lunedì 6 maggio 2019

Al ciel, al ciel, al ciel




Andrò a vederla un dì
in Cielo, patria mia,
andrò a veder Maria
mia gioia e mio amor.

Al ciel, al ciel, al ciel
andrò a vederla un dì.

Andrò a vederla un dì:
è il grido di speranza,
che infondemi costanza
nel viaggio e fra i dolor.

Andrò a vederla un dì
lasciando questo esilio;
le poserò qual figlio
il capo sopra il cuor.

Andrò a vederla un dì!
Andrò a levar miei canti
cogli Angeli e coi Santi
per corteggiarla ognor.

Andrò a vederla un dì;
le andrò vicino al trono
per ottenere in dono
un serto di splendor.

Andrò a vederla un dì
e come Bernadetta
in festa eterna, eletta,
potrò lodarla ognor.


domenica 5 maggio 2019

Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela.

Risultati immagini per usare la vela

9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. 
Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. 
Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. 
Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”


   “Come può avvenire questo?”



   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. 

Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? 
Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? 
Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. 

Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. 

Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. 

Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. 
Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. 

Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. 

Vengo per portarvi meco. Venite!... Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. 

Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 


10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”

   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. 
Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. 
E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. 
No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. 
E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro... sì.
AMDG et DVM

“Maestro, ecco Nicodemo” --- “Io te lo dico il segreto vero....

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..........

Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!... e allora è meglio cercare che non cada o... scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.

   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!... Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”

   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?...”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Lasciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.

   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”

   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti... vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora... Ma i potenti... non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”

   “Torniamo in Galilea?”

   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi... Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta...”


 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.

   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime... discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto... cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri... e così Giuseppe... Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri... Ma non tutti. Lo vedi... Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”

   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”

   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. 
Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. 
Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. 
Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”

   “Come può avvenire questo?”

   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. 
Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? 
Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? 
Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. 

Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. 

Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. 

Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. 
Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. 

Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. 

Vengo per portarvi meco. Venite!... Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. 

Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. 
Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. 
E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. 
No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. 
E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro... sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/2/cxvi-al-getsemani-con-gesu-i-discepoli-parlano-dei-pagani-e-della-velata-il-colloquio-con-nicodemo


AMDG et DVM

Di una persona guardo solo il suo sguardo e la sua anima

AUTOBIOGRAFIA  di Maria Valtorta
CAPITOLO 3

Il primo Incontro

Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani.
 Accosta la tua mano e mettila nel mio costato!
 (S. Giovanni cap: 20 n° 27 7, 47-48)
  
   Giunti a Milano nel settembre, prima cura di mamma fu di cercare un istituto per me. Avevo quattro anni e mezzo, ero molto timida. Lo ero divenuta a furia d'aver paura di sbagliare e di incontrare il «guai» materno. Ero sana ma molto soffrivo del clima rigido e umido di Milano. Sarebbe stato bene tenermi ancora per casa, molto più che ero sola e perciò… davo poca noia. Ma mamma, che sognava di fare di me un Pico della Mirandola in gonnella, mi portò a scuola. All'asilo, naturalmente, e precisamente presso le Suore Orsoline di Via Lanzone.

   All'asilo ero… un'aquila rispetto alle altre più vecchie di me. Sfido io! Sapevo già leggere tutto l'abecedario e scrivere vocali e consonanti, senza contare che parevo una cocorita col mio ciangottare il francese pieno di erre che allora mi piacevano tanto!!…

   Le Suore erano molto buone e anche… molto belle. Non rida. Ora ammiro più l'interno che l'involucro e di una persona guardo solo il suo sguardo e la sua anima che, del resto, balena dallo sguardo, e mi basta siano belli l'anima e lo sguardo che ne è specchio. Ma da piccina e anche fino ai miei vent'anni ero un po' tanto pagana e volevo bene solo alle cose belle, alle persone belle. Ero una grande originale, non le pare?

   Le Suore erano molto belle e perciò le amai subito. Suor Bianca, la Superiora, pareva un vaso di alabastro acceso da una interna luce d'amore. Suor Fulgenzia, la mia Suora, era fulgida come il suo nome. E buone, buone, buone!…

   Andavo dunque all'asilo molto volentieri… meno il primo giorno però, perché nonostante i suoi paurosi «guai» io amavo intensamente ed amo mia mamma4 e sono sempre stata una mendica alla porta del suo cuore in attesa di carezze… Perciò il primo giorno, quando la dovetti lasciare, feci… il diavolo a quattro. Strilli, calci, pugni, morsi, sgraffi… distribuii di tutto in larga misura. Teresa, la nutrice pazza, risorgeva in me con le sue furie paurose. Ma a sera mi ero già affezionata alle buone Suore e le baciai con amore. Il giorno dopo tornai serena all'asilo. Era una festa per me andare là, trovare carezze, lodi, premi e tante bimbe con le quali poter giocare.

   Giocare! Con delle quasi sorelline! Che gioia! Bisogna esser stati figli unici e tenuti come lo fui io per capire cosa sia la maledizione d'esser «unici figli». Ma lasciamo questo argomento che non è importante nella mia narrazione.

   Le Suore erano dunque belle e buone. Ma l'Istituto era brutto, tetro, antico. Oppresso fra le case della vecchia Milano e la Basilica di S. Ambrogio, aveva poca luce, un piccolo giardino verdognolo fin nelle pietre, cortili da monastero, scuri corridoi e una cappella… da tempo di catacombe. Pure andavo volentieri all'Istituto.

   Fra l'altro mi accompagnava spesso mia nonna. Che festa camminare con lei, sola con lei che mi amava tanto e che ogni volta mi lasciava all'Istituto con tanti baci d'addio e con il contentino di un frutto, di un confettone, dati oltre alla refezione portata da casa e, quello che me li rendeva ancor più buoni, senza che mamma lo sapesse e lo proibisse. Povera nonna! Non l'ho mai tradita dicendo a mamma le sue… disubbidienze agli ordini di sua figlia! Lei, la nonna, non mi diceva nulla, ma io capivo istintivamente che se avessi parlato nonna avrebbe avuto dei rimproveri, e serbavo il segreto. Ho imparato molto presto a serbare i segreti, a riflettere su quel che è prudente tacere!…

   Nell'Istituto trovai Dio. Papà e la nonna mi parlavano di Lui, mi facevano pregare, mi portavano in chiesa. Ma io incontrai il volto di Dio e il suo amore nell'Istituto. Il primo incontro vero e proprio e incancellabile.

   Le buone Suore, e specie la nostra Suor Fulgenzia, ci parlavano di Dio con parole atte alle nostre piccole menti. Ci narravano «di Dio l'opre stupende», ci descrivevano gli attributi della divinità e infondevano in noi il santo timore di Dio. «Dio ci vede sempre, Dio è sempre presente, nulla gli è nascosto, Egli è dapertutto». Quante volte ho udito queste parole!

   Avevamo, nella nostra scuoletta di lavoro — e il lavoro era imparare la maglia facendo certe… corde dure e sudicie che parevano aver servito ad accalappiare mille cani randagi — avevamo delle seggioline di paglia e colla spalliera di legno che terminava in due specie di pigne. Mi par di vederle ancora! Io, con la mia fede assoluta nelle parole della Suora, credevo fermamente che Dio… fosse dentro a quelle due pigne e gli chiedevo scusa di voltargli le spalle… Santa semplicità dell'infanzia, che fa scorrere un sorriso nei Cieli e davanti alla quale angeli e patriarchi s'inchinano riverenti. Almeno lo penso io.

   E l'Angelo custode? Nel giardino, così tetro e verdognolo, vi era una grotta con dentro l'Arcangelo S. Michele, credo, perché aveva la spada in mano. Un angelone gigante per noi così piccine!… E la Suora ci portava là davanti e ci diceva che un angelo così, ma ancor più bello, era sempre al nostro fianco e bisognava esser buone se no lui si copriva il volto con le sue belle ali e piangeva…

  Ma poi, più di queste due prime conoscenze col soprannaturale, quello che più di tutto mi faceva palpitare il cuore davanti all'ineffabile mistero della bontà divina era il Cristo deposto della Cappella. Era sotto l'altare maggiore. Doveva essere un'opera d'arte molto antica e certo meritevole, perché aveva un verismo fin troppo impressionante. Così e non diversamente doveva essere il Cristo quando le mani pietose di Giuseppe e Nicodemo lo schiodarono dalla croce per deporlo nel grembo della Madre. Grande al naturale, aveva i tratti stanchi di chi morì fra mille spasimi e, nelle membra rilasciate nell'abbandono della morte, tutte le piaghe, le sferzate, le trafitture, le contusioni di uno seviziato come lo fu il Salvatore prima della crocifissione.

   Impressionante dico e ripeto, e molte mie compagne piangevano di paura quando ci portavano là a vederlo e a pregarlo. Io non piangevo di paura ma tremavo di compassione. Io che fin da allora non potevo veder soffrire nessuno, neppure un pollo, e che mi sentivo ripetere che quel povero corpo era quello di Gesù e che così l'avevano ridotto i nostri peccati. Non so se era in tutto giusto far fare certe meditazioni a creature non ancora cinquenni; quello che so di certo è che io, all'opposto delle altre che piangevano per paura di quel cadavere, e soprattutto per paura del castigo di Dio per i nostri peccati, tremavo di pena solo per Lui e sentivo che era l'amore, il suo amore per noi, più dei giudei crocifissori, che l'aveva ridotto così e avrei voluto consolarlo… Vincendo il ribrezzo naturale per quel corpo impiagato in una maniera paurosa, lo guardavo, lo guardavo e avrei voluto che l'urna fosse aperta per potergli andare vicino, carezzargli la testa coronata di spine, baciarlo anche, far sì che sentisse che gli volevo bene. Quante volte avrei voluto mettere in quella mano trafitta il bel confettone tutto bergnoccoluto o quello dorato, o rosso o verdolino, che la nonna mi comperava nel condurmi a scuola e che mi piacevano tanto perché erano buoni e poi perché mi dicevano l'amore della nonna!

   Le parranno sciocchezze queste, Padre. Ma pensi alla mia età di allora… Più tardi, molto più tardi, nella mano trafitta di Gesù ho messo l'offerta della mia vita ma, se ci penso bene, sento che… mi sarebbe costato di più, allora, dargli il mio confetto che non ora la mia vita e il mio soffrire.

   Tornata a casa io, che già avevo raccontato tutto a nonna, ripetevo la mia… scienza a mamma, a papà, alla donna di servizio, al soldato, e poi andavo a nanna pensando a Gesù che era là solo e… malato, dicevo io. Ed era tanta la forza di questo pensiero che delle volte di notte mi svegliavo piangendo, e a nonna che dormiva con me o a mamma che accorreva sentendomi piangere dicevo che vedevo Gesù tutto malato che piangeva perché era solo. I miei si impressionarono di questo e pensarono di farmi cambiare Istituto per mandarmi in uno meno… medioevale, nella tema che io mi ammalassi di paura. No, mi ammalavo di amore.

   Il primo contatto era avvenuto e Gesù e Maria non si sarebbero più persi di vista anche se, a periodi, vi fu da mia parte una colpevole freddezza. Ma proprio staccata da Lui non mi staccai più e da Lui sofferente, da Lui Redentore, da Lui Re del dolore. Non ho mai compreso Cristo che sotto questa vesta imporporata del suo sangue ed ho sempre avuto ansia di consolarlo facendomi simile a Lui nel dolore volontariamente patito per amore.

   Mentre i miei stavano decidendo sulla scelta del nuovo Istituto, io venni colpita dalla tosse canina in forma improvvisa e gravissima. Ero andata a scuola come al solito, pure sentendomi tutta indolenzita. Ma mi hanno abituata per tempo a non ascoltare tutti i malannucci e sono grata ai miei di ciò. Se non mi avessero temprata virilmente come avrei potuto sopportare la mia vita? Ero dunque andata a scuola. Ma verso il mezzogiorno cominciai a tossire in modo che non lasciava dubbi sul genere di quella tosse e mi venne subito un febbrone. Fui immediatamente separata dalle compagnette e stetti tutto il resto del tempo, ossia fino alle 17, nello studio della Superiora e in braccio a lei. In braccio! Oh! ci stavo ad aver tutto quel male nel petto pur di stare in braccio a quella Suora così bianca e buona. Fuor che la nonna e mio papà, nessuno mi pigliava in collo ed io avevo una così acuta smania di essere coccolata!!

   Non tornai più dalle Orsoline. La malattia durò dei mesi e si vinse solo nell'estate venendo in Toscana per la villeggiatura.
   Nell'ottobre 1904 venni iscritta all'Istituto delle Marcelline.

http://www.valtortamaria.com/operaminore/autobiografia/5/sezione/1/il-primo-incontro
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   4 amavo intensamente ed amo mia mamma: è la prima delle 28 attestazioni che si troveranno richiamate nella voce "Fioravanzi Iside, amata ecc." dell'indice analitico in fondo al volume. Maria Valtorta, sincera anche sul conto della propria madre, della quale riferisce incomprensioni e vessazioni, mostra di averla sempre amata, perdonata, onorata e servita.

 MV a 2 anni  
MV a 2 anni

 MV con madre

MV con madre

AMDG et DVM

Ll’opera d’arte è una strada che può condurre a Dio


Il Papa: l’opera d’arte è una strada che può condurre a Dio (AsiaNews)

VATICANO

All’udienza generale, Benedetto XVI evidenzia come davanti a una scultura, un quadro, una poesia o un brano musicale si possa percepire che di fronte a noi non c’è solo materia, “ma qualcosa di più grande, qualcosa che parla, capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l'animo”.
 “Quante volte allora le espressioni artistiche possono essere occasioni per ricordarci di Dio, per aiutare la nostra preghiera o per la conversione del cuore”.

Castel Gandolfo (AsiaNews) 

Le opere d’arte sono uno dei “canali” che possono condurre a Dio, l'arte infatti “è come una porta aperta verso l'infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un'opera d'arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l'alto”.

Benedetto XVI è tornato oggi a toccare uno dei temi che gli sono cari, quello della bellezza come via che conduce a Dio. Alle cinquemila persone presenti a Castel Gandolfo per l’udienza generale, il Papa ha infatti detto che “forse vi è capitato qualche volta davanti ad una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare nell'intimo un'intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c'era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande, qualcosa che parla, capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l'animo”.

“L'opera d'arte è il frutto della capacità creativa dell'essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni”. L’opera d’arte, insomma, “è una porta aperta verso l’infinito”, che “apre gli occhi della mente, del cuore”.

“Un esempio lo possiamo avere quando visitiamo una cattedrale gotica: siamo rapiti dalle linee verticali che si stagliano verso il cielo ed attirano in alto il nostro sguardo e il nostro spirito, mentre, in pari tempo, ci sentiamo piccoli, eppure desiderosi di pienezza… O quando entriamo in una chiesa romanica: siamo invitati in modo spontaneo al raccoglimento e alla preghiera. Percepiamo che in questi splendidi edifici è come racchiusa la fede di generazioni. Oppure, quando ascoltiamo un brano di musica sacra che fa vibrare le corde del nostro cuore, il nostro animo viene come dilatato ed è aiutato a rivolgersi a Dio. Mi torna ancora alla mente un concerto di musiche di Johan Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, una delle Cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso qualcosa della fede del sommo compositore e mi spingeva a lodare e ringraziare il Signore……”. 

“Ma quante volte – ha aggiunto - quadri o affreschi, frutto della fede dell’artista, nelle loro forme, nei loro colori, nella loro luce, ci spingono a rivolgere il pensiero a Dio e fanno crescere in noi il desiderio di attingere alla sorgente di ogni bellezza. Rimane profondamente vero quanto ha scritto un grande artista, Marc Chagall, che i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia. Quante volte allora le espressioni artistiche possono essere occasioni per ricordarci di Dio, per aiutare la nostra preghiera o per la conversione del cuore! Paul Claudel, famoso poeta, drammaturgo e diplomatico francese, nella Basilica di Notre Dame a Parigi, nel 1886, proprio ascoltando il canto del Magnificat durante la Messa di Natale, avvertì la presenza di Dio. Non era entrato in chiesa per motivi di fede, ma per cercare argomenti contro i cristiani, e invece la grazia di Dio operò nel suo cuore”. 

Per tutti, anche oggi, vale l’invito del Papa “a riscoprire l’importanza di questa via anche per la preghiera, per la nostra relazione viva con Dio. Le città e i paesi in tutto il mondo racchiudono tesori d’arte che esprimono la fede e ci richiamano al rapporto con Dio. La visita ai luoghi d’arte, allora non sia solo occasione di arricchimento culturale, ma possa soprattutto diventare un momento di grazia, di stimolo per rafforzare il nostro legame e il nostro dialogo con il Signore, per fermarsi a contemplare, nel passaggio dalla semplice realtà esteriore alla realtà più profonda, il raggio di bellezza che ci colpisce, che quasi ci ferisce nell’intimo e ci invita a salire verso Dio”.
mercoledì 31 agosto 2011

AMDG et DVM