giovedì 20 giugno 2013

Storia della Vergine della Rivelazione. 2. LA BELLA SIGNORA!




2. LA BELLA SIGNORA!
Seduto all'ombra di un eucaliptus, Bruno cerca di concentrarsi, ma non fa in tempo a mettere per iscritto qualche nota che i bambini ritornano alla carica: «Papà, papà, non possiamo trovare la palla che si è persa, perché lì ci sono molti spini e noi siamo scalzi e ci facciamo male...». «Ma non siete buoni a nulla! Vado io», risponde papà un po' scocciato. Ma non prima di usare una misura precauzionale. Infatti fa sedere il piccolo Gianfranco sopra il mucchietto dei vestiti e delle scarpe che i bambini si erano tolte perché quel giorno faceva molto caldo. E per farlo stare tranquillo gli mette tra le mani il giornalino perché guardi le figure.



Isola intanto, invece di aiutare papà a cercare la palla, vuole andare sopra la grotta a raccogliere un po' di fiori per la mamma. «Va bene, stai attenta però a Gianfranco che è piccolo e potrebbe farsi male, e non farlo andare vicino alla grotta». «Va bene, ci penso io», lo rassicura Isola. Papà Bruno prende Carlo con sé e i due scendono la scarpata, ma la palla non si trova. Per assicurarsi che il piccolo Gianfranco sia sempre al suo posto, il papà ogni tanto lo chiama e dopo aver ottenuto risposta, scende sempre più giù nella scarpata. La cosa si ripete per tre o quattro volte. Ma quando dopo averlo chiamato non ottiene risposta, preoccupato, Bruno risale di corsa la scarpata con Carlo. Chiama ancora, con voce sempre più forte: «Gianfranco, Gianfranco, dove sei?», ma il piccolo non risponde più e non si trova più nel luogo dove lo aveva lasciato.


Sempre più preoccupato, lo cerca fra i cespugli e le rocce, finché l'occhio gli scappa in direzione di una grotta e vi scorge il piccolo inginocchiato sul limitare. «Isola, scendi giù!», grida Bruno. 

Intanto si avvicina alla grotta: il bambino non solo è inginocchiato ma tiene anche le manine come in atteggiamento di preghiera e guarda verso l'interno, tutto sorridente... Sembra bisbigliare qualche cosa... Si avvicina di più al piccolo e ode distintamente queste parole: «Bella Signora!... Bella Signora!... Bella Signora!...». «Ripeteva queste parole come una preghiera, un canto, una lode», ricorda testualmente il padre. «Ma che dici, Gianfranco?», gli grida Bruno, «che hai?... che vedi?...». Ma il bimbo, attratto da qualcosa di strano, non risponde, non si scuote, rimane in quell'atteggiamento e con un sorriso incantevole ripete sempre le medesime parole. 


Giunge Isola con un mazzolino di fiori in mano: «Che vuoi, papà?». Bruno, tra lo stizzito, il meravigliato e lo spaventato, pensa che sia un gioco di bambini, dato che nessuno in casa aveva insegnato al piccolo a pregare, non essendo stato neppure battezzato. Così domanda ad Isola: «Ma gli hai insegnato tu questo gioco della "Bella Signora"?». «No, papà, io non lo conosco 'sto gioco, non ci ho mai giocato con Gianfranco». «E come mai dice: "Bella Signora"?». «Non lo so, papà: forse qualcuno è entrato dentro la grotta». 

Così dicendo, Isola scosta i fiori di ginestra che pendevano sull'entrata, guarda dentro, poi si gira: «Papà, non c'è nessuno!», e fa per andarsene, quando improvvisamente si ferma, i fiori le cadono dalle mani e anche lei si mette in ginocchio con le mani giunte, accanto al fratellino. Guarda verso l'interno della grotta e come lui mormora rapita: «Bella Signora!... Bella Signora!...». 

Papà Bruno, stizzito e sconcertato più che mai, non riesce a spiegarsi il curioso e strano modo di fare dei due, che in ginocchio, incantati, guardano verso l'interno della grotta, ripetendo sempre le stesse parole. Comincia a sospettare che lo stiano prendendo in giro. Allora chiama Carlo che stava ancora cercando la palla: «Carlo, vieni qui. Che fanno Isola e Gianfranco?... Ma che è questo gioco?... Vi eravate messi d'accordo?... Senti, Carlo, è tardi, io devo prepararmi per il discorso di domani, vai pure tu a giocare, basta che non entriate in quella grotta...». 

Carlo guarda attonito il papà e gli grida: «Papà, io 'sto gioco non lo so fare!...», e fa per andarsene anche lui, quando si ferma di scatto, si gira verso la grotta, unisce le due mani e si inginocchia vicino ad Isola. Anche lui fissa un punto dentro la grotta e, affascinato, ripete le stesse parole degli altri due... Il papà allora non ne può più e grida: «E no, eh?... Questo è troppo, a me non mi prendete in giro. Basta, alzatevi!». Ma non succede niente. Nessuno dei tre lo ascolta, nessuno si alza. 

Allora si accosta a Carlo e: «Carlo, alzati!». Ma quello non si muove e continua a ripetere: «Bella Signora!...». Allora, con uno dei soliti scatti d'ira, Bruno prende il bambino per le spalle e cerca di smuoverlo, di rimetterlo in piedi, ma non ci riesce. «Era come di piombo, come se pesasse quintali». E qui la collera comincia a lasciare posto alla paura. Ci riprova, ma con lo stesso risultato. Trepidante, si avvicina alla bambina: «Isola, alzati, e non fare come Carlo!». Ma Isola non risponde neppure. Allora cerca di smuoverla, ma nemmeno con lei ci riesce... Guarda con terrore i visi estatici dei figli, i loro occhi spalancati e lucenti e fa l'ultimo tentativo con il più piccolo, pensando: "Questo riesco ad alzarlo". Ma anche lui pesa come marmo, «come colonna di pietra incastrata per terra», e non riesce a sollevarlo. 

Allora esclama: «Ma che cosa succede qui?... Ci sono delle streghe nella grotta oppure qualche diavolo?...». E il suo livore contro la Chiesa cattolica lo porta subito a pensare che sia qualche prete: "Non sarà qualche prete che è entrato dentro la grotta e con l'ipnotismo mi ipnotizza i bambini?". E grida: «Chiunque tu sia, anche un prete, vieni fuori!». Silenzio assoluto. Allora Bruno entra deciso nella grotta con l'intenzione di prendere a pugni lo strano essere (da militare si era distinto anche come un buon pugile): «Chi c'è qua?», grida. Ma la grotta è assolutamente vuota. Esce e prova ancora ad alzare i bambini con lo stesso risultato di prima. Allora il pover'uomo in preda al panico sale sull'altura per cercare aiuto: «Aiuto, aiuto, venitemi ad aiutare!». Ma non vede nessuno e nessuno deve averlo udito. Ritorna concitato dai bambini che, ancora inginocchiati con le mani giunte, continuano a dire: « Bella Signora!... Bella Signora!...». Si avvicina e cerca di smuoverli... Li chiama: «Carlo, Isola, Gianfranco!...», ma i bambini rimangono immobili. E qui Bruno comincia a piangere: «Che cosa sarà?... che cosa è successo qui?...». E pieno di paura alza gli occhi e le mani al cielo, gridando: «Dio salvaci tu!». 

Appena proferito questo grido d'aiuto, Bruno vede uscire da dentro la grotta due mani candidissime, trasparenti, che si avvicinano lentamente verso di lui, gli sfiorano gli occhi, facendo cadere da essi come delle squame, come un velo che lo accecava... Sente male... ma poi, all'improvviso i suoi occhi sono invasi da una luce tale che per qualche istante tutto scompare dinanzi a lui, figli, grotta... e si sente leggero, etereo, quasi che il suo spirito fosse stato liberato dalla materia. 



Nasce dentro di lui una grande gioia, un qualcosa di completamente nuovo. In quello stato di rapimento non ode più nemmeno i bambini ripetere la solita esclamazione. Quando Bruno riprende a vedere dopo quel momento di accecamento luminoso, nota che la grotta si illumina fino a scomparire, ingoiata da quella luce... Si staglia soltanto un blocco di tufo e sopra questo, scalza, la figura di una donna avvolta da un alone di luce dorata, dai tratti di una bellezza celestiale, intraducibile in termini umani. I suoi capelli sono neri, uniti sul capo e appena sporgenti, tanto quanto lo consente il manto di color verde-prato che dal capo le scende lungo i fianchi fino ai piedi. Sotto il manto, una veste candidissima, luminosa, cinta da una fascia rosa che scende a due lembi, alla sua destra. La statura sembra essere media, il colore del viso leggermente bruno, l'età apparente sui venticinque anni. Nella mano destra regge appoggiato al petto un libro non tanto voluminoso, di colore cinerino, mentre la mano sinistra è appoggiata sul libro stesso. 


Il volto della Bella Signora trasluce un'espressione di benignità materna, soffusa di serena mestizia. «Il mio primo impulso fu quello di parlare, di alzare un grido, ma sentendomi quasi immobilizzato nelle mie facoltà, la voce mi moriva in gola», confiderà il veggente. Nel frattempo in tutta la grotta si era diffuso un soavissimo profumo floreale. E Bruno commenta: «Anch'io mi ritrovai accanto alle mie creature, in ginocchio, con le mani giunte». 
Riecheggiando la veggente di Lourdes, Bernadette Soubirous, anche lui un giorno si lascerà sfuggire questa affermazione: «Chi ha avuto l'eccezionale gioia di posare gli occhi sopra una così celestiale bellezza, non può fare altro che desiderare la morte per poter godere dì tanta beatitudine in eterno...».



"O Gesù, vero Cuore di Maria, 

attirate, rapite i nostri cuori e portateli a Voi. 

Fate che essi non amino, non desiderino, 

non cerchino e non gustino che Voi, 

che sospirino e tendano incessantemente a Voi, 

che non prendano alcun riposo né compiacenza se non in Voi, 

e che siano consumati nella Fornace ardente del vostro divin Cuore 

e in esso trasformati per sempre!"




Madonna della Consolazione e del Perpetuo Soccorso

O Maria della Consolazione...



Sicurezza di vita per l’anima del giusto * è perseverare nel tuo amore sino alla fine.

La tua grazia solleva il povero nelle avversità, * l’invocazione del tuo dolce nome lo colma di fiducia.

Il paradiso è pieno delle tue misericordie * e il nemico infernale è sconvolto dal tuo potere.

Tesori di pace troverà chiunque in te spera * chi non t’invoca non giungerà al Regno di Dio.

Fa’, o Madre, che viviamo nella grazia dello Spirito Santo * e conduci le nostre anime alla salvezza eterna.
Gloria al Padre…
  (Salmo 86)


Madonna del Perpetuo Soccorso


Supplica alla Madre del Perpetuo Soccorso

O Vergine del Perpetuo Soccorso, santa Madre del Redentore, soccorri il tuo popolo che anela a risorgere, dona a tutti la gioia di camminare nella consapevole e attiva solidarietà con i più poveri, annunciando in modo nuovo e coraggioso il Vangelo del tuo Figlio, fondamento e culmine di ogni umana convivenza, che aspira ad una pace vera, giusta e duratura.
Come il bambino Gesù, che ammiriamo in questa venerata icona, anche noi vogliamo stringere la tua destra.
A te non manca né potenza, né bontà per soccorrerci in ogni necessità e in ogni bisogno. Quella attuale è l’ora tua! Vieni dunque in nostro aiuto e sii per tutti noi rifugio e speranza. Amen. (Giovanni Paolo II).



Bellezza liturgica


Nel nome della Chiesa perseveriamo nella devozione alla bellezza liturgica

“…Sant'Ireneo diceva, verso la fine della sua esistenza, di non aver fatto altro nella vita che lasciare crescere e maturare quanto era stato seminato nella sua anima da Policarpo, discepolo di san Giovanni. 

In un punto memorabile della sua breve autobiografia, Joseph Ratzinger ci rivela come fin da bambino abbia imparato a vivere la liturgia, grazie al seme deposto in lui dai suoi genitori, che gli regalarono lo «Schott», cioè il messale tradotto in tedesco dal monaco benedettino Anselm Schott. 
Il frammento ha una bellezza germinale paragonabile a quella racchiusa nell'episodio della «Maddalena» nell'opera più importante di Proust: «Naturalmente, essendo bambino non comprendevo ogni dettaglio, ma il mio cammino con la liturgia era un processo di continua crescita in una grande realtà che superava tutte le individualità e le generazioni, che diveniva motivo di meraviglia e di scoperta nuove». 

Questa concezione della liturgia come patrimonio ereditato dalla Tradizione, arricchito da apporti successivi che lo fanno crescere in modo organico, contrasta con alcune visioni contemporanee che preconizzano un sapere atomizzato, orfano di fondamenta e di vincoli saldi, facilmente adattabile alla circostanza concreta; un sapere, in definitiva, rabbiosamente «originale» – come se la tradizione non fosse la forma suprema di originalità, in quanto ci permette di vincolarci alle «origini» – che ha contaminato certe tendenze liturgiche, svuotando di senso il rito. 

Il seme che i genitori deposero in quel bambino avrebbe in seguito recato frutti in opere come Dio e il mondo, dove Ratzinger si preoccuperà di mostrare il senso della storicità della liturgia come dono consegnato da Cristo alla Chiesa, dono che cresce con essa e incita a «riscoprirla come una creatura vivente». 

A questa creatura vivente avrebbe dedicato Introduzione allo spirito della liturgia, un libro in cui – in continuità con il titolo classico di Guardini – Ratzinger rivendica il concetto di Tradizione, che non è statico, «ma che non si può neanche sminuire in una mera creatività arbitraria», approfondendo una concezione della liturgia come partecipazione all'incontro di Cristo con il Padre, in comunione con la Chiesa universale. 

Come il suo maestro Guardini, Ratzinger desidera che la liturgia si celebri «in modo più essenziale». 
E qui «essenzialità» non significa povertà, almeno non nel senso in cui alcuni hanno voluto anteporre la dimensione sociale alla celebrazione liturgica (ai quali Gesù risponde chiaramente nel brano evangelico dell'unzione di Betania); «essenzialità» significa «esigenza intima», ricerca di una purezza interiore che in nessun modo deve essere interpretata come purismo statico. 
Nell'attenzione per la liturgia dobbiamo inquadrare l'importanza — visibile per qualsiasi persona non completamente stordita dalla frivolezza — che Benedetto XVI attribuisce ai paramenti e, in modo particolare, agli ornamenti liturgici. 

Il sacerdote non sceglie tali ornamenti per un vezzo estetico: lo fa per rivestirsi di Cristo, quella «bellezza tanto antica e tanto nuova» di cui ci parlava sant'Agostino. 
Questo «rivestirsi di Cristo», concetto centrale dell'antropologia paolina, esige un processo di trasformazione interiore, un rinnovamento intimo dell'uomo che gli permetta di essere una sola cosa con Cristo, membro del suo corpo. 
Gli ornamenti liturgici rappresentano questo «rivestirsi di Cristo»: il sacerdote trascende la sua identità per divenire qualcun altro; e i fedeli che partecipano alla celebrazione ricordano che il cammino inaugurato con il Battesimo e alimentato con l'Eucaristia ci conduce alla casa celeste, dove saremo rivestiti con abiti nuovi, resi candidi nel sangue dell'Agnello. 

Così gli ornamenti liturgici sono «anticipazione della veste nuova, del corpo risuscitato di Gesù Cristo»; anticipazione e speranza della nostra stessa risurrezione, tappa definitiva e dimora permanente dell'esistenza umana. …” 
( Cfr. Le vesti liturgiche secondo Ratzinger Da "L'Osservatore Romano" del 26 giugno 2008 di Juan Manuel de Prada, da :http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/205468 

 ***

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio … cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia» 
"Non tanto facilmente entra nel club dei progressisti chi parla bene del passato. Ma al compromesso preferisco l'impopolarità." (Card. Giuseppe Siri). 
Perseveriamo con tutte le forze che la Provvidenza ci mette a disposizione nella devozione alla bellezza liturgica :  fonte sicura di santità e di obbedienza alla Chiesa di ieri, di oggi e di domani ! 
( A.C.)

mercoledì 19 giugno 2013

3.833 - 3.834 : Eu sou a vossa Mãe e bem sabeis o quanto uma mãe ama seus filhos.



3.834- Mensagem de Nossa Senhora, em Riacho Fundo I/DF transmitida em 17/06/2013



Queridos filhos, Eu sou a vossa Mãe dolorosa e sofro por aquilo que vem para vós. Viveis no tempo das grandes tribulações e é chegado o momento do vosso retorno ao Senhor. Não vivais afastados. O Senhor vos espera de braços abertos. Não recueis. O que tendes a fazer não deixeis para o amanhã. Estai atentos. Dobrai vossos joelhos em oração. Caminhais para um futuro dolorosoA guerra entre os irmãos (guerra religiosa) será dolorosa e muitos perderão a féSofro por causa dos sofrimentosAquilo que vos anunciei no passado vai realizar-seEis os tempos difíceis para os homens e mulheres de fé. Eu sou a vossa Mãe e bem sabeis o quanto uma mãe ama seus filhos. Eu estarei ao vosso lado. Avante sem medo. Quando tudo parecer perdido surgirá para vós a vitória de Deus. Esta é a mensagem que hoje vos transmito em nome da Santíssima Trindade. Obrigada por Me terdes permitido reunir-vos aqui por mais uma vez. Eu vos abençôo, em nome do Pai, do Filho e do Espírito Santo. Amém. Ficai em paz.
3.833- Mensagem de Nossa Senhora transmitida em 15/06/2013


Queridos filhos, o mal existe e só pode ser vencido pela força da oração, na Eucaristia e com o santo rosário. A força do demônio vem da desobediência e da falta de fé dos homens. Ele encontra forças naqueles que estão afastados da graça de Deus. Eis o tempo do grande combate. Escutai-Me. Eu venho do Céu para apontar-vos o caminho. Vós tendes liberdade, mas peço-vos que façais sempre a vontade de Deus. Acolhei o Evangelho de Meu Jesus. Reconciliai-vos com Deus por meio do sacramento da Confissão. Não vivais no pecado. Meu Jesus vos ama e vos espera de braços abertos. Nestes dias, intensificai vossas orações pela IgrejaO demônio ainda fará grandes estragos na vida de muitos consagradosAinda vereis horroresAconteça o que acontecer não permitais que a chama da fé se apague dentro de vós. Coragem. Eu estarei sempre ao vosso lado. Esta é a mensagem que hoje vos transmito em nome da Santíssima Trindade. Obrigada por Me terdes permitido reunir-vos aqui por mais uma vez. Eu vos abençôo, em nome do Pai, do Filho e do Espírito Santo. Amém. Ficai em paz.

RESPICE NOS TANTUM

Storia della Vergine della Rivelazione

Nostra Signora delle Tre Fontane

Nostra Signora delle Tre Fontane
LA BELLA SIGNORA DELLE TRE FONTANE

(Storia della Vergine della Rivelazione)


1. QUEL TRENO PERSO

Bruno Cornacchiola
C'è sempre una preparazione, un qualcosa che preannuncia la visita di Maria santissima in forma visibile su questa terra. 

Anche se questa preparazione non viene percepita tutte le volte immediatamente, la si riscontra poi con l'andare del tempo. Non sempre è un angelo, come avvenne a Fatima; molto spesso si tratta di avvenimenti, grandi o piccoli. E' sempre un qualcosa che, come un aratro, smuove il terreno. 

Pensiamo che un qualcosa del genere sia avvenuto anche a Roma, prima che la Madonna si presentasse ai bambini e poi allo stesso Bruno Cornacchiola, alle Tre Fontane. Niente di sensazionale, ma nei disegni divini il sensazionale e il normale hanno lo stesso valore. Anzi, la preferenza va a ciò che si innesta meglio sull'ordinarietà, perché l'opera di Dio non è ingigantita o sminuita dall'entità delle circostanze. 

Ecco una di queste circostanze. Roma, 17 marzo 1947. Poco dopo le 14, padre Bonaventura Mariani dei frati minori viene chiamato dalla portineria del Collegio S. Antonio in via Merulana 124. C'è una signora che con tono concitato lo sollecita a recarsi nel suo appartamento di via Merulana, perché dice che «c'è il diavolo», più concretamente, ci sono alcuni protestanti che lo stanno aspettando. 

Il frate scende e la signora Linda Mancini gli spiega che era riuscita a organizzare un dibattito con loro sulla religione. Infatti quelli da un po' di tempo stavano svolgendo una intensa propaganda nel suo palazzo, specialmente ad opera di uno di essi, un certo Bruno Cornacchiola, ottenendo la conversione di alcuni coinquilini che avevano già deciso di non fare battezzare i loro bambini. 

Amareggiata per quanto stava accadendo e non riuscendo a tenere testa alle loro argomentazioni, la signora Mancini si era rivolta ai francescani del Collegio S. Antonio. «Venga subito», scongiurava la donna, «altrimenti i protestanti diranno che voi avete paura di battervi con loro...» Per la verità, la cosa non era stata combinata all'ultimo minuto. 

Era già stato preavvisato un altro francescano, che però all'ultimo momento, per ragioni personali, aveva declinato l'invito e aveva suggerito di rivolgersi a padre Bonaventura. Naturalmente questi obietta che, preso così alla sprovvista, non si sente preparato per quel dibattito e, per di più, è stanco per le lezioni tenute in mattinata alla Facoltà di Propaganda Fide. Ma di fronte alle accorate insistenze della signora, si rassegna ad accettare l'invito. 

Giunto nella stanza del dibattito, padre Bonaventura si trova di fronte a un pastore protestante della setta degli «Avventisti del settimo giorno», circondato da un gruppetto della stessa religione, fra cui Bruno Cornacchiola. Dopo una preghiera silenziosa, comincia il dibattito. Si sa che, di solito, questi incontri diventano subito «scontri» e si esauriscono in uno scambio di accuse e controaccuse, senza che una parte riesca a convincere l'altra, dato che ognuno parte dall'assoluta certezza di trovarsi nel giusto. 

Cornacchiola si distingue subito per interventi aggressivi, basati più sugli insulti che sulle argomentazioni, come questo: «Voi siete artisti ed astuti; studiate per ingannare gli ignoranti, ma con noi che conosciamo la Parola di Dio non potete fare nulla. Avete inventato tante stupide idolatrie e interpretate la Bibbia a modo vostro!». E direttamente al frate: «Caro furbacchione, sei svelto a trovare le scappatoie!...». E così il dibattito si protrae per quasi quattro ore, finché viene deciso che è tempo di separarsi. 

Mentre tutti si alzano per andarsene, le signore presenti al dibattito dicono a Cornacchiola: «Tu non sei tranquillo! Si vede dallo sguardo». E lui di rimando: «Sì invece: io sono felice da quando ho abbandonato la Chiesa cattolica!». Ma le signore insistono: «Rivolgiti alla Madonna. Lei ti salverà! », e gli mostrano il rosario. «Questo ti salverà!».  

Ed ecco che ventun giorni dopo Cornacchiola sta sì pensando alla Madonna, ma non tanto per «rivolgersi a lei», quanto per combatterla e cercare di sminuirla il più possibile, cercando addirittura nella stessa Bibbia le argomentazioni per farlo. 


Ma chi era questo Bruno Cornacchiola? 
E soprattutto qual era la storia della sua vita e perché era diventato così accanito contro la Madonna? 


Pensiamo sia molto utile conoscere tutto questo per comprendere meglio l'ambito e i retroscena su cui si innesta il messaggio dell'apparizione. Sappiamo che la Madonna non sceglie mai a caso: né il veggente, né il luogo, né il momento. Tutto fa parte del mosaico dell'avvenimento. E' lo stesso Bruno che racconta. Noi riassumiamo. 

Nasce nel 1913 sulla Cassia Vecchia, in una stalla, a causa della grande povertà in cui versano i suoi genitori. Alla sua nascita il padre è in prigione a Regina Coeli e quando esce con la moglie porta il bambino a battezzare nella chiesa di S. Agnese. Alla rituale domanda del sacerdote: «Che nome gli volete mettere?», il papà, ubriaco, risponde: «Giordano Bruno, come quello che avete ammazzato voi a Campo dei Fiori!». La risposta del sacerdote è prevedibile: «No, con questo spirito non è possibile!» Si accordano allora che il bambino si chiamerà soltanto Bruno. 

I genitori sono analfabeti e vivono in miseria. Vanno ad abitare in una casa vicino all'agglomerato di baracche dove si ritrovavano tutti quelli che uscivano dalle carceri e le donne di strada. Bruno cresce in questa «schiuma di Roma», senza religione, perché Dio, Cristo, la Madonna erano conosciuti soltanto come bestemmie e i bambini crescevano pensando che questi nomi indicassero porci, cani o asini. In casa Cornacchiola la vita era piena di liti, bastonate e bestemmie. I bambini più grandi, per poter dormire la notte, uscivano di casa. 

Bruno andava a dormire sulle scale della Basilica di S. Giovanni in Laterano. Una mattina, quando aveva quattordici anni, viene avvicinato da una signora che, dopo averlo invitato a entrare con lei in chiesa, gli parla di messa, di comunione, di cresima, e gli promette la pizza. Il ragazzo la guarda stralunato. Alle domande della signora, meravigliato, risponde: «Beh, a casa, quando papà non è ubriaco si mangia tutti assieme, qualche volta pastasciutta, qualche volta minestra, il brodo, risotto o la zuppa, ma questa cresima e comunione, mamma non l'ha mai cucinata... E poi, cos'è quest'Ave Maria? Cos'è 'sto Padre nostro?». E così, Bruno, scalzo, malvestito, pieno di pidocchi, infreddolito, viene accompagnato da un frate che cercherà di insegnargli un po' di catechismo. 

Dopo una quarantina di giorni la solita signora lo porta in un istituto di suore dove Bruno riceve per la prima volta la comunione. Per la cresima occorreva il padrino: il vescovo chiama il suo servitore e gli fa fare da padrino. Come ricordo gli danno il libretto nero delle Massime eterne e una bella corona del rosario, grossa e nera anch'essa. Bruno ritorna a casa con questi oggetti e con l'incombenza di chiedere perdono alla mamma per i sassi che le aveva tirato e un morso alla mano: «Mamma, il prete mi ha detto alla cresima e comunione che ti dovevo chiedere perdono...». «Ma che cresima e comunione, che perdono!», e dicendo queste parole gli dà uno spintone, facendolo cadere per le scale. Bruno allora lancia alla mamma il libretto e la corona del rosario e se ne va di casa, a Rieti. 

Qui rimane per un anno e mezzo con un suo zio, facendo tutti quei lavoretti che gli offrivano. Poi lo zio lo riporta dai genitori che nel frattempo si erano traslocati al Quadraro. Due anni dopo, Bruno riceve la cartolina precetto per il servizio militare. 

Ha ormai vent'anni, è senza istruzione, senza lavoro e per presentarsi in caserma si procura un paio di scarpe negli scarichi delle immondizie. Per legacci un filo di ferro. Viene mandato a Ravenna. Non aveva mai avuto tanto da mangiare e da vestire come da militare, e lui si dava da fare per farsi strada, accettando di compiere tutto ciò che gli veniva richiesto e partecipando a tutte le gare. Eccelle soprattutto nel «tiro a segno», per cui viene mandato a Roma per una gara nazionale: vince la medaglia d'argento. 

Al termine del servizio militare nel 1936, Bruno si sposa con una ragazza che aveva già conosciuto quando era ancora bambina. Conflitto per le nozze: lui vuole sposarsi solo civilmente. Era infatti diventato comunista e non voleva avere a che fare con la Chiesa. Lei invece voleva celebrare il matrimonio religioso. Giungono a un compromesso: «Va bene, vuol dire che domandiamo al parroco se ci vuole sposare in sacrestia, però non mi deve chiedere né confessione, né comunione, né messa». Questa è la condizione posta da Bruno. E così avviene. Dopo il matrimonio caricano le loro poche cose in una carriola e vanno ad abitare in una baracca. 

Bruno ora è deciso a cambiare vita. Stringe rapporti con i compagni comunisti del Partito d'Azione che lo convincono ad arruolarsi come radiotelegrafista volontario all'OMS, sigla usata per indicare l'Operazione Militare in Spagna. Siamo nel 1936. Viene accettato e in dicembre parte per la Spagna dove infierisce la guerra civile. Naturalmente le truppe italiane si schierano dalla parte di Franco e i suoi alleati. Bruno, infiltrato comunista, ha ricevuto dal partito il compito di sabotare motori e altro materiale in dotazione alle truppe italiane. 

A Saragozza è incuriosito da un tedesco che aveva sempre un libro sotto il braccio. In spagnolo gli chiede: «Perché porti sempre questo libro sotto il braccio?». «Ma non è un libro, è la sacra Scrittura, è la Bibbia», fu la risposta. Così, discorrendo, i due giungono vicino alla piazza antistante il santuario della Vergine del Pilar. Bruno invita il tedesco a entrare con lui. Quegli rifiuta energicamente: «Guarda che io in quella sinagoga di Satana non ci sono mai andato. Io non sono cattolico. A Roma c'è il nostro nemico». «Il nemico a Roma?», domanda incuriosito Bruno. «E dimmi chi è, così se io lo incontro, lo ammazzo». «E' il papa che sta a Roma». 

Si lasciano, ma in Bruno, che già era avverso alla Chiesa cattolica, era aumentato l'odio contro di essa e contro tutto ciò che la riguardava. Così, nel 1938, mentre si trova a Toledo, compra un pugnale e sulla lama incide: «A morte il papa!». 

Nel 1939, terminata la guerra, Bruno ritorna a Roma e trova lavoro come uomo delle pulizie all'ATAC, la società che gestisce i mezzi di trasporto pubblici di Roma. In seguito, dopo un concorso, diventa bigliettaio. Risale a questo periodo il suo incontro prima con i protestanti «Battisti», e poi con gli          «Avventisti del settimo giorno». Questi lo istruiscono per bene e Bruno viene fatto direttore della gioventù missionaria avventista di Roma e del Lazio. 

Ma Bruno continua a lavorare anche con i compagni del Partito d'Azione e in seguito nella lotta clandestina contro i tedeschi durante l'occupazione. Si adopera anche per salvare gli ebrei braccati. Con l'arrivo degli americani comincia la libertà politica e religiosa. Bruno si distingue per il suo impegno e fervore contro la Chiesa, la Vergine, il papa. Non perde occasione di fare tutti i possibili dispetti ai preti, facendoli cadere sui mezzi pubblici e rubando loro la borsa. 


Il 12 aprile 1947, come direttore della gioventù missionaria, dalla sua setta riceve l'incarico di prepararsi per parlare in Piazza della Croce Rossa. Il tema è a sua scelta, basta che sia contro la Chiesa, l'Eucaristia, la Madonna e contro il papa, ovviamente. Per questo discorso molto impegnativo da tenersi in luogo pubblico occorreva prepararsi bene, per cui occorreva un luogo tranquillo e la sua casa era il luogo meno indicato. Allora Bruno propone alla moglie: «Andiamo a Ostia tutti quanti e lì possiamo stare tranquilli; io mi preparo il discorso per la festa della Croce Rossa e voi vi divertirete». Ma la moglie non si sente bene: «No, io non posso venire... Portaci i bambini». 

E' un sabato quel 12 aprile 1947. Pranzano in fretta e verso le 14 papà Bruno parte con i suoi tre bambini: Isola, di undici anni, Carlo di sette e Gianfranco di quattro. Giungono alla stazione Ostiense: proprio in quel momento stava partendo il treno per Ostia. La delusione è grande. Attendere il prossimo treno significa perdere tempo prezioso e le giornate non sono ancora lunghe. 


«Beh, pazienza», cerca di rimediare Bruno per superare il momento di sconforto suo e dei bambini, «è andato via il treno. Io vi avevo promesso di andare a Ostia... Vorrà dire che adesso... andremo in un altro posto. Prendiamo il tram, andiamo a S. Paolo e lì prendiamo il 223 per andare fuori Roma». Non potevano infatti aspettare un altro treno, perché a quei tempi, essendo stata bombardata la linea, c'era un treno solo che faceva la spola tra Roma e Ostia. Il che voleva dire dover aspettare più di un'ora... Prima di uscire dalla stazione, papà Bruno compra un giornalino per i bambini: si trattava del Pupazzetto. 


Quando giungono vicino alle Tre Fontane, Bruno dice ai bambini: «Scendiamo qua perché anche qui ci sono gli alberi e andiamo su dove ci sono i padri trappisti che danno il cioccolato». «Sì, sì», esclama Carlo, «allora andiamo a mangiare il cioccolato!». «Pure a me 'a sottolata», ripete il piccolino Gianfranco, che per la sua età smozzica ancora le parole. Così i bambini corrono felici lungo il viale che conduce all'abbazia dei padri trappisti. Giunti al vetusto arco medievale, detto di Carlo Magno, si fermano davanti al negozietto dove si vendono libri religiosi, guide storiche, corone, immagini, medaglie... e soprattutto l'ottimo « Cioccolato di Roma», prodotto dai padri trappisti delle Frattocchie e il liquore di eucalipto distillato nella stessa abbazia delle Tre Fontane. Bruno acquista tre piccole tavolette di cioccolato per i piccoli, che generosamente ne conservano un pezzettino, avvolto nella carta stagnola, per la mamma rimasta a casa. Dopo di che i quattro riprendono il cammino su un viottolo ripido che li porta al boschetto di eucalipti che sorge proprio davanti al monastero. 

Papà Bruno non era nuovo di quel luogo. Lo aveva frequentato da ragazzo quando, mezzo vagabondo e mezzo abbandonato dai suoi, vi si rifugiava qualche volta per passarvi la notte in qualche grotta scavata nella pozzolana di quel terreno vulcanico. Si fermano alla prima graziosa radura che incontrano, un centinaio di metri dalla strada. «Come è bello qui!», esclamano i bambini, che vivono in uno scantinato. Hanno portato la palla con la quale avrebbero dovuto giocare sulla spiaggia di Ostia. Va benissimo anche qui. C'è anche una piccola grotta e i bambini cercano di entrare subito all'interno, ma il papà lo proibisce loro energicamente. Da ciò che aveva visto per terra si era infatti reso subito conto che anche quell'anfratto era divenuto luogo di convegno delle truppe alleate... 

Bruno consegna la palla ai bambini perché giochino mentre lui si siede sopra un masso con la Bibbia, quella famosa Bibbia su cui aveva scritto di suo pugno: «Questa sarà la morte della Chiesa cattolica, con il papa in testa!». Con la Bibbia aveva portato anche un taccuino e una matita per prendere appunti. Comincia la ricerca dei versetti che gli sembrano più appropriati per confutare i dogmi della Chiesa, specialmente quelli mariani dell'Immacolata, dell'Assunzione e della Maternità divina. 

Mentre inizia a scrivere, giungono i bambini trafelati: «Papà, abbiamo perso la palla». «Dove l'avete tirata?». «Dentro i cespugli». «Andate a cercarla!». I bambini vanno e ritornano: «Papà, eccola la palla, l'abbiamo trovata». Allora Bruno, prevedendo di essere interrotto in continuazione nella sua ricerca, dice ai figli: «Beh, sentite, vi insegno io un gioco, però non mi disturbate più, perché devo prepararmi questo discorso». Così dicendo, prende la palla e la tira in direzione di Isola che aveva le spalle rivolte verso la scarpata da dove erano saliti. 

Ma la palla, invece di raggiungere Isola, come se avesse un paio di ali, vola sopra gli alberi e scende verso la strada dove passa l'autobus. «Stavolta l'ho persa io», dice il papà; «andate a cercarla». Tutti e tre i bambini scendono alla ricerca. Bruno riprende anche lui la sua «ricerca», con passione e acredine. Di carattere violento, inclinato alla controversia perché litigioso per natura e forgiato così dalle vicende della sua giovinezza, aveva riversato questi atteggiamenti nell'attività della sua setta, cercando di procurare il maggior numero di proseliti alla sua «nuova fede». Amante delle disquisizioni, di parola abbastanza facile, autodidatta, non cessava di predicare, di confutare e di convincere, scagliandosi con particolare ferocia contro la Chiesa di Roma, contro la Madonna e il papa, a tal punto che riuscì ad attirare alla sua setta non pochi suoi colleghi tranvieri. 

Per la sua puntigliosa serietà, Bruno si preparava sempre prima di ogni discorso in pubblico. Da qui anche il suo successo. Al mattino di quel giorno aveva assistito regolarmente al culto «avventista» nel tempio protestante, dove era uno dei fedeli più assidui. Alla lettura-commento del sabato, si era particolarmente caricato per attaccare la «Grande Babilonia», come era chiamata la Chiesa di Roma che, secondo loro, osava insegnare errori madornali e assurdità su Maria, ritenendola Immacolata, sempre Vergine e perfino Madre di Dio. Tutte cose che, secondo loro, la Rivelazione non dice.

(cont.)