domenica 20 gennaio 2019

GRAN VALORE TESTIMONIARE LA VERITA'


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CAPITOLO XLVI

NELLA FESTA DI S. MARIA MADDALENA


Nella festa di S. Maria Maddalena, [l'Apostola degli Apostoli] la grande amante di Cristo apparve a Geltrude durante i primi Vespri adorna di rose d'oro e splendente di tante gemme quanti furono i suoi peccati. Ritta alla destra del Figlio di Dio, diffondeva su tutta la Corte celeste il meraviglioso splendore della sua gloria, e il Salvatore Gesù, prodigandole familiari carezze, le diceva tenerissime parole. 
Geltrude comprese che i fiori d'oro rappresentavano la divina clemenza che aveva rimessi i peccati di S. Maria Maddalena, le gemme preziose simboleggiavano la penitenza con cui ella, aiutata dalla divina grazia, aveva cancellato tutte le sue colpe.

Durante il Mattutino Geltrude applicò la sua divozione alle parole ed ai neumi che erano cantati in onore di S. Marria Maddalena, e la pregò d'intercedere per lei e per le persone che le erano state raccomandate. La Santa penitente s'avanzò, si prostrò ai piedi del Signore, li baciò con amore e li offerse, in virtù dei suoi meriti, a tutti coloro che desideravano avvicinarsi ad essi con sincera penitenza. 
Geltrude venne a baciare teneramente quei sacratissimi piedi, dicendo: « Ecco, o amatissimo Gesù, che ti offro le pene di tutte le persone che mi sono affidate e in loro compagnia, lavo i tuoi santissimi piedi ». 
Rispose il Signore: « Con ragione mi hai lavato i piedi in nome loro, adesso di' a coloro per i quali tu preghi che me li asciughino coi loro capelli, che li bacino e li profumino con preziosi aromi ». 

Geltrude comprese che quelle persone dovevano fare tre cose: per asciugare i piedi di Gesù era necessario che si esaminassero accuratamente se nei dolori da loro sofferti, nulla vi fosse di opposto a Dio, o che impedisse la loro unione col Signore; in caso affermativo dovevano proporre di vincere ogni ostacolo, a prezzo di qualsiasi sacrificio. Per baciare i piedi di Gesù dovevano confidare ciecamente nella bontà infinita di Dio, sempre pronto a perdonare le colpe dei cuori sinceramente pentiti. Infine per profumare quei santi piedi dovevano proporre di fuggire, per quanto è possibile, la minima offesa di Dio.

Aggiunse il Signore: « Se vuoi offrirmi il profumo che, secondo il Vangelo, quella grande penitente versò sul mio capo, spezzando il vaso che lo conteneva, così che « la casa fu tutta piena di quella fragranza: et domus impleta est ex odore unguenti (Giov. XII, 3), devi amare la verità. 
Infatti colui che, per amore della verità e per difenderla si espone ad avere sofferenze, a perdere amici, a compiere gravi rinunce, colui, dico, spezza realmente il vaso d'alabastro e profuma il mio capo, sì che tutta la casa è fragrante di quest'olezzo. Egli dà realmente buon esempio e mentre si sforza di correggere gli altri, migliora se stesso, cercando di evitare le colpe che biasima nel prossimo. Così il buon odore si diffonde per l'esempio edificante e le opportune correzioni al prossimo. Se mai poi, nel suo amore alla verità, cadesse in qualche difetto, sia correggendo con asprezza e zelo eccessivo, sia mostrandosi negligente o troppo rigido, io lo scuserò davanti al Padre celeste e a tutti gli eletti, come seppi difendere Maria Maddalena; di più soddisferò a tutte le sue colpe».

Geltrude chiese: « Amorosissimo Gesù, si dice che Maria abbia comperato quell'unguento odoroso, come potrei anch'io, (sia pure a prezzo grande), renderti un omaggio così gradito? ». 

Egli rispose: « Colui che in ogni occasione, mi offre la sua buona volontà, che si sforza di agire per amore, e che accetta i più gravi sacrifici per la mia gloria, compera veramente questo balsamo squisito. Lo acquista purché, preferendo il mio onore al suo vantaggio, si assoggetta a qualsiasi rinuncia; lo acquisterebbe anche se per gravi ostacoli, non potesse tradurre in opera il suo progetto ».
http://www.preghiereagesuemaria.it/libri/l'araldo%20del%20divino%20amore%20rivelazioni%20di%20s%20geltrude%20libro4.htm
AMDG et DVM

«Donna, che vi è più fra Me e te?»


LII. Le nozze di Cana. 
Il Figlio non più soggetto alla Madre compie per Lei il primo miracolo. 

   16 gennaio 1944.

 1 Vedo una casa. Una caratteristica casa orientale - un cubo bianco, più largo che alto, con rade aperture - sormontata da una terrazza che fa da tetto, recinta da un muretto alto circa un metro e ombreggiata da una pergola di vite, che si arrampica fin là e stende i suoi rami su oltre metà di questa assolata terrazza. Una scala esterna sale lungo la facciata sino all'altezza di una porta, che si apre a metà altezza della facciata. Sotto ci sono, al terreno, delle porte basse e rade, non più di due per lato, che mettono in stanze basse e scure. La casa sorge in mezzo ad una specie di aia, più spiazzo erboso che aia, che ha al centro un pozzo. Vi sono delle piante di fico e di melo. La casa guarda verso la strada, ma non è sulla strada. È un poco in dentro, e un viottolo fra l'erba l'unisce alla via che sembra una via maestra.
   Si direbbe che la casa è alla periferia di Cana: casa di proprietari contadini, i quali vivono in mezzo al loro poderetto. La campagna si stende oltre la casa con le sue lontananze verdi e placide. Vi è un bel sole e un azzurro tersissimo di cielo. In principio non vedo altro. La casa è sola.

 2 Poi vedo due donne, con lunghe vesti e un manto che fa anche da velo, avanzarsi sulla via e da questa sul sentiero. Una è più anziana, sui cinquant'anni, e veste di scuro, un color bigiomarrone come di lana naturale. L'altra è vestita più in chiaro, una veste di un giallo pallido e manto azzurro, e sembra avere un trentacinque anni. È molto bella, snella, e ha un portamento pieno di dignità, per quanto sia tutta gentilezza e umiltà. Quando è più vicina, noto il color pallido del volto, gli occhi azzurri e i capelli biondi che appaiono sotto il velo sulla fronte. Riconosco Maria Ss. Chi sia l'altra, che è bruna e più anziana, non so. Parlano fra loro e la Madonna sorride. Quando sono prossime alla casa, qualcuno, certamente messo a guardia degli arrivi, dà l'avviso, ed incontro alle due vengono uomini e donne tutti vestiti a festa, i quali fanno molte feste alle due e specie a Maria Ss.
   L'ora pare mattutina, direi verso le nove, forse prima, perché la campagna ha ancora quell'aspetto fresco delle prime ore del giorno, nella rugiada che fa più verde l'erba e nell'aria non ancora offuscata da polvere. La stagione mi pare primaverile, perché i prati sono con erba non arsa dall'estate e i campi hanno il grano ancor giovane e senza spiga, tutto verde. Le foglie del fico e del melo sono verdi e ancora tenere, e così quelle della vite. Ma non vedo fiori sul melo e non vedo frutta né sul melo, né sul fico, né sulla vite. Segno che il melo ha già fiorito, ma da poco, e i frutticini non si vedono ancora.

 3 Maria, molto festeggiata e fiancheggiata da un anziano che pare il padrone di casa, sale la scala esterna ed entra in un'ampia sala che pare tenere tutta o buona parte del piano sopraelevato.
  Mi pare di capire che gli ambienti al terreno sono le vere e proprie stanze di abitazione, le dispense, i ripostigli e le cantine, e questa sia l'ambiente riservato a usi speciali, come feste eccezionali, o a lavori che richiedano molto spazio, o anche a distensione di derrate agricole. Nelle feste lo svuotano da ogni impiccio e lo ornano, come è oggi, di rami verdi, di stuoie, di tavole imbandite. Al centro ve ne è una molto ricca, con sopra già delle anfore e piatti colmi di frutta. Lungo la parete di destra, rispetto a me che guardo, un'altra tavola imbandita, ma meno riccamente. Lungo quella di sinistra, una specie di lunga credenza, con sopra piatti con formaggi e altri cibi che mi paiono focacce coperte di miele e dolciumi. In terra, sempre presso questa parete, altre anfore e tre grossi vasi in forma di brocca di rame (su per giù). Le chiamerei giare.
   Maria ascolta benignamente quanto tutti le dicono, poi con bontà si leva il manto ed aiuta a finire i preparativi della mensa. La vedo andare e venire aggiustando i letti-sedili, raddrizzando le ghirlande di fiori, dando migliore aspetto alle fruttiere, osservando che nelle lampade vi sia l'olio. Sorride e parla pochissimo e a voce molto bassa. Ascolta invece molto e con tanta pazienza.
   Un grande rumore di strumenti musicali (poco armonici in verità) si ode sulla via. Tutti, meno Maria, corrono fuori. Vedo entrare la sposa, tutta agghindata e felice, circondata dai parenti e dagli amici, a fianco dello sposo che le è corso incontro per primo.

 4 E qui la visione ha un mutamento. Vedo, invece della casa, un paese. Non so se sia Cana o altra borgata vicina. E vedo Gesù con Giovanni ed un altro che mi pare Giuda Taddeo, ma potrei, su questo secondo, sbagliare. Per Giovanni non sbaglio. Gesù è vestito di bianco ed ha un manto azzurro cupo. Sentendo il rumore degli strumenti, il compagno di Gesù chiede qualcosa ad un popolano e riferisce a Gesù. 
   «Andiamo a far felice mia Madre» dice allora Gesù sorridendo. E si incammina attraverso ai campi, coi due compagni, alla volta della casa. Mi sono dimenticata di dire che ho l'impressione che Maria sia o parente o molto amica dei parenti dello sposo, perché si vede che è in confidenza.
   Quando Gesù arriva, il solito, messo di sentinella, avvisa gli altri. Il padrone di casa, insieme al figlio sposo ed a Maria, scende incontro a Gesù e lo saluta rispettosamente. Saluta anche gli altri due, e lo sposo fa lo stesso. 
   Ma quello che mi piace è il saluto pieno di amore e di rispetto di Maria al Figlio e viceversa. Non espansioni, ma uno sguardo tale accompagna la parola di saluto: «La pace è con te» e un tale sorriso che vale cento abbracci e cento baci. Il bacio tremola sulle labbra di Maria, ma non viene dato. Soltanto Ella pone la sua mano bianca e piccina sulla spalla di Gesù e gli sfiora un ricciolo della sua lunga capigliatura. Una carezza da innamorata pudica.

 5 Gesù sale a fianco della Madre e seguito dai discepoli e dai padroni, ed entra nella sala del convito, dove le donne si danno da fare ad aggiungere sedili e stoviglie per i tre ospiti, inaspettati, mi sembra. Direi che era incerta la venuta di Gesù e assolutamente impreveduta quella dei suoi compagni.
   Odo distintamente la voce piena, virile, dolcissima del Maestro dire, nel porre piede nella sala: «La pace sia in questa casa e la benedizione di Dio su voi tutti». Saluto cumulativo a tutti i presenti e pieno di maestà. Gesù domina col suo aspetto e con la sua statura tutti quanti. È l'ospite, e fortuito, ma pare il re del convito, più dello sposo, più del padrone di casa. Per quanto sia umile e condiscendente, è colui che si impone.
   Gesù prende posto alla tavola di centro con lo sposo, la sposa, i parenti degli sposi e gli amici più influenti. I due discepoli, per rispetto al Maestro, vengono fatti sedere alla stessa tavola.
   Gesù ha le spalle voltate alla parete dove sono le giare e le credenze. Non le vede perciò, e non vede neppure l'affaccendarsi del maggiordomo intorno ai piatti di arrosti, che vengono portati da una porticina che si apre presso le credenze.


   Osservo una cosa. Meno le rispettive madri degli sposi e meno Maria, nessuna donna siede a quel tavolo. Tutte le donne sono, e fanno baccano per cento, all'altra tavola contro la parete, e vengono servite dopo che sono stati serviti gli sposi e gli ospiti di riguardo. Gesù è presso il padrone di casa ed ha di fronte Maria, la quale siede a fianco della sposa.
Il convito comincia. E le assicuro che l'appetito non manca e neanche la sete. Quelli che lasciano poco il segno sono Gesù e sua Madre (il significato è che poco mangiano e poco bevono), la quale, anche, parla pochissimo. Gesù parla un poco di più. Ma, per quanto sia parco, non è, nel suo scarso parlare, né accigliato né sdegnoso. È un uomo cortese ma non ciarliero. Interrogato risponde, se gli parlano si interessa, espone il suo parere, ma poi si raccoglie in Sé come uno abituato a meditare. Sorride, non ride mai. E, se sente qualche scherzo troppo avventato, mostra di non udire. Maria si ciba della contemplazione del suo Gesù, e così Giovanni, che è verso il fondo della tavola e pende dalle labbra del suo Maestro.

 6 Maria si accorge che i servi parlottano col maggiordomo e che questo è impacciato, e capisce cosa c'è di spiacevole. «Figlio» dice piano, richiamando l'attenzione di Gesù con quella parola.      «Figlio, non hanno più vino».
   «Donna, che vi è più fra Me e te?». Gesù, nel dirle questa frase, sorride ancor più dolcemente, e sorride Maria, come due che sanno una verità che è loro gioioso segreto, ignorata da tutti gli altri.



 7 Gesù mi spiega il significato della frase.
   «Quel "più", che molti traduttori omettono , è la chiave della frase e la spiega nel suo vero significato.
   Ero il Figlio soggetto alla Madre sino al momento in cui la volontà del Padre mio mi indicò esser venuta l'ora di essere il Maestro. Dal momento che la mia missione ebbe inizio, non ero più il Figlio soggetto alla Madre, ma il Servo di Dio. Rotti i legami morali verso la mia Genitrice. Essi si erano mutati in altri più alti, si erano rifugiati tutti nello spirito. Quello chiamava sempre "Mamma" Maria, la mia Santa. L'amore non conobbe soste, né intiepidimento, anzi non fu mai tanto perfetto come quando, separato da Lei come per una seconda figliazione, Ella mi dette al mondo per il mondo, come Messia, come Evangelizzatore. La sua terza sublime mistica maternità fu quando, nello strazio del Golgota, mi partorì alla Croce facendo di Me il Redentore del mondo.
   "Che vi è più fra Me e te? "Prima ero tuo, unicamente tuo. Tu mi comandavi, Io ti ubbidivo. Ti ero "soggetto". Ora sono della mia missione.
   Non l'ho forse detto? (Luca 9, 62; Vol 3 Cap 178; Vol 4 Cap 276) "Chi, messa la mano all'aratro, si volge indietro a salutare chi resta, non è adatto al Regno di Dio". Io avevo posto la mano all'aratro per aprire col vomere non le glebe, ma i cuori, e seminarvi la parola di Dio. Avrei levato quella mano solo quando me l'avrebbero strappata di là per inchiodarmela alla croce ed aprire con il mio torturante chiodo il cuore del Padre mio, facendone uscire il perdono per l'umanità.
  Quel "più", dimenticato dai più, voleva dire questo: "Tutto mi sei stata, o Madre, finché fui unicamente il Gesù di Maria di Nazareth, e tutto mi sei nel mio spirito; ma, da quando sono il Messia atteso, sono del Padre mio. Attendi un poco ancora e, finita la missione, sarò da capo tutto tuo; mi riavrai ancora sulle braccia come quand'ero bambino, e nessuno te lo contenderà più, questo tuo Figlio, considerato un obbrobrio dell'umanità, che te ne getterà la spoglia per coprire te pure dell'obbrobrio d'esser madre di un reo. E poi mi avrai di nuovo, trionfante, e poi mi avrai per sempre, trionfante tu pure in Cielo. Ma ora sono di tutti questi uomini. E sono del Padre che mi ha mandato ad essi".
  Ecco quel che vuol dire quel piccolo e così denso di significato "più" ».



8 Maria ordina ai servi: «Fate quello che Egli vi dirà». Maria ha letto negli occhi sorridenti del Figlio l'assenso, velato dal grande insegnamento a tutti i "vocati". E ai servi: «Empite d'acqua le idrie» ordina Gesù.
   Vedo i servi empire le giare di acqua portata dal pozzo (odo stridere la carrucola che porta su e giù il secchio gocciolante). Vedo il maggiordomo mescersi un poco di quel liquido con occhi di stupore, assaggiarlo con atti di ancor più vivo stupore, gustarlo e parlare al padrone di casa e allo sposo (erano vicini).
   Maria guarda ancora il Figlio e sorride; poi, raccolto un sorriso di Lui, china il capo arrossendo lievemente. È beata.
   Nella sala passa un sussurrìo, le teste si volgono tutte verso Gesù e Maria, c'è chi si alza per vedere meglio, chi va alle giare. Un silenzio, e poi un coro di lodi a Gesù.
   Ma Egli si alza e dice una parola: «Ringraziate Maria» e poi si sottrae al convito. I discepoli lo seguono. Sulla soglia ripete: «La pace sia a questa casa e la benedizione di Dio su voi» e aggiunge: «Madre, ti saluto».
   La visione cessa.
AMDG et DVM

sabato 19 gennaio 2019

Poco più di sei mesi prima dell'11 febbraio 2013

Benedetto XVI Omelie 2012
[ DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PL  - PT ]

CAPPELLA PAPALE 
NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

SANTA MESSA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO 
AI NUOVI METROPOLITI

  

OMELIA DEL 
SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana 
Venerdì, 29 giugno 2012

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Siamo riuniti attorno all’altare per celebrare solennemente i santi Apostoli Pietro e Paolo, principali Patroni della Chiesa di Roma. Sono presenti, ed hanno appena ricevuto il Pallio, gli Arcivescovi Metropoliti nominati durante l’ultimo anno, ai quali va il mio speciale e affettuoso saluto. E’ presente anche, inviata da Sua Santità Bartolomeo I, una eminente Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che accolgo con fraterna e cordiale riconoscenza. In spirito ecumenico sono lieto di salutare e ringraziare “The Choir of Westminster Abbey”, che anima la Liturgia assieme alla Cappella Sistina. Saluto anche i Signori Ambasciatori e le Autorità civili: tutti ringrazio per la presenza e per la preghiera.
Davanti alla Basilica di San Pietro, come tutti sanno bene, sono collocate due imponenti statue degli Apostoli Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili dalle loro prerogative: le chiavi nella mano di Pietro e la spada tra le mani di Paolo. Anche sul portale maggiore della Basilica di San Paolo fuori le mura sono raffigurate insieme scene della vita e del martirio di queste due colonne della Chiesa. La tradizione cristiana da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. 
A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. 
Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè, la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l’effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro
Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità odierna consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca Ecumenico e il Vescovo di Roma, come pure tutti i cristiani.

Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). 
Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? 
Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. 

Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). 
E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). 
Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.

E nel Vangelo di oggi emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non praevalebunt». Viene alla mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affidando la missione, disse: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno - non praevalebunt -, perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,18-19). 
In realtà, la promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso.

// Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Esso rimanda all’oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). 
La chiave rappresenta l’autorità sulla casa di Davide. E nel Vangelo c’è un’altra parola di Gesù rivolta agli scribi e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini (cfr Mt 23,13). Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere (cfr Ap 3,7). 
Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere – esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra … nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell’esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio.

Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18). E san Giovanni, nel racconto dell’apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). 
Alla luce di questi parallelismi, appare chiaramente che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. 
E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. I detti di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore, l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera.

Cari fratelli, come ricordavo all’inizio, la tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell’Apostolo delle genti, scopriamo che l’immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tm 4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa.
Cari Metropoliti: il Pallio che vi ho conferito vi ricorderà sempre che siete stati costituiti nel e per il grande mistero di comunione che è la Chiesa, edificio spirituale costruito su Cristo pietra angolare e, nella sua dimensione terrena e storica, sulla roccia di Pietro. 
Animati da questa certezza, sentiamoci tutti insieme cooperatori della verità, la quale – sappiamo – è una e «sinfonica», e richiede da ciascuno di noi e dalle nostre comunità l’impegno costante della conversione all’unico Signore nella grazia dell’unico Spirito. 
Ci guidi e ci accompagni sempre nel cammino della fede e della carità la Santa Madre di Dio. 
Regina degli Apostoli, prega per noi!
Amen.
AMDG et DVM

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

venerdì 18 gennaio 2019

La lezione del Vaticano II

Giovanni Paolo II Angelus / Regina Caeli 2000
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GIOVANNI PAOLO II

CONGRESSO MONDIALE 
DELL'APOSTOLATO DEI LAICI

ANGELUS

Domenica, 26 novembre 2000
Solennità di Cristo Re dell'Universo



Cari fedeli laici!

1. Prima di concludere questa celebrazione giubilare, ho voluto consegnarvi nuovamente, nella persona di alcuni vostri rappresentanti, i Documenti del Concilio Vaticano II. Il mio pensiero torna in questo momento a quello storico e provvidenziale evento ecclesiale. Trentacinque anni or sono, proprio di questi giorni, vennero approvati alcuni documenti, tra i quali il Decreto sull'apostolato dei laici Apostolicam actuositatem. Il 7 dicembre, insieme ad altri testi, veniva approvata la Costituzione pastorale Gaudium et spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Il giorno dopo l'Assemblea conciliare promulgava definitivamente l'insieme dei suoi documenti.

Come allora, anche oggi ho voluto simbolicamente riaffidare il vasto patrimonio conciliare specialmente a voi, cari fedeli laici, apostoli del terzo millennio, ricordando che proprio ai laici - governanti, uomini di pensiero e di scienza, artisti, donne, lavoratori, giovani, poveri, malati - il Concilio consegnò il suo messaggio conclusivo destinato all'intera umanità.

In questo passaggio epocale, la lezione del Vaticano Secondo appare più che mai attuale: le condizioni odierne, infatti, richiedono che il vostro impegno apostolico di laici sia ancora più intenso e più esteso. Studiate il Concilio, approfonditelo, assimilatene lo spirito e gli orientamenti: troverete in esso luce e forza per testimoniare il Vangelo in ogni campo dell'umana esistenza.

2. Je vous salue cordialement, vous tous pèlerins francophones venus pour le Congrès de l’Apostolat des laïcs. À quelques jours de l’anniversaire de la fin du Concile, vous êtes tous invités à en relire les documents pour affermir votre vocation, pour vous engager dans l’apostolat, comme cela a été proposé par les Pères conciliaires, pour être dans le monde des témoins de la Bonne Nouvelle et pour prendre une part toujours plus active à la mission de l’Église. Le monde a besoin de votre témoignage individuel, conjugal, familial, professionnel et ecclésial. À tous, j’accorde la Bénédiction apostolique!

During this Jubilee of the Laity I have wished to place once again in the hands and hearts of the lay people of the world the documents of the Second Vatican Council. The Council, centred on Christ and his Church and open to the challenges of a changing world, was a providential event in the People of God’s preparation for the Third Christian Millennium. I encourage the lay faithful to study the Council’s teaching, to love and live its message. In this way the laity will be light and hope for the Church and for society. May Christ, the Eternal King, guide and strengthen you always!

Einen herzlichen Gruß richte ich an die Frauen und Männer deutscher Sprache. Liebe Schwestern und Brüder! Das Zweite Vatikanische Konzil ermutigt euch Laien, Salz der Erde und Licht der Welt zu sein. Ich vertraue euch einen Wunsch an: Laßt nicht nach, die Lehre des Konzils zu studieren und im Leben umzusetzen. Für eure Sendung als Zeugen des Evangeliums erteile ich euch gern den Apostolischen Segen.

Doy mi bienvenida a los peregrinos de lengua española que participáis en el Jubileo del apostolado de los laicos. Que esta peregrinación jubilar sea un estímulo para proseguir en el camino de la esperanza, construyendo el futuro desde vuestra específica vocación cristiana. Firmemente enraizados en Cristo y sostenidos por las enseñanzas siempre actuales del Concilio Vaticano II, testimoniad el Evangelio a los hombres de nuestro tiempo.

A feliz coincidência da Festa de Cristo-Rei com o vosso Jubileu lembre a todos vós, queridos peregrinos de língua portuguesa, que a vossa vocação de filhos de Deus, no meio do mundo, exige que não procureis apenas a santidade pessoal, mas que possais ir pelos caminhos da terra, para convertê-los em atalhos que, através dos obstáculos, levem as almas ao Senhor. Foi para isso que nós, os cristãos, fomos chamados, essa é a nossa tarefa apostólica e a preocupação que deve consumir a nossa alma, conseguir que o reino de Cristo se torne realidade, que não haja mais ódios nem crueldades, que estendamos pela terra o bálsamo forte e pacífico do amor.

Serdecznie pozdrawiam obecnych tu przedstawicieli laikatu z Polski i z innych krajów świata. Reprezentujecie niezliczoną rzeszę wierzących, którzy, wypełniając codzienne obowiązki rodzinne, zawodowe czy społeczne, równocześnie aktywnie włączają się w apostolską działalność Kościoła. Świętując dziś Jubileusz Apostolstwa Świeckich, dziękujemy Bogu za ich zaangażowanie w różnorakich dziedzinach życia - przeważnie im tylko dostępnych - dzięki któremu Kościół żyje jako wspólnota świadków wiary, nadziei i miłości. Modlę się, aby Duch Święty wciąż na nowo rozpalał w waszych sercach pragnienie służby Ewangelii, tak byście zgodnie ze swym powołaniem i posłaniem owocnie uczestniczyli w wypełnianiu prorockiej, kapłańskiej i pasterskiej misji Kościoła. Niech wam Bóg błogosławi!

[Saluto cordialmente i rappresentanti dei laici dalla Polonia e dagli altri paesi del mondo. Rappresentate l'innumerevole schiera dei fedeli che, compiendo i quotidiani doveri familiari, professionali o sociali, nello stesso tempo aderiscono attivamente all’azione apostolica della Chiesa. Celebrando oggi il Giubileo dell’Apostolato dei Laici, ringraziamo Dio per il loro impegno in diversi campi della vita - in gran parte accessibili solo ad essi - grazie al quale la Chiesa vive come comunità dei testimoni della fede, della speranza e dell’amore. Prego, affinché lo Spirito Santo sempre di nuovo accenda nei vostri cuori il desiderio di servire il Vangelo, sì che secondo la vostra vocazione e il mandato partecipiate fruttuosamente al compimento della profetica, sacerdotale e pastorale missione della Chiesa. Dio vi benedica!]

3. A Maria rivolgiamo ora la nostra preghiera. Ci aiuti Lei a realizzare quel rinnovamento di mentalità e di azione, di gioia e di speranza, che è stato lo scopo stesso del Concilio.




giovedì 17 gennaio 2019

Che significa essere cristiani oggi, qui, ora? ... Non abbiate paura di accettare questa sfida: essere uomini e donne santi!

Giovanni Paolo II      Omelie     2000
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CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE DEL CONGRESSO MONDIALE 
DEL LAICATO CATTOLICO

OMELIA DEL SANTO PADRE
Papa GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 26 novembre 2000 
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo




1. "Tu lo dici: io sono re" (Gv 18,37).

Così rispose Gesù a Pilato in un drammatico dialogo, che il Vangelo ci fa riascoltare nell'odierna solennità di Cristo Re dell'Universo. In questa ricorrenza, posta alla conclusione dell'anno liturgico, Gesù, Verbo eterno del Padre, è presentato come principio e fine di tutto il creato, come Redentore dell'uomo e Signore della storia. Nella prima Lettura il profeta Daniele afferma: "Il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto" (7,14).

Sì, o Cristo, tu sei Re! La tua regalità si manifesta paradossalmente sulla croce, nell'obbedienza al disegno del Padre, "che - come scrive l'apostolo Paolo - ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati" (Col 1,13-14). Primogenito di coloro che risuscitano dai morti, Tu, Gesù, sei il Re dell'umanità nuova, restituita alla sua dignità originaria.

Tu sei Re! Il tuo regno però non è di questo mondo (cfr Gv 18,36); non è il frutto di conquiste belliche, di dominazioni politiche, di imperi economici, di egemonie culturali. Il tuo è un "regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace" (cfr Prefazio di Cristo Re), che si manifesterà nella sua pienezza alla fine dei tempi, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28). La Chiesa, che già sulla terra può gustare le primizie del futuro compimento, non cessa di ripetere: "Venga il tuo regno" (Mt 6,10).

2. Venga il tuo regno! Pregano così, in ogni parte del mondo, i fedeli che si raccolgono quest'oggi attorno ai loro Pastori per il Giubileo dell'Apostolato dei Laici. Ed io mi unisco con gioia a questo universale coro di lode e di preghiera, celebrando insieme con voi, cari fedeli, la Santa Messa presso la Tomba dell'apostolo Pietro.

Ringrazio il Cardinale James Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, e i due vostri rappresentanti, che all'inizio della Santa Messa si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Saluto i venerati Fratelli nell'Episcopato, come pure i sacerdoti, i religiosi e le religiose presenti. Estendo il mio saluto in particolare a voi, laici, attivamente dediti alla causa del Vangelo: guardando a voi, penso anche a tutti i membri di comunità, associazioni e movimenti di azione apostolica; penso ai padri ed alle madri che con generosità e spirito di sacrificio attendono all'educazione dei loro figli nella pratica delle virtù umane e cristiane; penso a quanti offrono all'evangelizzazione il contributo delle loro sofferenze, accolte e vissute in unione con Cristo.

3. Saluto in modo speciale voi, cari partecipanti al Congresso del Laicato cattolico, che ben si inserisce nel contesto del Giubileo dell'Apostolato dei Laici. Il vostro incontro ha come tema "Testimoni di Cristo nel nuovo millennio". Esso riprende la tradizione dei convegni mondiali dell'Apostolato dei laici, iniziata cinquant'anni fa sotto l'impulso fecondo della più viva consapevolezza che la Chiesa aveva acquisito sia della propria natura di mistero di comunione che della propria intrinseca responsabilità missionaria nel mondo.

Nella maturazione di questa consapevolezza, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha segnato una svolta decisiva. Con il Concilio, nella Chiesa è veramente scoccata l'ora del laicato e tanti fedeli laici, uomini e donne, hanno compreso con maggior chiarezza la propria vocazione cristiana, che, per sua stessa natura, è vocazione all'apostolato (cfr Apostolicam actuositatem, 2). A 35 anni dalla sua conclusione, io dico: bisogna ritornare al Concilio. Bisogna riprendere in mano i documenti del Vaticano II per riscoprirne la grande ricchezza di stimoli dottrinali e pastorali.

In particolare, dovete riprendere in mano quei documenti voi laici, ai quali il Concilio ha aperto straordinarie prospettive di coinvolgimento e di impegno nella missione della Chiesa. Non vi ha forse ricordato il Concilio la vostra partecipazione alla funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo? A voi i Padri conciliari hanno affidato, in special modo, la missione di "cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e orientandole secondo Dio" (Lumen gentium, 31).

Da allora è fiorita una vivace stagione aggregativa, nella quale accanto all'associazionismo tradizionale sono sorti nuovi movimenti, sodalizi e comunità (cfr Christifideles laici, 29). Oggi più che mai, carissimi Fratelli e Sorelle, il vostro apostolato è indispensabile perché il Vangelo sia luce, sale e lievito di una nuova umanità.

4. Ma cosa comporta questa missione? Che significa essere cristiani oggi, qui, ora?

Essere cristiani non è mai stato facile e non lo è neppure oggi. Seguire Cristo esige il coraggio di scelte radicali, spesso controcorrente. "Noi siamo Cristo!", esclamava sant'Agostino. I martiri e i testimoni della fede di ieri e di oggi, tra i quali tanti fedeli laici, dimostrano che, se è necessario, non si deve esitare per Gesù Cristo neppure a dare la vita.

A questo proposito, il Giubileo invita tutti a un serio esame di coscienza e ad un perdurante rinnovamento spirituale per una sempre più incisiva azione missionaria. Vorrei qui riprendere quanto, 25 anni or sono, quasi a conclusione dell'Anno Santo del 1975, il mio venerato predecessore, il Papa Paolo VI, scriveva nell'Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi: "L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri... o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (n. 41).

Sono parole ancor valide quest'oggi dinanzi ad una umanità ricca di potenzialità e di attese, minacciata però da molteplici insidie e pericoli. Basti pensare, tra l'altro, alle conquiste sociali e alla rivoluzione in campo genetico; al progresso economico e al sottosviluppo esistente in vaste aree del pianeta; al dramma della fame nel mondo ed alle difficoltà esistenti per tutelare la pace; alla rete capillare delle comunicazioni ed ai drammi della solitudine e della violenza che registra la cronaca quotidiana. Carissimi fedeli laici, quali testimoni di Cristo, siete chiamati specialmente voi a recare la luce del Vangelo nei gangli vitali della società. Siete chiamati ad essere profeti della speranza cristiana e apostoli di "Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!" (Ap 1,4).

5. "La santità si addice alla tua casa!" (Sal 92,5). Con queste parole ci siamo rivolti a Dio nel Salmo responsoriale. La santità continua a essere per i credenti la sfida più grande. Dobbiamo essere grati al Concilio Vaticano II, che ci ha ricordato come tutti i cristiani siano chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità.

Cari Fratelli e Sorelle, non abbiate paura di accettare questa sfida: essere uomini e donne santi! Non dimenticate che i frutti dell'apostolato dipendono dalla profondità della vita spirituale, dall'intensità della preghiera, da una formazione costante e da un'adesione sincera alle direttive della Chiesa. A voi ripeto quest'oggi, come ai giovani durante la recente Giornata Mondiale della Gioventù, che se sarete quello che dovete essere - se vivrete cioè il cristianesimo senza compromessi - potrete incendiare il mondo.

Vi attendono compiti e traguardi che possono apparire sproporzionati alle forze umane. Non scoraggiatevi! "Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento" (Fil 1,6). Conservate sempre fisso lo sguardo su Gesù. Fate di Lui il cuore del mondo.

E Tu, Maria, Madre del Redentore, sua prima e perfetta discepola, aiutaci a essere i suoi testimoni nel nuovo millennio. Fa' che il tuo Figlio, Re dell'universo e della storia, regni nella nostra vita, nelle nostre comunità e nel mondo intero!

"Lode e onore a Te, o Cristo!". Con la tua Croce hai redento il mondo. A Te affidiamo, all'inizio di un nuovo millennio, il nostro impegno a servizio di questo mondo che Tu ami e che noi pure amiamo. Sostienici con la forza della tua grazia! Amen.

AMDG et DVM