venerdì 22 febbraio 2013

Martiri di Otranto: È prevista la loro canonizzazione il 12 maggio 2013.


Martiri di Otranto

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Beati Antonio Primaldo e compagni martiri
Beati Antonio Primaldo e compagni martiri

Reliquie dei Martiri di Otranto conservate nella Cattedrale della Città
Martiri
NascitaXV secolo
Morte14 agosto 1480
Venerato daChiesa cattolica
Beatificazione1771
Canonizzazione12 maggio 2013
Santuario principaleCattedrale di Otranto
Ricorrenza14 agosto
AttributiPalma
Patrono diArcidiocesi e città di Otranto
Antonio Primaldo e compagni martiri, conosciuti anche semplicemente come martiri di Otranto, sono gli 800 abitanti della città salentina di Otranto uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi guidati da Gedik Ahmet Pascià, per aver rifiutato la conversione all'Islam dopo la caduta della loro città. Saranno canonizzati il 12 maggio 2013[1].

Storia 

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Battaglia di Otranto.
Il 28 luglio 1480 un'armata turca proveniente da Valona, forte di 90 galee, 40 galeotte e altre navi, per un totale di circa 150 imbarcazioni e 18.000 soldati, si presentò sotto le mura di Otranto.
La città resistette strenuamente agli attacchi, ma la sua popolazione di soli 6.000 abitanti non poté opporsi a lungo ai bombardamenti. Infatti il 29 luglio la guarnigione e tutti gli abitanti abbandonarono il borgo nelle mani dei Turchi, ritirandosi nella cittadella mentre questi ultimi cominciavano le loro razzie anche nei casali vicini.
Quando Gedik Ahmet Pascià chiese la resa ai difensori, questi si rifiutarono ed in risposta le artiglierie turche ripresero il bombardamento. L’11 agosto, dopo 15 giorni d’assedio, Gedik Ahmet Pascià ordinò l’attacco finale durante il quale riuscì a sfondare le difese e a espugnare anche il castello.
Nel massacro che ne seguì, tutti i maschi di oltre quindici anni furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono ridotti in schiavitù. Secondo alcune ricostruzioni storiche, i morti furono in totale 12.000 e i ridotti in schiavitù 5.000, comprendendo anche le vittime dei territori della penisola salentina intorno alla città[2].
I superstiti e il clero si erano rifugiati nella cattedrale a pregare con l'arcivescovo Stefano Pendinelli. Gedik Ahmet Pascià ordinò loro di rinnegare la fede cristiana, ma ricevendone un netto rifiuto, irruppe con i suoi uomini nella cattedrale e li catturò. Furono quindi tutti uccisi, mentre la chiesa, in segno di spregio, fu ridotta a stalla per i cavalli.
Particolarmente barbara fu l’uccisione dell'anziano arcivescovo Stefano Pendinelli, il quale incitò i superstiti a rivolgersi a Dio in punto di morte. Fu infatti sciabolato e fatto a pezzi con le scimitarre, mentre il suo capo mozzato fu infilzato su una picca e portato per le vie della città.
Il comandante della guarnigione Francesco Largo venne invece segato vivo.
Castello di Otranto
A capo degli Otrantini - che il 12 agosto si erano opposti alla conversione all'Islam - era anche il vecchio sarto Antonio Pezzulla, detto Il Primaldo.
Il 14 agosto Gedik Ahmet Pascià fece legare i superstiti e li fece trascinare sul vicino colle della Minerva, dove ne fece decapitare almeno 800, costringendo i parenti ad assistere alle esecuzioni. Il primo a essere decapitato fu Antonio Primaldo. La tradizione tramanda che il suo corpo, dopo la decapitazione, restò ritto in piedi, a dispetto degli sforzi dei carnefici per abbatterlo, sin quando l'ultimo degli Otrantini non fu martirizzato.
Durante quel massacro le cronache raccontano che un turco, tal Bersabei, si convertì nel vedere il modo in cui gli otrantini morivano per la loro fede e subì anche lui il martirio, impalato dai suoi stessi compagni d'arme.
Tra gli 800 martiri d'Otranto, si ricorda per l'eroica morte, in testimonianza della fede, la figura di Macario Nachira, colto monaco basiliano, appartenente ad antica e nobile famiglia di Viggiano (oggi Uggiano la Chiesa).
Dopo tredici mesi Otranto venne riconquistata dagli Aragonesi, guidati da Alfonso d'Aragona, figlio del Re di Napoli.

Reliquie 

Il 13 ottobre 1481 i corpi degli Otrantini trucidati furono trovati incorrotti e vennero successivamente traslati nella Cattedrale di Otranto.
A partire dal 1485, una parte dei resti di quei martiri furono trasferiti a Napoli e riposano nella chiesa di Santa Caterina a Formiello, dove furono collocati sotto l'altare della Madonna del Rosario (che ricorda la vittoria definitiva delle truppe cristiane sugli Ottomani nella famosa battaglia di Lepanto); successivamente furono collocati nella cappella delle reliquie, consacrata da papa Orsini, e solo dal 1901 deposte sotto l'altare in cui si trovano oggi. Una recognitio canonica, effettuata tra il 2002 e il 2003, ne ha ribadito l'autenticità.
Nel 1930 monsignor Cornelio Sebastiano Cuccarollo, vescovo di Bovino dal 1923, fu nominato arcivescovo di Otranto e, in segno di affetto e riconoscimento verso la sua ex diocesi, donò parte delle reliquie al Santuario di Santa Maria di Valleverde in Bovino, dove attualmente si trovano nella cripta della nuova basilica.
Reliquie dei beati martiri sono venerate in molti luoghi della Puglia, in particolare nel Salento, e a Napoli, a Venezia e in Spagna.

Culto 

Un processo canonico iniziato nel 1539 terminò il 14 dicembre 1771, allorché papa Clemente XIV dichiarò beati gli 800 trucidati sul colle della Minerva, autorizzandone il culto; da allora essi sono protettori di Otranto.
In vista di una possibile canonizzazione, su richiesta dell'arcidiocesi di Otranto, il processo è stato recentemente riaperto, confermando in pieno le conclusioni del precedente. Papa Benedetto XVI, il 6 luglio 2007, ha emanato un decreto in cui riconosce il martirio di Antonio Primaldo e dei suoi concittadini uccisi "in odio alla fede".
Il 20 dicembre 2012 Benedetto XVI nell'udienza privata con il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha autorizzato la Congregazione a promulgare il Decreto riguardante il miracolo della guarigione della suora Francesca Levote, attribuito all'intercessione dei beati Antonio Primaldo e compagni martiri.[3]. È prevista la loro canonizzazione il 12 maggio 2013.
Subito dopo l'annuncio, effettuato l'11 febbraio 2013 nel corso di un apposito Concistoro, Benedetto XVI ha comunicato in latino la sua ferma e meditata intenzione di rinunciare alla guida della Chiesa di Roma a partire dalle ore 20 del 28 febbraio, a causa delle sue precarie energie, aggravate dall'età avanzata.

Note 

  1. ^ Il Sole 24 Ore
  2. ^ Paolo Ricciardi, Gli eroi della patria e i martiri della fede: Otranto 1480-1481, Vol. 1, Editrice Salentina, 2009
  3. ^ Promulgazione di decreti della Congregazione delle Cause dei Santi

Bibliografia 

  • Paolo Ricciardi, Gli eroi della patria e i martiri della fede: Otranto 1480-1481, Vol. 1, Editrice Salentina, 2009
  • Grazio Gianfreda, I beati 800 martiri di Otranto, Edizioni del Grifo, 2007

Voci correlate 

Collegamenti esterni 

AVE MARIA VIRGO POTENS!

giovedì 21 febbraio 2013

L'estremo appello...




Tanto si è detto sulla rinuncia del Papa. Proponiamo un articolo con un intervista a don Nicola Bux, molto vicino e caro a Benedetto XVI, un altro con le riflessioni e considerazioni storico-dottrinali del prof. de Mattei e di Radaelli, e un terzo con un'analisi attenta di Messori

intervista a don Bux: "La rinuncia è la sua croce, ma indirizza la riforma della Chiesa" (Asca, 15.02.2013)

S. MAGISTER, "L'estremo appello: il papa ritiri le dimissioni" (Chiesa.espressonline, del 20.02.2013)

V. MESSORI, "Ipotesi sul Papa. E sulla Chiesa che verrà" (Corriere della sera, 17.02.2013)

PENSIERI tratti dalle Omelie di s.Antonio




Febbraio
1. Non c'è angoscia più grande di quella d'una madre che abbia perduto il suo unico figlio: e unico figlio dell'anima è l'amore di Dio, senza del quale la fede è morta. Piangi dunque, o cristiano, questa perdita immensa.
2. Oggi i fedeli cristiani portano in processione nel tempio la candela accesa, che è composta di cera e di stoppino. Nella fiammella è simboleggiata la divinità, nella cera l'umanità, nello stoppino l'acerbità della passione del Signore. In questi tre elementi consiste la vera penitenza: nel fuoco l'ardore della contrizione, che sradica le radici di tutti i vizi; nella cera la confessione del peccato, che "fonde come la cera al fuoco", nello stoppino l'asprezza dell'espiazione.
3. La riconciliazione del peccatore con Dio si può chiamare uno sposalizio dello Spirito Santo con l'anima pentita. Da tale unione germoglia il cristiano nuovo, erede della vita eterna.
4. Il contadino benda gli occhi all'asino e lo batte con il bastone, e così l'asino trascina intorno una mola di grande peso. Il contadino è il diavolo e il suo asino è l'uomo mondano. Il diavolo gli chiude gli occhi quando gli acceca l'intelletto e la ragione con il bagliore delle cose terrene; e lo colpisce con il bastone della cupidigia perché trascini con sé la mola della vanità mondana.
5. Nessuno diventa perfetto da un momento all'altro. Perciò dobbiamo staccarci un po' alla volta dal mondo, disprezzandone le ricchezze e i piaceri. Un'abitudine si elimina con un'altra abitudine; e il filosofo dice: "Scompariranno i vizi, se si prenderà l'abitudine di abbandonarli per qualche tempo".
6. Se uno vuole fare veramente penitenza, non confidi nei suoi meriti, non abbia presunzione del bene fatto; ma palesi in confessione tutto il male compiuto, con dolore e rossore. E non basta che si proclami peccatore, ma, se qualcuno gli rinfaccia le sue colpe, umilmente sopporti; se no, dimostra di non essere pentito davvero.
7. Dobbiamo essere sempre occupati intorno alla nostra anima, perché non ci avvenga quello che dice Salomone: "Passai accanto al campo del pigro e presso la vigna d'un tale scriteriato, ed eccoli ingombri di erbacce. Le ortiche ne coprivano la superficie e il muretto di pietre era sgretolato" (Pro 24,30-31).
8. L'anima che si pente segue la povertà, l'umiltà, la passione di Gesù Cristo: esse ci parlano di lui e ci dicono quale è stata la sua vita in questo mondo. E così l'anima diviene sua sposa, con lui impegnata, a lui legata per mezzo dell'anello di una fede perfetta.
9. "Guardate i gigli del campo", dice il Signore. Gigli sono i poveri di spirito, nel cui cuore l'umiltà reprime la tumida superbia, il cui corpo è candido di castità, dalla cui vita emana il profumo della buona fama. Essi sono detti gigli del campo, non gigli del giardino o del deserto. Il campo è il mondo: conservare il fiore di virtù nel mondo è tanto più meritorio, in quanto è più difficile.
10. Gli eremiti fioriscono nel deserto, lontani dalla umana convivenza; in un giardino chiuso fioriscono i claustrali, anch'essi fuori dal contatto col mondo. Molto più degno è fiorire in mezzo al mondo, dove più facilmente la grazia del fiore può perire.
11. "Ci fu poi il mormorio di un vento leggero: ecco la serva del Signore"; questo è il mormorio del vento leggero. E lì c'era il Signore. Osserva che il mormorio si fa con le labbra un po' strette. La Vergine Maria "restrinse", rimpicciolì se stessa: la Regina degli angeli si dichiarò serva, e così il Signore guardò all'umiltà della sua serva. Guardiamoci dunque dal vento gagliardo della superbia, nel quale non c'è il Signore, e umiliamoci nel mormorio della nostra confessione e dell'accusa di noi stessi.
12. Vale più una sola anima santa con la sua preghiera, che innumerevoli peccatori con le armi in pugno: la preghiera del santo penetra i cieli!
13. Quand'è che la nostra anima è alla presenza di Dio? Quando è certa di non avere niente da sé, in se stessa e per sé, ma tutto attribuisce a colui che è ogni bene, il sommo bene, dal quale sgorga ogni grazia. Irradiata da Dio, l'anima veramente diviene un paradiso, fragrante di carità, di umiltà, di castità. In lei discende e riposa il Diletto.
14. La vita dell'uomo giusto viene paragonata a un organo musicale, dal quale scaturisce la melodia della buona fama, in armonia con una vita santa.
15. La natura ha posto davanti alla lingua due porte, cioè i denti e le labbra, per indicare che la parola non deve uscire dalla bocca se non con grande cautela... Ma la lingua, male ribelle, piena di veleno mortale, fuoco che incendia la foresta delle virtù, sfonda la prima e la seconda porta, esce in piazza come una meretrice, loquace e raminga, insofferente della quiete, e porta ovunque lo scompiglio. Chi è perfetto nella lingua, è perfetto in tutto.
16. Per mezzo delle lingue del serpente, di Eva e di Adamo la morte entrò nel mondo. La lingua del serpente inoculò il veleno in Eva; la lingua di Eva lo inoculò in Adamo, e la lingua di Adamo tentò di ritorcerlo contro il Signore. La lingua è un membro freddo, sempre immersa nell'umidità, e quindi è un male ribelle ed è piena di veleno mortale, del quale nulla è più freddo. Per questo lo Spirito Santo apparve in forma di lingue di fuoco, per opporre lingue a lingue, e fuoco ardente a veleno mortale.
17. L'ira ottenebra la mente e non permette di distinguere la vera realtà delle cose; scompiglia tutte le facoltà dell'anima; riflette anche all'esterno l'alterazione che c'è all'interno: infatti, l'occhio si rannuvola, la lingua prorompe in minacce, la mano si appresta a percuotere. E così la carità va distrutta.
18. La nascita di un santo costituisce un bene per tutti e perciò è motivo di comune esultanza. Nascono i santi per l'utilità degli altri, essendo la giustizia (la santità) una virtù sociale che ridonda a vantaggio di tutti.
19. Nel cuore dell'uomo ci sono tre cose: c'è la sede della sapienza; in esso fu scritta la legge naturale che dice: "Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te". Il cuore è l'organo dal quale provengono lo sdegno, il ribrezzo, l'avversione. Così nei veri credenti c'è la sapienza della contemplazione, c'è la legge dell'amore, e c'è il ribrezzo e l'avversione per il peccato.
20. Cristo tiene i santi sotto il sigillo della sua provvidenza, affinché non appaiano quando vogliono loro, ma stiano pronti per l'ora stabilita da lui. E quando sentiranno risuonare nel cuore il suo comando, escano dal nascondiglio della vita contemplativa verso le attività richieste dalla necessità.
21. Come il ragno cattura le prede con i fili della sua rete, così il diavolo, tirando certi fili di pensieri capziosi, studiando cioè i difetti ai quali l'uomo è più incline, lo avvolge con la fitta rete delle sue tentazioni e lo fa sua preda.
22. La pazienza si alimenta e si affina a spese di chi ci perseguita; la vera pazienza si compiace dei duri trattamenti. Si può a mala pena purificare l'animo fra le tribolazioni di questo mondo, senza che resti qualche macchia da espiare in purgatorio.
23. Quando qualcuno ti dice, in aria di plauso o di adulazione: "Sei bravo e sai molte cose", tu gli devi rispondere: "Da me stesso non so nulla, nessun bene io possiedo, ma onoro il Padre mio. A lui tutto attribuisco, a lui rendo grazie, perché fonte di ogni sapienza, di ogni potenza e scienza".
24. Considera quanto è spaventoso un uomo infiammato dall'ira. Corruga la fronte, ha la faccia pallida, le narici frementi, gli occhi torvi, le labbra livide, digrigna i denti e ha i pugni stretti pronti a colpire. Un uomo così ridotto altro non sembra che una belva feroce... Preghiamo Cristo Gesù che estirpi dal nostro cuore il vizio dell'ira, che infonda nel nostro spirito la tranquillità, per poter amare il prossimo con la bocca, con le opere e con il cuore, e giungere così a lui che è la nostra pace.
25. La pazienza è il muro inespugnabile dell'anima, che la difende da ogni turbamento. L'anima unita dallo Spirito Santo è tutta umile e povera, e perciò inclinata alla obbedienza e alla pazienza. Senza pazienza, non c'è obbedienza.
26. Se ti risolvi a venire al mercato delle tribolazioni, dove si acquistano le vere ricchezze, bada bene, prima, se hai a disposizione un tesoro di pazienza sufficiente per fare buone compere: altrimenti, io ti consiglio di non andare verso le tribolazioni volontarie, perché ne ritorneresti a mani vuote. Ma se sei disposto a sborsare molta pazienza, allora vieni: non far caso alle difficoltà, perché è certo cosa amara il bere al calice delle tribolazioni. Ma quando lo avrai sorbito, ne sarai felice, perché sarai collocato alla destra del Signore, dove è la vita che non finisce mai.
27. Chi non ha pazienza in mezzo alle tribolazioni non è oro, ma è ferro dorato; non ha la vera virtù, ma virtù apparente. Percosso, il ferro non manda un suono gradevole; così l'impaziente, percosso dai persecutori, si incollerisce e viene meno.
28. La Scrittura parla spesso per immagini, per metafore, affinché ciò che non si può vedere in una cosa, si possa scoprire in un'altra simile. Il ventre, ad esempio, viene paragonato a un dio quando dice: "Il loro dio è il ventre e la loro gloria è una vergogna" (Fil 3,19), cioè si gloriano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi.
Il dio-ventre viene soddisfatto con le vittime di varie portate, tende l'orecchio ai rumori, è solleticato dalle varie specie di sapori, si commuove alle chiacchiere e non alle preghiere, è gratificato dall'ozio e si abbandona alle delizie della sonnolenza. E questo dio-ventre ha purtroppo monaci, canonici e conversi che lo servono devotamente e sono quelli che nella chiesa di Dio vivono placidamente nell'ozio, che non si danno alla preghiera segreta, ma sono curiosi di ascoltare i fantasiosi racconti degli oziosi, in cui si odono risate, sghignazzi e i rutti di un ventre rimpinzato.
29. La sapienza, così chiamata da sapore, consiste nel gusto della contemplazione, la prudenza nel prevedere e cautelarsi dalle insidie, la fortezza nel sopportare le avversità, l'intelligenza nel rifuggire dal male e scegliere il bene.

Domingo II de Cuaresma: 24 / 2 / 2013, C: La TRASFUGURACION de Jesucristo: ¡FUERZAS, SIMÓN PEDRO! ¡ALLÁ ARRIBA DESCANSARÉIS!"





¿Qué hombre hay que no haya visto, por lo menos una vez en su vida, un amanecer sereno de marzo? y si lo hubiere, es muy infeliz, porque no conoce una de las bellezas más grandes de la naturaleza a la que la primavera ha despertado, la hecho cual una doncella, como debía haberlo sido en el primer día.

VAN CAMINANDO JESÚS, LOS APÓSTOLES Y DISCÍPULOS 
VAN EN DIRECCIÓN DEL SUDESTE, PASANDO LAS COLINAS 
QUE CORONAN NAZARET

En medio de esta belleza, que es límpida en todos aspectos y cosas desde las hierbas nuevas y llenas de rocío, hasta las florecitas que se abren, como niños que acabaran de nacer, desde la primera sonrisa que la luz dibuja en el día, hasta los pajarillos que se despiertan con un batir de alas y lanzan su primer "pío" interrogativo, preludio de todos sus canoros discursos que lanzarán durante el día, hasta el aroma mismo del aire que ha perdido en la noche, con el baño del rocío y la ausencia del hombre, toda mota de polvo, humo, olor de cuerpo humano, van caminando Jesús, los apóstoles y discípulos. Con ellos viene también Simón de Alfeo. Van en dirección del sudeste, pasando las colinas que coronan Nazaret, atraviesan un arroyo, una llanura encogida entre las colinas nazaretanas y un grupo de montes en dirección hacia el este. El cono semitrunco del Tabor precede a estos montes. El cono semitrunco me recuerda, no sé por qué, en su cima a la lámpara de nuestra ronda vista de perfil.

"PEDRO, JUAN Y SANTIAGO DE ZEBEDEO, 
VENID CONMIGO ARRIBA AL MONTE.

Llegan al Tabor. Jesús se detiene y dice: "Pedro, Juan y Santiago de Zebedeo, venid conmigo arriba al monte. Los demás desparramaos por las faldas, yendo por los caminos que lo rodean, y predicad al Señor. Quiero estar de regreso en Nazaret al atardecer. No os alejéis, pues, mucho. La paz esté con vosotros." Y volviéndose a los tres, dice: "Vamos", y empieza a subir sin volver su mirada atrás y con un paso tan rápido que Pedro que le sigue, apenas si puede.
En un momento en que se detienen, Pedro colorado y sudado, le pregunta jadeando: "¿A dónde vamos? No hay casas en el monte. En la cima está aquella vieja fortaleza. ¿Quieres ir a predicar allá?"
"Hubiera tomado el otro camino. Estás viendo que le he volteado las espaldas. No iremos a la fortaleza, y quien estuviere en ella ni siquiera nos verá. Voy a unirme con mi Padre, y os he querido conmigo porque os amo. ¡Ea, ligeros!"
"Oh, Señor mío, ¿no podríamos ir un poco más despacio, y así hablar de lo que oímos y vimos ayer, que nos dio para pasar halando toda la noche?"

A LAS CITAS CON DIOS HAY QUE IR RÁPIDOS. 
¡FUERZAS, SIMÓN PEDRO! ¡ALLÁ ARRIBA DESCANSARÉIS!" 

"A las citas con Dios hay que ir rápidos. ¡Fuerzas, Simón Pedro! ¡Allá arriba descansaréis!" Y continúa subiendo...
Estoy con mi Jesús sobre un monte alto. Con Jesús están Pedro, Santiago y Juan. Siguen subiendo. La mirada alcanza los horizontes. es un sereno día que hace que aun las cosas lejanas se distingan bien.
El monte no forma parte de algún sistema montañoso como el de Judea. Se yergue solitario. Teniendo en cuenta el lugar donde se encuentra, tiene ante sí el oriente, el norte a la izquierda, a la derecha el sur y a sus espaldas el oeste y la cima que se yergue todavía a unos cuantos centenares de pasos.
Es muy elevado. Uno puede ver hasta muy lejos. El lago de Genesaret parece un trozo de cielo caído para engastarse entre el verdor de la tierra, una turquesa oval encerrada entre esmeraldas de diversa claridad, un espejo que tiembla, que se encrespa un poco al contacto de un ligero viento por el que se resbalan con agilidad de gaviotas, las barcas con sus velas desplegadas, un tantín encorvadas hacia las azulejas ondas, con esa gracia con que el halcón hiende los aires, cuando va de picada en pos de su presa. De esa vasta turquesa sale una vena, de un azul más pálido, allá donde el arenal es más ancho, y más oscuro allá donde las riberas se estrechan, el agua es más profunda y cobriza por la sombra que proyectan los árboles que robustos crecen cerca del río, que se alimentan de sus aguas. El Jordán parece una pincelada casi rectilínea en la verde llanura. Hay poblados sembrados acá y allá del río. Algunos no son más que un puñado de casa, otros más grandes, casi como ciudades. Los caminos principales no son más que líneas amarillentas entre el verdor. Aquí, dada la situación del monte, la llanura está más cultivada y es más fértil, muy bella. Se distinguen los diversos cultivos con sus diversos colores que ríen al sol que desciende de un firmamento muy azul.
Debe ser primavera, tal vez marzo, si calculo bien la latitud de Palestina, porque veo que el trigo está ya crecido, todavía verde, que ondea como un mar, veo los penacho de los árboles más precoces con sus frutos en sus extremidades como nubecillas blancas y rosadas en este pequeño mar vegetal, luego prados todos en flor debido al heno por donde las ovejas van comiendo su cotidiano alimento.
Junto al monte, en las colinas que le sirven como de base, colinas bajas, cortas, hay dos ciudades, una al sur, y otra al norte.
Después de un breve reposo bajo el fresco de un grupo de árboles, por compasión a Pedro a quien las subidas cuestan mucho, se prosigue la marcha. Llegan casi hasta la cresta, donde hay una llanura de hierba en que hay un semicírculo de árboles hacia la orilla.

"¡DESCANSAD, AMIGOS! VOY ALLÍ A ORAR."

"¡Descansad, amigos! Voy allí a orar." Y señala con la mano una gran roca, que sobresale del monte y que se encuentra no hacia la orilla, sino hacia el interior, hacia la cresta.
Jesús se arrodilla sobre la tierra cubierta de hierba y apoya las manos y la cabeza sobre la roca, en la misma posición que tendrá en el Getsemaní. No le llega el sol porque lo impide la cresta, pero lo demás está bañado de él, hasta la sombra que proyectan los árboles donde se han sentado los apóstoles.
Pedro se quita las sandalias, les quita el polvo y piedrecillas, y se queda así, descalzo, con los pies entre la hierba fresca, como estirado, con la cabeza sobre un montón de hierba que le sirve de almohada.
Lo imita Santiago, pero para estar más cómodo busca un tronco de árbol sobre el que pone su manto y sobre él la cabeza.
Juan se queda sentado mirando al Maestro, pero la tranquilidad del lugar, el suave viento, el silencio, el cansancio lo vencen. Baja la cabeza sobre el pecho, cierra sus ojos. Ninguno de los tres duerme profundamente. Se ha apoderado de ellos esa somnolencia de verano que atonta solamente.

DE PRONTO LOS SACUDE UNA LUMINOSIDAD TAN VIVA 
QUE ANULA LA DEL SOL, QUE SE ESPARCE, QUE PENETRA 
HASTA BAJO LO VERDE DE LOS MATORRALES Y ÁRBOLES, 
DONDE ESTÁN

ABREN LOS OJOS SORPRENDIDOS Y VEN A JESÚS 
TRANSFIGURADO

De pronto los sacude una luminosidad tan viva que anula la del sol, que se esparce, que penetra hasta bajo lo verde de los matorrales y árboles, donde están
Abren los ojos sorprendidos y ven a Jesús transfigurado. Es ahora tal y cual como lo veo en las visiones del paraíso. Naturalmente sin las llagas o sin la señal de la cruz, pero la majestad de su rostro, de su cuerpo es igual, igual por la luminosidad, igual por el vestido que de un color rojo oscuro se ha cambiado en un tejido de diamantes, de perlas, en vestido inmaterial, cual lo tiene en el cielo. Su rostro es un sol expendidísimo, en que resplanden sus ojos de zafiro. Parece todavía más alto, como si su glorificación hubiese cambiado su estatura. No sabría decir si la luminosidad, que hace hasta fosforescente la llanura, provenga toda de El o si sobre la suya propia está mezclada la luz que hay en el universo y en los cielos. Sólo sé que es una cosa indescriptible.

JESÚS ESTÁ DE PIE, MÁS BIEN, COMO SI ESTUVIERA 
LEVANTADO SOBRE LA TIERRA, PORQUE ENTRE EL Y EL 
VERDOR DEL PRADO HAY COMO UN RÍO DE LUZ,

Jesús está de pie, más bien, como si estuviera levantado sobre la tierra, porque entre El y el verdor del prado hay como un río de luz, un espacio que produce una luz sobre la que El esté parado. Pero es tan fuerte que puedo casi decir que el verdor desaparece bajo las plantas de Jesús. Es de un color blanco, incandescente. Jesús está con su rostro levantado al cielo y sonría a lo que tiene ante Sí.

LOS APÓSTOLES SE SIENTEN PRESA DE MIEDO. 
LO LLAMAN, PORQUE LES PARECE QUE NO ES MÁS SU 
MAESTRO. "¡MAESTRO, MAESTRO!"

Los apóstoles se sienten presa de miedo. lo llaman, porque les parece que no es más su Maestro. "¡Maestro, Maestro!" lo llaman con ansia.
El no oye.
"Está en éxtasis" dice Pedro tembloroso. "¿Qué estará viendo?"
Los tres se han puesto de pie, quieren acercarse a Jesús, pero no se atreven.

LA LUZ AUMENTA MUCHO MÁS POR DOS LLAMAS 
QUE BAJAN DEL CIELO Y SE PONEN AL LADO DE JESÚS. 

APARECEN DOS MAJESTUOSOS Y LUMINOSOS PERSONAJES 
UNO ES MÁS ANCIANO LO SEÑALAN COMO A MOISÉS 
EL OTRO ES MÁS JOVEN, ELÍAS

La luz aumenta mucho más por dos llamas que bajan del cielo y se ponen al lado de Jesús. Cuando están ya sobre el verdor, se descorre su velo y aparecen dos majestuosos y luminosos personajes. Uno es más anciano, de mirada penetrante, severa, de larga partida en dos. De su frente salen cuernos de luz, que me lo señalan como a Moisés. El otro es más joven, delgado, barbudo y velloso, algo así como el Bautista, al que se parece por su estatura, delgadez, formación corporal y severidad. Mientras la luz de Moisés es blanca como la de Jesús, sobre todo en los rayos que brotan de la frente, la que emana de Elías, es solar, de llama viva.
Los dos profetas asumen una actitud de reverencia ante su Dios encarnado y si les habla con familiaridad, ellos no pierden su actitud reverente. No comprendo ni una de las palabras que dicen.

LOS TRES APÓSTOLES CAEN DE RODILLAS, CON LA CARA 
ENTRE LAS MANOS. FINALMENTE PEDRO HABLA: 
"¡MAESTRO! ¡MAESTRO, ÓYEME!""¡ES BELLO ESTAR AQUÍ 
CONTIGO, CON MOISÉS Y ELÍAS! SI QUIERES 
HAREMOS TRES TIENDAS, PARA TI, PARA MOISÉS 
Y PARA ELÍAS, ¡NOS QUEDAREMOS AQUÍ A SERVIRTE!..."

Los tres apóstoles caen de rodillas, con la cara entre las manos. Quieren ver, pero tienen miedo. Finalmente Pedro habla: "¡Maestro! ¡Maestro, óyeme!" Jesús vuelve su mirada con una sonrisa. Pedro toma ánimos y dice: "¡Es bello estar aquí contigo, con Moisés y Elías! Si quieres haremos tres tiendas, para Ti, para Moisés y para Elías, ¡nos quedaremos aquí a servirte!..."
Jesús lo mira una vez más y sonríe vivamente. Mira también a Juan y a Santiago, una mirada que los envuelve amorosamente. También Moisés y Elías miran fijamente a los tres. Sus ojos brillan, deben ser como rayos que atraviesan los corazones.

UNA VOZ PODEROSA,  ARMONIOSA VIBRA, 
LLENA EL ESPACIO. LOS TRES CAEN CON LA CARA 
SOBRE LA HIERBA. 
"ESTE ES MI HIJO AMADO, EN QUIEN ENCUENTRO MIS 
COMPLACENCIAS. ¡ESCUCHADLO!"

Los apóstoles no se atreven a añadir una palabra más. Atemorizados, callan. Parece como si estuvieran un poco ebrios, pero cuando un velo que no es neblina, que no es nube, que no es rayo, envuelve y separa a los tres gloriosos detrás de un resplandor mucho más vivo, los esconde a la mirada de los tres, una voz poderosa,  armoniosa vibra, llena el espacio. Los tres caen con la cara sobre la hierba.
"Este es mi Hijo amado, en quien encuentro mis complacencias. ¡Escuchadlo!"

¡MISERICORDIA DE MÍ QUE SOY UN PECADOR! 
ES LA GLORIA DE DIOS QUE DESCIENDE." 

Pedro cuando se ha echado por tierra exclama: "¡Misericordia de mí que soy un pecador! Es la gloria de Dios que desciende." Santiago no dice nada. Juan murmura algo, como si estuviese próximo a desvanecerse: "¡El Señor ha hablado!"
Nadie se atreve a levantar la cabeza aun cuando el silencio es absoluto. No ven por esto que la luz solar ha vuelto a su estado, que Jesús está solo y que ha tornado a ser el Jesús con su vestido rojo oscuro. Se dirige a ellos sonriente. Los toca, los mueve, los llama por su nombre.

LEVANTAOS. SOY YO. NO TENGÁIS MIEDO" DICE, 
PORQUE LOS TRES NO SE HAN ATREVIDO A LEVANTAR 
SU CARA  

"¡OH, MAESTRO! ¡DIOS MÍO!" EXCLAMA PEDRO. 
"¿CÓMO VAMOS A HACER PARA TENERTE A NUESTRO 
LADO, AHORA QUE HEMOS VISTO TU GLORIA?   

DEBÉIS VIVIR A MI LADO, VER MI GLORIA HASTA EL FIN. 
HACEOS DIGNOS PORQUE EL TIEMPO ESTÁ CERCANO.

"Levantaos. Soy Yo. No tengáis miedo" dice, porque los tres no se han atrevido a levantar su cara e invocan misericordia sobre sus pecados, temiendo que sea el ángel de Dios que quiere presentarlos ante el Altísimo.
"¡Levantaos, pues! ¡Os lo ordeno!" repite Jesús con imperio. Levantan la cara y ven a Jesús que sonríe.
"¡Oh, Maestro! ¡Dios mío!" exclama Pedro. "¿Cómo vamos a hacer para tenerte a nuestro lado, ahora que hemos visto tu gloria? ¿Cómo haremos para vivir entre los hombres, nosotros, hombres pecadores, que hemos oído la voz de Dios?"
"Debéis vivir a mi lado, ver mi gloria hasta el fin. Haceos dignos porque el tiempo está cercano. Obedeced al Padre mío y vuestro. Volvamos ahora entre los hombres porque he venido para estar entre ellos y para llevarlos a Dios. Vamos. Sed santos, fuertes, fieles por recuerdo de esta hora. Tendréis parte en mi completa gloria, pero no habléis nada de esto, a nadie, ni a los compañeros. Cuando el Hijo del hombre haya resucitado de entre los muertos y vuelto a la gloria del Padre, entonces hablaréis, porque entonces será necesario creer para tener parte en mi reino."
¿No debe acaso venir Elías a preparar tu reino?

"¿NO DEBE ACASO VENIR ELÍAS A PREPARAR TU REINO? 
LOS RABÍES ENSEÑAN ASÍ." ELÍAS HA VUELTO UNA VEZ. 
LA SEGUNDA SERÁ CUANDO LLEGUEN LOS ÚLTIMOS 
TIEMPOS PARA PREPARAR LOS HOMBRES A DIOS.

"Elías ya vino y ha preparado los camino del Señor. Todo sucede como se ha revelado, pero lo que enseñan la revelación no la conocen y no la comprenden. No ven y no reconocen las señales de los tiempos, y a los que Dios ha enviado. Elías ha vuelto una vez. La segunda será cuando lleguen los últimos tiempos para preparar los hombres a Dios. Ahora ha venido a preparar los primeros al Mesías, y los hombres no lo han querido reconocer y lo han atormentado y matado. Lo mismo harán con el Hijo del hombre, porque los hombres no quieren reconocer lo que es su bien."
Los tres bajan pensativos y tristes la cabeza. Descienden por el camino que los trajo a la cima.

PEDRO HACE UN COMENTARIO DE TODO LO QUE HA VISTO

... A mitad del camino, Pedro en voz baja dice: "¡Ah, Señor" Repito lo que dijo ayer tu Madre:"¿Por qué nos has hecho esto?" Tus últimas palabras borraron la alegría de la gloriosa vista que tenían ante sí nuestros corazones. Es un día que no se olvidará. Primero nos llenó de miedo la gran luz que nos despertó, más fuerte que si el monte estuviera en llamas, o que si la luna hubiera bajado sobre el prado, bajo nuestro ojos. Luego tu mirada, tu aspecto, tu elevación sobre el suelo, como si estuvieses pronto a volar. Tuve miedo de que, disgustado de la maldad de Israel, regresases al cielo, tal vez por orden del Altísimo. Luego tuve miedo de ver aparecer a Moisés, a quien sus contemporáneos no podían ver sin velo, por que brillaba sobre su cara el reflejo de Dios, y no era más que hombre, mientras ahora es un espíritu bienaventurado, y Elías... ¡Misericordia divina! Creí que había llegado mi último momento. Todos los pecados de mi vida, desde cuando me robaba la fruta, allá cuando era pequeñín, hasta el último de haberte mal aconsejado hace algunos días, vinieron a mi memoria. ¡Con qué temor me arrepentí! Luego me pareció que me amaban los dos justos... y porque no merezco el amor de semejantes espíritus. Y ¡luego"... ¡luego" ¡El miedo de los miedos! ¡La voz de Dios!... ¡Yeové habló! ¡A nosotros! Ordenó: "¡Escuchadlo!" Te proclamó "su hijo amado en quien encuentra sus complacencias" ¡Qué miedo! ¡Yeové! ¡A nosotros!... ¡No cabe duda que tu fuerza nos ha mantenido la vida!... Cuando nos tocaste, y tus dedos ardían como puntas de fuego, sufrí el último miedo. Creí que había llegado la hora de ser juzgado y que el ángel me tocaba para tomar mi alma y llevarla ante el Altísimo... ¿Pero cómo hizo tu Madre para ver... para oír... para vivir, en una palabra, esos momentos de los que ayer hablaste, sin morir, Ella que estaba sola, que era una jovencilla, y sin Ti?"

MARÍA, QUE NO TIENE CULPA, NO PODÍA TEMER A DIOS.  
YO, EL PADRE Y EL ESPÍRITU. 
QUE TENÍAMOS Y TENEMOS NUESTRO TABERNÁCULO 
EN EL CORAZÓN DE MARÍA.

"María, que no tiene culpa, no podía temer a Dios. Eva tampoco lo temió mientras fue inocente y Yo estaba. Yo, el Padre y el Espíritu. Nosotros que estamos en el cielo, en la tierra y en todo lugar, que teníamos y tenemos nuestro tabernáculo en el corazón de María." explica dulcemente Jesús.

PERO ¿POR QUÉ A NOSOTROS TRES?
 ¿NO HUBIERA SIDO MEJOR QUE TODOS HUBIESEN VISTO 
TU GLORIA?" 

PORQUE MUERTO DE MIEDO COMO ESTÁIS AL OÍR
 HABLAR DE LA MUERTE, Y MUERTE POR SUPLICIO 
DEL HIJO DEL HOMBRE, DEL HOMBRE-DIOS, 
EL HA QUERIDO FORTIFICAROS PARA AQUELLA HORA 
Y PARA SIEMPRE CON UN CONOCIMIENTO ANTERIOR 
DE LO QUE SERÉ DESPUÉS DE LA MUERTE. 
ACORDAOS DE ELLO, PARA QUE LO DIGÁIS A SU TIEMPO 
¿COMPRENDIDO?"

"¡Qué cosas!... ¡Qué cosas! Pero luego hablaste de muerte... Y toda nuestra alegría se acabó... Pero¿por qué a nosotros tres? ¿No hubiera sido mejor que todos hubiesen visto tu gloria?"
"Exactamente porque muerto de miedo como estáis al oír hablar de la muerte, y muerte por suplicio del Hijo del Hombre, del Hombre-Dios, El ha querido fortificaros para aquella hora y para siempre con un conocimiento anterior de lo que seré después de la muerte. Acordaos de ello, para que lo digáis a su tiempo ¿Comprendido?"
"Sí, Señor. No es posible olvidarlo. Sería inútil contarlo. Dirían que estábamos "ebrios"."
Vuelven en dirección del valle. En un determinado punto Jesús toma por un áspero atajo en dirección de Endor, esto es, por el lado opuesto en que dejó a los discípulos.
"No los encontraremos" dice Santiago. "El sol empieza a declinar. Estarán juntándose para esperarte donde los dejamos."
"Ven y no te formes pensamientos necios."
De hecho al salir del bosque y entrar en un llano que levemente baja hasta encontrarse con el camino principal, ven al grupo de discípulos, a los que se han agregado viajeros curiosos, escribas que han llegado de no sé dónde, y que dan señales de excitación.
"¡Ay de mí! ¡Escribas!... ¡Y ya están disputando!" exclama Pedro señalándolos. Y baja los últimos metro de mala gana.

A LA CARRERA VIENEN A JESÚS, GRITANDO: 
"¿COMO ES POSIBLE, MAESTRO, QUE HAYAS VENIDO
 POR ESTA PARTE? 

ESTÁBAMOS A PUNTO DE IRNOS AL LUGAR INDICADO. 
PERO LOS ESCRIBAS NOS HAN ENTRETENIDO 
CON SUS DISPUTAS, 
Y LAS SÚPLICAS DE UN PADRE ADOLORIDO."

Los que están abajo, los han visto y los señalan, luego a la carrera vienen a Jesús, gritando: "¿Como es posible, Maestro, que hayas venido por esta parte? Estábamos a punto de irnos al lugar indicado. Pero los escribas nos han entretenido con sus disputas, y las súplicas de un padre adolorido."
"¿De qué disputabais entre vosotros?"
"A causa de un endemoniado. Los escribas se han burlado de nosotros, porque no hemos podido curarlo. Judas de Keriot se ha puesto al frente, pero ha sido inútil. Entonces dijimos: "Hacedlo vosotros". Contestaron: "No somos exorcistas". Por casualidad han pasado algunos que venían de Caslot-Tabor, entre los que había dos exorcistas, pero tampoco ellos pudieron hacerlo algo. Aquí está el padre que ha venido a suplicártelo. ¡Escúchalo!"

 AQUÍ ESTÁ EL PADRE QUE HA VENIDO A SUPLICÁRTELO. 
¡ESCÚCHALO!" 
SE ADELANTA EN ACTITUD SUPLICANTE, SE ARRODILLA 
ANTE JESÚS 
MI HIJO. TE LO LLEVABA PARA QUE LO LIBRASES, TÚ QUE 
ARROJAS A DEMONIOS Y CURAS CUALQUIER ENFERMEDAD. 
ES PRESA DE UN ESPÍRITU MUDO.

Se adelanta en actitud suplicante, se arrodilla ante Jesús que no ha bajado del suave declive, de modo que está más alto, unos tres metros, y todos lo pueden ver.
"¡Maestro!" dice, "iba a Cafarnaum a llevarte a mi hijo. Te lo llevaba para que lo librases, Tú que arrojas a demonios y curas cualquier enfermedad. Es presa de un espíritu mudo. Cuando se apodera de él no emite más que gritos roncos, como una bestia a la que se degüella. El espíritu lo echa por tierra. El se revuelca rechinando los dientes, espumando como un caballo que moridera el freno, se hiere, y se expone a morir ahogado o quemado, o bien, hecho pedazos, porque el espíritu más de una vez lo ha arrojado al agua, al fuego, o de las escaleras abajo. Tus discípulos hicieron la prueba, pero no lo lograron. ¡Oh, Señor bueno, piedad de mí y de mi hijo!"
El rostro de Jesús relampaguea. Grita: "¡Oh generación perversa! ¡oh turba satánica! ¡legión rebelde! ¡pueblo del infierno incrédulo y cruel! ¿hasta cuándo deberé estar en contacto contigo? ¿Hasta cuándo deberé soportarte?" Tan imponente es que invade un silencio absoluto y cesan las indirectas de los escribas.
Jesús dice al padre: "Levántate y tráeme aquí a tu hijo."
Va y regresa con otros, en cuyo centro viene un muchacho como de doce a catorce años. Un buen mozo pero de mirada un poco tonta. En su frente se ve una larga herida, y más abajo una antigua cicatriz. Apenas ve a Jesús, que lo mira con sus ojos magnéticos, emite un grito ronco, contuerce todo el cuerpo, se echa por tierra espumando y girando los ojos, de modo que se ve el bulbo blanco. Es la característica de la convulsión epiléptica.
Jesús da unos cuantos pasos. Se acerca, dice: "¿Desde cuándo le sucede esto? Habla fuerte, para que todos oigan."
El hombre habla en voz alta, mientras el círculo de la gente se estrecha, y los escribas suben más arriba de Jesús para dominar la escena. Dice: "Desde pequeño. Ya te lo he dicho. Frecuentemente cae en el fuego, en el agua, o de las escaleras, de los árboles, porque el espíritu lo asalta de improviso y le hace el mal posible para matarlo. Está lleno de cicatrices y quemaduras. Es mucho que el fuego no lo haya cegado.  Ningún médico, ni exorcista, ni siquiera tus discípulos pudieron curarlo. Pero Tú, si como creo firmemente, puedes algo, ten piedad de nosotros y socórrenos."

"SI PUEDES CREER DE ESTE MODO, TODO ME ES POSIBLE, 
PORQUE TODO SE CONCEDE A QUIEN CREE." 
¡OH, SEÑOR, SÍ CREO! PERO SI NO FUERE SUFICIENTE, 
AUMÉNTAME LA FE, PARA QUE SEA PERFECTA 
Y OBTENGA EL MILAGRO"

"Si puedes creer de este modo, todo me es posible, porque todo se concede a quien cree."
"¡Oh, Señor, sí creo! Pero si no fuere suficiente, auméntame la fe, para que sea perfecta y obtenga el milagro" dice el hombre, de rodillas, entre lágrimas, cerca de su hijo presa más que nunca de las convulsiones.
Jesús se yergue, retrocede unos pasos, mientras la multitud cierra más el círculo. En voz alta dice: "¡Espíritu maldito que haces sordo y mudo al niño y lo atormentas, Yo te lo mando: sal de él y no vuelvas a entrar!"
El niño, aunque echado por tierra, da tremendos brincos que no son de un ser humano. Después del último brinco, en que se revuelca pegando la frente y al boca contra una piedra saliente de la hierba, que se tiñe de sangre, se queda inmóvil.
"¡Ha muerto!" gritan muchos.
"¡Pobre muchacho!" "¡Pobre padre!" compadecen otros.
Los escribas guiñando el ojo: "¡Que si te ha ayudado el nazareno!" o bien: "Maestro ¿qué pasa? ¡Esta vez Belzebú te ha hecho pasar un mal rato!..." y se ríen venenosamente.
Jesús no responde a nadie, ni siquiera al padre que ha volteado a su hijo y le seca la sangre de la frente y de los labios, gimiendo, invocando a Jesús, el cual se inclina y toma de la mano al jovenzuelo.Este abre los ojos con un largo suspiro, como si despertase de un sueño, se sienta, sonríe. Jesús lo tira hacia Sí, lo pone en pie, lo entrega a su padre, mientras que la gente grita de entusiasmo, y los escribas huyen, perseguidos por las risotadas y burlas de ella.
"Vámonos" dice Jesús a sus discípulos. Despedido que hubo a la multitud, da vuelta al monte y toma el camino por el que había venido en la mañana.
VI. 228-237
A. M. D. G.