martedì 22 gennaio 2013

3. La carità di Maria verso il prossimo


3. La carità di Maria verso il prossimo



L'amore verso Dio e verso il prossimo ci è imposto nello stesso precetto: « Noi abbiamo da Dio questo comandamento: chi ama Dio ami anche il proprio fratello » (lGv 4,21). 
La ragione, scrive san Tommaso, è che chi ama Dio ama tutte le cose amate da Dio. 
Santa Caterina da Genova diceva un giorno a Dio: « Signore, tu vuoi che io ami il prossimo, ma io non posso amare che te ». Dio le rispose: « Chi ama me, ama tutte le cose amate da me ». 

Ma poiché non vi è stato né vi sarà chi più di Maria amasse Dio, così non vi è stato né vi sarà chi più di Maria abbia amato il prossimo. « Una lettiga si è fatta il re Salomone... il centro è un ricamo d'amore delle fanciulle di Gerusalemme» (Ct 3,9 Volg.). 

A proposito di questo passo il padre Cornelio a Lapide dice che questa lettiga fu il seno della beata Vergine in cui il Verbo Incarnato venne ad abitare e riempì la sua santa Madre di un'immensa carità, affinché ella aiutasse chiunque ricorre a lei. Durante la sua vita Maria fu così piena di carità, che soccorreva i bisognosi senza esserne neppure richiesta. Così fece alle nozze di Cana, quando domandò al Figlio il miracolo del vino, esponendo la pena di quella famiglia: « Non hanno vino » (Gv 2,3). Come era sollecita la Vergine quando si trattava di aiutare il prossimo! 

Quando per un compito di carità si recò da Elisabetta, « andò in fretta in una regione montuosa » (Lc 1,39). Ma la prova più grande di carità, la diede offrendo alla morte suo Figlio per la nostra salvezza. San Bonaventura dice: « Maria ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo Figlio unigenito ». E sant'Anselmo esclama: « O benedetta fra le donne, che superi gli angeli nella purezza e i santi nella pietà! ». San Bonaventura afferma: « Grande fu la misericordia di Maria verso i miseri mentre era pellegrina su questa terra, ma molto più grande è ora che regna nel cielo, perché vede meglio le miserie degli uomini ». 

L'angelo rivelò a santa Brigida che non vi è nessuno che preghi senza ricevere grazie per la carità della Vergine. Poveri noi, se Maria non pregasse per noi! Gesù stesso disse a santa Brigida: « Senza l'intercessione di mia Madre, non ci sarebbe speranza 
di misericordia ». «Beato l'uomo che mi ascolta, dice la divina Madre, vegliando alle mie porte ogni giorno, custodendone la soglia » (Pro 8,34 Volg.), e osserva la mia carità per esercitarla verso gli altri a mia imitazione. San Gregorio Nazianzeno afferma che niente ci può conciliare la benevolenza della Vergine quanto la misericordia verso il prossimo. Dio ci esorta: « Siate misericordiosi come Dio, vostro Padre, è misericordioso » (Lc 6,36). Così anche Maria sembra dire a tutti i suoi figli: « Siate misericordiosi, come la Madre vostra è misericordiosa ». 

E certo che secondo la carità che noi useremo col prossimo, Dio e Maria l'useranno con noi: « Date e vi sarà dato... con la stessa misura con cui misurate, sarà misurato anche a voi » (Lc 6,38). San Metodio diceva: « Dona al povero e riceverai il paradiso ». Scrisse l'Apostolo: « La pietà è utile a tutto, avendo la promessa della vita presente e di quella futura » (1Tm 4,8). « Chi fa la carità al povero presta a Dio » (Pro 19,17). Commentando queste parole, san Giovanni Crisostomo afferma che chi soccorre i bisognosi fa sì che Dio gli diventi debitore.

Madre di misericordia, tu sei piena di carità verso tutti; non ti scordare delle mie miserie. Tu le vedi; raccomandami a Dio che non ti nega nulla. Ottienimi la grazia di poterti imitare nella santa carità, sia verso Dio, sia verso il prossimo. Amen.

Virgo Immaculata!
Noverim me, noverim Te,
Nec aliquid cupiam nisi Te!
padremaria@libero.it



Diomede parla: «Fratelli, comprendo che è giunta l’ora del circo e della vittoria eterna. Per Agapito è già venuta. Per voi sarà domani. Siate forti, fratelli. Il tormento sarà un attimo. La beatitudine non conoscerà sosta. Gesù è con voi. Non vi lascerà neppure quando le Specie saranno consumate in voi. Egli non abbandona i suoi confessori. Ma con essi resta per riceverne senza un indugio l’anima lavata dall’amore e dal sangue. Andate. Pregate nell’ora della morte per i carnefici e per il vostro prete. Il Signore per mia mano vi dà l’ultima assoluzione. Non abbiate timore. Le anime vostre sono più candide di un fiocco di neve che scenda dal cielo.»


Sera dell’11 febbraio, ore 20.

<<Fra i miei spasimi vedo questi altri spasimi.
Una specie di pozzo circolare di una larghezza di pochi metri quadri. Avrà un
diametro di quattro, cinque metri al massimo, alto quasi altrettanto, senza
finestre. Una porta stretta, piccola, di ferro, è incassata nel muraglione di
quasi un metro di spessore. Al centro del soffitto un buco tondo, di un diametro
di un mezzo metro al massimo, serve per l’aerazione di questo pozzo che nel suo
pavimento, di suolo battuto, ha un altro buco dal quale sale fetore e gorgoglìo
d’acque profonde, come se vicino ci fosse un fiume o sotto passasse una cloaca
diretta al fiume.
Il luogo è malsano, umido, fetido. Le muraglie trasudano
acqua, il suolo è impregnato di materie schifose, perché comprendo che il buco
del soffitto fa da scolo ai rifiuti della cella soprastante.

In questo orrido carcere, in cui è una penombra folta che appena permette di
intravvedere l’essenziale, sono due persone. Una è coricata al suolo,
nell’umido, presso la parete, è incatenata per un piede. Ma non fa moto alcuno.
L’altro è seduto lì presso, col capo fra le mani. È vecchio, perché vedo il
sommo della testa calvo affatto.

Al di sopra, nell’altra cella, vi devono essere più persone, perché odo voci e
tramestìo. Voci di uomo e di donna. Voci di bimbi e di vecchi commiste a voci
fresche di giovinette e forti di adulti.
Cantano dentro per dentro (Espressione ricorrente e che signific: ogni tanto, di tanto in tanto) dei mesti inni che pur nella loro mestizia hanno un
che di tanta pace. Le voci risuonano contro le pareti spesse come in una sala
armonica. È molto bello l’inno che dice:

“Conducici alle tue fresche acque.
Portaci negli orti tuoi fioriti.
Dài la tua pace ai martiri
che sperano, che sperano in Te.

Sulla tua promessa santa
abbiam fondato la nostra fede.
Non deluderci, Gesù Salvatore,
perché abbiamo sperato in Te.

Ai martirî noi gioiosi andiamo
per seguirti nel bel Paradiso.
Per quella Patria tutto lasciamo
e non vogliamo, non vogliam che Te”.

Quando quest’ultimo canto si spegne lento, una luce si affaccia al buco e un
braccio si spenzola con una piccola lampadetta. Un volto d’uomo pure si
affaccia. Guarda. Vede che l’uomo coricato non fa moto e l’altro col capo fra le
mani non vede il lume, e chiama: “Diomede! Diomede! È l’ora”.
Il seduto sorge in piedi e trascinando la sua lunga catena viene sotto la
botola. “Pace a te, Alessandro”.
“Pace, Diomede”.
“Hai tutto?”.
“Tutto. Priscilla osò venire, travestita da uomo. Si è rasi i capelli per parere
un fossore. Ci ha portato di che celebrare il Mistero. Agapito che fa?”.
“Non si lamenta più. Non so se dorma o se sia spirato. E vorrei vedere... Per
dire su lui le preci dei martiri”.
“Ti caliamo la lampada. Attendi. Sarà gioia per lui avere il Mistero”.
Con un cordone di cinture annodate calano il fanaletto sino alle mani di Diomede
che, ora lo vedo bene, è un vecchio dal volto affilato e austero. Pallidissimo,
con pochi capelli, ha due occhi ancor splendidi di espressione. Nella sua
miseria di incatenato in quella fetida tana ha dignità di re.
Stacca il fanaletto dal cordone e va verso il compagno. Si china. Lo osserva. Lo
tocca. E apre le braccia, dopo aver posato la lampada al suolo, in un largo
gesto di commiserazione. Poi raccoglie le mani del cadavere, già quasi
irrigidite, e le incrocia sul petto. Povere mani gialle e scheletrite di vecchio
morto di stenti.
Si volge a chi attende presso il foro e dice:
Agapito è morto. Gloria sia al
martire della putrida fossa!”.
“Gloria! Gloria! Gloria al fedele al Cristo” rispondono quelli della cella
superiore.
“Calate per il Mistero. Non manca l’altare. Non più le sue mani, tese a far da
sostegno. Ma l’immoto petto che sino all’ultima ora ebbe palpiti per il Signore
nostro, Gesù”.

Viene calata una borsa di preziosa stoffa a da questa Diomede estrae un piccolo
lino, un pane largo e basso, un’anfora ed un piccolo calice. Prepara tutto sul
petto del morto, celebra e consacra dicendo le orazioni a memoria mentre quelli
di sopra rispondono. Deve essere nei primi tempi della Chiesa, perché la Messa è
su per giù come quella di Paolo nel Tullianum.
Quando la consacrazione è avvenuta, Diomede rimette nell’anfora il vino del
calice che è lievemente a brocca, forse scelto per questa funzione così, ripone
le Specie nella borsa e riporta tutto là dove il cordone attende di riportare di
sopra la borsa. Mentre questa sale, sollevata con precauzione, 
Diomede assolve i compagni. Il canto, quasi tutto di fanciulle, riprende dolcemente mentre i cristiani si comunicano.

Quando cessa, Diomede parla:

«Fratelli, comprendo che è giunta l’ora del circo e della vittoria eterna. Per
Agapito è già venuta. Per voi sarà domani. Siate forti, fratelli. Il tormento
sarà un attimo. La beatitudine non conoscerà sosta. Gesù è con voi. Non vi
lascerà neppure quando le Specie saranno consumate in voi. Egli non abbandona i suoi confessori. Ma con essi resta per riceverne senza un indugio l’anima lavata dall’amore e dal sangue. Andate. Pregate nell’ora della morte per i carnefici e per il vostro prete. Il Signore per mia mano vi dà l’ultima assoluzione. Non abbiate timore. Le anime vostre sono più candide di un fiocco di neve che scenda dal cielo.»

“Addio, Diomede!”, “Assistici, tu, santo, col tuo orare”, “Diremo a Gesù di
venire a prenderti”, “Ti precediamo per prepararti la via”, “Prega per noi”. I
cristiani si affacciano a turno al foro, salutano, sono salutati e scompaiono...
Per ultimo viene fatto risalire il fanaletto, e l’oscurità torna ancor più cupa
nell’antro in cui uno muore lentamente presso il già morto, fra il fetore e il
profondo fruscio delle acque sotterranee. Di sopra riprendono i canti lenti e
soavi.
Di mio non so dove avviene la scena. Direi a Roma, in tempi di persecuzione. Ma
quale sia la carcere non lo so. Come non so chi sia questo prete Diomede, dalla
figura tanto venerabile. Ma la visione per la sua tristezza mi colpisce ancora
di più di quella del Tullianum.>>

Domine Iesu,
Voca me, ut videam Te
Et in æternum fruar Te.
Amen.

domenica 20 gennaio 2013

Las cosas de la tierra pasan; no pasan mis Palabras. Una sola cosa es importante: salvar el alma.SATANAS, EL MALIGNO es presente activamente en la Iglesia, en las comunidades religiosas, en los Conventos y en las rectorías, en la sociedad, en los gobiernos y en los partidos, en los pueblos.



Confidencias de Jesús a un Sacerdote
Mons. Ottavio Michelini


7 de Octubre de 1975
SATANAS, EL MALIGNO

Hijo mío, cuando Yo entro en un alma vibra la fe, arde el amor y la esperanza es viva.
Pero cuando en un alma está adormecida la Vida divina, entonces hay quien es corroído por la envidia, los celos y el odio y con malas artes busca y encuentra el modo de arrojar agua sobre el fuego del amor.
Si el amor se puede comparar con un brasero ardiente, tú sabes el efecto que produce el agua arrojada sobre él: apaga el fuego, atenúa el calor, levanta una columna de denso vapor, y no deja más que carbones negros.
Esto le sucede en el alma ardiente de amor cuando está bajo la acción de Satanás, si no se sabe salvaguardar de la pérfida acción de él.
Del amor y del fuego que le arde en el corazón, del calor y de la luz no queda ya nada. Una nube de humo envuelve al alma, carbones negros, porque negra se ha vuelto el alma bajo la acción del pecado.
Hoy, hijo son pocas las almas que tienen conciencia de las peligrosas astucias y artes del Maligno porque en él ya nadie cree y de él (excepción hecha de pocos), nadie se preocupa de defenderse. Así el Maligno puede cosechar numerosas víctimas incluso entre mis sacerdotes.
La ignorancia de quien no cree, las lagunas de la fe, la falta de entrenamiento en la lucha, la inexperiencia y el abandono total de los medios de defensa, señala a favor del enemigo numerosísimas victorias.
¡Pobres almas inexpertas y no solo de simples fieles sino también de muchos ministros míos! Estos por el carácter impreso en sus almas, por la potencia con la cual han sido dotados, por la autoridad que los reviste, deberían conducir las tropas de militantes a espléndidas y fulgurantes victorias contra Satanás y sus tenebrosas legiones diabólicas.

¿Qué hacer para defenderse?
Creer en la existencia del Enemigo. Si muchos militantes y con ellos no pocos sacerdotes no creen en él no pueden combatirlo.
Conocer la potencia y la fuerza del Enemigo y conocer también la propia fuerza y la propia potencia.
Conocer sus métodos de lucha, sus astucias sus seducciones. Al mismo tiempo ser conscientes de los propios medios de lucha y querer usarlos.
Es claro que si uno ignora la emboscada que el enemigo le ha tendido, no puede guardarse de ella, no puede defenderse. Al contrario si uno tiene conocimiento de ello, prudentemente toma sus precauciones y no solo se prepara a la defensa, sino se predispone a atacar.

El más grande enemigo
Hoy, hijo, la casi totalidad de los cristianos ignora a su más grande enemigo: Satanás y sus diabólicas legiones.
Ignoran al que quiere su ruina eterna: ignoran la inmensidad del mal que Satanás les hace; en cuya comparación, las más grandes y graves desventuras humanas son una nada.
Ignoran que se trata de la única cosa importante en la vida: la salvación de la propia alma.
Ante a esta trágica situación está la indiferencia, a veces la incredulidad de muchos sacerdotes míos. Está la inconsciencia de muchos otros que no se cuidan de su principal deber que es el de instruir a los fieles, de poner los al corriente del peligro de esta tremenda lucha que se combate desde los albores de la humanidad.
No se preocupan de educar a los fieles en el uso eficaz de los medios de defensa, numerosos y a disposición en Mi Iglesia. Tienen vergüenza hasta de solo hablar de ello, temen ser considerados como retrógradas; como ves se trata de verdadero y propio respeto humano.
Pero tú sabes, hijo mío, que si en el ejército un oficial deserta de su puesto de respon­sabilidad es marcado con el título de traidor y la justicia humana lo persigue.

¿Qué decir entonces de lo que está ocurriendo en Mi Iglesia? ¿No es quizá la más trágica y terrible traición tendida a las almas, el dejarlas a expensas del Enemigo que quiere su perdición?
Mi Vicario en la tierra, Pablo VI, no hace mucho tiempo ha dicho que en la Iglesia se están verificando hechos y acontecimientos que no se pueden humanamente explicar, sino con la intervención del Demonio.

Hijo, te he hablado de sombras que apagan el esplendor de Mi Iglesia: todo esto es más que una sombra.
Si hoy el Enemigo está más arrogante que nunca y domina sobre las personas, sobre las familias, sobre los pueblos, y sobre los gobiernos, en todas partes, ¡es natural! Tiene el campo libre y casi sin oposición.
Cierto que para combatir a Satanás se necesita querer ser santos; para vencerlo eficazmente se necesitan penitencias, mortificaciones, oraciones. Pero ¿no es todo esto mi precepto para todos y en particular para mis consagrados?
¿Porqué no se hacen los exorcismos privadamente? Para esto no se necesitan particulares autorizaciones.

¡No, muchos sacerdotes míos no conocen su propia identidad! No saben quiénes son, no saben con qué potencia tan formidable han sido dotados. De esta ignorancia son culpables y responsables.
Son exactamente igual que los oficiales de un ejército que desertan de sus puestos de responsabilidad, ha­ciéndose culpables del caos que de ahí se sigue.

Se necesita decirlo a los Sacerdotes
Qué motivo de rubor y de vergüenza el saber que buenos laicos, dotados de exquisita sensibilidad de fe y de ardiente amor por las almas, sobrepasan con mucho la indiferencia de muchos de mis ministros los cuales no tienen tiempo para estas cosas.
No lo consideran importante; para otras cosas sí que encuentran el tiempo.

No hay tiempo para defender la propia alma y las almas de quienes un día deberán responder delante de Dios al que nada escapa, delante de Dios que pedirá cuenta aún de una palabra ociosa. Serán esas mismas almas traicionadas las que severamente acusarán por el bien no realizado, por las derrotas que sufrieron, por el mal que realizaron debido a que, quien debía guiarlas en el camino de la salvación las abandonó en manos del enemigo.

Reafirmo con insistencia la activa presencia de los Demonios en la Iglesia, en las comunidades religiosas, en los Conventos y en las rectorías, en la sociedad, en los gobiernos y en los partidos, en los pueblos.
Donde hay modo de disminuir la fe, de perder una inocencia, de cometer un delito, de perpetuar una injusticia, de predisponer a una disputa, de crear divisiones, de suscitar violencias o guerras civiles y revoluciones, Satanás está presente.

El frente de acción de Satanás y sus secuaces es tan amplio como amplia es la tierra.
La resistencia que bien conducida podría ser eficacísima, es mínima y totalmente desproporcionada en relación con las fuerzas del Enemigo.
No se impute a Dios la responsabilidad de una situación verdaderamente trágica cuyos responsables sois solamente vosotros.
Estas tremendas realidades envuelven a todos: el reino de las Tinieblas oscurece hoy al Reino de la Luz

Salvar el alma

El reino de la mentira parece prevalecer sobre el reino de la verdad y de la justicia; pero será ya por poco tiempo. Proveerá la divina Justicia a limpiar a la tierra, a la humanidad contagiada e infestada por el Maligno.
Se ocupará mi Madre Santísima en aplastar de nuevo la cabeza de Satanás; pero no creáis que El con sus legiones, con los innumerables aliados encontrados en el mundo, renuncie a su reino sin reacciones y convulsiones tremendas.
Todo esto os lo digo con el fin de que os convirtáis, os preparéis y consigáis predisponer vuestro ánimo a la oración y a la penitencia.

Las cosas de la tierra pasan; no pasan mis Palabras. Una sola cosa es importante: salvar el alma.
Te Bendigo hijo mío y contigo bendigo a las personas por las que oras.

In manus tuas, Domina, 
commendo spiritum meum: 
totam vitam meam, et diem meum novissimum.


sabato 19 gennaio 2013

Racconto Mariano (2)



2. *
Un giovane nobile viaggiando per mare si pose a leggere un libro osceno, a cui portava molto affetto. Un religioso gli disse: Orsù, donaresti una cosa alla Madonna? Rispose di sì. Or via, quello soggiunse, vorrei che per amor della S. Vergine lacerassi cotesto libro e lo buttassi in mare. Eccolo, Padre, disse il giovane. No, voglio che voi stesso fate questo dono a Maria. Lo fece, e la Madre di Dio appena ch'egli ritornò in Genova sua patria, gl'infiammò il cuore in tal modo che si andò a far religioso (Ann. Mar. 1605).



* Esempio 2. -AURIEMMA, Affetti scambievoli, parte 2, cap. 7. Bologna, 1681, II, pag. 131. - IO. NADASI, Annales Mariani Societatis Iesu, Romae, 1658: n. 404, anno 1605, pag. 225-227. Quel giovine, nobile Genovese, si fece Carmelitano.

IMMACOLATA MIA, MIO TUTTO

Jesús en las bodas de Caná