in suo suffragio, come attestò mamma Assunta.

Don T. Signori disse che Maria si era distinta fra le altre bambine per la pietà, ardore, devozione nel prepararsi a fare la sua Comunione, tanto che egli avrebbe desiderato che tutte le bambine si fossero preparate a ricevere in tal modo la SS.ma Eucaristia. La santa fanciulla poté ricevere in vita non più di quattro o cinque comunioni. Il sacerdote che ufficiava regolarmente la chiesetta di Conca ogni domenica non aveva il permesso di confessare perché era troppo giovane. Perciò ben si spiega che in tali occasioni la Santa non poté ricevere l'Eucaristia, essendo allora d'uso, anche per chi non aveva peccati gravi, di confessarsi prima di ogni singola comunione. Questo però non toglie nulla alla sua fede e devozione. 
Le strade erano proibitive: tutte pozzanghere d'inverno, cariche di miasmi d'estate. Ora se Maria poté ricevere la Prima Comunione all'età di dieci anni e otto mesi, lo dovette alle sue insistenze, alla sua fede viva, al suo ardente desiderio di ricevere Gesù, del cui amore aveva pieno il suo cuore innocente. O meglio, fu Dio stesso che le accese nel cuore tanto desiderio della divina Eucaristia, affinché nutrita in tempo del Pane degli Angeli, crescesse sempre più in quelle virtù cristiane che la facevano assomigliare agli angeli e la preparassero al grande atto del martirio. Lo stesso suo uccisore affermò: «Nella circostanza della sua Prima Comunione si fece ancora più ubbidiente... ed anche in seguito continuò questo miglioramento di vita». Il giorno della sua Prima Comunione segnò una data decisiva nella sua storia, infatti ella disse: «Mamma, sarò più buona» e mantenne con fedeltà l'impegno.
«Teresa quando ci riandiamo?»: queste parole dette da Maria alla Cimarelli lo stesso giorno della Prima Comunione, dimostrano il suo grande desiderio eucaristico. Questo desiderio in linguaggio ascetico si chiama comunione spirituale: «La comunione sacramentale si perfeziona con la comunione spirituale che ne perpetua i santi effetti» (Tanqueray). 

MODELLO DI VIRTÙ

Maria ci è presentata dai testimoni come una fanciulla ubbidiente ed assennata, dedita alla famiglia, ligia al dovere. Modesta e riservata... tutti quelli che l'hanno conosciuta l'hanno descritta come un ideale di fanciulla.

Il proposito di diventare più buona fu per lei un impegno serio che mantenne fino alla morte. Sentiamo la mamma: «Sempre, sempre, sempre Maria mi ha fatto l'ubbidienza. Correggeva anche i fratelli e quando il fratello maggiore mi dava qualche dispiacere ella lo rimproverava dicendo: "Fai inquietare la mamma perché non c'è più il babbo!... Come faresti se non ci fosse più la mamma?". Non ho notato in lei nessun difetto. Se a volte l'ho sgridata è stato perché io, preoccupata dell'azienda, sentendomi nervosa, eccedevo anche se ella non ne avesse colpa, anche oggi me ne faccio un rimprovero; Maria prendeva la sgridata immeritata, con calma, senza rispondere e seguitava le sue faccende non portandomi affatto il broncio». «Alla prima chiamata della mamma lasciava ogni cosa e rispondeva ubbidiente», aggiunse Alessandro. 

UN FIORE PURISSIMO

Dire santa Maria Goretti è lo stesso che dire purezza illibata. Fu educata da sua madre alla modestia fin dall'infanzia. Anche il suo uccisore testimoniò: «Seguendo le orme della madre era modesta». Mamma Assunta disse: «Ebbi cura della sua modestia e non permisi mai che vestisse o spogliasse i fratellini, come pure facevo dormire in una camera i maschietti e in un'altra le femmine che, morto mio marito, facevo dormire in camera mia».

Quando si stava preparando alla Prima Comunione, avendo sentito certe parolacce da una compagna, scambiate con un giovane, mentre stava riempiendo una brocca alla fontana, le riferì scandalizzata alla mamma, che le rispose: «Fa' che quello che è entrato da un orecchio esca dall'altro», e l'ammonì di non pronunciare mai simili cose. 
Ed ella di rimando: «Se io dovessi parlare come lei è meglio morire». Questo dimostra che sapeva scegliere tra i diversi valori i più giusti. Non contenta di premunirla con le parole, la mamma la vigilava mentre andava per la strada. «Quando andava a Nettuno, perché distante, era accompagnata da me o dalla signora Cimarelli». Alla vigilanza aggiungeva la raccomandazione di fuggire le cattive compagnie, che portano inevitabilmente al male.
Le donne del borgo dicevano ad Assunta: «Che angelo di figliola avete voi! Se le si dice qualche cosa risponde modestamente, tira diritto per la sua strada e non si ferma con nessuno».

Il movente per la santa era la fede, l'amore a Gesù e alla Madonna, la paura dell'inferno che si merita col peccato! Fu questo il solo motivo che ella oppose all'aggressore al momento del martirio. Infatti disse in quell'occasione: «Alessandro che fai? Tu vai all'inferno, Dio non vuole!». 

UNA GIORNATA DI MARIA

Dopo la morte di Luigi Goretti, tutti dovettero riprendere il lavoro quotidiano e adattarsi alla nuova situazione. Assunta prese il posto del marito lavorando il terreno con i Serenelli e Maria prese il governo della casa per le faccende domestiche. Ella era una massaia laboriosa e solerte e si occupava di tutte le faccende di casa: spazzare, rifare i letti, mettere in ordine i vari oggetti, lavare i piatti, andare a prendere l'acqua, lavare i panni, attendere al pollaio, preparare i cibi da cuocere, pulire le verdure, far cuocere i cibi, provvedere la legna per il fuoco, preparare la tavola, ecc. Soprattutto badare ai fratellini e alle sorelline più piccoli. Solo quando si richiedeva la "forza", come per levare il paiuolo dal fuoco, veniva la mamma. Sicché per la sua età faceva anche troppo.

La madre raccontava che «alla domenica dormivano tutti un po' di più, ma c'era da andare alla Santa Messa e da accompagnarvi i fratelli, ed allora quante raccomandazioni faceva Maria perché fossero ordinati nella persona e nei vestiti.

In chiesa li teneva vicino a sé, li faceva genuflettere. Quando una volta la settimana c'era da fare il pane dovevamo alzarci prima. Alla sera andava ancora alla fontana a prendere l'acqua per il mattino, poi subito dopo cena faceva inginocchiare i fratellini per dire il Rosario e le orazioni e li accompagnava a letto.

Ma non aveva ancora finito e senza disturbare il sonno dei fratellini veniva vicino a me ed alla luce della lanterna ad olio rammendava calzoni, camicie, raccontandomi i fatti del giorno. Poi dopo aver dato l'ultimo sguardo ai fratellini, diceva le preghiere e cadeva immediatamente nel sonno. Io che tante volte non riuscivo ad addormentarmi, la contemplavo un momento, pregavo per lei e prima di spegnere la luce la benedicevo. Come avrei potuto immaginare un angelo migliore?». 

LE INSIDIE

Benché fuggite con ogni mezzo, tuttavia le insidie vennero a raggiungerla nello stesso focolare domestico: l'insidiatore fu il ventenne Alessandro della famiglia Serenelli con i quali i Goretti si erano uniti in società di lavoro e che vivevano nello stesso casolare. Una bassa passione spingeva il giovane a porre gli occhi sull'innocente fanciulla.
Maria era una ragazzina indifesa a causa della morte del padre, costretta dalla povertà ad accudire a lavori domestici superiori alla sua età. Intimorita dalle minacce e dalle tentazioni di Alessandro, si rifugiò nella preghiera e ricorse alla Madonna recitando anche più Rosari al giorno e si rinforzò sempre più in quel proposito della sua Prima Comunione:

O Gesù, piuttosto di offenderti mi faccio ammazzare!». Alessandro era un giovanotto di vent'anni, pronto a partire per il servizio militare, pieno di vita, robusto, privo della guida materna, in balìa delle sue passioni, con un carattere chiuso. Pare che il tempo della tentazione almeno iniziale, risalisse a circa un anno prima. Che Maria sul letto di morte non l'abbia ricordato è spiegabile: era in fin di vita, forse, anche, un anno prima ci aveva capito ben poco non essendo stata una tentazione così cruda come quelle dell'ultimo mese. Ecco la testimonianza di Alessandro: «Io coabitavo con la famiglia Goretti e per ben due volte nel mese di giugno tentai di indurla alle mie voglie. E vero che circa un anno prima feci a Maria una prima proposta... alla quale non volle acconsentire. Io fin dalla prima volta ingiunsi alla ragazza di non dir nulla alla madre, e glielo dissi con forma severa, sicché ne rimase intimorita. Io - prosegue Alessandro - non deposi mai il desiderio di raggiungere i miei intenti e dopo il secondo tentativo nella mia mente si formò il proposito di ucciderla se avesse continuato ad opporsi alle mie voglie». Da allora Maria fece l'impossibile per non rimanere sola in casa, senza che nessuno ne intuisse il dramma. Il particolare non sfuggì ad Alessandro: «Marietta cercava di non star sola con me ed io lo rilevai bene. Mi accorsi pure che cercava di schivarmi, ella poi aveva intensificato le sue preghiere. Tante volte io l'ho sentita chiedere alla mamma che le permettesse di andare ai sacramenti». La fanciulla viveva nella più completa solitudine la tragedia più logorante della sua vita. Spesse volte il suo atteggiamento suscitò incomprensioni e rimproveri; la stessa mamma Assunta non percepì lo stato d'animo nel quale si trovava sua figlia. Come abbiamo detto, la luce tra tanta oscurità le venne dalla preghiera e dalla fiducia in Dio. Solo un frase sussurrata dolcemente alla cara Teresa Cimarelli tradì la sua angoscia: «Teresa andiamo domani a Campomorto? Non vedo l'ora di fare la Comunione!». Quel domani fu il 5 luglio 1902, il primo giorno della sua passione.

Alessandro assunse un contegno sempre più ostile verso la fanciulla. La madre depose: «Un mese circa prima dell'assassinio, Alessandro si mostrava spesso aspro verso Maria dandole ordini gravosi con animo, si vedeva, di farle dispetto. Non gli andava più bene niente di quello che ella faceva. Maria faceva lo stesso le faccende ordinate di nuovo da lui, pur facendo le giuste rimostranze qualche volta a voce, qualche volta col pianto, tanto che io più volte dovevo confortarla dicendole: "Porta pazienza, tanto fra poco andrà a fare il soldato"». 

MARTIRIO ALLE PALUDI PONTINE

Alessandro era più che mai risoluto a spuntarla, e voleva ad ogni costo piegare la fanciulla alle sue voglie. Dal canto suo, Maria era decisa a resistere, anche a costo della vita, infatti, i ripetuti attentati alla sua purezza erano però sempre stati coraggiosamente respinti.
Durante la battitura del favino, fatta sull'aia del casolare, Maria, dopo aver rigovernata la cucina, aveva preso una camicia da rammendare con le pezze e pose a dormire su una coperta imbottita, distesa sul pianerottolo, la piccola Teresa di circa due anni e mezzo, e le si era seduta vicino a lavorare.

Ecco il racconto dello stesso Alessandro: « Il 5 luglio io ero risoluto a ritornare al terzo assalto e verso le ore 15,00 mentre io stavo sul carro triturando le fave nell'aia, vedendo Maria sul pianerottolo, intenta a rattoppare la mia camicia che avevo dato alla mamma, pensai che era quello il momento opportuno per attuare il mio disegno. Scesi dal carro, pregai la mamma di sostituirmi ed io mi recai in casa. Mio padre si trovava davanti alla stalla dei buoi, coricato a terra preso da un attacco di febbre di malaria. Gli domandai come stava e quindi continuai la mia strada. Passai davanti a Maria senza dir nulla e andai in una camera dove vi era una cassetta di ferri vecchi per prendervi un'arma, trovai un punteruolo... lo presi... ciò fatto mi accostai a Maria, la invitai ad entrare dentro casa. Ella non rispose, né si mosse. Allora l'acciuffai quasi brutalmente per un braccio e, facendo ella resistenza, la trascinai dentro la cucina. Ella intuì che io volevo ripetere l'attentato delle due volte precedenti e mi diceva: "No, no, Dio non vuole, se fai questo vai all'inferno".

Io allora vedendo che non voleva assolutamente accondiscendere alle mie brutali voglie, andai su tutte le furie e, preso il punteruolo, cominciai a colpirla... In quel momento io capivo bene che volevo compiere un'azione contro la legge di Dio e che volevo indurre Maria al mio peccato e appunto l'uccidevo perchè si opponeva. Ella ripeteva: "Che fai Alessandro tu vai all'inferno". Nel momento che vibravo i colpi, non solo si dimenava per difendersi, ma invocava ripetutamente il nome della madre e gridava: "Dio, Dio, io muoio! Mamma, Mamma". Io ricordo di aver visto del sangue anche sulle sue vesti e di averla lasciata mentre ella ancora si dimenava, però capivo bene che l'avevo colpita mortalmente. Buttai l'arma dentro il cassone e mi ritirai nella mia camera, mi chiusi dentro e mi buttai sul letto». Tre anni dopo, Alessandro completò nel processo Apostolico la sua deposizione che aveva fatto ad Albano nel processo Ordinario. Ecco come riferì le parole di Maria al momento del martirio: «Dio non vuole queste cose, tu vai all'inferno. Sì, sì, Dio non vuole queste cose, tu vai all'inferno!».

Nell'ora del dramma nessuno fu testimone della "passione" di Maria. Il motivo dell'uccisione è chiaro e lampante: la fortezza della martire di fronte al peccato. Lo riconobbe lo stesso uccisore, prima davanti alle autorità civili, poi a quelle ecclesiastiche. «Lo ripeto, l'unica causa per cui aggredii Maria e la uccisi, fu quella che ho esposto, cioè che ella non ha voluto acconsentire le due volte precedenti alla mia volontà di compiere atti disonesti».

Finalmente con le poche forze rimaste, Marietta si trascinò fino alla porta e chiamò il vecchio Serenelli: «Venite su che Alessandro mi ha ammazzata». La piccola Teresa svegliata di soprassalto incominciò a smaniare e a piangere, il suo pianto smorzò il frastuono della trebbiatura. Quando la madre sentì la piccola piangere, alzando gli occhi non vide più Maria sul pianerottolo, sicché temendo che la piccola cadesse per le scale, mandò suo figlio Mariano. Mentre costui andava, la madre vide il vecchio Serenelli che si era alzato da dove riposava e saliva frettolosamente le scale. Quando egli aprì la porta si voltò per chiamarla: «Assunta venite un po' su», poi chiamò anche Mario Cimarelli che batteva la fava sulla sua aia. «Madonna mia! Che sarà successo in casa mia?» mormorò Assunta, mentre angosciata scendeva dal carro. Quando giunse la madre vide che Mario aveva in braccio Maria con la testa appoggiata alla spalla, come se fosse morta. La fanciulla fu adagiata sul letto. Fu questa l'immagine che si presentò agli occhi della madre. «Io seguii Marietta che veniva portata nella camera da letto e mi balenò subito il sospetto che la mia piccola fosse stata violentata da Alessandro che non era presente... Io diedi un urlo ed allora i Cimarelli mi portarono fuori sul pianerottolo svenuta». Tornò Teresa con l'aceto e riuscì a far riprendere mamma Assunta. Poco dopo anche Marietta diede segni di vita e la verità si fece strada; la madre le domandò: «Marietta mia, cosa è successo, chi è stato, com'è stato?» Ella rispose: È stato Alessandro mi voleva far fare del male ed io non ho voluto».

«Allora - continua la madre - diedi un urlo e gli altri mi portarono in casa Cimarelli».
Mario Cimarelli il primo ad accorrere, così descrisse la scena straziante: la ragazza giaceva carponi a terra, poggiata nel fianco destro... raccolta da terra la Goretti con le vesti intrise di sangue, la adagiai sul letto della madre... sopraggiunta Teresa le cambiò la veste insanguinata e stracciata. Poi con l'aiuto di Mario, le fasciò le ferite, mentre Maria ripeteva il suo monologo: «Alessandro quanto sei triste... tu vai all'inferno». La veste era anche impolverata, perchè sul pavimento mancavano molti mattoni, e la giovinetta per non lasciarsi scoprire le vesti da Alessandro si era avvoltolata per terra su quel calcinaccio. Mamma Assunta piangeva dirottamente e diceva: «Teresa mi hanno ucciso la figlia!».
«Teresa - gemette Maria - voglio star sola con te. Levami di qui, per carità non fate venir su Alessandro».
«Che ti ha fatto Alessandro Marietta?» Le domandò Teresa.
«Mi voleva far fare del male ed io gli dicevo di no! E così lui mi ha tirato tanti colpi».

La notizia dell'odioso misfatto di Le Ferriere si diffuse rapidamente per tutta la Palude. Decine di persone intenzionate a fare giustizia sommaria marciarono compatte verso Cascina Antica. Anche l'uomo della Palude aveva un suo codice d'onore che non era possibile calpestare impunemente e il gesto di Alessandro non era tra quelli che avevano diritto ad attenuanti. In una situazione così tragica, nella solitudine delle Paludi Pontine, l'opera dei Cimarelli fu provvidenziale. Erano tre fratelli: Mario, Domenico e Antonio, più Teresa, la moglie di Mario. Domenico corse subito a Conca ad avvisare il conte Mazzoleni dell'accaduto e per farsi dare un cavallo per andare a chiamare un medico. Mario appena prestati insieme alla moglie i primi soccorsi, si precipitò a Nettuno a cercare i carabinieri e il medico condotto. Il Mazzoleni mandò a chiamare i carabinieri di Cisterna e la Croce Rossa di Carano. Il conte quando giunse da Conca fece sorvegliare l'assassino da guardiani armati in attesa dell'arrivo dei carabinieri. Poco dopo arrivarono i carabinieri che arrestarono Alessandro e riuscirono a stento a difenderlo dalla folla inferocita. Il Mazzoleni poi chiamò la madre per dirle che doveva accompagnare la figlia all'ospedale sul Carro della Croce Rossa. Dopo l'arrivo del mezzo di soccorso, distesa su una barella, Marietta varcò quella porta che dava sul pianerottolo e scese i gradini tra gli occhi velati di pianto e di amarezza delle persone presenti. Sul piccolo ponte dell'Astura i contadini si toglievano il cappello come facevano solo nel giorno del Corpus Domini. Quella notte a Cascina Antica non dormì nessuno. I fratelli Goretti vennero amorevolmente ospitati nella casa dei Cimarelli. La signora che li ospitò attestò di averli trovati durante la notte con gli occhi sbarrati dalla paura. Marietta per loro era veramente tutto!

La Croce Rossa Arrivò a Nettuno alle otto di sera. Mentre si aspettava che si aprisse la sala operatoria, Maria chiedeva un po' d'acqua. Il cappellano dell'Ospedale dei Fatebenefratelli chiese: «Sposa, siamo cristiani?» Ed ella: «Eh, mancherebbe altro!» Ed aggiunse: «Allora prima di operarla la confessiamo». Ed ella acconsenti volentieri. A richiesta del dottore - riferisce mamma Assunta - io domandai alla figliola se mai altre volte Alessandro l'avesse tentata. Ed ella mi rispose con voce calma: «Mamma, altre due volte». Ed io: «Oh Madonna Santissima, perchè non l'hai detto a mamma tua?». Ed ella rispose: «Perchè mi aveva detto che mi avrebbe ammazzata se io lo dicevo. E pertanto poi mi ha ammazzata lo stesso». Ed io ancora: «Da quanto tempo?» Ed ella: «Da un mese».
La gravità delle condizioni della piccola non permisero l'anestesia ed i medici Bartoli, Perotti ed Onesti tentarono l'impossibile. Il dott. Bartoli così ricordò quei momenti: «La trovai colpita in più parti dell'addome e nel torace, come pure dopo nell'atto dell'autopsia, la trovai ferita al cuore. Durante le cure che io le apprestavo la fanciulla aveva invocazioni alla Madonna e conservò la sua calma. Ora non ricordo le parole precise pronunciate dalla Goretti, però attesto che ella ha sempre conservato lucidissime le facoltà mentali».

Appena fuori la camera operatoria Marietta sussurrò alla mamma: «Mamma sto bene, come stanno i fratellini? Stai qua stanotte?». Però non fu permesso alla madre di rimanere in ospedale. Appena si fece giorno mamma Assunta ritornò all'ospedale e chiese a Maria come stesse: «Benino» rispose la fanciulla. Ma la voce era più debole della sera precedente. Maria le chiese dove avesse passato la notte, manifestò il desiderio di rivedere i fratellini e la pregò di non far entrare il Serenelli. Ma la setticemia compiva inesorabilmente il suo corso, la febbre divenne altissima, il suo volto sempre più trasparente.

«Pareva una santa Filomena, tutta bianca con la chioma sciolta - raccontò mamma Assunta - la guardavo non solo per affetto ma anche per venerazione». Vennero i carabinieri per il rito dell'interrogatorio e poco dopo i medici per la medicazione. I ricordi tornarono alla mente di Marietta in modo convulso, la sua passione continuò sempre più straziante. Le divenne insopportabile anche la sete: «Datemi una goccia d'acqua. Possibile che non possiate darmi un goccia d'acqua?»
«Mariettina - rispose la mamma - il dottore ha detto che ti farebbe male. Porta pazienza per amore di Gesù in croce assetato più di te». 

L'APPARIZIONE DELLA MADONNA

Sono sorprendenti le analogie tra gli ultimi momenti di Maria e quelli di Gesù: le stesse parole, la stessa sete, il medesimo perdono. I presenti rimasero colpiti dalle numerose espressioni di amore di Maria per la Madonna. Tanto amore alla Vergine spinse il cappellano dell'ospedale, P. Martino Guijarro, a proporre alla piccola martire la sua iscrizione all'Associazione delle Figlie di Maria. A quella proposta ella aprì gli occhi e un sorriso sfiorò il suo viso angelico. Nella cameretta stessa erano presenti due suore e una pia contessa che l'assistevano; venne fatta la breve funzione della iscrizione e la benedizione della medaglia della Madonna. Il suo volto, sempre più di cielo, s'illuminò quando il cappellano, iscrivendola all'associazione le appese al collo la medaglia che lei non finiva poi di baciare. Suor Aurelia Pecchini, riferì che a un certo momento Maria vedeva la Madonna e chiedeva di essere posta più vicino a lei. Ma nessuno la vedeva. E lei meravigliata: «Possibile che non la vediate? È così bella!..., tutta luce!..., tutta fiori! Mettetemi vicino alla Madonna... io voglio stare più vicino alla Madonna».
Chi fu presente non ebbe nessun dubbio che la Madonna le fosse apparsa.  

IL PERDONO DELL'ASSASSINO

Imitando Gesù, Maria perdonò il suo assassino. Pare che una prima volta l'avesse perdonato per suggerimento della mamma, nelle lunghe ore di attesa sul letto di famiglia, prima che venisse trasportata all'ospedale. La sorella Teresa affermò che la madre fu premurosa nell'inculcare alla figlia il pensiero del perdono e che Maria non ebbe nessuna esitazione, e disse che lo perdonava ben volentieri e che lo voleva con sé in Cielo.
Il perdono del suo assassino è il gesto più qualificante della sua santità. Fu il parroco Temistocle Signori a porre esplicitamente la domanda, infatti dopo aver detto qualche cosa di Gesù in croce, le chiese se anche lei era pronta a perdonare Alessandro per amore di Gesù. La risposta non si fece attendere, seppur con quel filo di voce che le rimaneva: «Sì per amore di Gesù gli perdono, e voglio che venga con me in Paradiso». La stessa mattina Alessandro con il treno venne condotto a Roma nel carcere Regina Coeli. Particolare significativo: il convoglio passò davanti all'ospedale Orsenigo mentre la Goretti lo stava perdonando. Accanto al perdono di Maria va ricordato anche quello della madre, la quale, appena fu pronunziata la sentenza di condanna per Alessandro, fu interpellata dal Presidente del Tribunale: «Signora Assunta Goretti, perdonate voi all'uccisore di vostra figlia?» «Per conto mio - rispose Assunta - sì, gli perdono di cuore, signor Presidente». Tra la folla si udì un brusìo confuso. Qualcuno disse: Io non gli perdonerei!». Ma la coraggiosa donna osservò: «E se neppure Gesù Cristo perdonasse a noi?».

Le condizioni di Marietta peggiorarono improvvisamente, perse più volte conoscenza. Poco prima che la fanciulla morisse, mamma Assunta chiese al medico se Alessandro riuscì comunque nel suo intento: «Non dubitare - rispose il medico - ella è come è nata».
L'Arciprete T. Signori ricorda: Nei momenti di delirio rievocava le circostanze della sanguinosa tragedia e fra le altre diceva le testuali parole: «Alessandro, che fai..., tu vai all'inferno...», espressioni che ella dovette dire nell'atto dell'esecrando delitto. Le sue ultime premure furono per i fratellini, la mamma, il babbo, quasi un testamento di amore per coloro che erano stati il suo mondo.

Chiamò anche la dolce Teresa in un'impossibile invocazione di aiuto, poi si abbandonò serenamente senza vita sul cuscino. Era il 6 luglio 1902, aveva 11 anni, 8 mesi e 21 giorni.
Il popolo intuì chiaramente: « E’ morta una martire, è morta una santa». Mamma Assunta ricorda che, dopo i primi tentativi di conforto, la gente passò addirittura alle congratulazioni per essere la mamma fortunata di una Santa. 

I FUNERALI

Il giornale «Il Messaggero» di Roma, il 7 luglio fece conoscere a Roma e a tutta l'Italia l'eroismo di Maria. Ai funerali vi fu una grandissima partecipazione di persone, di associazioni, di autorità venute da Roma e anche di numerosissime personalità. L'arciprete Signori, che fu a capo di tutta quella grande manifestazione, terminò con questa bella invocazione: «... E tu, fanciulla eroica, insegna alle nostre fanciulle, e a tutte, come si lotta e si muore in difesa della purezza. Intercedi presso la Vergine Immacolata particolarmente per la nostra gioventù e per le Figlie di Maria, della cui schiera divenisti sorella nell'ultima ora! Tu, che tutti noi speriamo salutare un giorno anche qual loro seconda protettrice!». Egli nel redigere l'atto di morte nel Registro dei Defunti annotava che: «La fanciulla, timorata di Dio... trasportata all'ospedale Fatebenefratelli, si confessò, ricevette il S. Viatico e l'Olio degli Infermi dal cappellano Rev. P. Martino Guijarro. E perdonando il suo uccisore spirò nel bacio del Signore». 

AUTENTICITÀ DEL MARTIRIO

Il martire è un testimone e nella terminologia cristiana è la persona che ha reso testimonianza a Gesù Cristo con il suo sangue. Primo elemento è il fatto provato della morte violenta. Non è sufficiente che essa sia stata minacciata o decretata se poi per un qualsiasi motivo non si è verificata. La morte deve poi essere dipesa da una responsabilità estrinseca e distinta dalla vittima.
Il terzo elemento è la causa, la ragione della morte. Il martire deve morire per un motivo di fede o di una virtù morale riferibile o riferita a Dio. Motivo della morte può essere la fedeltà al Magistero della Chiesa e ad un precetto morale e naturale in quanto sancito dalla autorità di Dio.

Vi è infine un elemento psicologico che integra la figura del martire e lo manifesta vero testimone di Cristo: la morte deve essere consapevolmente accettata e subita con particolari disposizioni spirituali che sono la costante fortezza e la serena mitezza, ispirati a princìpi di ordine soprannaturale.
Maria espresse chiaramente il motivo per cui preferì la morte: «No, no è peccato, Dio non vuole, tu vai all'inferno». Il perdono, poi, concesso al suo uccisore prima di morire, oltre a rivelare il livello della sua maturità cristiana, dimostra la serenità con cui accettò la morte. 

LA SANTITÀ NON SI IMPROVVISA

La vita di S. Maria Goretti è stata illuminata dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Non ha fatto grandi gesta, ma è stata fedele al suo dovere quotidiano ed ella ci conferma ancora che quello che ha detto Gesù è sempre vero ed attuale: «Chi è fedele nelle piccole cose lo è anche nelle grandi» (Lc 16, 10). Così Maria nella prova più grande, aiutata dalla grazia soprannaturale, non ha voluto offendere il suo Redentore.

Ella, con la sua famiglia, ha anche molto da insegnare a tutti, specialmente ai genitori, che hanno la responsabilità della salvezza delle anime dei loro figli. San Carlo Borromeo diceva: «Allevare, educare i figli, vuol dire condurli a Gesù». Tutti i genitori, come fecero i genitori di Maria, devono insegnare ai figli a pregare, ad aver e conservare il timor di Dio, ricordandosi che esso è un dono dello Spirito Santo e che come dice la S. Scrittura: «...è l'inizio della Sapienza» (Ecl 1, 16; Prov 9, 10). Tra l'altro nell'antifona della Comunione della Messa per la Santa (il 6 luglio), leggiamo: «Il timore del Signore è il suo tesoro» (Is 33,6).

Quanto sia importante il timor di Dio lo conferma anche questo episodio riportato da P A. Rodriguez: «All'inizio della Compagnia di Gesù, vi erano molti sacerdoti giovani ed erano visti in mezzo a tante occasioni e pericoli eppure traspirava da loro tanto odore di castità, il che molto sorprendeva la corte, dove perciò si parlava con ammirazione dei Padri. Dicono che il Re, ragionando un dì col P. Araoz, gli disse: "Mi è stato detto che quelli della Compagnia portano con sé una certa erba che ha la virtù di conservare la castità". Il P Araoz, che era un uomo assai pronto ed accorto, gli rispose: "È stato detto il vero a Vostra Maestà". Soggiunse il Re: "Ditemi, per la vita vostra, che erba è questa?". "Sire, replicò il Padre, l'erba che quelli della Compagnia portano con sé per conservare la castità è il santo timor di Dio, questa è l'erba che fa tale miracolo, perchè ha la virtù di far fuggire i demoni"» (P A. Rodriguez, Esercizio di perfezione e di virtù cristiane, Soc. Editrice Internazionale, vol. III, giugno 1963).

La madre affermò: «Che fosse brava lo sapevo, che sarebbe diventata Santa non me l'aspettavo... è vero che feci di tutto per darle un'educazione cristiana, ma non avrei mai creduto che fosse così eroica da dare la sua vita». Dio è sempre stato al primo posto nella vita di Maria ed Egli ha orientato tutta sua vita. Qualsiasi tentativo di raccontare la vita della Santa escludendo questo valore è una manipolazione che non tiene conto della verità e della storia. La fede di Maria si è manifestata nel quotidiano, nelle faccende concrete della vita, nell'accettazione del dolore e della gioia, nel servizio degli altri, nell'abbandono alla Provvidenza, nell'amore alla Vergine e alla Santa Eucaristia.
Sulla tomba di Marietta avvennero guarigioni prodigiose, la Chiesa quindi prese in esame la documentazione presentata dal passionista P Mauro Liberati e il 31 maggio 1935 iniziò il Processo canonico ad Albano Laziale.

Il 25 marzo 1945 Pio XII riconobbe l'autenticità del suo martirio.
Il 27 aprile 1947 fu dichiarata beata. Ecco un estratto del discorso del Papa in quell'occasione: «Maria Goretti che dovette così giovane, dodicenne, lasciare questa terra, è un frutto maturo del focolare domestico, ove si prega, ove i figli sono educati nel timore di Dio, nell'ubbidienza verso i genitori, nell'amore della verità, nella verecondia, nella illibatezza; ove essi fin da fanciulli si abituano a contentarsi di poco, ad essere ben presto di aiuto nella fattoria... La nostra Beata fu una forte. Ella sapeva e comprendeva, e precisamente per ciò preferì morire. Non aveva ancora compiuto dodici anni, quando cadde martire... No, non è un'anima piccola e debole, è un'eroina, che sotto la stretta del ferro del suo uccisore, non pensa alla sua sofferenza, ma alla bruttezza del peccato, che risolutamente respinge...». 

LA CANONIZZAZIONE

La canonizzazione avvenne il 24 maggio 1950, durante l' Anno Santo, tre anni appena dopo la beatificazione: ad essa assistettero anche mamma Assunta e i suoi figli. La cerimonia fu celebrata all'aperto, in piazza San Pietro, a causa dell'immensa folla di devoti convenuti da ogni parte del mondo. Si calcola che furono presenti almeno 500.000 persone. Riportiamo una parte del discorso tenuto da Pio XII in quell'occasione: «Se è vero che nel martirio di Maria Goretti sfolgorò soprattutto la purezza, in essa e con essa trionfarono anche le altre virtù cristiane. Nella purezza era l'affermazione più elementare e significante del dominio perfetto dell'anima sulla materia; nell'eroismo supremo, che non si improvvisa, era l'amore tenero e docile, obbediente ed attivo verso i genitori; il sacrificio nel duro lavoro quotidiano; la povertà evangelicamente contenta e sostenuta dalla fiducia nella Provvidenza celeste; la religione tenacemente abbracciata e voluta conoscere ogni giorno di più, fatta tesoro di vita e alimentata dalla fiamma della preghiera, il desiderio ardente di Gesù Eucaristico, ed infine, corona della carità, l'eroico perdono concesso all'uccisore; rustica ghirlanda ma così cara a Dio, di fiori campestri, che adornò il bianco velo della Prima Comunione, e poco dopo il suo martirio... O giovani, fanciulli e fanciulle, pupille degli occhi di Gesù e nostri, - dite - siete voi ben risoluti a resistere fermamente, con l'aiuto della grazia divina, a qualsiasi attentato (Sì!...) a qualsiasi attentato che altri ardisse fare alla vostra purezza? (Sì!...).

E voi, padri e madri, al cospetto di questa moltitudine, dinanzi alla immagine di questa vergine adolescente, che col suo intemerato candore ha rapito i vostri cuori, alla presenza della madre di lei, che, educatala al martirio, non ne rimpianse la morte, pur vivendo nello strazio, ed ora s'inchina commossa ad invocarla, - dite - siete pronti ad assumere il solenne impegno di vigilare, per quanto è da voi, sui vostri figli, sulle vostre figlie, al fine di preservarli e difenderli contro tanti pericoli che li circondano, e di tenerli sempre lontani, dai luoghi di addestramento all'empietà e alla perversione morale (Sì!... ) (Nella registrazione sonora si sentono bene questi «sì» levarsi della piazza gremita)

Ed ora, o voi tutti che ci ascoltate, in alto i cuori! Sopra le malsane paludi ed il fango del mondo si estende un cielo immenso di bellezza. È il cielo che affascinò la piccola Maria; il cielo a cui ella volle ascendere per l'unica via che ad esso conduce: la religione, l'amore di Cristo, l'eroica osservanza dei comandamenti... ».
Il Papa poi decretò che il 6 luglio è la festa liturgica annuale di santa Maria Goretti 

ALESSANDRO SERENELLI

Alessandro Serenelli non conobbe la madre, morta qualche mese dopo la sua nascita, in una casa di cura per malattie mentali. Visse la sua infanzia tra la casa di suo cugino e di suo fratello, ma nessuno si curò veramente della sua formazione. A 12 anni andò a Torrette, frazione di Ancona, come aiuto marinaio, poi ad Olevano Romano ed infine a Paliano nella tenuta del senatore Scelsi. Il fatto di una famiglia incompleta ed il continuo cambiamento di ambienti e di amicizie accentuarono in lui la tendenza alla solitudine, tanto da venir descritto dai suoi contemporanei come un tipo taciturno e introverso. Sembra che il suo passatempo preferito fosse la lettura di riviste. Il Serenelli attribuì un peso considerevole alla sua formazione alle amicizie contratte alle Torrette, da lui definite dubbie, infatti egli affermò: «Quando fui aiuto marinaio a Torrette, frequentavo purtroppo compagni licenziosi e quindi anche il mio animo cominciò a corrompersi, fatto che perdurò, anzi si accrebbe nella campagna. Di carattere ero piuttosto amante della solitudine. Alle Ferriere non avevo compagni né buoni né cattivi».

Nel 1986 a Paliano la famiglia Serenelli conobbe i Goretti. Il 5 luglio 1902 Alessandro visse la giornata più brutta della sua vita uccidendo Maria. Fu condannato a 30 anni di reclusione, che scontò parte in Sicilia, parte in Sardegna (evitò l'ergastolo perchè minorenne).

Egli racconta che nella cella del carcere a Noto gli apparve in sogno Marietta tutta vestita di bianco che raccoglieva dei gigli in un giardino e glieli porgeva. Al momento della consegna i gigli si trasformavano in tanti lumicini accesi. Poi disparve, fu l'unica volta che la sognò. Per il giovane fu la fine della disperazione e l'inizio della conversione. Allora si ravvide, si pentì del suo passato. Un'altra tappa della sua conversione fu il colloquio che ebbe nel carcere di Noto con il Vescovo della città Mons. Blandini. Il 10 novembre 1910 il Serenelli in una lettera inviata allo stesso prelato riconobbe la gravità del suo gesto e il proposito di riscattarsi; in seguito a quella lettera si confessò. Dopo 27 anni di detenzione fu graziato per buona condotta e quando uscì dal carcere di Alghero, nel 1929 aveva 47 anni, era un altro Alessandro. Ne visse altri 42 fuori, fu un lavoratore esemplare e un cristiano praticante. Visse il suo ruolo di ex carcerato pensando sempre a Dio. Sopportò umiliazioni e malintesi, più volte fu indiziato solo perché si chiamava Serenelli. Di lui va ricordato un episodio edificante. Nel 1937 si recò a Corinaldo col proposito di chiedere perdono del delitto a mamma Assunta ed alla famiglia Goretti. Si gettò in ginocchio e nella commozione riuscì appena a balbettare: «Assunta perdonatemi». La madre della Martire esclamò: «Eh, vi ha perdonato lei, vi ha perdonato Iddio...! Vi perdono anch'io». E gli gettò le braccia al collo. Fu allora che si avviarono in chiesa a ricevere la Comunione, l'uno a fianco dell'altra. La chiesa era affollatissima di gente. Era la notte di Natale del 1937.

Il desiderio di riscattarsi divenne il programma della sua vita. La ricerca di Dio nel silenzio e nella preghiera suggerì ad Alessandro l'idea del chiostro. Fu accolto dai Capuccini di Ascoli. «Non era un frate - dichiarò un religioso - ma visse tra di noi come un vero figlio di S. Francesco». Il 15 gennaio 1970, mentre si recava in chiesa per assistere alla S. Messa, cadde e si fratturò una gamba. Morì il 6 maggio 1970 all'età di 89 anni. Nel giorno e nel mese in cui settanta anni prima morì anche Luigi Goretti. Tra gli effetti personali, il P Urbano cappuccino trovò una lettera sigillata che conteneva uno scritto datato 5 maggio 1961. È il suo testamento spirituale, eccolo:

«Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia giovinezza infilai una falsa strada, la via del male che mi condusse alla rovina.

Vedevo attraverso la stampa, gli spettacoli ed i cattivi esempi, che la maggior parte dei giovani segue quella via, senza darsi pensiero ed io pure non mi preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta che mi sospingeva verso una cattiva strada. A 20 anni consumai il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo.

Maria Goretti, ora santa, fu l'Angelo buono che la Provvidenza aveva messo dinanzi ai miei passi per salvarmi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me ed intercedette per il suo uccisore. Seguirono 30 anni di prigione, se non fossi stato minorenne sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata, rassegnato espiai la mia colpa. La piccola Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice: con il suo aiuto mi portai bene nei 27 anni di carcere e cercai di vivere onestamente, quando la società mi accettò tra i suoi membri. I figli di san Francesco, minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto tra di loro non come servo ma come fratello e con loro convivo da 24 anni. Ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore ed alla sua cara mamma Assunta. Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, seguire il bene sempre. Fin da fanciulli pensino che la religione con i suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno ma è il vero conforto, l'unica via sicura in tutte le circostanze anche le più dolorose della vita. Pace e bene».
Don Giuseppe Rottoli

AMDG et DVM

Cieli nuovi e Terra nuova

Città del Messico, 5 dicembre 1994. 
Cenacolo nazionale del M.S.M nel Santuario della
Madonna di Guadalupe.


La pupilla dei miei occhi.

« Con quale amore vi guardo, sacerdoti e fedeli del mio Movimento, che vi trovate qui, in
questo mio così venerato Santuario, a fare il vostro grande Cenacolo, che conclude quelli fatti
in tante città del Messico, questa terra da Me particolarmente protetta e benedetta!

Faccio scendere dal mio Cuore Immacolato torrenti di amore e di misericordia su tutti voi,
sulla Chiesa e su questa povera umanità.

Come nei miei occhi sta impressa l'immagine del piccolo Juan Diego, a cui sono apparsa, così
anche voi siete impressi negli occhi e nel cuore della vostra Mamma Celeste.

Siete la pupilla dei miei occhi, perché siete i miei più piccoli bambini, completamente a Me
consacrati, e così su di voi Io posso effondere tutta la tenerezza del mio amore materno.

Siete la pupilla dei miei occhi, perché vi lasciate condurre da Me con tanta docilità. Voi mi
ascoltate, assecondate le mie richieste, camminate sulla strada che Io vi ho tracciato e così,
per mezzo di voi, Io posso realizzare il grande disegno del trionfo del mio Cuore Immacolato
nel mondo.

Siete la pupilla dei miei occhi, perché attraverso di voi Io posso diffondere la luce della fede
nei giorni della grande apostasia, il profumo della grazia e della santità nel tempo della grande
perversione e la forza vittoriosa dell'amore nell'ora della violenza e dell'odio.

Siete la pupilla dei miei occhi, per il grande amore che voi avete a Gesù Eucaristico. Con quale
gioia vi guardo, quando andate davanti al Tabernacolo per dare a Gesù il vostro sacerdotale
omaggio di amore, di adorazione e di riparazione.

Nel tempo in cui Gesù Eucaristico è circondato da tanta indifferenza, da tanto vuoto, voi
diffondete ancora le solenni ore di adorazione eucaristica, circondate Gesù Eucaristico di
fiori e di luci come segni indicativi del vostro amore e della vostra tenera pietà.

Siete la pupilla dei miei occhi, perché siete semplici, poveri, umili e così mi amate con tutto il
candore del vostro cuore di bimbi.

Hai visto, mio piccolo figlio, con quanto entusiasmo sono amata, pregata e glorificata da tutti
questi miei figli messicani.

Per questo da qui incomincerà la mia grande vittoria contro tutte le forze massoniche e sataniche, per il più grande trionfo di mio figlio Gesù.

Ti confermo che per il grande giubileo del duemila avverrà il trionfo del mio Cuore
Immacolato, che vi ho predetto a Fatima ed esso si realizzerà con il ritorno di Gesù nella
gloria, per instaurare il suo Regno nel mondo.

Così potrete finalmente vedere coi vostri occhi i cieli nuovi e la nuova terra.

Con tutto il mio amore di Mamma, da voi consolata e glorificata, vi benedico nel Nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».


AVE MARIA PURISSIMA!