"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
venerdì 5 gennaio 2018
Cari giovani, offrite anche voi al Signore l’oro della vostra esistenza, ossia la libertà di seguirlo per amore rispondendo fedelmente alla sua chiamata; fate salire verso di Lui l’incenso della vostra preghiera ardente, a lode della sua gloria; offritegli la mirra, l’affetto cioè pieno di gratitudine per Lui, vero Uomo, che ci ha amato fino a morire come un malfattore sul Golgotha.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
PER LA XX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
(COLONIA, AGOSTO 2005)
GIOVANNI PAOLO II
PER LA XX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
(COLONIA, AGOSTO 2005)
“Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2)
Carissimi giovani!
1. Quest’anno abbiamo celebrato la XIX Giornata Mondiale della Gioventù meditando sul desiderio espresso da alcuni greci, giunti a Gerusalemme in occasione della Pasqua: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Ed eccoci ora in cammino verso Colonia, dove nell’agosto 2005 si terrà la XX Giornata Mondiale della Gioventù.
“Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2): questo è il tema del prossimo incontro mondiale giovanile. E’ un tema che permette ai giovani di ogni continente di ripercorrere idealmente l’itinerario dei Magi, le cui reliquie secondo una pia tradizione sono venerate proprio in quella città, e di incontrare, come loro, il Messia di tutte le nazioni.
In verità, la luce di Cristo rischiarava già l’intelligenza e il cuore dei Magi. “Essi partirono” (Mt 2,9), racconta l’evangelista, lanciandosi con coraggio per strade ignote e intraprendendo un lungo e non facile viaggio. Non esitarono a lasciare tutto per seguire la stella che avevano visto sorgere in Oriente (cfr Mt 2,1). Imitando i Magi, anche voi, cari giovani, vi accingete a compiere un “viaggio” da ogni regione del globo verso Colonia. E’ importante non solo che vi preoccupiate dell’organizzazione pratica della Giornata Mondiale della Gioventù, ma occorre che ne curiate in primo luogo la preparazione spirituale, in un’atmosfera di fede e di ascolto della Parola di Dio.
2. “Ed ecco la stella … li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo in cui si trovava il bambino” (Mt 2,9). I Magi arrivarono a Betlemme perché si lasciarono docilmente guidare dalla stella. Anzi, “al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia” (Mt2,10). E’ importante, carissimi, imparare a scrutare i segni con i quali Dio ci chiama e ci guida. Quando si è consapevoli di essere da Lui condotti, il cuore sperimenta una gioia autentica e profonda, che si accompagna ad un vivo desiderio di incontrarlo e ad uno sforzo perseverante per seguirlo docilmente.
“Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11). Niente di straordinario a prima vista. Eppure quel Bambino è diverso dagli altri: è l’unigenito Figlio di Dio che si è spogliato della sua gloria (cfr Fil 2,7) ed è venuto sulla terra per morire in Croce. E’ sceso tra noi e si è fatto povero per rivelarci la gloria divina, che contempleremo pienamente in Cielo, nostra patria beata.
Chi avrebbe potuto inventare un segno d’amore più grande? Restiamo estasiati dinanzi al mistero di un Dio che si abbassa per assumere la nostra condizione umana sino ad immolarsi per noi sulla croce (cfr Fil 2,6-8). Nella sua povertà, è venuto ad offrire la salvezza ai peccatori Colui che - come ci ricorda san Paolo - “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9). Come rendere grazie a Dio per tanta accondiscendente bontà?
3. I Magi incontrano Gesù a “Bêt-lehem”, che significa “casa del pane”. Nell’umile grotta di Betlemme giace, su un po’ di paglia, il “chicco di grano” che morendo porterà “molto frutto” (cfr Gv 12,24). Per parlare di se stesso e della sua missione salvifica Gesù, nel corso della sua vita pubblica, farà ricorso all’immagine del pane. Dirà: “Io sono il pane della vita”, “Io sono il pane disceso dal cielo”, “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 35.41.51).
Ripercorrendo con fede l’itinerario del Redentore dalla povertà del Presepio all’abbandono della Croce, comprendiamo meglio il mistero del suo amore che redime l’umanità. Il Bambino, adagiato da Maria nella mangiatoia, è l’Uomo-Dio che vedremo inchiodato sulla Croce. Lo stesso Redentore è presente nel sacramento dell’Eucaristia. Nella stalla di Betlemme si lasciò adorare, sotto le povere apparenze di un neonato, da Maria, da Giuseppe e dai pastori; nell’Ostia consacrata lo adoriamo sacramentalmente presente in corpo, sangue, anima e divinità, e a noi si offre come cibo di vita eterna. La santa Messa diviene allora il vero appuntamento d’amore con Colui che ha dato tutto se stesso per noi. Non esitate, cari giovani, a rispondergli quando vi invita “al banchetto di nozze dell’Agnello” (cfr Ap 19,9). Ascoltatelo, preparatevi in modo adeguato e accostatevi al Sacramento dell’Altare, specialmente in quest’Anno dell’Eucaristia (ottobre 2004-2005) che ho voluto indire per tutta la Chiesa.
4. “E prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Se nel bambino che Maria stringe fra le sue braccia i Magi riconoscono e adorano l’atteso delle genti annunziato dai profeti, noi oggi possiamo adorarlo nell’Eucaristia e riconoscerlo come nostro Creatore, unico Signore e Salvatore.
“Aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2,11). I doni che i Magi offrono al Messia simboleggiano la vera adorazione. Mediante l’oro essi ne sottolineano la regale divinità; con l’incenso lo confessano come sacerdote della nuova Alleanza; offrendogli la mirra celebrano il profeta che verserà il proprio sangue per riconciliare l’umanità con il Padre.
Cari giovani, offrite anche voi al Signore l’oro della vostra esistenza, ossia la libertà di seguirlo per amore rispondendo fedelmente alla sua chiamata; fate salire verso di Lui l’incenso della vostra preghiera ardente, a lode della sua gloria; offritegli la mirra, l’affetto cioè pieno di gratitudine per Lui, vero Uomo, che ci ha amato fino a morire come un malfattore sul Golgotha.
5. Siate adoratori dell’unico vero Dio, riconoscendogli il primo posto nella vostra esistenza! L’idolatria è tentazione costante dell’uomo. Purtroppo c’è gente che cerca la soluzione dei problemi in pratiche religiose incompatibili con la fede cristiana. E’ forte la spinta a credere ai facili miti del successo e del potere; è pericoloso aderire a concezioni evanescenti del sacro che presentano Dio sotto forma di energia cosmica, o in altre maniere non consone con la dottrina cattolica.
Giovani, non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzionidel denaro, del consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media.
L’adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma di idolatria. Adorate Cristo: Egli è la Roccia su cui costruire il vostro futuro e un mondo più giusto e solidale. Gesù è il Principe della pace, la fonte di perdono e di riconciliazione, che può rendere fratelli tutti i membri della famiglia umana.
6. “Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,12). Il Vangelo precisa che, dopo aver incontrato Cristo, i Magi tornarono al loro paese “per un’altra strada”. Tale cambiamento di rotta può simboleggiare la conversione a cui coloro che incontrano Gesù sono chiamati per diventare i veri adoratori che Egli desidera (cfr Gv 4,23-24). Ciò comporta l’imitazione del suo modo di agire facendo di se stessi, come scrive l’apostolo Paolo, un “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”. L’Apostolo aggiunge poi di non conformarsi alla mentalità di questo secolo, ma di trasformarsi rinnovando la mente, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto” (cfr Rm 12,1-2).
Ascoltare Cristo e adorarlo porta a fare scelte coraggiose, a prendere decisioni a volte eroiche. Gesù è esigente perché vuole la nostra autentica felicità. Chiama alcuni a lasciare tutto per seguirlo nella vita sacerdotale o consacrata. Chi avverte quest’invito non abbia paura di rispondergli “sì” e si metta generosamente alla sua sequela. Ma, al di là delle vocazioni di speciale consacrazione, vi è la vocazione propria di ogni battezzato: anch’essa è vocazione a quella “misura alta” della vita cristiana ordinaria che s’esprime nella santità (cfr Novo millennio ineunte, 31). Quando si incontra Cristo e si accoglie il suo Vangelo, la vita cambia e si è spinti a comunicare agli altri la propria esperienza.
Sono tanti i nostri contemporanei che non conoscono ancora l’amore di Dio, o cercano di riempirsi il cuore con surrogati insignificanti. E’ urgente, pertanto, essere testimoni dell’amore contemplato in Cristo. L’invito a partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù è anche per voi, cari amici che non siete battezzati o che non vi riconoscete nella Chiesa. Non è forse vero che pure voi avete sete di Assoluto e siete in ricerca di “qualcosa” che dia significato alla vostra esistenza? Rivolgetevi a Cristo e non sarete delusi.
7. Cari giovani, la Chiesa ha bisogno di autentici testimoni per la nuova evangelizzazione: uomini e donne la cui vita sia stata trasformata dall’incontro con Gesù; uomini e donne capaci di comunicare quest’esperienza agli altri. La Chiesa ha bisogno di santi. Tutti siamo chiamati alla santità, e solo i santi possono rinnovare l’umanità. Su questo cammino di eroismo evangelico tanti ci hanno preceduto ed è alla loro intercessione che vi esorto a ricorrere spesso. Incontrandovi a Colonia, imparerete a conoscere meglio alcuni di loro, come san Bonifacio, l’apostolo della Germania, e i Santi di Colonia, in particolare Orsola, Alberto Magno, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e il beato Adolph Kolping. Fra questi, vorrei particolarmente citare sant’Alberto e santa Teresa Benedetta della Croce che, con lo stesso atteggiamento interiore dei Magi, hanno appassionatamente cercato la verità. Essi non hanno esitato a mettere le loro capacità intellettuali al servizio della fede, testimoniando così che fede e ragione sono legate e si richiamano a vicenda.
Carissimi giovani incamminati idealmente verso Colonia, il Papa vi accompagna con la sua preghiera. Maria, “donna eucaristica” e Madre della Sapienza, sostenga i vostri passi, illumini le vostre scelte, vi insegni ad amare ciò che è vero, buono e bello. Vi porti tutti a suo Figlio, il solo che può soddisfare le attese più intime dell’intelligenza e del cuore dell’uomo.
Con la mia Benedizione!
Da Castel Gandolfo, 6 Agosto 2004
IOANNES PAULUS PP. II
AMDG et DVM
Santa Messa dell'Immacolato Cuore di Maria Santissima
“Quodcumque dixerit vobis, facite”
“Fate
tutto quello che Egli vi dirà”
SACRATISSIMI IMMACULATI CORDIS BEATISSIMAE MARIAE VIRGINIS
*
Introitus Hebr. 4, 16 ADEÁMUS cum fidúcia ad thronum grátiae, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno. Ps. 44, 2 Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi. V/. Glória Patri.
OMNÍPOTENS sempitérne Deus, qui in Corde beátae Maríae Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum praeparásti: concéde propítius ; ut ejúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum Cor tuum vívere valeámus. Per Dóminum... in unitáte ejúsdem.
EGO quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchrae dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctae spei. In me grátia omnis viae et veritátis: in me omnis spes vitae et virtútis. Transíte ad me, omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes saeculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam aetérnam habébunt.
Graduale Ps. 12, 6 Exsultábit cor meum in salutári tuo: cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi. V/. Ps. 44, 18 Mémores erunt nóminis tui in omni generatióne et generatiónem: proptérea pópuli confitebúntur tibi in aetérnum.
Allelúja, allelúja. V/. Luc. 1, 46-47 Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja.
In Missis votivis post Septuagesimam, omissis Allelúja et Versu sequenti, dicitur
Tractus Prov. 8, 32-35 Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. V/. Beátus homo qui audit me, et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. V/. Qui me invénerit, invéniet vitam, et háuriet salútem a Dómino.
Tempore autem Paschali, omittitur Graduale, et ejus loco dicitur:
Allelúja, allelúja. V/. Luc. 1, 46-48 Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja. V/. Beátam me dicent omnes generatiónes, quia ancíllam húmilem respéxit Deus. Allelúja.
IN illo témpore: Stabant juxta crucem Jesu mater ejus, et soror matris ejus María Cléophae, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit matri suae: Múlier, ecce fílius tuus. Deínde dicit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.
Credo.
Offertorium Luc. 1, 47 et 49 Exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo ; quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus.
MAJESTÁTI tuae, Dómine, Agnum immaculátum offeréntes, quaésumus: ut corda nostra ignis ille divínus accéndat, qui Cor beatae Maríae Vírginis ineffabíliter inflammávit. Per eúmdem Dóminum.
Praefatio de beata Maria Virgine Et te in Festivitáte.
Communio Joann. 19, 26-27 Dixit Jesus matri suae: Múlier, ecce fílius tuus: deínde dixit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accepit eam discípulus in sua.
DIVÍNIS refécti munéribus te, Dómine, supplíciter exorámus: ut beátae Maríae Vírginis intercessióne, cujus immaculáti Cordis solémnia venerándo égimus, a praeséntibus perículis liberáti, aetérnae vitae gáudia consequámur. Per Dóminum.
Santa Messa del Sacro Cuore di Gesù
Qui la Devozione al Cuore di Gesù ha preso
vita
per donare al mondo possibilità di salvezza
e conversione.
Sì… riparte da qui, da questo luogo
incantevole la Grande Devozione…
affinché l’uomo possa rigenerarsi dal di
dentro
partendo proprio dal cuore.
Se non si cambiano i cuori
non si cambierà
il mondo
SACRATISSIMI CORDIS JESU
Introitus Ps. 32, 11 et 19
COGITATIÓNES Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum, et alat eos in fame. Ps. ibid., 1 Exsultáte, justi, in Dómino, rectos decet collaudátio. V/. Glória Patri.
DEUS, qui nobis, in Corde Fílii tui, nostris vulneráto peccátis, infinítos dilectiónis thesáuros misericórditer largíri dignáris ; concéde, quaésumus ; ut illi devótum pietátis nostrae praestántes obséquium, dignae quoque satisfactiónis exhibeámus offícium. Per eúmdem Dóminum.
FRATRES, mihi ómnium sanctórum mínimo data est grátia haec, in géntibus evangelizáre investigábiles divítias Christi: et illumináre omnes, quae sit dispensátio sacraménti abscónditi a saéculis in Deo qui ómnia creávit: ut innotéscat principátibus et potestátibus in caeléstibus per Ecclésiam multifórmis sapiéntia Dei: secúndum praefinitiónem saeculórum quam fecit in Christo Jesu Dómino nostro, in quo habémus fidúciam et accéssum in confidéntia per fidem ejus. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in caelis et in terra nominátur: ut det vobis secúndum divítias glóriae suae, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem: Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti: ut possítis comprehéndere, cum ómnibus sanctis, quae sit latitúdo, et longitúdo, et sublímitas et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiae caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei.
Graduale Ps. 24, 8-9 Dulcis et rectus Dóminus, propter hoc legem dabit delinquéntibus in via. V/. Díriget mansuétos in judício, docébit mites vias suas.
Allelúja, allelúja. V/. Matth. 11, 29 Tóllite jugum meum super vos et díscite a me, quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris. Allelúja.
In Missis votivis post Septuagesimam, omissis Allelúja et Versu sequenti, dicitur:
Tractus Ps. 102, 8-10 Miséricors et miserátor Dóminus, longánimis et multum miséricors. V/. Non in perpétuum irascétur, neque in aetérnum comminábitur. V/. Non secúndum peccáta nostra fecit nobis, neque secúndum iniquitátes nostras retríbuit nobis.
Tempore autem Paschali, omissis Graduali et Tractu, dicitur:
Allelúja, allelúja. V/. Matth. 11, 29 et 28 Tóllite jugum meum super vos et díscite a me, quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris. Allelúja. V/. Veníte ad me, omnes qui laborátis, et oneráti estis, et ego refíciam vos. Allelúja.
IN illo témpore: Judaéi, quóniam Parascéve erat, ut non remanérent in cruce córpora sábbato, erat enim magnus dies ille sábbati, rogavérunt Pilátum ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites, et primi quidem fregérunt crura, et altérius qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura: sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium ejus. Et ille scit, quia vera dicit: ut et vos credátis. Facta sunt enim haec, ut Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex eo. Et íterum ália Scriptúra dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.
Credo.
Offertorium Ps. 68, 21 Impropérium exspectávit Cor meum et misériam, et sustínui qui simul mecum contristarétur, et non fuit ; consolántem me quaesívi, et non invéni.
Tempore vero Paschali, in Missis votivis, sic mutatur Offertorium:
Offertorium Ps. 39, 7-9 Holocáustum et pro peccáto non postulásti ; tunc dixi: Ecce vénio. In cápite libri scriptum est de me ut fácerem voluntátem tuam: Deus meus, vólui et legem tuam in médio Cordis mei, allelúja.
RÉSPICE, quaésumus, Dómine, ad ineffábilem Cordis dilécti Fílii tui caritátem: ut quod offérimus sit tibi munus accéptum, et nostrórum expiátio delictórum. Per eúmdem Dóminum.
Praefatio de Sacratissimo Corde Jesu, quae dicitur per totam Octavam, juxta Rubricas.
Communio Joann. 19, 34 Unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.
Tempore autem Paschali, in Missis votivis, sic mutatur Communio:
Communio Joann. 7, 37 Si quis sitit, véniat ad me et bibat, allelúja, allelúja.
PRAEBEANT nobis, Dómine Jesu, divínum tua sancta fervórem ; quo dulcíssimi Cordis tui suavitáte percépta, discámus terréna despícere, et amáre caeléstia: Qui vivis.
AMDG et DVM
CONTEMPLA - UOMO DEL TERZO MILLENNIO d. C. - IL DOLCE MISTERO DELL'EPIFANIA
A.D. 18 Terzo Millennio d. C.
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34. Adorazione dei Magi. È "vangelo della fede". Mt 2, 1-12
Il mio interno ammonitore mi dice:
«Chiama queste contemplazioni, che avrai e che ti dirò, "i vangeli della fede", perché a te e agli altri
verranno ad illustrare la potenza della fede e dei suoi frutti e a confermarvi nella fede in Dio».
(La prima delle quali è l’unica a far parte dell’opera. Le altre, chiamate anch’esse “vangeli della fede”, non
sono episodi propriamente del Vangelo e si trovano nel volume “I quaderni del 1944”).
Vedo Betlemme piccola e bianca, raccolta come una chiocciata sotto al lume delle stelle. Due vie principali
la tagliano a croce, l'una venendo da oltre il paese, ed è la via maestra che poi prosegue oltre il paese, l'altra
andando da un'estremità all'altra dello stesso, ma non oltre. Altre viuzze lo segmentano, questo piccolo
paese, senza la più piccola norma di piano stradale come noi lo concepiamo, ma anzi adattandosi al suolo che
è a dislivelli ed alle case sorte qua e là, secondo i capricci del suolo e del loro costruttore. Volte quali a destra
e quali a manca, chi messa per spigolo, rispetto alla via che le costeggia, obbligano questa ad essere come un
nastro che si sgomitola sinuosamente e non un rettilineo che va da qua a là senza deviare.
Ogni tanto una
piazzetta, sia per un mercato, sia per una fontana, sia perché, costruito qui e là senza regola, è rimasto uno
scampolo di suolo sghimbescio su cui non è possibile costruire più nulla.
Nel punto dove mi pare di sostare particolarmente è proprio una di queste piazzette irregolari. Dovrebbe
essere quadrata o quanto meno rettangolare. Invece è venuta un trapezio tanto strano da parere un triangolo
acuto smusso nel vertice. Nel lato più lungo - la base del triangolo - vi è un fabbricato largo e basso. Il più
largo del paese. Di fuori è un muraglione liscio e nudo, sul quale si aprono appena due portoni, ora ben
serrati.
Dentro invece, nel suo largo quadrato, si aprono molte finestre al primo piano, mentre sotto vi sono
porticati che cingono cortili sparsi di paglia e detriti, con delle vasche per abbeverare cavalli e altri animali.
Alle rustiche colonne dei portici sono anelli per tenere legate le bestie, e su un lato vi è una vasta tettoia per
ricoverare mandre e cavalcature.
Comprendo che è l'albergo di Betlemme.
Sugli altri due lati uguali sono case e casette, quali precedute e quali no da un poco d'orto, perché fra esse vi
è quella che è con la facciata sulla piazza, e quella col retro della casa sulla piazza. Sull'altro lato più stretto,
fronteggiante il caravanserraglio, un'unica casetta dalla scaletta esterna che entra a metà facciata nelle camere
del piano abitato. Sono tutte chiuse perché è notte. Non vi è nessuno per le vie, data l'ora.
Vedo aumentare la luce notturna piovente dal cielo pieno di stelle, così belle nel cielo orientale, così vive e
grandi che paiono vicine e che sia facile raggiungerle e toccare quei fiori splendenti nel velluto del
firmamento.
Alzo lo sguardo per comprendere la fonte di questo aumento di luce. Una stella, di insolita
grandezza che la fa parere una piccola luna, si avanza nel cielo di Betlemme. E le altre paiono eclissarsi e
farle largo come ancelle al passare della regina, tanto il suo splendore le soverchia e annulla. Dal globo, che
pare un enorme zaffiro pallido, acceso internamente da un sole, parte una scia nella quale, al predominante
colore dello zaffiro chiaro, si fondono i biondi dei topazi, i verdi degli smeraldi, gli opalescenti degli opali, i
sanguigni bagliori dei rubini e i dolci scintillii delle ametiste. Tutte le pietre preziose della terra sono in
quella scia, che spazza il cielo con un moto veloce e ondulante come fosse viva. Ma il colore che predomina
è quello piovente dal globo della stella: il paradisiaco colore di pallido zaffiro che scende a fare di argento
azzurro le case, le vie, il suolo di Betlemme, culla del Salvatore.
Non è più la povera città, per noi meno di
un paese rurale. È una fantastica città di fiaba in cui tutto è d'argento. E l'acqua delle fonti e delle vasche è di
liquido diamante.
Con un più vivo raggiare di splendori la stella si ferma sulla piccola casa che è sul lato più stretto della
piazzetta. Né i suoi abitanti, né i betlemmiti la vedono, perché dormono nelle chiuse case, ma essa accelera i
suoi palpiti di luce, e la sua coda vibra e ondeggia più forte tracciando quasi dei semicerchi nel cielo, che si
accende tutto per questa rete d'astri che essa trascina, per questa rete piena di preziosi che splendono
tingendo dei più vaghi colori le altre stelle, quasi a comunicare loro una parola di gioia.
La casetta è tutta bagnata da questo fuoco liquido di gemme. Il tetto della breve terrazza, la scaletta di pietra
scura, la piccola porta, tutto è come un blocco di puro argento sparso di polvere di diamanti e perle.
Nessuna
reggia della terra ha mai avuto od avrà una scala simile a questa, fatta per ricevere il passo degli angeli, fatta
per esser usata dalla Madre che è Madre di Dio. I suoi piccoli piedi di Vergine Immacolata possono posarsi
su quel candido splendore, i suoi piccoli piedi destinati a posarsi sui gradini del trono di Dio.
Ma la Vergine
non sa. Essa veglia presso la cuna del Figlio e prega. Nell'anima ha splendori che superano gli splendori di
cui la stella decora le cose.
Dalla via maestra si avanza una cavalcata. Cavalli bardati ed altri condotti a mano, dromedari e cammelli
cavalcati o portanti il loro carico.
Il suono degli zoccoli fa un rumore di acqua che frusci e schiaffeggi le pietre di un torrente. Giunti sulla piazza, tutti si fermano.
La cavalcata, sotto il raggio della stella, è fantastica
di splendore. I finimenti delle ricchissime cavalcature, gli abiti dei loro cavalcatori, i volti, i bagagli, tutto
splende unendo e ravvivando il suo splendore di metallo, di cuoio, di seta, di gemma, di pellame, al brillio
stellare.
E gli occhi raggiano e ridono le bocche, perché un altro splendore si è acceso nei cuori, quello di una
gioia soprannaturale.
Mentre i servi si avviano verso il caravanserraglio con gli animali, tre della carovana smontano dalle
rispettive cavalcature, che un servo subito conduce altrove, e a piedi vanno verso la casa.
E si prostrano,
fronte a terra, a baciare la polvere.
Sono tre potenti. Lo dicono le vesti ricchissime.
Uno, di pelle molto scura,
sceso da un cammello, si avvolge tutto in uno sciamma di candida seta splendente, stretto alla fronte ed alla
vita da un cerchio prezioso, da cui pende un pugnale o una spada dall'elsa tempestata di gemme.
Gli altri,
scesi da due splendidi cavalli, sono vestiti l'uno di una stoffa rigata, bellissima, in cui predomina il color
giallo, fatto quest'abito come un lungo domino ornato di cappuccio e di cordone, che paiono un sol lavoro di
filigrana d'oro tanto sono trapunti di ricami in oro.
Il terzo ha una camicia setosa, che sbuffa da larghe e
lunghe brache strette al piede, e si avvolge in uno scialle finissimo, che pare un giardino fiorito tanto sono
vivi i fiori che lo decorano tutto. In testa ha un turbante trattenuto da una catenella tutta a castoni di diamanti.
Dopo avere venerato la casa dove è il Salvatore, si rialzano e vanno al caravanserraglio, dove i servi hanno
bussato e fatto aprire.
E qui cessa la visione.
Che riprende, tre ore dopo, con la scena dell'adorazione dei Magi a Gesù.
È giorno, ora. Un bel sole splende nel cielo pomeridiano. Un servo dei tre traversa la piazza e sale la scaletta
della piccola casa. Entra. Esce. Torna all'albergo.
Escono i tre Savi, seguiti ognuno dal proprio servo. Traversano la piazza. I rari passanti si volgono a
guardare i pomposi personaggi che passano molto lentamente, con solennità. Fra l'entrata del servo e quella
dei tre è passato un buon quarto d'ora, che ha dato modo agli abitanti della casetta di prepararsi a ricevere gli
ospiti.
Questi sono ancor più riccamente vestiti della sera avanti. Le sete splendono, le gemme brillano, un gran
pennacchio di penne preziose, sparse di scaglie ancor più preziose, tremola e sfavilla sul capo di colui che ha
il turbante.
I servi portano
l'uno un cofano tutto intarsiato, le cui rinforzature metalliche sono in oro bulinato;
il secondo
un lavoratissimo calice, coperto da un ancor più lavorato coperchio tutto d'oro;
il terzo una specie di anfora
larga e bassa, pure in oro, e tappata da una chiusura fatta a piramide, che al vertice porta un brillante.
Devono
essere pesanti, perché i servi li portano con fatica, specie quello del cofano.
I tre montano la scala ed entrano. Entrano in una stanza che va dalla strada al dietro della casa. Si vede
l'orticello posteriore da una finestra aperta al sole. Delle porte si aprono nelle due altre pareti, e da queste
sbirciano coloro che sono i proprietari: un uomo, una donna e tre o quattro fra giovinetti e bimbi.
Maria è seduta col Bambino in grembo ed ha vicino Giuseppe in piedi. Però si alza Ella pure e si inchina
quando vede entrare i tre Magi.
È tutta vestita di bianco. Così bella nella sua semplice veste candida che la
copre dalla radice del collo ai piedi, dalle spalle ai polsi sottili, così bella nella testina coronata di trecce
bionde, nel viso che l'emozione fa più vivamente roseo, negli occhi che sorridono con dolcezza, nella bocca
che s'apre al saluto: «Dio sia con voi», che i tre si arrestano un istante colpiti. Poi procedono e le si prostrano
ai piedi. E la pregano di sedere.
Essi no, non siedono, per quanto Ella li preghi di farlo. Essi restano in ginocchio, rilassati sui calcagni.
Dietro a loro, pure in ginocchio, sono i tre servi. Essi sono subito dopo il limitare. Hanno posato davanti a
loro i tre oggetti che portavano, e attendono.
I tre Savi contemplano il Bambino, che mi pare possa avere dai nove mesi ad un anno, tanto è vispo e
robusto. Egli sta seduto in grembo alla Mamma, e sorride e cinguetta con una vocina di uccellino. È vestito
tutto di bianco come la Mamma, con sandaletti ai piedini minuscoli. Una vestina molto semplice: una
tunichella da cui escono i bei piedini irrequieti, le manine grassottelle che vorrebbero afferrare tutto, e
soprattutto la bellissima faccina nella quale splendono gli occhi azzurro cupi, e la bocca fa le fossette ai lati
ridendo e scoprendo i primi dentini minuti. I ricciolini sembrano una polvere d'oro tanto sono splendenti e
vaporosi.
Il più vecchio dei Savi parla per tutti. Spiega a Maria che essi hanno visto, una notte del passato dicembre,
accendersi una nuova stella nel cielo, di inusitato splendore. Mai le carte del cielo avevano portato quell'astro
e parlato di esso. Il suo nome non era conosciuto, perché essa non aveva nome. Nata allora dal seno di Dio,
essa era fiorita per dire agli uomini una verità benedetta, un segreto di Dio. Ma gli uomini non le avevano
fatto caso, perché avevano l'anima confitta nel fango. Non alzavano lo sguardo a Dio e non sapevano leggere
le parole che Egli traccia, ne sia in eterno benedetto, con astri di fuoco sulla volta dei cieli.
Essi l'avevano vista e si erano sforzati a capirne la voce. Perdendo contenti il poco sonno che concedevano
alle loro membra, dimenticando il cibo, s'erano sprofondati nello studio dello zodiaco.
E le congiunzioni
degli astri, il tempo, la stagione, il calcolo delle ore passate e delle combinazioni astronomiche avevano a
loro detto il nome e il segreto della stella. Il suo nome: «Messia». Il suo segreto: «Essere il Messia venuto al
mondo».
E si erano partiti per adorarlo. Ognuno all'insaputa dell'altro. Per monti e deserti, per valli e fiumi,
viaggiando la notte, erano venuti verso la Palestina, perché la stella andava in tal senso. Per ognuno, da tre
punti diversi della terra, andava in tal senso. E si erano trovati poi oltre il Mar Morto.
Il volere di Dio li
aveva riuniti là, ed insieme avevano proceduto, intendendosi, nonostante ognuno parlasse la sua lingua, e
intendendo e potendo parlare la lingua del Paese per un miracolo dell'Eterno.
E insieme erano andati a Gerusalemme, poiché il Messia doveva essere il Re di Gerusalemme, il Re dei
giudei.
Ma la stella si era celata, sul cielo di quella città, ed essi avevano sentito frangersi di dolore il loro
cuore e si erano esaminati per sapere se avevano demeritato di Dio. Ma avendoli rassicurati la coscienza, si
erano rivolti a re Erode per chiedergli in quale reggia era il nato Re dei giudei che essi erano venuti ad
adorare.
E il re, convocati i principi dei sacerdoti e gli scribi, aveva chiesto dove poteva nascere il Messia. Ed
essi avevano risposto: «A Betlemme di Giuda».
Ed essi erano venuti verso Betlemme e la stella era riapparsa ai loro occhi, lasciata la Città santa, e la sera
avanti aveva aumentato gli splendori - il cielo era tutto un incendio - e poi si era fermata, adunando tutta la
luce delle altre stelle nel suo raggio, sopra questa casa. Ed essi avevano compreso esser lì il Nato divino.
Ed
ora lo adoravano, offrendo i loro poveri doni e più che altro offrendo il loro cuore, che mai avrebbe cessato
di benedire Iddio della grazia concessa e di amare il suo Nato, di cui vedevano la santa Umanità.
Dopo
sarebbero tornati a riferire al re Erode, perché egli desiderava adorarlo esso pure.
«Ecco intanto l'oro come a re si conviene possedere, ecco l'incenso come a Dio si conviene, ed ecco, o
Madre, ecco la mirra, poiché il tuo Nato è Uomo oltre che Dio, e della carne e della vita umana conoscerà
l'amarezza e la legge inevitabile del morire.
-Il nostro amore vorrebbe non dirle, queste parole, e pensarlo
eterno anche con la carne come eterno è lo Spirito suo. Ma, o Donna, se le nostre carte, e più le nostre anime,
non errano, Egli è, il Figlio tuo, il Salvatore, il Cristo di Dio, e perciò dovrà, per salvare la terra, levare su Sé
il male della terra, di cui uno dei castighi è la morte. - Questa resina è per quell'ora. Perché le carni, che son
sante, non conoscano putredine di corruzione e conservino integrità sino alla loro risurrezione. E per questo
nostro dono Egli di noi si ricordi, e salvi i suoi servi dando loro il suo Regno».
Per intanto, per esserne
santificati, Ella, la Madre, dia il suo Pargolo «al nostro amore. Che baciando i suoi piedi scenda in noi
benedizione celeste».
Maria, che ha superato lo sgomento suscitato dalle parole del Sapiente e ha celato la tristezza della funebre
evocazione sotto un sorriso, offre il Bambino. Lo pone sulle braccia del più vecchio, che lo bacia e ne è
accarezzato, poi lo passa agli altri due.
Gesù sorride e scherza colle catenelle e le frange dei tre, e guarda curiosamente lo scrigno aperto pieno di
una cosa gialla che luccica, e ride vedendo che il sole fa un arcobaleno battendo sul brillante del coperchio
della mirra.
Poi i tre rendono a Maria il Bambino e si alzano. Si alza anche Maria. Si inchinano a vicenda, dopo che il più
giovane ha dato un ordine al servo, che esce. I tre parlano ancora un poco. Non sanno decidersi a staccarsi da
quella casa. Lacrime di emozione sono negli occhi. Infine si dirigono all'uscita, accompagnati da Maria e
Giuseppe.
Il Bambino ha voluto scendere e dare la manina al più vecchio dei tre, e cammina così, tenuto per mano da
Maria e dal Savio, che si curvano per tenerlo per mano. Gesù ha il passetto ancora incerto dell'infante e ride
picchiando i piedini sulla striscia che il sole fa sul pavimento.
Giunti alla soglia - non si deve dimenticare che la stanza era lunga quanto la casa - i tre si accomiatano
inginocchiandosi ancora una volta e baciando i piedini di Gesù. Maria, curva sul Piccino, gli prende la
manina e la guida, facendole fare un gesto di benedizione sul capo di ogni singolo Mago. È già un segno di
croce tracciato dalle ditine di Gesù, guidate da Maria.
(Che è il “Tau”. Lettera dell’alfabeto greco a forma di
croce, il “tau” è il segno dei salvati indicato in: Ezechiele 9, 4-6. Lo incontreremo ancora, per esempio nel
Vol 6 Cap 397, 413, nel Vol 7 Cap 491, nel Vol 9 Cap 567 e nel Vol 10 Cap 635)
Poi i tre scendono la scala. La carovana è già li pronta che attende. Le borchie dei cavalli splendono al sole
del tramonto.
La gente si è affollata sulla piazzetta a vedere l'insolito spettacolo.
Gesù ride battendo le manine. La Mamma lo ha sollevato e appoggiato al largo parapetto che limita il
pianerottolo e lo tiene con un braccio contro il suo petto perché non caschi. Giuseppe è sceso con i tre e
regge ad ognuno la staffa mentre salgono sui cavalli e sul cammello.
Ora servi e padroni sono tutti a cavallo. L'ordine di marcia viene dato.
I tre si curvano fin sul collo della
cavalcatura in un ultimo saluto. Giuseppe si inchina, Maria pure e torna a guidare la manina di Gesù in un
gesto di addio e di benedizione.
Dice Gesù:
«Ed ora? Che dirvi ora, o anime che sentite morire la fede? Quei Savi d'oriente non avevano nulla che li
assicurasse della verità. Nulla di soprannaturale. Solo il calcolo astronomico e la loro riflessione che una vita
integra faceva perfetta.
Eppure hanno avuto fede. Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza, fede
nella bontà divina.
Per la scienza hanno creduto al segno della stella nuova, che non poteva che esser "quella", attesa da secoli
dall'umanità: il Messia.
Per la coscienza hanno avuto fede nella voce della stessa che, ricevendo "voci"
celesti, diceva loro: "È quella stella che segna l'avvento del Messia".
Per la bontà hanno avuto fede che Dio
non li avrebbe ingannati e, poiché la loro intenzione era retta, li avrebbe aiutati in ogni modo per giungere
allo scopo.
E sono riusciti.
Essi soli, fra tanti studiosi dei segni, hanno compreso quel segno, perché essi soli avevano
nell'anima l'ansia di conoscere le parole di Dio con un fine retto, che aveva a principale pensiero quello di
dare subito a Dio lode ed onore.
Non cercavano un utile proprio. Anzi vanno incontro a fatiche e spese, e nulla chiedono di compenso che sia
umano. Chiedono soltanto che Dio di loro si ricordi e li salvi per l'eternità.
Come non hanno nessun pensiero di futuro compenso umano, così non hanno, quando decidono il viaggio,
nessuna umana preoccupazione. Voi vi sareste messi mille cavilli: "Come farò a fare tanto viaggio in paesi e
fra popoli di lingua diversa? Mi crederanno o mi imprigioneranno come spia? Che aiuto mi daranno nel
passare deserti e fiumi e monti? E il caldo? E il vento degli altipiani? E le febbri stagnanti lungo le zone
paludose? E le fiumane gonfiate dalle piogge? E il cibo diverso? E il diverso linguaggio? E... e... e ". Così
ragionate voi. Essi non ragionano così.
Dicono con sincera e santa audacia: "Tu, o Dio, ci leggi nel cuore e
vedi che fine perseguiamo. Nelle tue mani ci affidiamo. Concedici la gioia sovrumana di adorare la tua
Seconda Persona fatta Carne per la salute del mondo".
Basta. E si mettono in cammino dalle Indie lontane.
(Gesù mi dice poi che per Indie vuol dire l'Asia
meridionale, dove ora è Turchestan, Afganistan e Persia).
Dalle catene mongoliche sulle quali spaziano
unicamente le aquile e gli avvoltoi e Dio parla col rombo dei venti e dei torrenti e scrive parole di mistero
sulle pagine sterminate dei nevai.
Dalle terre in cui nasce il Nilo e procede, vena verde azzurra, incontro
all'azzurro cuore del Mediterraneo, né picchi, né selve, né arene, oceani asciutti e più pericolosi di quelli
marini, fermano il loro andare.
E la stella brilla sulle loro notti, negando loro di dormire. Quando si cerca
Dio, le abitudini animali devono cedere alle impazienze e alle necessità sopraumane.
La stella li prende da settentrione, da oriente e da meridione, e per un miracolo di Dio procede per tutti e tre
verso un punto, come, per un altro miracolo, li riunisce dopo tante miglia in quel punto, e per un altro dà
loro, anticipando la sapienza pentecostale, il dono di intendersi e di farsi intendere così come è nel Paradiso,
dove si parla un'unica lingua, quella di Dio.
Un unico momento di sgomento li assale quando la stella scompare e, umili perché sono realmente grandi,
non pensano che sia per la malvagità altrui che ciò avviene, non meritando i corrotti di Gerusalemme di
vedere la stella di Dio. Ma pensano di avere demeritato di Dio loro stessi, e si esaminano con tremore e
contrizione già pronta a chiedere perdono.
Ma la loro coscienza li rassicura. Anime use alla meditazione, hanno una coscienza sensibilissima, affinata
da una attenzione costante, da una introspezione acuta, che ha fatto del loro interno uno specchio su cui si
riflettono le più piccole larve degli avvenimenti giornalieri. Ne hanno fatto una maestra, una voce che
avverte e grida al più piccolo, non dico errore, ma sguardo all'errore, a ciò che è umano, al compiacimento di
ciò che è io. Perciò, quando essi si pongono di fronte a questa maestra, a questo specchio severo e nitido,
sanno che esso non mentirà. Ora li rassicura ed essi riprendono lena.
"Oh! dolce cosa sentire che nulla è in noi di contrario a Dio! Sentire che Egli guarda con compiacenza
l'animo del figlio fedele e lo benedice. Da questo sentire viene aumento di fede e fiducia, e speranza, e
fortezza, e pazienza. Ora è tempesta. Ma passerà, poiché Dio mi ama e sa che lo amo, e non mancherà di
aiutarmi ancora".
Così parlano coloro che hanno la pace che viene da una coscienza retta, che è regina di
ogni loro azione.
Ho detto che erano "umili perché erano realmente grandi".
Nella vostra vita, invece, che avviene? Che uno,
non perché è grande, ma perché è più prepotente, e si fa potente per la sua prepotenza e per la vostra idolatria
sciocca, non è mai umile.
Ci sono dei disgraziati che, solo per essere maggiordomi di un prepotente, uscieri di un ufficio, funzionari in una frazione, servi insomma di chi li ha fatti tali, si dànno delle pose da semidei.
E fanno pietà!...
Essi, i tre Savi, erano realmente grandi. Per virtù soprannaturali per prima cosa, per scienza per seconda
cosa, per ricchezza per ultima cosa.
Ma si sentono un nulla, polvere sulla polvere della terra, rispetto al Dio
altissimo, che crea i mondi con un suo sorriso e li sparge come chicchi di grano per saziare gli occhi degli
angeli coi monili delle stelle.
Ma si sentono nulla rispetto al Dio altissimo, che ha creato il pianeta su cui vivono e lo ha fatto variato
mettendo, Scultore infinito d'opere sconfinate, qua, con una ditata del suo pollice, una corona di dolci
colline, e là un'ossatura di gioghi e di picchi, simili a vertebre della terra, di questo corpo smisurato a cui
sono vene i fiumi, bacini i laghi, cuori gli oceani, veste le foreste, veli le nubi, decorazioni i ghiacciai di
cristallo, gemme le turchesi e gli smeraldi, gli opali e i berilli di tutte le acque che cantano, con le selve e i
venti, il grande coro di laude al loro Signore.
Ma si sentono nulla nella loro sapienza rispetto al Dio altissimo, da cui la loro sapienza viene e che ha dato
loro occhi più potenti di quelle due pupille per cui vedono le cose: occhi dell'anima, che sanno leggere nelle
cose la parola non scritta da mano umana, ma incisa dal pensiero di Dio.
Ma si sentono nulla nella loro ricchezza: atomo rispetto alla ricchezza del Possessore dell'universo, che
sparge metalli e gemme negli astri e pianeti e soprannaturali dovizie, inesauste dovizie, nel cuore di chi
l'ama.
E, giunti davanti ad una povera casa, nella più meschina delle città di Giuda, essi non crollano il capo
dicendo: "Impossibile", ma curvano la schiena, le ginocchia, e specie il cuore, e adorano. Là, dietro quel
povero muro, è Dio. Quel Dio che essi hanno sempre invocato, non osando mai, neppur lontanamente,
sperare di averlo a vedere. Ma invocato per il bene di tutta l'umanità, per il "loro" bene eterno. Oh! questo
solo si auguravano. Di poterlo vedere, conoscere, possedere nella vita che non conosce più albe e tramonti!
Egli è là, dietro quel povero muro. Chissà se il suo cuore di Bambino, che è pur sempre il cuore di un Dio,
non sente questi tre cuori che, proni nella polvere della via, squillano: "Santo, Santo, Santo. Benedetto il
Signore Iddio nostro. Gloria a Lui nei Cieli altissimi e pace ai suoi servi. Gloria, gloria, gloria e
benedizione"?
Essi se lo chiedono con tremore di amore.
E per tutta la notte e la seguente mattina preparano
con la preghiera più viva lo spirito alla comunione con il Dio-Bambino.
Non vanno a questo altare, che è un grembo verginale portante l'Ostia divina, come voi vi andate con l'anima
piena di sollecitudini umane. Essi dimenticano sonno e cibo e, se prendono le vesti più belle, non è per
sfoggio umano ma per fare onore al Re dei re.
Nelle regge dei sovrani i dignitari entrano con le vesti più
belle. E non dovrebbero essi andare da questo Re con le loro vesti di festa? E quale festa più grande di questa
per loro?
Oh! nelle loro terre lontane, più e più volte si sono dovuti ornare per degli uomini pari a loro. Per far loro
festa e onore. Giusto dunque umiliare ai piedi del Re supremo porpore e gioielli, sete e preziose piume.
Mettergli ai piedi, ai dolci piccoli piedi, le fibre della terra, le gemme della terra, le piume della terra, i
metalli della terra - sono ancora opera sua - perché esse pure, queste cose della terra, adorino il loro Creatore.
E sarebbero felici se la Creaturina ordinasse loro di stendersi al suolo e fare un vivo tappeto ai suoi passetti
di Bambino, e li calpestasse, Egli che ha lasciato le stelle per loro, polvere, polvere, polvere.
Umili e generosi.
E ubbidienti alle " voci " dell'Alto. Esse comandano di portare doni al Re neonato. Ed essi
portano doni. Non dicono: " Egli è ricco e non ne ha bisogno. È Dio e non conoscerà la morte ".
Ubbidiscono. E sono coloro che per primi sovvengono la povertà del Salvatore. Come provvido quell'oro per
chi domani sarà fuggiasco! Come significativa quella resina a chi presto sarà ucciso! Come pio quell'incenso
a chi dovrà sentire il lezzo delle lussurie umane ribollenti intorno alla sua purezza infinita!
Umili, generosi, ubbidienti e rispettosi l'uno dell'altro. Le virtù generano sempre altre virtù.
Dalle virtù volte
a Dio, ecco le virtù volte al prossimo.
Rispetto, che è poi carità. Al più vecchio è deferito di parlare per tutti,
di ricevere per primo il bacio del Salvatore, di sorreggerlo per la manina. Gli altri potranno vederlo ancora.
Ma egli no. È vecchio, e prossimo è il suo giorno di ritorno a Dio. Lo vedrà, questo Cristo, dopo la sua
straziante morte e lo seguirà, nella scia dei salvati, nel ritorno al Cielo. Ma non lo vedrà più su questa terra. E
allora per suo viatico gli rimanga il tepore della piccola mano, che si affida alla sua già rugosa.
Nessuna invidia negli altri. Ma anzi un aumento di venerazione per il vecchio sapiente. Ha meritato certo più
di loro e per più lungo tempo. Il Dio-Infante lo sa. Ancora non parla, la Parola del Padre, ma il suo atto è
parola. E sia benedetta la sua innocente parola, che designa costui come il suo prediletto.
Ma, o figli, vi sono altri due insegnamenti da questa visione.
Il contegno di Giuseppe che sa stare al "suo" posto. Presente come custode e tutore della Purezza e della
Santità. Ma non usurpatore dei diritti di queste. È Maria col suo Gesù che riceve omaggi e parole.
Giuseppe ne giubila per Lei e non si accora d'esser figura secondaria. Giuseppe è un giusto, è il Giusto. Ed è giusto
sempre. Anche in quest'ora. I fumi della festa non gli salgono al capo. Resta umile e giusto.
È felice di quei doni. Non per sé. Ma perché pensa che con essi potrà fare più comoda la vita alla Sposa e al
dolce Bambino. Non vi è avidità in Giuseppe. Egli è un lavoratore e continuerà a lavorare. Ma che "Loro"' i
suoi due amori, abbiano agio e conforto.
Né lui né i Magi sanno che quei doni serviranno ad una fuga e ad
una vita d'esilio, nelle quali le sostanze dileguano come nube percossa dai venti, e ad un ritorno in patria
dopo aver tutto perduto, clienti e suppellettili, e salvate solo le mura della casa, protetta da Dio perché là Egli
si è congiunto alla Vergine e si è fatto Carne.
Giuseppe è umile, egli, custode di Dio e della Madre di Dio e Sposa dell'Altissimo, sino a reggere la staffa a
questi vassalli di Dio. È un povero legnaiuolo, perché la prepotenza umana ha spogliato gli eredi di Davide
dei loro averi regali. Ma è sempre stirpe di re ed ha tratti di re. Anche per lui va detto: Era umile perché era
realmente grande.
Ultimo, soave, indicatore insegnamento.
È Maria che prende la mano di Gesù, che non sa ancora benedire, e la guida nel gesto santo.
È sempre Maria che prende la mano di Gesù e la guida. Anche ora. Ora Gesù sa benedire. Ma delle volte la
sua mano trafitta cade stanca e sfiduciata, perché sa che è inutile benedire. Voi distruggete la mia
benedizione. Cade anche sdegnata, perché voi mi maledite. E allora è Maria che leva lo sdegno a questa
mano col baciarla. Oh! il bacio di mia Madre! Chi resiste a quel bacio? E poi prende con le sue dita sottili,
ma così amorosamente imperiose, il mio polso e mi forza a benedire.
Non posso respingere mia Madre. Ma bisogna andare da Lei per farla Avvocata vostra. Essa è la mia Regina
prima d'esser la vostra, ed il suo amore per voi ha indulgenze che neppure il mio conosce. Ed Essa, anche
senza parole ma con le perle del suo pianto e col ricordo della mia Croce, il cui segno mi fa tracciare
nell'aria, perora la vostra causa e mi ammonisce: Sei il Salvatore. "Salva".
Ecco, figli, il "vangelo della fede" nell'apparizione della scena dei Magi. Meditate e imitate. Per il vostro
bene».
AMDG et DVM
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