sabato 24 novembre 2018

SANTO ROSARIO

La solennità di Cristo Re dell’universo. - Nostra impegnativa responsabilità: dare testimonianza al regno di Dio, alla verità.


OMELIA DEL 
SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Domenica, 25 novembre 2012

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

La solennità odierna di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, si arricchisce dell’accoglienza nel Collegio Cardinalizio di sei nuovi Membri che, secondo la tradizione, ho invitato questa mattina a concelebrare con me l’Eucaristia. A ciascuno di essi rivolgo il mio più cordiale saluto, ringraziando il Cardinale James Michael Harvey per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti. Saluto gli altri Porporati e tutti i Presuli presenti, come pure le distinte Autorità, i Signori Ambasciatori, i sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli, specialmente quelli provenienti dalle Diocesi affidate alla guida pastorale dei nuovi Cardinali.

In quest’ultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa ci invita a celebrare il Signore Gesù quale Re dell’universo. Ci chiama a rivolgere lo sguardo al futuro, o meglio in profondità, verso la meta ultima della storia, che sarà il regno definitivo ed eterno di Cristo. Egli era all’inizio con il Padre quando è stato creato il mondo, e manifesterà pienamente la sua signoria alla fine dei tempi, quando giudicherà tutti gli uomini. Le tre Letture di oggi ci parlano di questo regno. Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, tratto dal Vangelo di San Giovanni, Gesù si trova in una situazione umiliante - quella di accusato -, davanti al potere romano. E’ stato arrestato, insultato, schernito, e ora i suoi nemici sperano di ottenerne la condanna al supplizio della croce. L’hanno presentato a Pilato come uno che aspira al potere politico, come il sedicente re dei Giudei. Il procuratore romano compie la sua indagine e interroga Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?» (Gv 18,33). Rispondendo a questa domanda, Gesù chiarisce la natura del suo regno e della sua stessa messianicità, che non è potere mondano, ma amore che serve; Egli afferma che il suo regno non va assolutamente confuso con un qualsiasi regno politico: «Il mio regno non è di questo mondo … non è di quaggiù» (v. 36).

E’ chiaro che Gesù non ha nessuna ambizione politica. Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasmata dal miracolo, lo voleva prendere per farlo re, per rovesciare il potere romano e stabilire così un nuovo regno politico, che sarebbe stato considerato come il regno di Dio tanto atteso. Ma Gesù sa che il regno di Dio è di tutt’altro genere, non si basa sulle armi e sulla violenza. Ed è proprio la moltiplicazione dei pani che diventa, da un lato, segno della sua messianicità, ma, dall’altro, uno spartiacque nella sua attività: da quel momento il cammino verso la Croce si fa sempre più chiaro; lì, nel supremo atto di amore, risplenderà il regno promesso, il regno di Dio. Ma la folla non comprende, è delusa, e Gesù si ritira sul monte da solo a pregare, a parlare con il Padre (cfr Gv 6,1-15). Nel racconto della Passione vediamo come anche i discepoli, pur avendo condiviso la vita con Gesù e ascoltato le sue parole, pensavano ad un regno politico, instaurato anche con l’aiuto della forza. Nel Getsemani, Pietro aveva sfoderato la sua spada e iniziato a combattere, ma Gesù lo aveva fermato (cfr Gv 18,10-11). Egli non vuole essere difeso con le armi, ma vuole compiere la volontà del Padre fino in fondo e stabilire il suo regno non con le armi e la violenza, ma con l’apparente debolezza dell’amore che dona la vita. Il regno di Dio è un regno completamente diverso da quelli terreni.

Ed è per questo che davanti ad un uomo indifeso, fragile, umiliato, come è Gesù, un uomo di potere come Pilato rimane sorpreso; sorpreso perché sente parlare di un regno, di servitori. E pone una domanda che gli sarà sembrata paradossale: «Dunque tu sei re?». Che tipo di re può essere un uomo in quelle condizioni? Ma Gesù risponde in modo affermativo: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (18,37). Gesù parla di re, di regno, ma il riferimento non è al dominio, bensì alla verità. Pilato non comprende: ci può essere un potere che non si ottiene con mezzi umani? Un potere che non risponda alla logica del dominio e della forza? Gesù è venuto per rivelare e portare una nuova regalità, quella di Dio; è venuto per rendere testimonianza alla verità di un Dio che è amore (cfr 1 Gv4,8.16) e che vuole stabilire un regno di giustizia, di amore e di pace (cfr Prefazio). Chi è aperto all’amore, ascolta questa testimonianza e l’accoglie con fede, per entrare nel regno di Dio.

Questa prospettiva la ritroviamo nella prima Lettura che abbiamo ascoltato. Il profeta Daniele predice il potere di un misterioso personaggio collocato tra cielo e terra: «Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno: tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (7,13-14). Sono parole che prospettano un re che domina da mare a mare fino ai confini della terra, con un potere assoluto che non sarà mai distrutto. Questa visione del Profeta, una visione messianica, viene illuminata e trova la sua realizzazione in Cristo: il potere del vero Messia, potere che non tramonta mai e che non sarà mai distrutto, non è quello dei regni della terra che sorgono e cadono, ma è quello della verità e dell’amore. Con ciò comprendiamo come la regalità annunciata da Gesù nelle parabole e rivelata in modo aperto ed esplicito davanti al Procuratore romano, è la regalità della verità, l’unica che dà a tutte le cose la loro luce e la loro grandezza.

Nella seconda Lettura l’autore dell’Apocalisse afferma che anche noi partecipiamo alla regalità di Cristo. Nell’acclamazione rivolta a «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» dichiara che Cristo «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6). Anche qui è chiaro che si tratta di un regno fondato sulla relazione con Dio, con la verità, e non di un regno politico. Con il suo sacrificio, Gesù ci ha aperto la strada per un rapporto profondo con Dio: in Lui siamo diventati veri figli adottivi, siamo resi così partecipi della sua regalità sul mondo. Essere discepoli di Gesù significa, allora, non lasciarsi affascinare dalla logica mondana del potere, ma portare nel mondo la luce della verità e dell’amore di Dio. 
L’autore dell’Apocalisse allarga poi lo sguardo alla seconda venuta di Gesù per giudicare gli uomini e stabilire per sempre il regno divino, e ci ricorda che la conversione, come risposta alla grazia divina, è la condizione per l’instaurazione di questo regno (cfr 1,7). E’ un forte invito rivolto a tutti e a ciascuno: convertirsi sempre di nuovo al regno di Dio, alla signoria di Dio, della Verità, nella nostra vita. Lo invochiamo quotidianamente nella preghiera del “Padre nostro” con le parole “Venga il tuo regno”, che è dire a Gesù: Signore facci essere tuoi, vivi in noi, raccogli l’umanità dispersa e sofferente, perché in Te tutto sia sottomesso al Padre della misericordia e dell’amore.

A voi, cari e venerati Fratelli Cardinali – penso in particolare a quelli creati ieri – viene affidata questa impegnativa responsabilità: dare testimonianza al regno di Dio, alla verità. Ciò significa far emergere sempre la priorità di Dio e della sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Fatevi imitatori di Gesù, il quale, davanti a Pilato, nella situazione umiliante descritta dal Vangelo, ha manifestato la sua gloria: quella di amare sino all’estremo, donando la propria vita per le persone amate. Questa è la rivelazione del regno di Gesù. E per questo, con un cuore solo ed un’anima sola, preghiamo: «Adveniat regnum tuum». Amen.






© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana



O Gesù dolcissimo

ATTO DI CONSACRAZIONE 

DEL GENERE UMANO A 

CRISTO RE

« O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguarda a noi umilmente prostrati innanzi a te. Noi siamo tuoi, e tuoi vogliamo essere; e per vivere a te più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi, oggi spontaneamente si consacra al tuo sacratissimo Cuore. 

« Molti, purtroppo, non ti conobbero mai; molti, disprezzando i tuoi comandamenti, ti ripudiarono. O benignissimo Ge­sù, abbi misericordia e degli uni e degli altri e tutti quanti attira al tuo sacratissimo Cuore. 

« O Signore, sii il Re non solo dei fe­deli, che non si allontanarono mai da te, ma anche di quei figli prodighi che ti abbandonarono; fa' che questi, quanto prima, ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame. Sii il Re di coloro, che vivono nell'inganno e nell'errore, o per discordia da te separati: ri­chiamali al porto della verità, all'unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore. 

« Largisci, o Signore, incolumità e liber­tà sicura alla tua Chiesa, concedi a tutti i popoli la tranquillità dell'ordine: fa' che da un capo all'altro della terra risuoni quest'unica voce: Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen ». 

Leo PP. XIII

(Indulgenza plenaria, se si recita pub­blicamente nella solennità di Cristo Re; parziale, invece, se si recita privatamente).


mercoledì 21 novembre 2018

Maria accolta nel Tempio.

VIII. Maria accolta nel Tempio. Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la Piena di Sapienza 

30 agosto 1944.
  1Vedo Maria fra mezzo al padre e alla madre camminare per le vie di Gerusalemme.
  I passanti si fermano a guardare la bella Bambina, tutta vestita di un bianco di neve e avvolta in un leggerissimo tessuto che per i suoi disegni, a rami e fiori, più opachi fra il tenue dello sfondo, mi pare sia lo stesso che aveva Anna il giorno della sua Purificazione. Soltanto che, mentre ad Anna esso non sorpassava la cintura, a Maria, piccolina, scende fin quasi a terra e l'avvolge in una nuvoletta leggera e lucida di una vaghezza rara.
  Il biondo dei capelli sciolti sulle spalle, meglio, sulla nuca gentile, traspare là dove non vi è damascatura nel velo, ma unicamente il fondo leggerissimo. Il velo è trattenuto sulla fronte da un nastro di un azzurro pallidissimo, su cui, certamente per opera della mamma, sono ricamati in argento dei piccoli gigli.
  L'abito, come ho detto, candidissimo, scende fino a terra, e i piedini appena si mostrano nel passo, coi loro sandaletti bianchi. Le manine sembrano due petali di magnolia che escano dalla lunga manica. Tolto il cerchio azzurro del nastro, non vi è altro punto di colore. Tutto è bianco. Maria pare vestita di neve.
  Gioacchino ed Anna sono vestiti, lui con lo stesso abito della Purificazione, e Anna invece di viola scurissimo. Anche il mantello, che le copre anche il capo, è viola scuro. Ella se lo tiene molto calato sugli occhi. Due poveri occhi di mamma, rossi di pianto, che non vorrebbero piangere e non vorrebbero, soprattutto, esser visti piangere, ma che non possono non piangere sotto la protezione del manto. Protezione che serve per i passanti, e anche per Gioacchino, che del resto ha il suo occhio, sempre sereno, oggi arrossato e opaco di lacrime già scese e ancora scendenti, e che va molto curvo sotto il suo velo messo a quasi turbante, con le ali laterali che scendono lungo il viso.
  Un vecchio affatto, ora, Gioacchino. Chi lo vede deve pensarlo nonno e forse bisnonno della piccolina che egli ha per mano. La pena di perderla dà al povero padre un passo strascicante, una lassezza di tutto il portamento che lo invecchia di un vent'anni, e il viso pare quello di un malato oltre che vecchio, tanto è stanco e triste, con la bocca che ha un lieve tremito fra le due rughe, che sono così marcate oggi, ai lati del naso.
  Cercano i due di celare il pianto. Ma, se possono farlo per molti, non lo possono per Maria, che per la sua statura li vede dal basso in alto e, alzando il piccolo capo, guarda alternativamente il padre e la madre. Ed essi si sforzano di sorriderle con la bocca che trema, e aumentano la stretta della loro mano sulla manina minuta ogni volta che la loro figliolina li guarda e sorride. Devono pensare: «Ecco. Un'altra volta di meno da vedere questo sorriso».
  2Vanno piano. A rilento. Pare vogliano protrarre il più a lungo il loro cammino. Tutto serve a fermarsi… Ma una strada deve pur finire! E questa sta per finire. Ecco là, in cima a questo ultimo pezzo di strada che sale, le mura di cinta del Tempio. Anna ha un gemito e stringe più forte la manina di Maria.
  «Anna, cara, io sono con te!», dice una voce uscendo dal­l'ombra di un basso arco gettato su un incrocio di strade. E Elisabetta, che certo era in attesa, la raggiunge e stringe al cuore. E, posto che Anna piange, le dice: «Vieni, vieni in questa casa amica per un poco. Poi andremo insieme. Vi è anche Zaccaria».
  Entrano tutti in una stanza bassa e scura, in cui è lume un vasto fuoco. La padrona, certo amica di Elisabetta, ma estranea ad Anna, cortesemente si ritira lasciando liberi i sopraggiunti.
  «Non credere che io sia pentita, o che dia con mala volontà il mio tesoro al Signore», spiega Anna fra le lacrime… «ma è che il cuore… oh! il mio cuore come duole, il mio vecchio cuore che torna nella sua solitudine di senza figli!… Se sentissi…».
  «Lo capisco, Anna mia… Ma tu sei buona e Dio ti conforterà nella tua solitudine. Maria pregherà per la pace della sua mamma. Non è vero?».
  Maria carezza le mani materne e le bacia, se le passa sul viso per esserne carezzata, e Anna serra fra le sue quel visino e lo bacia, lo bacia. Non si sazia di baciare.
  Entra Zaccaria e saluta: «Ai giusti la pace del Signore».
  «Sì», dice Gioacchino, «supplicaci pace, perché le nostre viscere tremano nell'offerta come quelle di padre Abramo(Gn 22,1-18) mentre saliva il monte, e noi non troveremo altra offerta per riscattare questa. Né lo vorremmo fare, perché siamo fedeli a Dio. Ma soffriamo, Zaccaria. Sacerdote di Dio, comprendici e non ti scandalizzare di noi».
  «Mai. Anzi, il vostro dolore, che sa non soverchiare il lecito e portarvi all'infedeltà, mi è scuola nell'amare l'Altissimo. Ma fatevi cuore.
  3Anna profetessa avrà molta cura di questo fiore di Davide e Aronne. In questo momento è l'unico giglio della sua stirpe santa che Davide abbia nel Tempio, e sarà curato come perla regale. Per quanto i tempi volgano al termine e dovrebbe esser cura delle madri della stirpe di consacrare le figlie al Tempio, poiché da una vergine di Davide uscirà il Messia, pure, per rilassamento di fede, i posti delle vergini sono vuoti. Troppo poche nel Tempio, e di questa stirpe regale nessuna, dopo che ne uscì sposa, or sono tre anni, Sara di Eliseo. Vero che ancora sei lustri mancano al termine, ma… Ebbene, speriamo che Maria sia la prima di molte vergini di Davide davanti al Sacro Velo. E poi… chissà…». Zaccaria non dice altro. Ma guarda pensoso Maria. Poi riprende: «Io pure veglierò su Lei. Sono sacerdote ed ho il mio potere là dentro. Lo userò per quest'angelo. E Elisabetta verrà sovente a trovarla…».
  «Oh! di certo! Io ho tanto bisogno di Dio e verrò a dirlo a questa Bambina, perché lo dica all'Eterno».
  4Anna si è rinfrancata. Elisabetta, per sollevarla più ancora, chiede: «Non è il tuo velo di sposa questo? Oppure hai filato del nuovo bisso?».
  «È quello. Lo consacro con Essa al Signore. Non ho più occhi… E anche le ricchezze sono molto scemate per tasse e sventure… Non mi era lecito fare gravi spese. Ho provveduto solo ad un ricco corredo per il suo tempo nella Casa di Dio e per poi… perché penso che non sarò io quella che la vestirà per le nozze… e voglio sia sempre la mano di sua mamma, anche se fredda e immota, che la para alle nozze e le fila i lini e le vesti da sposa».
  «Oh! perché pensare così?!».
  «Sono vecchia, cugina. Mai come sotto questo dolore me lo sento. L'ultime forze della mia vita le ho date a questo fiore, per portarlo e nutrirlo, ed ora… ed ora… sulle estreme soffia il dolore di perderlo e le disperde».
  «Non dire così, per Gioacchino».
  «Hai ragione. Vedrò di vivere per il mio uomo».
  Gioacchino ha fatto mostra di non sentire, intento ad ascoltare Zaccaria, ma ha udito e sospira forte con gli occhi lucidi di pianto.
  «Siamo a mezzo fra terza e sesta. Credo sarebbe bene andare», dice Zaccaria.
  Si alzano tutti per rimettersi i mantelli e andare.
  5Ma, prima di uscire, Maria si inginocchia sulla soglia a braccia aperte: un piccolo cherubino implorante. «Padre! Madre! La vostra benedizione!».
  Non piange, la piccola forte. Ma le labbruzze tremano e la voce, spezzata da un interno singulto, ha più che mai il trepido gemito della tortorina. Il visetto è più pallido e l'occhio ha quello sguardo di rassegnata angoscia che, più forte sino a divenire inguardabile senza soffrirne profondamente, le vedrò sul Calvario e nel Sepolcro.
  I genitori la benedicono e la baciano. Una, due, dieci volte. Non se ne sanno saziare… Elisabetta piange silenziosamente e Zaccaria, per quanto voglia non mostrarlo, è commosso.
  Escono. Maria fra il padre e la madre, come prima. Davanti, Zaccaria e la moglie.
  Eccoli dentro le mura del Tempio. «Vado dal Sommo Sacerdote. Voi salite sino alla grande terrazza».
  Valicano tre cortili e tre atri sovrapposti. Eccoli ai piedi del vasto cubo di marmo incoronato d'oro. Ogni cupola, convessa come una mezza arancia enorme, sfolgora al sole che ora, sul mezzodì, cade a perpendicolo sul vasto cortile che circonda il fabbricato solenne, ed empie il vasto piazzale e l'ampia scalinata che conduce al Tempio. Solo il portico che fronteggia la scalinata, lungo la facciata, è in ombra, e la porta altissima di bronzo e oro è ancor più scura e solenne in tanta luce.
  Maria pare ancor più di neve fra il gran sole. Eccola ai piedi della scalinata. Fra padre e madre. Come deve battere il cuore a quei tre! Elisabetta è a fianco di Anna, ma un poco indietro, di un mezzo passo.
  6Uno squillo di trombe argentine e la porta gira sui cardini, che pare diano suono di cetra nel girare sulle sfere di bronzo. Appare l'interno con le sue lampade nel profondo, ed un corteo viene dall'interno verso l'esterno. Un pomposo corteo fra suoni di trombe argentee, nuvole d'incenso e luci.
  Eccolo sulla soglia. Davanti, colui che deve essere il Sommo Sacerdote. Un vecchio solenne, vestito di lino finissimo, e sul lino una più corta tunica pure di lino, e su questa una specie di pianeta, qualcosa fra la pianeta e la veste dei diaconi, multicolore: porpora e oro, violaceo e bianco vi si alternano e brillano come gemme al sole; due gemme vere brillano su esso ancor più vivamente al sommo delle spalle. Forse sono fibbie con il loro castone prezioso. Sul petto, una larga placca splendente di gemme, sostenuta da una catena d'oro. E pendagli e ornamenti splendono alla base della tunica corta, e oro splende sulla fronte al disopra del copricapo, che mi ricorda quello dei preti ortodossi, la loro mitra fatta a cupola anziché a punta come quella cattolica.
  Il solenne personaggio viene avanti, da solo, sino al principio della scalinata, nell'oro del sole che lo fa ancora più splendido. Gli altri attendono stesi a corona fuor dalla porta, sotto il portico ombroso. A sinistra è un gruppo candido di fanciulle con Anna profetessa e altre anziane, certo maestre.
  Il Sommo Sacerdote guarda la Piccola e sorride. Le deve parere ben piccina ai piedi di quella scalinata degna di un tempio egizio! Alza le braccia al cielo in una preghiera. Tutti curvano il capo, come annichiliti davanti alla maestà sacerdotale in comunione con la Maestà eterna.
  Poi, ecco. Un cenno a Maria. E Lei si stacca dalla madre e dal padre e sale, come affascinata sale. E sorride. Sorride all'ombra del Tempio, là dove scende il Velo prezioso… È in alto della scalinata, ai piedi del Sommo Sacerdote che le impone le mani sul capo. La vittima è accettata. Quale ostia più pura aveva mai avuto il Tempio?
  Poi si volge e, tenendole la mano sulla spalla come a condurla all'ara, l'Agnellina senza macchia, la conduce presso la porta del Tempio. Prima di farla entrare chiede: «Maria di David, sai il tuo voto?». Al «sì» argentino, che gli risponde, egli grida: «Entra, allora. Cammina in mia presenza e sii perfetta».
  E Maria entra e l'ombra l'inghiotte, e lo stuolo delle vergini e delle maestre, poi quello dei leviti, sempre più la nascondono, la separano… Non c'è più…
  Ora anche la porta gira sui suoi cardini armoniosi. Uno spiraglio sempre più stretto permette vedere il corteo che inoltra verso il Santo. Ora è proprio un filo. Ora non è più niente. Chiusa.
  All'ultimo accordo dei sonori cardini risponde un singhiozzo dei due vecchi e un grido unico: «Maria! Figlia!»; e poi due gemiti che si invocano: «Anna!», «Gioacchino!»; e terminano: «Diamo gloria al Signore, che la riceve nella sua Casa e la conduce sulla sua via».
  E tutto finisce così.

  7Dice Gesù:
    «Il Sommo Sacerdote aveva detto: "Cammina in mia presenza e sii perfetta". Il Sommo Sacerdote non sapeva che parlava alla Donna solo a Dio inferiore in perfezione. Ma parlava in nome di Dio e perciò sacro era il suo ordine. Sempre sacro, ma specie alla Ripiena di Sapienza.
  Maria aveva meritato che la "Sapienza la prevenisse e le si mostrasse per prima", perché "dal principio del suo giorno Ella aveva vegliato alla sua porta e, desiderando d'istruirsi, per amore, volle esser pura per conseguire l'amore perfetto e meritare d'averla a maestra".
  Nella sua umiltà non sapeva di possederla da prima d'esser nata e che l'unione con la Sapienza non era che un continuare i divini palpiti del Paradiso. Non poteva immaginare questo. E quando nel silenzio del cuore Dio le diceva parole sublimi, Ella umilmente pensava fossero pensieri di orgoglio e, levando a Dio un cuore innocente, supplicava: "Pietà della tua serva, Signore!".
  Oh! veramente che la vera Sapiente, la eterna Vergine, ha avuto un sol pensiero sin dall'alba del suo giorno: "Rivolgere a Dio il suo cuore sin dal mattino della vita e vegliare per il Signore, pregando davanti all'Altissimo", chiedendo perdono per la debolezza del suo cuore, come la sua umiltà le suggeriva di credere, e non sapeva di anticipare le richieste di perdono per i peccatori, che avrebbe fatto ai piedi della Croce insieme al Figlio morente.
  "Quando(Sir 39,6Prv 8) poi il gran Signore lo vorrà, Ella sarà riempita dello Spirito d'intelligenza" e comprenderà allora la sua sublime missione. Per ora non è che una pargola, che nella pace sacra del Tempio allaccia, "riallaccia" sempre più stretti i suoi conversari, i suoi affetti, i suoi ricordi con Dio.
  Questo è per tutti. 
  8Ma per te, piccola Maria, non ha nulla di particolare da dire il tuo Maestro? "Cammina in mia presenza, sii perciò perfetta". Modifico lievemente la sacra frase e te la dò per ordine. Perfetta nell'amore, perfetta nella generosità, perfetta nel soffrire.
   Guarda una volta di più la Mamma. E medita su quello che tanti ignorano, o vogliono ignorare, perché il dolore è materia troppo ostica al loro palato e al loro spirito. Il dolore. Maria lo ha avuto dalle prime ore della vita. Esser perfetta come Ella era, era possedere anche una perfetta sensibilità. Perciò più acuto doveva esserle il sacrificio. Ma per questo più meritorio. Chi possiede purezza possiede amore, chi possiede amore possiede sapienza, chi possiede sapienza possiede generosità ed eroismo, perché sa il perché per cui si sacrifica.
    In alto il tuo spirito anche se la croce ti curva, ti spezza, ti uccide. Dio è con te».
    In alto il tuo spirito anche se la croce ti curva, ti spezza, ti uccide. Dio è con te».

  1.  Tiziano Vecellio, Presentazione di Maria al Tempio, 1539, Galleria dell'Accademia, Venezia


    Denys Calvaert, Presentazione di Maria, XVI sec., Pinacoteca Nazionale, Bologna

     Juan de Sevilla Romero, Presentazione di Maria al Tempio, XVII sec., Museo del Pardo, Madrid


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    Carpaccio Vittore, La presentazione della Vergine, 1504-1508, Pinacoteca di Brera, Milano

      Cima da Conegliano, La presentazione della Vergine, Gemäldegalerie, Dresda

     Albrecht Dürer, La presentazione della Vergine, 1504-1505, Staatliche Graphische Sammlung, Monaco

    Ghirlandaio Domenico, La presentazione della Vergine al tempio, 1486-1490, Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella, Firenze

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La fiamma d'amore del Cuore Immacolato di Maria,