sabato 20 settembre 2014

santo rosario con papa BENEDETTO XVI





















Femminilità riscoperta



Una ex femminista racconta come fosse innaturale cercare di essere un uomo, e quanto sia felice ora di essere una donna.



Femminilità riscoperta


Quando una città è sotto assedio ed il nemico continua ad attaccare un lato delle mura, gli abitanti della città devono difendere quel lato. Oggi il Nemico dell’Umanità, Satana, attacca di continuo la vera femminilità, perché senza vere donne non esistono vere madri, una vita familiare vera, figli veramente felici ed infine veri esseri umani. Vorrei citare  per intero la testimonianza di un’ex-femminista  che mi ha scritto mesi fa per ringraziarmi di “affermare e sostenere la nostra vera natura di donne”, come ora lei vede la cosa. Ciò che segue è un riassunto molto breve della sua lettera, che afferma verità valide in ogni tempo. 

Nata intorno alla metà degli anni 60, ho avuto un padre violento e ingiurioso, e da allora in poi mi è sempre mancata una figura paterna. Dopo la sua morte, quand’ero quattordicenne, ripudiai la mia fede cattolica e lasciai la Chiesa - è difficile credere in un Dio d’Amore quando non si è amati dai propri genitori. Lontana dalla Chiesa, ho abbracciato un femminismo ed un paganesimo radicali, arrivando ad odiare gli abiti da donna perché si configuravano come una forma “inferiore” di abbigliamento rispetto a quello dei ragazzi. Mi chiedo da dove traessi l’idea che le donne siano deboli. Ora capisco che le donne non sono affatto deboli: siamo forti, ma in modo differente rispetto agli uomini.

Andai all’Università, decisa a dimostrare che potevo fare tutto ciò che un uomo può fare, ma nei successivi sette anni come ufficiale di polizia, capii che l’aggressività ed il desiderio di dominio richiesti da quel lavoro non erano affatto naturali per me e che non potevo essere forte fisicamente tanto quanto un uomo. Quindi per me ogni segno di femminilità era uguale a debolezza. Nello stesso tempo, essendo una femminista radicale, odiavo gli uomini e non volevo averne bisogno, e a causa di tutta la “spazzatura” femminista quasi non mi sposai. Ma a circa 35 anni, capii che rischiavo di restare sola per tutta la vita  e così accettai di essere corteggiata. Poco dopo, incontrai il mio futuro marito. 

Quando mi chiese di indossare un abito da donna, perché più attraente, io esplosi! Tuttavia decisi di provare, giusto per farlo contento. Quindi il mio comportamento cominciò a cambiare lentamente, e comportandomi e sentendomi più femminile scoprii che mi piaceva sentirmi femminile perché mi veniva naturale. Tempo dopo ci sposammo e le mie priorità cambiarono,  cominciai a desiderare tanto di restare a casa. Sul lavoro posso impormi, ma non mi piace. Ora capisco che è nomale per me come donna non voler comandare, perché è così che Dio mi ha progettata. Ho trascorso tutta la mia vita lavorativa cercando di competere con gli uomini ed essere come loro e ciò mi ha reso infelice e mi ha fatto sentire una fallita, perché, per quanto provassi, non sono come un uomo e mai lo sarò, semplicemente perché non sono un uomo.

È stato l’amore di mio marito che mi ha permesso di ritornare alla Chiesa dopo 26 anni, scalpitando e gridando - Dio mi chiamava! Vi ho trovato tutto abbastanza diverso da quello che ricordavo, e all’inizio non ero d’accordo con nessuna delle posizioni della Chiesa sulla donna. Ma leggendo di più ho aperto gli occhi ed ho capito tra le altre cose che il modo in cui mi vesto dà forma ai miei sentimenti ed anche alla mia personalità. Quando indosso un abito o una gonna, mi sento gentile e femminile, più naturale. Il mio studio sull’insegnamento della Chiesa sul ruolo delle donne, che include le “Letters from the Rector” [Lettere dal Rettore], mi ha aiutata a guadagnare il rispetto per me stessa come donna e non come uno pseudo-uomo.

È un danno per tutti che il femminismo sia diventato parte integrante della nostra cultura. (Fine della testimonianza)

O Madre di Dio, Vi prego, otteneteci degli uomini veramente uomini, senza i quali a mala pena possiamo avere donne veramente donne.                            
Kyrie eleison.

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La perdita di femminilità delle donne, con il loro competere immodestamente negli sport professionali, significa che le nazioni occidentali meritano di essere prese in consegna dagli immigrati.


Gladiatrici a Wimbledon

Dal momento che la finestra della mia attuale abitazione si affaccia in lontananza su Wimbledon Park, la scorsa settimana ho visto folle di sportivi così appassionati che spesso si accampavano nella notte per ottenere i posti migliori per il torneo di tennis più importante del mondo che si tiene ogni anno nelle vicinanze. L’esempio è contagioso. Una sera mi ci sono recato per qualche ora. 

L’ingresso serale non è né per i posti migliori, né per le migliori partite – mi ricordo sempre che una volta una hostess d’aereo mi disse: “Non si può avere champagne al prezzo della birra”. Così non ho visto alcuna di quelle partite in singolo che sono il più grande spettacolo del nobile sport del tennis: una mente, una volontà e una forza, in singolar tenzone contro un'altra, in un contesto eminentemente magistrale, come fossero due gladiatori, ma senza spargimento di sangue. Tuttavia, ho potuto guardare diverse partite in doppio di uomini e donne, due contro due. 

Tutti gli uomini che ho visto giocare erano vestiti con mia grande sorpresa con pantaloncini al ginocchio, perché, si suppone, non possano ostacolare il tennista. Invece il vestito delle giocatrici raggiungeva al massimo la metà coscia. Naturalmente niente sembrava più normale, anzi molte spettatrici erano vestite ancora più succintamente. Ora, faceva caldo, ma com’è che nessuno degli uomini dicesse alle figlie, alle sorelle, alle mogli – alle madri! - che un simile abbigliamento è consono solo per gli occhi del marito? 

Ma c’era un altro problema che saltava all’occhio, ancora più grave. Il tennis è uno sport di gladiatori in cui un diritto tonante alla linea di fondo e una volée di respinta portano ad un premio, rendendo indispensabile la forza fisica e la resistenza, lo spirito combattivo e la volontà di dominare. Dal momento che queste sono prerogative maschili, naturalmente le donne fanno del loro meglio per imitare gli uomini, e questo potrà lusingare l’orgoglio mascolino, ma noi uomini ci siamo mai soffermati a considerare come stiamo snaturando le nostre donne ammirandole e incoraggiandole a fare i gladiatori? La sola gladiatrice che si sarebbe potuta vedere aggraziata, l’altra sera si voltò sgraziata nel momento in cui si preparava alla respinta o a ricevere un diritto tonante! 

Così che qui si tratta di una questione pratica: quando una donna si impegna in un campionato di tennis o in qualsiasi altro sport che valorizza la mascolinità, potrà mai considerare diversamente da qualcosa di cui sbarazzarsi, quel mensile impedimento, talvolta paralizzante, datole da Dio, che le ricorda che lei è stata concepita per la continuazione della razza umana? Disprezzando o bloccando la sua fertilità, come potrà mai tutelarla per la maternità? Possono quindi i connazionali di Wimbledon, Roland Garros e Flushing Meadows, ecc, essere sorpresi se i loro tassi di natalità sono al collasso? Hanno il diritto di lamentarsi se i loro paesi sembra che stiano per essere rilevati da immigrati, in un futuro non troppo lontano? 

Kyrie eleison.

Era egli benigno con tutti, co' superiori, co' suoi eguali e cogl'inferiori, in casa e fuor di casa.



Caritas benigna est.
Chi ama Gesù Cristo ama la dolcezza.

1. Lo spirito di dolcezza è proprio di Dio: Spiritus enim meus super mel dulcis (Eccli. XXIV, 27). Quindi l'anima amante di Dio ama tutti coloro che sono amati da Dio, quali sono i nostri prossimi; onde volentieri va sempre cercando di soccorrer tutti, consolar tutti, e tutti contentar, per quanto l'è permesso. 

Dice S. Francesco di Sales che fu il maestro e l'esempio della santa dolcezza: «L'umile dolcezza è la virtù delle virtù che Dio tanto ci ha raccomandata; perciò bisogna praticarla sempre e da per tutto». Onde il santo ci dà poi questa regola: «Ciò che vedrete potersi far con amore, fatelo; e ciò che non può farsi senza contrasto, lasciatelo». S'intende sempre che può lasciarsi senza offesa di Dio, perchè l'offesa di Dio dee impedirsi sempre e subito che si può, da chi è tenuto ad impedirla.

2. Questa dolcezza dee specialmente praticarsi co' poveri, i quali ordinariamente, perchè son poveri, son trattati aspramente dagli uomini. Dee usarsi particolarmente ancora cogli infermi i quali si trovano afflitti dall'infermità, e per lo più sono poco assistiti dagli altri. Più particolarmente poi dee usarsi la dolcezza coi nemici. Vince in bono malum (Rom. XII, 21). Bisogna vincer l'odio coll'amore, e la persecuzione colla dolcezza; così han fatto i santi, e si han conciliato l'affetto de' loro più ostinati nemici.

3. «Non vi è cosa, dice S. Francesco di Sales, che tanto edifichi i prossimi, quanto la caritatevole benignità nel trattare». Il santo perciò ordinariamente facea vedersi colla bocca a riso e colla faccia che spirava benignità, accompagnata dalle parole e dai gesti. Onde dicea S. Vincenzo de' Paoli non aver egli conosciuto uomo più benigno. Dicea di più sembrargli che monsignor di Sales avesse l'immagine espressa della benignità di Gesù Cristo. 

Egli anche nel negare quel che non potea concedere senza offesa della coscienza, si dimostrava talmente benigno, che gli altri, benchè non avessero l'intento, ne partivano affezionati e contenti. 

Era egli benigno con tutti, co' superiori, co' suoi eguali e cogl'inferiori, in casa e fuor di casa. A differenza di coloro, come lo stesso santo dicea, che sembrano angeli fuori di casa e demoni in casa. Anche trattando co' servi, il santo non si lagnava mai de' loro mancamenti; appena qualche volta gli avvertiva, ma sempre con parole benigne. Cosa molto lodevole a tutti i superiori. 

Il superiore dee usare tutta la benignità co' suoi sudditi. Nell'imporre ciò che quelli hanno da eseguire, dee più presto pregare che comandare. Dicea S. Vincenzo de' Paoli: «Non v'è modo a' superiori di esser meglio ubbiditi da' sudditi, che la dolcezza». E parimente S. Giovanna di Chantal dicea: «Ho sperimentato più modi nel governo, ma non ho trovato migliore che il dolce e sofferente».

Ave Maria Purissima!

venerdì 19 settembre 2014

Cardinal Burke afferma e ammonisce


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Io non sono intollerante verso coloro che si sentono attratti da persone dello stesso sesso”, ha detto. “Ho una profonda compassione per loro e specialmente a causa della nostra odierna società in cui molti giovani son trascinati alla pratica omosessuale, in cui non sarebbero caduti nel passato, per via della totale rilassatezza della morale e della corruzione”.
 
Io ho una profonda compassione per loro ma questa compassione significa che io voglio ch’essi conoscano la verità per evitare atti peccaminosi per il loro bene e per la loro salvezza; è così che si cerca di aiutare una persona” ha aggiunto. “Oggi tale posizione è riprovata da un’aggressiva propaganda omosessualista ma questo non significa che non sia il retto approccio da perseguire”.
 
Il cardinal Burke ha ammonito che ove noi rimanessimo in silenzio di fronte alle pressioni di un’aggressiva campagna omosessualista “contribuiremmo alla distruzione della nostra società”.
 
Per il Cardinal Burke l’approccio non è solo teorico ma anche pratico.
 
Egli riferisce che dopo una Messa di Confermazione, una madre gli si avvicinò accusandolo irosamente di aver definito “male” sua figlia. Quando egli chiese a cosa lei si riferisse, la signora rispose che si trattava di articoli ch’egli aveva scritto per un giornale diocesano sulla tradizionale definizione di matrimonio. Sua figlia, disse la donna, era “sposata” con un’altra donna.
 
Il Cardinal Burke riferisce la sua risposta  all’irata madre: “No”, aveva detto,  “gli atti che commette tua figlia sono male. Tua figlia non è il male, ma lei necessita di arrivare a comprendere la verità sulla sua situazione”.
 
Il Presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica ha sostenuto che oggi vi sono molti equivoci in merito “e tristemente questo induce un gran numero di brave persone a non fare ciò che dovrebbero per aiutare qualcuno che soffre in una simile condizione”.

La vita di Padre Pio



La vita di Padre Pio
Padre Pio nacque il 25 maggio 1887, alle cinque del pomeriggio, nel quartiere Castello di Pietrelcina, a pochi chilometri da Benevento. Era il quarto dei sette figli di Grazio Forgione e Giuseppa Di Nunzio, poveri e semplici contadini che vivevano in una casetta di tre stanze con soffitto di canne ed avevano un lembo di terra in contrada Piana Romana. Al nuovo arrivato in casa Forgione venne dato il nome di Francesco, per antica devozione di mamma Peppa al Santo di Assisi.

La casa natale di Padre Pio
Francesco trascorse l'infanzia e l'adolescenza impegnandosi in piccoli lavori agricoli e portando al pascolo le pecore. Dal direttore spirituale sappiamo che fin dalla tenera età di 5 anni ebbe le prime estasi e desiderò di consacrarsi totalmente a Dio. Subì anche le prime vessazioni diaboliche e iniziò ad infliggersi le prime penitenze corporali.
Il giovane Francesco fece gli studi ginnasiali privatamente, con i soldi che il padre inviava dall'America dove era emigrato come tanti suoi conterranei. All'età di 15 anni maturò la decisione di farsi frate nell'ordine dei minori cappuccini, confortato anche dal consiglio del parroco, don Salvatore Pannullo. Il 2 gennaio 1903, non ancora sedicenne, entrò nel convento dei Cappuccini a Morcone (Benevento) e il giorno 22 indossò il saio francescano col nome di fra' Pio. Nel 1904, dopo un anno di noviziato, pronunciò la sua consacrazione e all'inizio del 1907, nel convento di S.Elia a Pianisi (Campobasso), emise i voti di professione perpetua. Lo attendevano ora sei anni di studio per diventare sacerdote. Li trascorse in conventi diversi: S.Marco la Catola, Serracapriola, Montefusco e Benevento, dove ricevette gli ordini minori e il suddiaconato.

Fra' Pio si sottoponeva a severissime penitenze che, unite al forte impegno nello studio, furono la causa di una grave malattia diagnosticata come "broncoalveolite all'apice sinistro", che richiedeva vita all'aria aperta e riposo. Per tale motivo nel maggio 1909 gli fu concesso di trascorrere un periodo di convalescenza a Pietrelcina. Ma anche nel suo paese natale continuava a star male ed era tanto prostrato che gli fu accordato il permesso di essere ordinato sacerdote prima del compimento dei regolamentari 24 anni d'età. Così il 10 agosto 1910, nel Duomo di Benevento, ricevette la consacrazione sacerdotale e il giorno 14 celebrò la sua prima Messa a Pietrelcina.
Il giovane fra' Pio era continuamente perseguitato dagli attacchi dei demoni che egli chiamava "cosacci" e dovunque andava lo seguivano per tormentarlo. Se li portò anche nel convento di Venafro, dove era andato ad imparare Sacra Eloquenza. Qui Padre Pio venne assalito da febbri altissime e forti emicranie; per una ventina di giorni l'unica cosa che riuscì ad ingerire fu l'ostia consacrata.


A febbraio del 1916 venne mandato nel convento di Sant'Anna a Foggia, dopo anni di spola tra Pietrelcina e una decina di conventi alla ricerca di un posto benefico per la sua salute. Ma anche a Foggia Padre Pio seguitò a star male: vomito, sudorazioni improvvise, capogiri, febbri altissime. La notte, poi, dalla sua cella provenivano terrificanti rumori che si concludevano con un boato tale da scuotere i muri e terrorizzare i confratelli. A Padre Benedetto disse poi che era il diavolo il quale, non potendo vincere, per la rabbia "scattiava".
Per sfuggire all'afosa calura estiva di Foggia, Padre Pio a luglio del 1916 giunse per un breve soggiorno nel convento di San Giovanni Rotondo, piccolo paese sul versante meridionale del Gargano. Il clima si rivelò salutare ed egli vi resterà cinquantadue anni, fino alla morte.
Padre Pio riceve le stimmate
La sera del 5 agosto 1918 subì la "trasverberazione" del cuore e nella mattina di venerdì 20 settembre, nel coretto della chiesa di Santa Maria delle Grazie, ricevette le stimmate che portò fino alla morte con sofferenza fisica e morale, in quanto quei segni esterni gli erano di "una confusione e di una umiliazione insostenibile" perché non si riteneva degno di tale similianza al Redentore. Altri doni carismatici ricevette da Dio per accreditare la sua missione di santificazione: la profezia, le bilocazioni, la scrutazione dei cuori, gli effluvi odorosi.

San Giovanni Rotondo divenne ben presto meta di pellegrinaggi di fedeli che accorrevano al convento per avere dal frate stigmatizzato aiuto, consiglio, guida spirituale. Per Padre Pio cominciò una frenetica attività: fino a sedici ore al giorno di confessioni, migliaia di lettere con richieste di grazie, visite continue di persone anche autorevoli.

Tra gli uomini di Chiesa si vennero a delineare due schieramenti: da una parte v'era chi guardava con simpatia ed ammirazione a Padre Pio; dall'altra parte, invece, si trovavano coloro che diffidavano del Cappuccino. Dal 1923 al 1933 Padre Pio fu sottoposto ad una serie di restrizioni personali e di inibizioni di attività. Venne privato dei direttori spirituali, gli fu ordinato di non confessare e di non celebrare la Messa in pubblico, di non rispondere alle lettere dei fedeli. Erano punizioni durissime che Padre Pio umilmente accettò, dichiarando:"Sono figlio dell'ubbidienza".
L'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza
Ma a San Giovanni Rotondo i fedeli continuavano ad affluire sempre più numerosi e grazie alle loro offerte e alla carità di molti, il 19 maggio 1947, alla vigilia del 60° compleanno di Padre Pio, fu posta la prima pietra per la costruzione della "Casa Sollievo della Sofferenza" che rappresenta tuttora uno dei più moderni ed efficienti ospedali europei. Il 1° luglio 1959 venne consacrato il nuovo Santuario di S. Maria delle Grazie, eretto a fianco dell'antica e ormai insufficiente Chiesa del Convento.

Tanto sconfinato era l'amore di Padre Pio per la Madre celeste, che trascorse la vita stringendo fra le mani la corona del S. Rosario e raccomandando tale preghiera ai suoi figli spirituali quale arma infallibile contro il male.

Il 22 settembre 1968, giunto ormai all'età di 81 anni, al termine della celebrazione della S. Messa per la ricorrenza del cinquantenario del doloroso dono delle stimmate, venne colto da malore e durante la notte, alle ore 2.30 del 23 settembre, cessò di vivere.