sabato 8 dicembre 2012

"Ineffabilis Deus" del Beato Pio IX


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Beato Pio IX
Ineffabilis Deus


Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l'ultimo confine dell'universo e regge ogni cosa con dolcezza, previde fin da tutta l'eternità la tristissima rovina dell'intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l'opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo – l'incarnazione del Verbo – affinché l'uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d'amore, e affinché venisse recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall'inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell'abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all'infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente.
Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente. Dio Padre dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a sé, e che ama come se stesso, in modo tale che fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale egli stesso procede.
La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo – è il basilare fondamento della verità, considerando come dottrina rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste rivelazione, questa innocenza originale dell'augusta Vergine unitamente alla sua mirabile santità, in perfetta armonia con l'eccelsa dignità di Madre di Dio, non ha mai cessato di presentarla, proporla e sostenerla con molteplici argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la Chiesa, non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine al pubblico culto e alla venerazione dei fedeli, ha offerto un'inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai tempi più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva mirabilmente diffusa dall'impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo cattolico. Con questo atto significativo mise in evidenza che la Concezione della Vergine doveva essere venerata in modo singolare, straordinario e di gran lunga superiore a quello degli altri uomini: pienamente santo, dal momento che la Chiesa celebra solamente le feste dei Santi.
Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e nella sacra Liturgia, riferendole anche alle origini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare della Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché entrambe erano state preordinate nell'unico e identico decreto dell'Incarnazione della Divina Sapienza.
Sebbene tutte queste cose, condivise quasi ovunque dai fedeli, dimostrino con quanta cura la stessa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese, abbia seguito la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine, tuttavia meritano di essere elencati, uno per uno, gli atti più importanti della Chiesa in questa materia, perché assai grandi sono la sua dignità e la sua autorità, quali si addicono ad una simile Chiesa: è lei il centro della verità cattolica e dell'unità; in lei sola fu custodita fedelmente la religione; da lei tutte le altre Chiese devono attingere la tradizione della fede.
Dunque, questa stessa Chiesa Romana ritenne che non potesse esserci niente di più meritevole che affermare, tutelare, propagandare e difendere, con ogni più eloquente mezzo, l'Immacolata Concezione della Vergine, il suo culto e la sua dottrina. Tutto questo è testimoniato e messo in evidenza, in modo assolutamente inequivocabile, da innumerevoli e straordinari, atti dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, ai quali, nella persona del Principe degli Apostoli, fu affidato, per volere divino, dallo stesso Cristo Signore il supremo compito e il potere di pascere gli agnelli e le pecore, di confermare nella fede i fratelli, di reggere e governare tutta la Chiesa.
I Nostri Predecessori infatti si vantarono grandemente, avvalendosi della loro autorità Apostolica, di avere istituito nella Chiesa Romana la festa della Concezione con Ufficio e Messa proprii, per mezzo dei quali veniva affermato, con la massima chiarezza, il privilegio dell'immunità dalla macchia originale; di aver rafforzato, circondato di ogni onore, promosso e accresciuto con ogni mezzo il culto già stabilito, sia con la concessione di Indulgenze, sia accordando alle città, alle province e ai regni la facoltà di scegliere come Patrona la Madre di Dio sotto il titolo dell'Immacolata Concezione, sia con l'approvazione di Confraternite, di Congregazioni e di Famiglie religiose, costituite per onorare l'Immacolata Concezione, sia con il tributare lodi alla pietà di coloro che avevano eretto monasteri, ospizi, altari e templi dedicati all'Immacolata Concezione, oppure si erano impegnati, con un solenne giuramento, a difendere strenuamente l'Immacolata Concezione della Madre di Dio.
Provarono anche l'immensa gioia di decretare che la festa della Concezione dovesse essere considerata da tutta la Chiesa, con la stessa dignità e importanza della Natività; inoltre, che fosse celebrata ovunque come solennità insignita di ottava e da tutti santificata come festa di precetto, e che ogni anno si tenesse nella Nostra Patriarcale Basilica Liberiana una Cappella Papale nel giorno santo dell'Immacolata Concezione.
Spinti dal desiderio di rafforzare, ogni giorno di più, nell'animo dei fedeli questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio e di stimolare la loro pietà al culto e alla venerazione della Vergine concepita senza peccato originale, furono lietissimi di concedere la facoltà che venisse pronunciata ad alta voce la Concezione Immacolata della Vergine nelle Litanie Lauretane e nello stesso Prefazio della Messa, affinché i dettami della fede trovassero conferma nelle norme della preghiera.
Noi quindi, seguendo le orme di Predecessori così illustri, non solo abbiamo approvato e accolto tutto ciò che è stato da loro deciso con tanta devozione e con tanta saggezza, ma, memori di ciò che aveva disposto Sisto IV, abbiamo confermato, con la Nostra autorità, l'Ufficio proprio dell'Immacolata Concezione e, con sensi di profonda gioia, ne abbiamo concesso l'uso a tutta la Chiesa.
Ma poiché tutto ciò che si riferisce al culto è strettamente connesso con il suo oggetto e non può rimanere stabile e duraturo se questo oggetto è incerto e non ben definito, i Romani Pontefici Nostri Predecessori, mentre impiegavano tutta la loro sollecitudine per accrescere il culto della Concezione, si preoccuparono anche di chiarirne e di inculcarne con ogni mezzo l'oggetto e la dottrina. Insegnarono infatti, in modo chiaro ed inequivocabile, che si celebrasse la festa della Concezione della Vergine e respinsero quindi, come falsa e assolutamente contraria al pensiero della Chiesa, l'opinione di coloro che ritenevano ed affermavano che da parte della Chiesa non si onorava la Concezione ma la santificazione di Maria. Né ritennero che si potesse procedere con minore decisione contro coloro che, al fine di sminuire la dottrina sull'Immacolata Concezione della Vergine, avendo escogitato una distinzione fra il primo istante e il secondo momento della Concezione, affermavano che si celebrava sì la Concezione, ma non quella del primo iniziale momento.
Gli stessi Nostri Predecessori stimarono loro preciso dovere difendere e sostenere, con tutto l'impegno, sia la festa della Concezione della Beatissima Vergine, sia la Concezione dal suo primo istante come vero oggetto del culto. Di qui le parole assolutamente decisive, con le quali Alessandro VII, Nostro Predecessore, mise in evidenza il vero pensiero della Chiesa. Egli si espresse in questi termini: "È sicuramente di antica data la particolare devozione verso la Beatissima Madre, la Vergine Maria, da parte dei fedeli: infatti erano convinti che la sua anima – fin dal primo istante della sua creazione e della sua infusione nel corpo – fosse stata preservata immune dalla macchia del peccato originale per una speciale grazia e per un singolare privilegio di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Figlio suo e Redentore del genere umano. Animati da tale persuasione, circondavano di onore e celebravano la festa della Concezione con un rito solenne" [ALEXANDER VII, Const. Sollicitudo omnium Ecclesiarum, 8 decembris 1661] .
E fu proprio impegno primario dei Nostri Predecessori custodire con ogni cura, zelo e sforzo, perfettamente integra la dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio. Infatti non solo non tollerarono mai che la stessa dottrina venisse in qualche modo biasimata e travisata da chicchessia, ma, spingendosi ben oltre, asserirono, con chiare e reiterate dichiarazioni, che la dottrina, con la quale professiamo l'Immacolata Concezione della Vergine, era e doveva essere considerata a pieno titolo assolutamente conforme al culto della Chiesa; era antica e quasi universalmente riconosciuta, tale da essere fatta propria dalla Chiesa Romana, con l'intento di assecondarla e custodirla, e del tutto degna di aver parte nella stessa Sacra Liturgia e nelle preghiere più solenni.
Non contenti di ciò, affinché la dottrina dell'Immacolato Concepimento della Vergine si mantenesse integra, vietarono, con la più grande severità, che ogni opinione contraria a questa dottrina potesse essere sostenuta sia in pubblico che in privato e la vollero colpita a morte. A queste ripetute e chiarissime dichiarazioni, perché non risultassero vane, aggiunsero delle sanzioni. Tutto questo è stato riassunto dal Nostro venerato Predecessore Alessandro VII con le seguenti parole:
"Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione dell'Intemerata e sempre Vergine Maria, e che, al riguardo, ha un tempo composto un Ufficio proprio e specifico in ossequio alla pia, devota e lodevole disposizione emanata dal Nostro Predecessore Sisto IV; volendo Noi pure favorire, sull'esempio dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, questa lodevole e pia devozione, questa festa e questo culto, prestato conformemente a quella direttiva e che dalla sua istituzione non ha subito, nella Chiesa Romana, alcun mutamento; volendo anche salvaguardare questa particolare forma di pietà e di devozione nel rendere onore e nel celebrare la Beatissima Vergine preservata dal peccato originale con un atto preventivo della grazia dello Spirito Santo; desiderando inoltre conservare nel gregge di Cristo l'unità dello spirito nel vincolo della pace, dopo aver placato i motivi di scontro e le dispute e aver rimosso gli scandali; accogliendo le istanze e le suppliche a Noi rivolte dai Vescovi sopra ricordati, unitamente ai Capitoli delle loro Chiese, dal Re Filippo e dai suoi Regni; rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti emanati dai Romani Pontefici Nostri Predecessori, soprattutto da Sisto IV, da Paolo V e da Gregorio XV, per avvalorare l'affermazione intesa a sostenere che l'anima della Beata Vergine Maria, nella sua creazione e nell'infusione nel corpo, ebbe il dono della grazia dello Spirito Santo e fu preservata dal peccato originale; per favorire la festa e il culto della stessa Concezione della Vergine Madre di Dio, in linea con la pia proposizione suesposta, decretiamo che tali Costituzioni e Decreti siano osservati, sotto pena d'incorrere nelle censure e nelle altre sanzioni previste nelle Costituzioni stesse.
"Decretiamo che quanti ardiranno interpretare le Costituzioni e i Decreti citati in modo da vanificare il favore reso, per mezzo loro, alla sunnominata affermazione, alla festa e al culto prestato nel rispetto della stessa; avranno osato mettere in discussione questa affermazione, questa festa e questo culto, o prendere posizione contro di essa in qualunque modo, direttamente o indirettamente, ricorrendo a qualsivoglia pretesto, sia pure con l'intento di esaminarne la sua definibilità e di spiegare e di interpretare, al riguardo, la Sacra Scrittura, i Santi Padri, e i Dottori; o ancora farsi forti di ogni altro possibile pretesto od occasione e poter quindi esprimere, dichiarare, trattare, disputare a voce e per iscritto, precisando, affermando e adducendo qualche argomentazione contro di essa, senza portarla a compimento; dissertare infine contro di essa in qualsiasi altro modo, addirittura fuori dell'immaginabile; [decretiamo] che siano privati anche della facoltà di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico; di aver voce attiva e passiva in ogni tipo di elezioni, senza bisogno di alcuna dichiarazione. Incorreranno dunque, ipso facto, nella pena della perpetua interdizione di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico.
"Da queste pene essi potranno essere assolti o dispensati solamente da Noi o dai Romani Pontefici Nostri Successori. Intendiamo anche sottoporli, ed effettivamente con la presente li sottoponiamo, ad altre pene da infliggere a Nostro insindacabile giudizio e dei Romani Pontefici Nostri Successori, mentre rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti di Paolo V e di Gregorio XV sopra ricordati.
"Dichiariamo inaccettabili, e le sottoponiamo alle pene e alle censure contenute nell'Indice dei libri proibiti, le pubblicazioni nelle quali vengono messi in dubbio quella affermazione, la festa e il culto approvato; viene scritto, o vi si possa leggere, alcunché di contrario a ciò che è stato sopra riportato; trovino spazio discorsi, prediche, trattati, dissertazioni che ne avversano il contenuto. Ordiniamo e decretiamo che siffatti libri siano, ipso facto, da considerare espressamente proibiti, senza attendere una specifica dichiarazione".
D'altra parte tutti sanno con quanto zelo questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio sia stata tramandata, sostenuta e difesa dalle più illustri Famiglie religiose, dalle più celebri Accademie teologiche e dai Dottori più versati nella scienza delle cose divine. Tutti parimenti conoscono quanto siano stati solleciti i Vescovi nel sostenere in pubblico, anche nelle assemblee ecclesiastiche, che la santissima Vergine Maria, Madre di Dio, in previsione dei meriti del Redentore Gesù Cristo, non fu mai soggetta al peccato ma, del tutto preservata dalla colpa originale, fu redenta in una maniera più sublime.
A tutto ciò si aggiunge il fatto, decisamente assai rilevante e del massimo peso, che lo stesso concilio di Trento, quando promulgò il decreto dogmatico sul peccato originale, nel quale, sulla scorta delle testimonianze della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei più autorevoli Concili, stabilì e definì che tutti gli uomini nascono affetti dal peccato originale, dichiarò tuttavia solennemente che non era sua intenzione comprendere in quel decreto, e nell'ambito di una definizione così generale, la Beata ed Immacolata Vergine Maria Madre di Dio.
Con tale dichiarazione infatti i Padri Tridentini indicarono con sufficiente chiarezza, tenendo conto della situazione del tempo, che la Beatissima Vergine fu esente dalla colpa originale. Indicarono perciò apertamente che dalle divine Scritture, dalla tradizione, dall'autorità dei Padri, niente poteva essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa della Vergine.
Per la verità, illustri monumenti di veneranda antichità della Chiesa orientale ed occidentale testimoniano con assoluta certezza che questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, che, giorno dopo giorno, è stata magnificamente illustrata, proclamata e confermata dall'autorevolissimo sentimento, dal magistero, dallo zelo, dalla scienza e dalla saggezza della Chiesa e si è diffusa in modo tanto prodigioso presso tutti i popoli e le nazioni del mondo cattolico, è da sempre esistita nella Chiesa stessa come ricevuta dagli antenati e contraddistinta dalle caratteristiche della dottrina rivelata.
Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell'ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato.
In verità, i Padri e gli scrittori ecclesiastici, ammaestrati dalle parole divine – nei libri elaborati con cura per spiegare la Scrittura, per difendere i dogmi e per istruire i fedeli – non trovarono niente di più meritevole di attenzione del celebrare ed esaltare, nei modi più diversi ed ammirevoli, l'eccelsa santità, la dignità e l'immunità della Vergine da ogni macchia di peccato e la sua vittoria sul terribile nemico del genere umano. Per tale motivo, mentre commentavano le parole con le quali Dio, fin dalle origini del mondo, annunciando i rimedi della sua misericordia approntati per la rigenerazione degli uomini, rintuzzò l'audacia del serpente ingannatore e rialzò mirabilmente le speranze del genere umano: "Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe", essi insegnarono che con questa divina profezia fu chiaramente e apertamente indicato il misericordioso Redentore del genere umano, cioè il Figliuolo Unigenito di Dio, Gesù Cristo; fu anche designata la sua beatissima Madre, la Vergine Maria, e, nello stesso tempo, fu nettamente espressa l'inimicizia dell'uno e dell'altra contro il demonio. Ne conseguì che, come Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, assunta la natura umana, annientò il decreto di condanna esistente contro di noi, inchiodandolo da trionfatore sulla Croce, così la santissima Vergine, unita con Lui da un legame strettissimo ed indissolubile, poté esprimere, con Lui e per mezzo di Lui, un'eterna inimicizia contro il velenoso serpente e, riportando nei suoi confronti una nettissima vittoria, gli schiacciò la testa con il suo piede immacolato.
Di questo nobile e singolare trionfo della Vergine, della sua straordinaria innocenza, purezza e santità, della sua immunità da ogni macchia di peccato, della sua ineffabile abbondanza di tutte le grazie divine, di tutte le virtù e di tutti i privilegi a Lei donati, gli stessi Padri videro una figura sia nell'Arca di Noè che, voluta per ordine di Dio, scampò del tutto indenne al diluvio universale; sia in quella scala che Giacobbe vide ergersi da terra fino al cielo, e lungo la quale salivano e scendevano gli angeli di Dio e alla cui sommità stava il Signore stesso; sia in quel roveto che Mosè vide nel luogo santo avvolto completamente dalle fiamme e, pur immerso in un fuoco crepitante, non si consumava né pativa alcun danno ma continuava ad essere verde e fiorito; sia in quella torre inespugnabile, eretta di fronte al nemico, dalla quale pendono mille scudi e tutte le armature dei forti; sia in quell'orto chiuso che non può essere violato né devastato da alcun assalto insidioso; sia in quella splendente città di Dio che ha le sue fondamenta sui monti santi; sia in quell'eccelso tempio di Dio che, rifulgendo degli splendori divini, è ricolmo della gloria del Signore; sia in tutti gli altri innumerevoli segni dello stesso genere che, secondo il pensiero dei Padri, preannunciavano cose straordinarie sulla dignità della Madre di Dio, sulla sua illibata innocenza e sulla sua santità, mai soggetta ad alcuna macchia.
Per descrivere debitamente quest'insieme di doni celesti e l'innocenza originale della Vergine dalla quale è nato Gesù, i Padri ricorsero alle parole dei Profeti ed esaltarono questa divina, santa Vergine, come una pura colomba, come una Santa Gerusalemme, come un eccelso trono di Dio, come un'arca della santificazione, come la casa che l'eterna Sapienza si è edificata, come quella Regina straordinaria che, ricolma di delizie e appoggiata al suo Diletto, uscì dalla bocca dell'Altissimo assolutamente perfetta e bella, carissima a Dio e mai contaminata da alcuna macchia di peccato.
Siccome poi gli stessi Padri e gli scrittori ecclesiastici erano pienamente convinti che l'Angelo Gabriele, nel dare alla beatissima Vergine l'annuncio dell'altissima dignità di Madre di Dio, l'aveva chiamata, in nome e per comando di Dio stesso, piena di grazia, insegnarono che con questo singolare e solenne saluto, mai udito prima di allora, si proclamava che la Madre di Dio era la sede di tutte le grazie divine, era ornata di tutti i carismi dello Spirito Santo, anzi era un tesoro quasi infinito e un abisso inesauribile di quegli stessi doni divini, a tal punto che, non essendo mai stata soggetta a maledizione ma partecipe, insieme con il suo Figlio, di eterna benedizione, meritò di essere chiamata da Elisabetta, mossa dallo Spirito di Dio: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno".
Da tutto ciò derivò il loro concorde e ben documentato pensiero che, in forza di tutti questi doni divini, la gloriosissima Vergine, per la quale "grandi cose ha fatto colui che è potente", rifulse di tale pienezza di grazia e di tale innocenza da diventare l'ineffabile miracolo di Dio, anzi il culmine di tutti i miracoli e quindi degna Madre di Dio, la più vicina a Dio, nella misura in cui ciò è possibile ad una creatura, superiore a tutte le lodi angeliche ed umane.
Per questo motivo, con l'intento di dimostrare l'innocenza e la giustizia originale della Madre di Dio, i Padri non solo la paragonarono spessissimo ad Eva ancora vergine, innocente, non corrotta e non ancora caduta nei lacci delle mortali insidie del serpente ingannatore, ma la anteposero a lei con una meravigliosa varietà di parole e di espressioni. Eva infatti, avendo dato ascolto disgraziatamente al serpente, decadde dall'innocenza originale e divenne sua schiava, mentre la beatissima Vergine accrebbe continuamente il primitivo dono e, senza mai ascoltare il serpente, con la forza ricevuta da Dio ne annientò la violenza e il potere.
Perciò non si stancarono mai di proclamarla giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata, verginale, illibata, immacolata, sempre benedetta e libera da ogni contagio di peccato, dalla quale è stato formato il nuovo Adamo; giardino delle delizie piantato da Dio stesso, senza difetti, splendido, abbondantemente ornato di innocenza e di immortalità e protetto da tutte le insidie del velenoso serpente; legno immarcescibile che il tarlo del peccato mai poté intaccare; fonte sempre limpida e segnata dalla potenza dello Spirito Santo; tempio esclusivo di Dio; tesoro di immortalità; unica e sola figlia, non della morte, ma della vita; germoglio di grazia e non d'ira che, per uno speciale intervento della provvidenza divina, è spuntato, sempre verde e ammantato di fiori, da una radice corrotta e contaminata.
Ma come se tutte queste espressioni non bastassero, pur essendo straordinarie, i Padri formularono specifiche e stringenti argomentazioni per affermare che, parlando del peccato, non poteva in alcun modo essere chiamata in causa la santa Vergine Maria, perché a Lei era stata elargita la grazia in misura superiore per vincere ogni specie di peccato. Asserirono quindi che la gloriosissima Vergine fu la riparatrice dei progenitori, la fonte della vita per i posteri. Scelta e preparata dall'Altissimo da tutta l'eternità e da Lui preannunciata quando disse al serpente: "Porrò inimicizia fra te e la donna", schiacciò veramente la testa di quel velenoso serpente.
Sostennero dunque che la beatissima Vergine fu, per grazia, immune da ogni macchia di peccato ed esente da qualsivoglia contaminazione del corpo, dell'anima e della mente. Unita in un intimo rapporto e congiunta da un eterno patto di alleanza con Dio, non fu mai preda delle tenebre, ma fruì di una luce perenne e risultò degnissima dimora di Cristo, non per le qualità del corpo, ma per lo stato originale di grazia.
Parlando della Concezione della Vergine, i Padri aggiunsero espressioni assai significative, con le quali attestarono che la natura cedette il passo alla grazia e si trovò incapace a svolgere il suo compito. Non poteva infatti accadere che la Vergine Madre di Dio potesse essere concepita da Anna, prima che la grazia sortisse il suo effetto. Così doveva essere concepita la primogenita, dalla quale doveva poi essere concepito il Primogenito di ogni creatura.
Proclamarono che la carne della Vergine, derivata da Adamo, non ne contrasse le macchie, e che la beatissima Vergine fu quindi il tabernacolo creato da Dio stesso, formato dallo Spirito Santo, capolavoro di autentica porpora, al quale diede ornamento quel nuovo Beseleel ricamandolo variamente in oro. Fu a buon diritto esaltata come il primo vero capolavoro di Dio: sfuggita ai dardi infuocati del maligno, entrò nel mondo, bella per natura e assolutamente estranea al peccato nella sua Concezione Immacolata, come l'aurora che spande tutt'intorno la sua luce.
Non era infatti conveniente che quel vaso di elezione fosse colpito dal comune disonore, perché assai diverso da tutti gli altri, di cui condivide la natura ma non la colpa. Al contrario era assolutamente conveniente che come l'Unigenito aveva in cielo un Padre, che i Cherubini esaltano tre volte santo, avesse sulla terra una Madre mai priva dello splendore della santità.
Proprio questa dottrina era a tal punto radicata nella mente e nell'animo degli antenati, che divenne abituale l'uso di uno speciale e straordinario linguaggio. Lo impiegarono spessissimo per chiamare la Madre di Dio Immacolata, del tutto Immacolata; innocente, anzi innocentissima; illibata nel modo più eccelso; santa e assolutamente estranea al peccato; tutta pura, tutta intemerata, anzi l'esemplare della purezza e dell'innocenza; più bella della bellezza; più leggiadra della grazia; più santa della santità; la sola santa, purissima nell'anima e nel corpo, che si spinse oltre la purezza e la verginità; la sola che diventò, senza riserve, la dimora di tutte le grazie dello Spirito Santo, e che si innalzò al di sopra di tutti, con l'eccezione di Dio: per natura, più bella, più graziosa e più santa degli stessi Cherubini e Serafini e di tutte le schiere degli Angeli. Nessun linguaggio, né del cielo né della terra, può bastare per tesserne le lodi.
Nessuno ignora che la celebrazione di Lei fu, con tutta naturalezza, introdotta nelle memorie della santa Liturgia e negli Uffici ecclesiastici. Tutti li pervade e li domina per larghi tratti. La Madre di Dio vi è invocata ed esaltata come incorrotta colomba di bellezza, rosa sempre fresca. Essendo purissima sotto ogni aspetto, eternamente immacolata e beata, viene celebrata come l'innocenza stessa, che non fu mai violata, e come la nuova Eva che ha generato l'Emmanuele.
Non vi è dunque niente di straordinario se i Pastori della Chiesa e i popoli fedeli si sono compiaciuti, ogni giorno di più, di professare con tanta pietà, con tanta devozione e con tanto amore la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio, che, a giudizio dei Padri, è stata inserita nella Sacra Scrittura, è stata trasmessa dalle loro numerose e importantissime testimonianze, è stata manifestata e celebrata con tanti insigni monumenti del venerando tempo antico, è stata proposta e confermata dal più alto e autorevole magistero della Chiesa. Pastori e popolo niente ebbero di più dolce e di più caro che onorare, venerare, invocare ed esaltare ovunque, con tutto l'ardore del cuore, la Vergine Madre di Dio concepita senza peccato originale. Per questo già dai tempi antichi i Vescovi, gli uomini di chiesa, gli Ordini regolari, gli stessi Imperatori e Re chiesero, con insistenza, che questa Sede Apostolica definisse l'Immacolata Concezione della Madre di Dio come dogma della fede cattolica. Queste richieste sono state nuovamente ripetute nei tempi più recenti, specialmente al Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, e sono state rivolte anche a Noi dai Vescovi, dal Clero secolare, da Famiglie religiose, da Sovrani e da popoli fedeli.
Poiché dunque, con straordinaria gioia del Nostro cuore, avevamo piena conoscenza di tutto ciò e ne comprendevamo l'importanza, non appena siamo stati innalzati, sebbene immeritevoli, per un misterioso disegno della divina Provvidenza, a questa sublime Cattedra di Pietro, ed assumemmo il governo di tutta la Chiesa, abbiamo ritenuto che non ci fosse niente di più importante, sorretti anche dalla profonda devozione, pietà e amore nutriti fin dalla fanciullezza per la santissima Vergine Maria Madre di Dio, del portare a compimento tutto ciò che poteva ancora essere nelle aspettative della Chiesa, per accrescere il tributo di onore alla beatissima Vergine e per metterne ancora più in luce le prerogative.
Volendo tuttavia procedere con grande prudenza, abbiamo costituito una speciale Congregazione di Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per la pietà, per la competenza e per la conoscenza delle cose divine; abbiamo pure scelto uomini del Clero secolare e regolare, particolarmente versati nelle discipline teologiche, perché esaminassero con ogni cura tutto ciò che riguarda l'Immacolata Concezione della Vergine e presentassero a Noi le loro conclusioni.
Quantunque già dalle istanze, da Noi ricevute per patrocinare l'eventuale definizione dell'Immacolata Concezione della Vergine, risultasse chiaro il pensiero di molti Vescovi, tuttavia abbiamo inviato ai Venerabili Fratelli Vescovi di tutto il mondo cattolico una Lettera Enciclica, scritta a Gaeta il 2 febbraio 1849, perché, dopo aver rivolto preghiere a Dio, Ci comunicassero per iscritto quali fossero la pietà e la devozione dei loro fedeli nei confronti dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio e, soprattutto, quale fosse il loro personale pensiero sulla proposta di questa definizione e quali fossero i loro auspici, al fine di poter esprimere il Nostro decisivo giudizio nel modo più autorevole possibile.
Non è certo stata di poco peso la consolazione che abbiamo provato, quando Ci pervennero le risposte di quei Venerabili Fratelli. Infatti nelle loro lettere, pervase da incredibile compiacimento, gioia ed entusiasmo, Ci confermarono nuovamente, non solo la straordinaria pietà e i sentimenti che essi stessi, il loro Clero e il popolo fedele nutrivano verso l'Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, ma Ci supplicarono anche, con voto pressoché unanime, che l'Immacolata Concezione della Vergine venisse definita con un atto decisivo del Nostro ufficio e della Nostra autorità.
Nel frattempo abbiamo gustato una gioia non certo minore, quando i Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, della speciale Congregazione sopra ricordata, e i citati teologi da Noi scelti come esperti, dopo aver proceduto con tutta l'attenzione ad un impegnativo e meticoloso esame della questione, Ci chiesero con insistenza la definizione dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio.
Dopo queste premesse, seguendo le prestigiose orme dei Nostri Predecessori, desiderando procedere nel rispetto delle norme canoniche, abbiamo tenuto un Concistoro, nel quale abbiamo parlato ai Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, e, con la più grande consolazione del Nostro animo, li abbiamo uditi rivolgerci l'insistente richiesta perché decidessimo di emanare la definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio.
Essendo quindi fermamente convinti nel Signore che fossero maturati i tempi per definire l'Immacolata Concezione della santissima Vergine Maria Madre di Dio, che la Sacra Scrittura, la veneranda Tradizione, il costante sentimento della Chiesa, il singolare consenso dei Vescovi e dei fedeli, gli atti memorabili e le Costituzioni dei Nostri Predecessori mirabilmente illustrano e spiegano; dopo aver soppesato con cura ogni cosa e aver innalzato a Dio incessanti e fervide preghiere; ritenemmo che non si potesse più in alcun modo indugiare a ratificare e a definire, con il Nostro supremo giudizio, l'Immacolata Concezione della Vergine, e così soddisfare le sacrosante richieste del mondo cattolico, appagare la Nostra devozione verso la santissima Vergine e, nello stesso tempo, glorificare sempre più in Lei il suo Figlio Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo, perché ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio.
Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell'umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l'assistenza dell'intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli.
Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall'unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto.
La Nostra bocca è veramente piena di gioia e la Nostra lingua di esultanza. Innalziamo dunque a Gesù Cristo Signore Nostro i più umili e sentiti ringraziamenti perché, pur non avendone i meriti, Ci ha concesso, per una grazia particolare, di offrire e di decretare questo onore e questo tributo di gloria alla sua santissima Madre.
Fondiamo senz'altro le nostre attese su un fatto di sicura speranza e di pieno convincimento. La stessa beatissima Vergine che, tutta bella e immacolata, schiacciò la testa velenosa del crudelissimo serpente e recò al mondo la salvezza; la Vergine, che è gloria dei Profeti e degli Apostoli, onore dei Martiri, gioia e corona di tutti i Santi, sicurissimo rifugio e fedelissimo aiuto di chiunque è in pericolo, potentissima mediatrice e avvocata di tutto il mondo presso il suo Unigenito Figlio, fulgido e straordinario ornamento della santa Chiesa, incrollabile presidio che ha sempre schiacciato le eresie, ha liberato le genti e i popoli fedeli da ogni sorta di disgrazie e ha sottratto Noi stessi ai numerosi pericoli che Ci sovrastavano, voglia, con il suo efficacissimo patrocinio, portare aiuto alla santa Madre, la Chiesa Cattolica, perché, rimosse tutte le difficoltà, sconfitti tutti gli errori, essa possa, ogni giorno di più, prosperare e fiorire presso tutti i popoli e in tutti i luoghi, "dall'uno all'altro mare, e dal fiume fino agli estremi confini della terra", e possa godere pienamente della pace, della tranquillità e della libertà. Voglia inoltre intercedere perché i colpevoli ottengano il perdono, gli ammalati il rimedio, i pusillanimi la forza, gli afflitti la consolazione, i pericolanti l'aiuto, e tutti gli erranti, rimossa la caligine della mente, possano far ritorno alla via della verità e della giustizia, e si faccia un solo ovile e un solo pastore.
Ascoltino queste Nostre parole tutti i carissimi figli della Chiesa Cattolica e, con un ancor più convinto desiderio di pietà, di devozione e di amore, continuino ad onorare, ad invocare e a supplicare la beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, concepita senza peccato originale, e si rifugino, con piena fiducia, presso questa dolcissima Madre di misericordia e di grazia in ogni momento di pericolo, di difficoltà, di bisogno e di trepidazione. Sotto la sua guida, la sua protezione, la sua benevolenza, il suo patrocinio, non vi può essere motivo né di paura, né di disperazione, perché, nutrendo per noi un profondo sentimento materno e avendo a cuore la nostra salvezza, abbraccia con il suo amore tutto il genere umano. Essendo stata costituita dal Signore Regina del Cielo e della terra, e innalzata al di sopra di tutti i Cori degli Angeli e delle schiere dei Santi, sta alla destra del suo Figlio Unigenito, Signore Nostro Gesù Cristo e intercede con tutta l'efficacia delle sue materne preghiere: ottiene ciò che chiede e non può restare inascoltata.
Da ultimo, perché questa Nostra definizione dell'Immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria possa essere portata a conoscenza di tutta la Chiesa, decidiamo che la presente Nostra Lettera Apostolica resti a perenne ricordo, e ordiniamo che a tutte le trascrizioni, o copie, anche stampate, sottoscritte per mano di qualche pubblico notaio e munita del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe alla presente se fosse esibita o mostrata.
Nessuno pertanto si permetta di violare il contenuto di questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o abbia l'ardire temerario di avversarlo e di trasgredirlo. Se qualcuno, poi, osasse tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso San Pietro, nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1854, il giorno 8 dicembre, nell'anno nono del Nostro Pontificato.


Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis


Magistero pontificio - Copertina

TOTA PULCHRA ES MARIA







COR SANCTISSIMUM MARIAE
FONS LUCIS ET GRATIAE
FONS AETERNAE VITAE
ora pro nobis





8 DICEMBRE: IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE



GAVDENS
GAVDEBO IN DOMINO
ET EXSVLTABIT
ANIMA MEA IN DEO MEO
QVIA INDVIT ME
VESTIMENTIS SALVTIS
ET INDVMENTO JVSTITIÆ
CIRCVMDEDIT ME
QVASI SPONSAM
ORNATAM MONILIBVS SVIS




8 DICEMBRE
IMMACOLATA CONCEZIONE
DELLA SANTISSIMA VERGINE

La festa dell'Immacolata Concezione della Santa Vergine è la più solenne di tutte quelle che la Chiesa celebra nel sacro tempo dell'Avvento; e se è necessario che la prima parte dell'anno presenti la commemorazione di qualcuno dei misteri di Maria, non ve n'è alcuno il cui oggetto possa offrire più commoventi armonie con le pie preoccupazioni della Chiesa in questa mistica stagione della attesa. Celebriamo dunque con gioia questa solennità, poiché la Concezione di Maria presagisce la prossima Nascita di Gesù.
L'intenzione della Chiesa, in questa festa, non è solo di celebrare l'anniversario dell'istante in cui ha inizio, nel seno della pia Anna, la vita della gloriosissima Vergine Maria; ma anche di onorare il sublime privilegio in virtù del quale Maria è stata preservata dal peccato originale che, per decreto supremo ed universale, tutti i figli di Adamo contraggono nell'istante stesso in cui sono concepiti nel seno delle loro madri. La fede della Chiesa cattolica che fu solennemente riconosciuta come rivelata da Dio stesso il giorno per sempre memorabile dell'8 dicembre 1854, questa fede proclamata dalla Sede apostolica per bocca di Pio IX, tra le acclamazioni di tutta la cristianità, ci insegna che nell'istante in cui Dio ha unito l'anima di Maria, che era stata appena creata, al corpo che essa doveva animare, quell'anima per sempre benedetta non solo non ha contratto la bruttura che invade in quel momento ogni anima umana, ma è stata riempita d'una grazia immensa che l'ha resa, fin da quell'istante, lo specchio della santità di Dio stesso, nella misura che è possibile per un essere creato.

Questa sospensione della legge emessa dalla giustizia divina contro tutta la posterità dei nostri progenitori era motivata dal rispetto che Dio ha per la sua stessa santità. I rapporti che Maria doveva avere con la divinità, essendo non soltanto la Figlia del Padre celeste, ma chiamata a divenire la stessa Madre del Figlio e il Santuario ineffabile dello Spirito Santo, questi rapporti esigevano che nulla di immondo vi fosse, anche per un solo istante, nella creatura predestinata a così intime relazioni con l'adorabile Trinità; che nessun'ombra avesse mai oscurato in Maria la purezza perfetta che Dio sommamente santo vuol trovare anche negli esseri che chiama a godere in cielo della sua semplice visione; in una parola, come dice il grande Dottore sant'Anselmo: "Era giusto che fosse ornata d'una purezza superiore alla quale non se può concepire una maggiore se non quella di Dio stesso, questa vergine a cui Dio Padre doveva dare il Figlio suo in un modo tanto speciale, in quanto quel Figlio sarebbe divenuto per natura il Figlio comune ed unico di Dio e della Vergine; questa Vergine che il Figlio doveva eleggere per farne sostanzialmente la Madre sua, e nel seno della quale lo Spirito Santo voleva operare la concezione e la nascita di Colui dal quale egli stesso procedeva" (De Conceptu Virginali, cap. xviii).

Nello stesso tempo, le relazioni che il figlio di Dio doveva contrarre con Maria, relazioni ineffabili di tenerezza e di rispetto filiale, essendo state eternamente presenti al suo pensiero, obbligano a concludere che il Verbo divino ha provato per quella Madre che doveva avere nel tempo, un amore di natura infinitamente superiore a quello che provava per tutti gli esseri creati dalla sua potenza. L'onore di Maria gli è stato caro sopra ogni cosa, perché doveva essere la Madre sua, e lo era già nei suoi eterni e misericordiosi disegni. L'amore del Figlio ha dunque protetto la Madre; e se quest'ultima, nella sua sublime umiltà, non ha respinto alcuna delle condizioni alle quali sono sottomesse tutte le creature di Dio, alcuna delle esigenze stesse della legge di Mosè che non era stata emessa per lei, la mano del Figlio divino ha annullato per essa l'umiliante barriera che trattiene ogni figlio di Adamo che viene in questo mondo e gli chiude il sentiero della luce e della grazia, fino a quando non sia stato rigenerato in una nuova nascita.

Il Padre celeste non poteva fare per la nuova Eva meno di quanto aveva fatto per l'antica, la quale fu costituita fin da principio, al pari del primo uomo, nello stato di santità originale in cui non seppe mantenersi. Il Figlio di Dio non poteva soffrire che la donna dalla quale avrebbe attinto la sua natura umana avesse alcunché da invidiare a colei che era stata la madre di prevaricazione. Lo Spirito Santo, che doveva coprirla con la sua ombra e renderla feconda con la sua divina operazione, non poteva permettere che la sua Diletta fosse anche per un solo istante intaccata dalla vergognosa macchia nella quale noi siamo concepiti. La sentenza è universale, ma una madre di Dio doveva esserne esente. Dio autore della legge, Dio che ha posto liberamente tale legge, non era padrone forse di esentarne colei che aveva destinata ad esserle unita in tanti modi? Lo poteva, e lo doveva: quindi l'ha fatto.
Non era forse questa gloriosa eccezione che egli stesso annunciava nel momento in cui comparvero dinanzi alla sua maestà offesa i due prevaricatori dai quali noi siamo usciti? La promessa misericordiosa discendeva su noi nell'anatema che cadeva sul serpente: "Porrò io stesso - diceva Dio - una inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e il suo frutto; ed essa ti schiaccerà il capo". Così era annunciata la salvezza alla famiglia umana sotto la forma di una vittoria contro Satana; e questa vittoria è la Donna che doveva riportarla per tutti noi. E non si dica che sarà solo il figlio della donna a riportare tale vittoria: il Signore ci dice che l'inimicizia della donna contro il serpente sarà personale, e che, con il suo piede vittorioso, essa schiaccerà il capo dell'odioso rettile; in una parola, che la nuova Eva sarà degna del nuovo Adamo, vittoriosa come lui; che la stirpe umana un giorno sarà vendicata, non solo dal Dio fatto uomo, ma anche dalla Donna miracolosamente sottratta ad ogni contagio del peccato; di modo che la creazione primigenia nella santità e nella giustizia (Ef 4,24) riapparirà in essa, come se non fosse stata commessa la prima colpa. Rialzate dunque il capo, figli di Adamo, e scuotete le vostre catene. Oggi l'umiliazione che pesava su di voi è annientata. Ecco che Maria la quale è vostra carne e vostro sangue, ha visto retrocedere davanti a sé il torrente del peccato che trascina tutte le generazioni: l'alito del drago infernale si è distolto per non contaminarla; la primiera dignità della vostra origine è in essa ristabilita. Salutate dunque questo giorno benedetto in cui è rinnovata la primitiva durezza del vostro sangue: è apparsa la nuova Eva; e dal suo sangue che è anche il vostro, salvo il peccato, essa vi darà tra poche ore, il Dio-uomo che procede da lei secondo la carne come viene dal Padre suo per eterna generazione.

E come potremmo non ammirare la purezza incomparabile di Maria nella sua immacolata concezione, quando sentiamo, nel divino Cantico, lo stesso Dio, che così l'ha preparata per essere la Madre sua, dirle con l'accento d'una compiacenza piena d'amore: "Sei tutta bella, o mia diletta, e in te non vi è alcuna macchia" (Ct 4,7)? È il Dio di ogni santità che parla; il suo occhio che tutto penetra non scopre in Maria alcuna traccia, alcuna cicatrice di peccato; ecco perché si compiace in lei e la felicita del dono che si è degnato di farle. Dopo di ciò stupiremo ancora che Gabriele, disceso dal cielo per recarle il divino messaggio, sia preso d'ammirazione alla vista di quella purezza della quale il punto di partenza è stato tanto glorioso, e i progressi senza limiti? Che si inchini profondamente dinanzi a simile meraviglia e dica: "Ave, Maria, piena di grazia"? Gabriele vive la sua vita immortale al centro di tutte le bellezze della creazione, di tutte le ricchezze del cielo; è il fratello dei Cherubini e dei Serafini, dei Troni e delle Dominazioni; il suo sguardo percorre senza posa le nove gerarchie angeliche dove la luce e la santità risplendono sovranamente, aumentando sempre di grado in grado; ma ecco che ha trovato sulla terra, in una creatura di rango inferiore agli Angeli, la pienezza della grazia, di quella grazia che è stata data solo limitatamente agli Spiriti celesti, e che abita in Maria fin dal primo istante della sua creazione. È la futura Madre di Dio sempre santa, sempre pura, sempre immacolata.

Questa verità rivelata agli Apostoli dal divin Figlio di Maria, ricevuta dalla Chiesa, insegnata dai santi Dottori, creduta con fedeltà sempre maggiore dal popolo cristiano, era contenuta nella nozione stessa di Madre di Dio. Credere Maria Madre di Dio significava già credere implicitamente che colei in cui doveva realizzarsi questo titolo sublime non aveva avuto mai nulla di comune con il peccato, e che Dio l'avrebbe in ogni modo preservata. Ma d'ora in poi l'onore di Maria è fondato sulla sentenza esplicita che ha dettato lo Spirito Santo. Pietro ha parlato per bocca di Pio IX; e quando Pietro ha parlato, ogni fedele deve credere, poiché il Figlio di Dio ha detto: "Ho pregato per te, o Pietro, perché non venga meno la tua fede" (Lc 22,32); e ha detto ancora: "Vi manderò lo Spirito di verità che rimarrà con voi per sempre, e vi farà ricordare tutto ciò che vi ho insegnato" (Gv 14,26).
Il simbolo della nostra fede ha dunque acquistato non una nuova verità, ma una nuova luce sulla verità, che era già in precedenza oggetto della credenza universale. In questo giorno, il serpente infernale ha sentito di nuovo la vittoriosa pressione del piede della Vergine Madre e il Signore si è degnato di darci il pegno più prezioso delle sue misericordie. Egli ama ancora questa terra colpevole, poiché si è degnato di illuminarla tutta con uno dei più bei raggi della gloria della Madre sua. Non ha forse trasalito questa terra? Qualche cosa di grande si compì in questa metà del XIX secolo, e attenderemo d'ora innanzi i tempi con maggiore fiducia, poiché, se lo Spirito Santo ci avverte di temere per i giorni in cui le verità diminuiscono presso i figli degli uomini, ci dice abbastanza chiaramente con ciò che dobbiamo considerare come beati i giorni in cui le verità aumentano per noi in luce e in autorità.

Nell'attesa della solenne proclamazione di questo dogma, la santa Chiesa lo confessava già ogni anno celebrando la festa di oggi.
Tale festa non era chiamata, è vero, l'Immacolata Concezione, ma semplicemente la Concezione di Maria. Tuttavia, il fatto della sua istituzione e della sua celebrazione esprimeva già abbastanza la credenza della cristianità. San Bernardo e il Dottore Angelico concordano nell'insegnare che la Chiesa non può celebrare la festa di ciò che non è santo; la Concezione di Maria fu dunque santa ed immacolata, perché la Chiesa, da tanti secoli, l'onora con una festa speciale. La Natività di Maria è oggetto d'una solennità nella Chiesa, perché Maria nacque piena di grazia; se dunque il primo istante della sua esistenza fosse stato segnato dal comune contagio, la sua Concezione non avrebbe potuto essere oggetto d'un culto. Ora, vi sono poche feste così universali e meglio stabilite nella Chiesa di quella che celebriamo oggi.
Come potrebbero gli uomini non porre tutta la loro gioia nell'onorarti, o divina aurora del Sole di giustizia? Non rechi forse ad essi, in questi giorni, la notizia della loro salvezza? Non sei forse, o Maria, quella radiosa speranza che viene d'un tratto a brillare nel seno stesso dell'abisso della desolazione? Che cosa saremmo diventati senza il Cristo che viene a salvarci? e tu sei la sua Madre sempre diletta, la più santa delle creature di Dio, la più pura delle vergini, la più amante delle madri!

O Maria, che la tua dolce luce allieti deliziosamente i nostri occhi stanchi! Di generazione in generazione, gli uomini si succedevano sulla terra; guardavano il cielo con inquietudine, sperando ad ogni istante di veder spuntare all'orizzonte l'astro che avrebbe dovuto strapparli all'errore delle tenebre; ma la morte aveva chiuso i loro occhi, prima che avessero anche solo potuto intravvedere l'oggetto dei loro desideri. Era riserbato a noi di vederti ascendere radiosa, o Stella splendente del mattino, i cui raggi benedetti si riflettono sulle onde del mare, e gli arrecano la calma dopo una notte di tempesta! Oh, prepara i nostri occhi a contemplare lo splendore vittorioso del sole divino che s'avanza dietro a te! Prepara i nostri cuori, poiché è ai nostri cuori che egli vuol rivelarsi. Ma per meritare di vederlo, i nostri cuori bisogna che siano puri; preparali dunque tu che sei la Immacolata e la Purissima! Fra tutte le feste che la Chiesa ha consacrate in tuo onore, la divina Sapienza ha voluto che quella della tua Concezione immacolata si celebrasse in questi giorni dell'Avvento, affinché i figli della Chiesa, pensando con quale divina gelosia il Signore ha preso cura di allontanare da te ogni contatto di peccato, in onore di Colui del quale dovevi essere la Madre, si preparassero anch'essi a riceverlo con la rinuncia assoluta a tutto ciò che è peccato e affetto al peccato. Aiutaci, o Maria, ad operare questo grande cambiamento. Distruggi in noi, con la tua Concezione Immacolata, le radici della cupidigia, spegni le fiamme della voluttà, abbassa le alture della superbia. Ricordati che Dio ti ha scelta come sua abitazione per venire quindi a porre la sua dimora in ciascuno di noi.

O Maria, Arca dell'alleanza formata di legno incorruttibile, rivestita del più puro oro, aiutaci a corrispondere ai disegni ineffabili del Dio che, dopo essersi glorificato nella tua incomparabile purezza, vuole ora glorificarsi nella nostra indegnità, e non ci ha strappati al demonio che per fare di noi il suo tempio e la sua più diletta dimora. Vieni in nostro aiuto tu che, per la misericordia del Figlio tuo, non hai mai conosciuto il peccato, e ricevi in questo giorno i nostri omaggi. Poiché tu sei l'Arca di Salvezza che galleggia sola sulle acque del diluvio universale; il bianco Vello bagnato di celeste rugiada mentre tutta la terra rimane nella siccità; la Fiamma che le acque immani non hanno potuto spegnere; il Giglio che fiorisce fra le spine; il Giardino chiuso al serpente infernale; la Fonte sigillata, la cui limpidezza non fu mai intorbidata; la Casa del Signore sulla quale i suoi occhi si sono sempre posati e nella quale non può entrare nulla di immondo; la mistica città di cui si narrano tante meraviglie (Sal 86). Noi troviamo gusto nel ripetere i tuoi titoli d'onore, o Maria, poiché ti amiamo, e la gloria della Madre è anche dei figli. Continua a benedire e a proteggere coloro che onorano il tuo augusto privilegio nel giorno della tua concezione; e affrettati a nascere, a concepire l'Emmanuele, a darlo alla luce e a mostrarlo al nostro amore.
EPISTOLA (Pr 8,22-35). - Il Signore mi possedette all'inizio delle sue opere, fin da principio, avanti la creazione. Ab aeterno fui stabilita, al principio, avanti che fosse fatta la terra: non erano ancora gli abissi ed io ero già concepita. Non ancora le sorgenti delle acque rigurgitavano, non ancora le montagne s'eran formate sulla grave mole. Prima delle colline io ero partorita. Egli non aveva fatto ancora né la terra, né i fiumi, né i cardini del mondo. Quando preparava i cieli io ero presente, quando con legge inviolabile chiuse sotto la volta l'abisso, quando rese stabile in alto la volta celeste e vi sospese le fonti delle acque, quando fissava al mare i suoi confini e dava legge alle acque di non passare il loro termine, quando gettava i fondamenti della terra io ero con lui a ordinare tutte le cose. Sempre nella gioia scherzavo dinanzi a lui continuamente, scherzavo nell'universo: è mia delizia stare coi figli degli uomini. Or dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Ascoltate i miei avvisi per diventare saggi, non li ricusate. Beato l'uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno alla mia porta, ed aspetta all'ingresso della mia casa. Chi troverà me avrà trovata la vita, e riceverà dal Signore la salute.

L'Apostolo ci insegna che Gesù, il nostro Emmanuele, è il primogenito di ogni creatura (Col 1,15). Queste profonde parole significano che egli è, in quanto Dio, eternamente generato dal Padre; ma esprimono inoltre che il Verbo divino, in quanto uomo, è anteriore a tutti gli esseri creati. Tuttavia questo mondo era uscito dal nulla e il genere umano abitava questa terra da lunghi secoli quando il Figlio di Dio si unì ad una natura creata. È dunque nell'eterna intenzione di Dio, e non nell'ordine dei tempi che bisogna cercare questa anteriorità dell'Uomo-Dio su ogni creatura. L'Onnipotente ha innanzitutto risoluto di dare al suo eterno Figlio una natura creata, la natura umana, e in seguito a una tale risoluzione, di creare perché fossero il dominio di quell'Uomo-Dio tutti gli esseri spirituali e corporali. Ecco perché la divina Sapienza, il Figlio di Dio, nel brano della scrittura che la Chiesa ci presenta oggi e che abbiamo or ora letto, insiste sulla sua preesistenza rispetto a tutte le creature che formano questo mondo. Come Dio, egli è generato da tutta l'eternità nel seno del Padre suo; come uomo, era nel pensiero di Dio il tipo di tutte le creature, prima che esse fossero uscite dal nulla. Ma il figlio di Dio, per essere un uomo come noi secondo il decreto divino, doveva nascere nel tempo, e nascere da una Madre: questa Madre è stata dunque eternamente presente al pensiero di Dio come il mezzo con il quale il Verbo assumeva la natura umana. Il Figlio e la Madre sono dunque uniti nello stesso piano dell'Incarnazione; Maria era dunque presente come Gesù nel decreto divino, prima che la creazione uscisse dal nulla. Ecco, perché, fin dai primi tempi del cristianesimo, la santa Chiesa ha riconosciuto la voce della Madre unita a quella del Figlio in questo sublime passo del libro sacro, ed ha voluto che si leggesse nell'assemblea dei fedeli, come gli altri passi analoghi della Scrittura, nelle solennità della Madre di Dio. Ma se Maria ha un'importanza tale nel piano eterno; se, come il Figlio suo, è in quel senso prima di ogni creatura, poteva Dio permettere che fosse soggetta al contagio originale nel quale incorre tutta la specie umana? Senza dubbio essa sarebbe nata a sua volta, come pure il Figlio, in un tempo determinato; ma la grazia avrebbe deviato il corso del torrente che trascina tutti gli uomini, affinché non fosse neanche toccata e trasmettesse al Figlio suo, che doveva essere ancora il Figlio di Dio, l'essere umano primogenito che fu creato nella santità e nella giustizia.

VANGELO (Lc 1,26-28). - In quel tempo: l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea detta Nazareth, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrata da lei, l'Angelo disse: Salute, o piena di grazia: il Signore è teco! Benedetta tu fra le donne!

Questo è il saluto che reca a Maria l'Arcangelo disceso dal cielo. Tutto vi spira ammirazione e umilissimo rispetto. Il santo Vangelo ci dice che a quelle parole la Vergine si sentì turbata, e chiedeva a se stessa che cosa potesse significare simile saluto. Le Sacre Scritture ne riportano parecchi altri e - come notano i Padri, sant'Ambrogio e sant'Andrea di Creta seguendo Origene - che non ve n'è uno che contenga simili elogi. La Vergine prudente dové dunque stupire di essere l'oggetto di un linguaggio così lusinghiero, e - come rilevano gli autori dell'antichità - dové pensare al colloquio fra Eva e il serpente. Si chiuse dunque nel silenzio, e attese, per rispondere se l'Arcangelo avesse parlato per la seconda volta.

Tuttavia Gabriele aveva parlato non solo con tutta l'eloquenza, ma anche con tutta la profondità di uno spirito celeste iniziato ai pensieri divini; e nel suo linguaggio sovrumano annunciava che era giunto il momento in cui Eva si trasformava in Maria. Davanti a lui c'era una donna destinata alle più sublimi grandezze, la futura Madre di Dio; ma in quell'istante solenne Maria era ancora solo una figlia degli uomini. Ora, in quel primo stato, calcolate la santità di Maria quale la descrive Gabriele, e comprenderete che l'oracolo divino del paradiso terrestre ha già ricevuto in essa il compimento.

L'Arcangelo la proclama piena di grazia. Che cosa significa ciò, se non che la seconda donna possiede in sé l'elemento di cui il peccato privò la prima? E notate che non è detto solo che opera in essa la grazia divina ma che ne è ripiena. "In altri abita la grazia - dice san Pier Crisologo - ma in Maria abita la pienezza della grazia". In essa tutto risplende della purezza divina, e il peccato non ha mai gettato la sua ombra sulla sua bellezza. Volete conoscere la portata dell'espressione angelica? Chiedetela alla lingua stessa di cui si è servito il narratore di simile scena. I grammatici ci insegnano che l'unico termine che egli usa sorpassa ancora quello che noi esprimiamo con "piena di grazia". Non solo esprime lo stato presente, ma anche il passato, una incorporazione innata della grazia, la sua attribuzione piena e completa e la sua permanenza totale. È stato necessario mitigare il termine nel tradurlo.

Se poi cerchiamo un testo analogo nelle Scritture, per penetrare i termini della traduzione mediante un raffronto, possiamo interrogare l'Evangelista san Giovanni. Parlando dell'umanità del Verbo incarnato, egli la designa con una parola sola: dice che è "piena di grazia e di verità". Ma questa pienezza sarebbe reale se fosse stata precduta da un solo momento in cui il peccato occupava il posto della grazia? Si chiamerà forse pieno di grazia chi avesse avuto bisogno di essere purificato? Senza dubbio bisogna tener conto rispettosamente della distanza che separa l'umanità del Verbo incarnato dalla persona di Maria nel cui seno il Figlio di Dio ha attinto quella umanità; ma il testo sacro ci costringe a confessare che la pienezza della grazia ha regnato proporzionalmente nell'una e nell'altro.

Gabriele continua ad enumerare le ricchezze soprannaturali di Maria. "Il Signore è con te", le dice. Che cosa significa questo, se non che prima di aver concepito il Signore nel suo purissimo seno, Maria lo possiede già nell'anima sua? Ora, queste parole potrebbero forse ancora aver ragione di essere se si dovesse intendere che quella unione con Dio non è stata perpetua e che è avvenuta solo dopo l'espulsione del peccato? Chi oserebbe dirlo? Chi oserebbe pensarlo, quando il linguaggio dell'Arcangelo è di tanta gravità? Chi non sente qui il contrasto tra Eva nella quale non abita più il Signore, e la seconda donna che, avendolo ricevuto in se stessa come Eva, fin dal primo istante della sua esistenza, l'ha custodito con la sua fedeltà essendo rimasta così come fu fin dal principio?
Per ancor meglio l'intenzione del discorso di Gabriele che ha annunciato il compimento dell'oracolo divino e indica qui la donna promessa come strumento della vittoria su satana, ascoltiamo le ultime parole del saluto. "Tu sei benedetta fra le donne": che cosa significa questo, se non che, essendo stata ogni donna, da Eva in poi, sotto la maledizione, condannata a partorire nel dolore, ecco ora l'unica, colei che è sempre stata nella benedizione, che è stata l'eterna nemica del serpente, e che darà senza dolore il frutto del suo seno?

L'Immacolata Concezione di Maria è dunque espressa nel saluto che le rivolge Gabriele; e comprendiamo ora il motivo che ha portato la santa Chiesa a scegliere quel brano del Vangelo per farlo leggere oggi nell'assemblea dei fedeli.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 280-289 Immacolata concezione della Santissima Vergine | Purificazione della Santissima Vergine | Apparizione dell'Immacolata Vergine Maria | Annunciazione della Vergine Santissima | Festa di Maria Ausiliatrice | Festa della Beata Vergine Maria Regina | Visitazione della Santissima Vergine | Commemorazione della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo | Madonna della Neve | Vigilia dell'Assunzione di Maria Santissima | Assunzione della Beata Vergine in cielo | Festa del Cuore Immacolato di Maria | Natività della Beata Vergine Maria | Il Santo Nome di Maria | Festa dei Sette Dolori della Beata Vergine | Madonna della Mercede | Festa del Rosario | Maternità della Beata Vergine | Presentazione di Maria SS. al Tempio

Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis

L'OFFICIO o breviario STRAPAZZATO



L'OFFICIO STRAPAZZATO

Due cose troppo grandi ed importanti si fanno da coloro che son deputati dalla chiesa a recitare il divino officio: si loda e si onora Dio, ed insieme s'impetrano le divine misericordie a tutto il popolo cristiano. 

* In primo luogo dunque coll'officio si onora la maestà suprema del nostro Dio:Sacrificium laudis honorificabit meet illic iter, quo ostendam illi salutare Dei. Io mi dichiaro onorato, dice il Signore, da chi mi offerisce sagrifici di lode; ed ivi troverà egli la via di ottenere la salute eterna. S. Maria Maddalena de' Pazzi, quando udiva il segno dell'officio, tutta si consolava e subito correva al coro, pensando ch'era chiamata a far l'officio degli angeli che sempre stanno a lodare Dio. E questo appunto è stato l'intento della chiesa, in destinare i suoi ministri a cantar le divine lodi, acciocché gli uomini in questa terra si unissero co' beati ad onorare il comun Creatore:
Sed Illa sedes coelitum Semper, exultat laudibus: Illi canentes iungimur Almae Sionis aemuli.
Dice s. Gregorio Nazianzeno che il canto de' salmi è il preludio delle lodi colle quali è onorato il Signore dai santi in cielo: Psalmorum cantus illius (coelestis) hymnodiae praeludium est. Sicché, come dice Tertulliano, noi recitando le ore canoniche acquistiamo quasi già il possesso del paradiso, facendo lo stesso officio che fanno i cittadini di quella bella patria beata. Quindi s. Caterina di Bologna sentiva tal giubilo nel recitar l'officio, che desiderava di finir la vita salmeggiando.

* In secondo luogo coll'officio si ringrazia Dio delle grazie ch'egli continuamente dispensa agli uomini, e si ottengono a' peccatori le sue divine misericordie. Dovrebbero tutt'i fedeli continuamente impiegarsi a ringraziare il Signore de' suoi benefici; e poiché tutti in questa terra han continuo bisogno del divino aiuto per resistere agli assalti de' nemici e per conseguire l'eterna salute, dovrebber tutti continuamente colle preghiere implorare i soccorsi della sua misericordia; ma perché i secolari vivono troppo distratti negli affari del mondo, perciò la santa chiesa ha destinati i suoi ministri, che in nome di lei e di tutto il popolo cristiano preghino sua divina Maestà in tutte l'ore del giorno. Che però l'officio è diviso in sette ore canoniche, affinché in ogni ora vi sia chi preghi per tutti e preghi nel miglior modo che si possa pregare, giacché l'officio divino non è altro che un memoriale che ci ha imposto lo stesso Dio per meglio esaudire le nostre preghiere, e soccorrere alle nostre necessità, giusta quel che ne dice per Isaia: Posui verba mea in ore tuo. A guisa d'un principe che desidera sollevare i suoi vassalli dalle loro miserie, e perciò egli stesso compone loro la supplica, onde lo preghino come si dee, e così egli possa meglio consolarli. Cento preghiere private non posson giungere al valore che ha una sola preghiera fatta nell'officio, perché questa è presentata a Dio in nome di tutta la chiesa, e gli è fatta colle stesse sue divine parole. Quindi dicea s. Maria Maddalena de' Pazzi, che a comparazione dell'officio ogni altra orazione o divozione è poco meritoria ed efficace appresso Dio. Persuadiamoci che dopo il santo sacrificio della messa non v'è nella chiesa maggior capitale e tesoro che l'officio divino, da cui possiamo ogni giorno ricavar fiumi di grazie.

Ma dice s. Gregorio che la vera orazione non consiste solamente nella pronunzia delle parole, ma anche nell'attenzione del cuore; mentre molto più vagliono ad impetrar le divine misericordie i nostri buoni desideri, che le nostre semplici voci: Vera postulatio non est in vocibus, sed in cogitationibus cordis; valentiores namque voces apud aures Dei non faciunt verba nostra, sed desideria. È necessario pertanto, se vogliamo piacere a Dio, orare non solo colla voce, ma collo spirito e colla mente, come facea l'apostolo: Psallam spiritu, psallam et mente.
Oh se i sacerdoti ed i religiosi dicessero tutti l'officio come si dee, non si vedrebbe certamente la chiesa nello stato deplorabile in cui si vede! Quanti peccatori uscirebbero dalla schiavitù del demonio, e quante anime amerebbero Dio con più fervore! ed i medesimi sacerdoti non si vedrebbero sempre gli stessi imperfetti, quali sempre si osservano, iracondi, golosi, attaccati all'interesse ed alle vanità. Ha promesso il Signore di esaudire ognuno che lo prega: Omnis enim qui petit, accipit. E come poi va che quel sacerdote fa mille preghiere in ogni giorno nel solo officio divino che recita, e non è mai esaudito? è sempre così debole e facile ricadere, non solo in colpe leggiere (nelle quali è abituato, senza però che se ne prenda pena né cura d'emendarsene), ma ancora in peccati gravi contro la carità, la giustizia o la castità; onde il misero, recitando le ore, egli stesso viene a maledirsi, quando dice: Maledicti qui declinant a mandatis tuis. E quel ch'è peggio, poco rimorso ne sente, scusandosi che, ancor esso è di carne come tutti gli altri, e che non si fida contenersi. Ma s'egli dicesse l'officio non così distratto e strapazzato come lo dice, ma divoto e raccolto, accompagnando col cuore le tante preghiere che in quello porge a Dio, non sarebbe al certo così debole com'è, ma acquisterebbe spirito e forza di resistere a tutte le tentazioni e di far vita santa, degna d'un sacerdote.

Ma, dice s. Gregorio, come può il Signore esaudire le domande di colui il quale, non sa, quello che domanda, e neppur desidera d'esser esaudito? Illam orationem non audit Deus, cui, qui orat, non intendit. E come tu puoi pretendere, soggiunge s. Cipriano, di essere inteso da Dio, quando tu non intendi te stesso? Quomodo te audiri postulas, cum te ipsum non audias? Dicea l'apostolo che non può essere fatta con frutto quell'orazione ch'è proferita dalla sola lingua senza l'attenzion della mente: Si orem lingua, mens autem mea sine fructu est. Sicché l'orazione fatta con attenzione ed affetto è quel fumo odoroso ch'è molto grato a Dio, e ne riporta tesori di grazie; così per contrario l'orazione indivota e distratta è un fumo puzzolente che muove a sdegno Dio e ne riporta castighi.

Di ciò appunto Iddio si lamentò un giorno con s. Brigida, dicendole che i sacerdoti perdono tanto tempo tutto giorno, trattenendosi a parlar con amici di cose di mondo, e poi si danno tanta fretta parlando con esso nel recitar l'officio, col quale in vece di onorarlo più presto lo disonorano. Perciò dicea s. Agostino che, più piace a Dio il latrato de' cani, che il canto di tali sacerdoti. Oh Dio! qual risentimento non farebbe un principe, se vedesse un vassallo che, mentre lo sta pregando di qualche grazia, sta tutto distratto, discorrendo con altri e pensando ad altre cose, e perciò non sa che si dice? Quindi scrisse l'angelico, che non può scusarsi da peccato ognuno che facendo orazione (benché senza obbligo), volontariamente si divaga colla mente, mentre par che costui voglia disprezzare Dio, siccome fa quegli che, parlando con una persona, non attende a quello che dice: Non est absque peccato quod aliquis orando evagationem mentis patiatur: videtur enim contemnere Deum, sicuti si alicui homini loqueretur, et non attenderet ad ea quae ipse profert.

Ohimè! di quanti sacerdoti si lagnerà il Signore, come si lagnò una volta de' giudei: Populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a me! E di quanti potrà anche dirsi quel che scrisse Pietro Blessense: Labia sunt in canticis, et animus in patinis! La loro bocca sta impiegata ne' salmi, ma il cuore sta nei piatti, applicato a pensare come meglio possono contentare la gola, o pure la vanità, l'ingordigia de' danari, o di altre simili cose di terra. Disse il concilio di Treveri:Quid est voce psallere, mente autem domum aut forum circuire, nisi homines fallere, et Deum irridere? Che altro è mai il salmeggiar colla voce, e colla mente andar poi girando per le case e per le piazze, se non ingannare gli uomini, facendo lor credere ch'essi lodino Dio, quando più presto eglino lo deridono parlandogli colla bocca, ma tenendo il cuore in ogni altra cosa occupato, fuorché in lodarlo e pregarlo. Quindi (giustamente conclude s. Basilio) essendo vero che per impetrare le grazie bisogna pregare con attenzione e con fervore, colui dunque che orerà colla mente divagata in cose impertinenti, non solo non impetrerà grazie, ma provocherà maggiormente il Signore a sdegno: Divinum auxilium est implorandum non remisse, nec mente huc vel illuc evagante; eo quod talis non solum non impetrabit, sed magis Dominum irritabit.

Disse il Signore per Malachia, che egli maledice le lodi che gli danno quei sacerdoti, i quali colla sola voce lo benedicono, ma tengono il cuore in ogni altra cosa occupato, fuorché in dargli onore e gloria: Et nunc ad vos mandatum hoc, o sacerdotes, si nolueritis ponere super cor, ut detis gloriam nomini meo, ait Dominus exercituum... maledicam benedictionibus vestris. Quindi a quel misero sacerdote che dice l'officio così strapazzato avviene appunto quel che si dice nel salmo 108: Diabolus stet a dexteris eius; cum iudicatur exeat condemnatus et oratio eius fiat in peccatum. Mentre recita quelle divine lodi, or tra' denti, or dimezzando le parole, or parlando e burlando con altri, e colla mente tutta dissipata e distratta in affari e piaceri di terra, allora l'assiste a lato il demonio; la sua mercede per tale officio sarà la condannazione eterna, poiché la medesima sua orazione gli è imputata a peccato, per la maniera indegna con cui la fa, e ciò appunto significano quelle parole: Et oratio eius fiat in peccatum.

E perciò il demonio tanto si affatica, in tempo che recitiamo l'officio, a metterci innanzi gli occhi della mente tante faccende, desideri e pensieri di mondo, acciocché noi, occupando in quelli, perdiamo ogni frutto che dall'officio potremmo ricavare, e di più ci rendiamo rei avanti a Dio del poco rispetto, con cui lo trattiamo. Ma per lo stesso caso dobbiamo noi mettere tutta la cura per recitar le divine lodi coll'attenzione dovuta. Dicea un saggio religioso, che quando mancasse il tempo, bisogna abbreviar anche l'orazione mentale, e dar più tempo all'officio, per dirlo con quella divozione che gli si conviene. A proposito di ciò sta scritto nelle regole de' certosini:Spiritus sanctus gratum non recipit quidquid aliud, quam quod debes, obtuleris neglecto eo quod debes. Non gradisce Dio qualunque altra cosa tu gli offerisca di divozione, se poi trascuri quello a cui sei obbligato.
Ma lasciamo ogni altra riflessione, e veniamo, alla pratica, per recitare l'officio con quell'attenzione e divozione che si dee. Prima d'ogni altra cosa, dice s. Giovan Grisostomo, che in entrare nella chiesa (o in prender in mano il breviario) per soddisfare all'obbligo dell'officio divino, bisogna lasciare avanti la porta e licenziar da noi tutti i pensieri di mondo: Ne quis ingrediatur templum curis onustus mundanis, haec ante ostium deponamus. Ciò appunto è quel che esorta lo Spirito santo: Ante orationem praepara animam tuam. Considera che allora t'incarica la chiesa come suo ministro di andare a lodare il Signore, e ad impetrare le sue divine misericordie per tutti gli uomini, immaginati che ivi ti stanno attendendo gli angeli, come vide una volta il b. Ermando, con turiboli alla mano, per offerire a Dio le tue orazioni qual incenso odoroso di santi affetti, secondo dice il salmista: Dirigatur oratio mea, sicut incensum in conspectu tuo. Che perciò l'apostolo s. Giovanni vide gli angeli i quali habebant phialas plenas odoramentorum, quae sunt orationes sanctorum. Pensa insomma che allora vai a parlare con Dio ed a trattar seco lui del bene tuo e di tutta la chiesa; e sappi che allora egli ti sta guardando con più amore, e maggiormente tiene aperto l'orecchio alle dimande che tu gli presenti.

Per tanto al principio offeriscigli quelle lodi in suo onore e pregalo che ti liberi dalle distrazioni, e ti dia luce ed aiuto per lodarlo e pregarlo come si dee; ed a questo fine recita con attenzione la solita orazione: Aperi, Domine, os meum ad benedicendum etc. In cominciando l'officio non ti dar fretta per terminarlo quanto più presto si può, come fanno taluni, e volesse Dio che non fossero la maggior parte! Oh Dio mio! già si fa la fatica, l'officio già si dice, e poi per non mettervi un poco più di tempo, che vi vuole per dirlo con divozione, vogliamo dare disgusto a Dio, e perderci le grazie ed i meriti che potremmo guadagnarci, dicendo l'officio coll'applicazione che vi bisogna.

Conviene ancora mettersi in sito decente e modesto. Se non vogliamo dirlo inginocchioni o in piedi, almeno sedendo procuriamo di non istare scomposti. Narrasi che mentre due religiosi recitavano il mattutino scompostamente assisi, e quasi buttati sul letto, comparve un demonio che sparse ivi una puzza intollerabile, e poi disse per ischerno: a quest'orazione che voi fate questo incenso si conviene: Ad talem orationem tale debetur incensum. Gioverà molto per dir l'officio con divozione mettersi innanzi alle immagini del Crocifisso e di Maria ss.; affinché di quando in quando rimirandole possiamo rinnovar l'intenzione e gli affetti divoti.

Applicatevi intanto, mentre recitate i salmi, se volete ricavarne gran frutto, a rinnovare di tempo in tempo l'attenzione e gli affetti: Ne quod tepescere coeperat (dice s. Agostino), omnino frigescat, et penitus extinguatur, nisi crebrius inflammetur. Acciocché la divozione che col progresso si raffredda affatto non si estingua, se spesso non si attende ad infervorarla. Già è noto che di tre sorte è l'attenzione che può mettersi all'officio; e parlo qui dell'attenzione interna, perché in quanto all'esterna è ben necessario che ci asteniamo da ogni azione ch'è incompossibile coll'interna, come sarebbe lo scrivere, il discorre con altri, o il mettersi di proposito ad ascoltare altri che parlano, e cose simili che richiedono molta applicazione della mente. E di più bisogna qui notare quel che avvertono i dottori, cioè che si pongono a gran pericolo di non soddisfare all'officio coloro che lo recitano nelle piazze o in altri luoghi molto esposti alle distrazioni. Ma ritornando all'attenzione interna, questa può aversi in tre modi, alle parole, al senso, e a Dio, come insegnano comunemente i teologi coll'angelico, il quale dice:
Triplex est attentio quae orationi vocali potest adhiberi: Una quidem, qua attenditur ad verba, ne aliquis in eis erret: Secunda, qua attenditur ad sensum verborum: Tertia, qua attenditur ad finem orationis, scilicet ad Deum et ad rem pro qua oratur.

La prima attenzione dunque è alle parole, applicandosi la persona a proferir bene le parole, cioè intiere e distinte. La seconda è al senso, attendendo a comprendere il significato delle parole, affin di congiungervi anche l'affetto del cuore. La terza, ch'è la migliore, è a Dio, stando colla mente a Dio (mentre si ora) adorandolo, ringraziandolo, o amandolo, o pure chiedendogli le sue grazie. La prima attenzione, sempre che vi è stata a principio l'intenzione di orare, basta per soddisfare all'obbligo, non astringendo la chiesa ad altro, come insegna s. Tommaso in altro luogo: Prima est attentio ad verba, quibus petimus, deinde ad petitionem ipsam: et quaecumque earum attentionum adsit, non est reputanda inattenta oratio. Ma chi dice l'officio con questa sola e nuda attenzione alle parole, senza alcuna applicazione delle due altre attenzioni, non lo dirà mai con divozione né senza molti difetti né con molto frutto. E qual gran frutto mai può riportare dal suo officio quel sacerdote che attende solo a recitarlo colla bocca, cercando di sbrigarlo quanto può, per liberarsi presto da quel peso come chi avesse a scaricarsi da un fascio di legna che tiene sulle spalle? o pure come chi si facesse forza per inghiottir presto una pillola amara? Peggio poi, se in mezzo alla recitazione non lascia di dissiparsi or girando gli occhi d'intorno a mirar oggetti distrattivi, ed ora talvolta frammezzandovi anche parole impertinenti. Narra s. Bonaventura, che in Parigi, mentre un buon sacerdote dicea l'officio, un certo prelato l'interrogò d'un affare, ma egli altro non rispose, se non che stava parlando con un personaggio più degno di lui, e perciò non potea soddisfarlo, ed inchinando la testa seguì a recitare. All'incontro, riferisce il medesimo santo che un altro ecclesiastico per causa delle interruzioni fatte nell'officio era stato condannato ad un gran purgatorio.

Non si dice già che dobbiamo inquietarci o affliggerci per le distrazioni involontarie che ci molestano nell'officio. Sempre che noi non le vogliamo, non v'è difetto. Ben compatisce il Signore la nostra infermità, poiché spesso i pensieri impertinenti vengono in noi senza nostra chiamata, e perciò essi non possono impedire il frutto delle orazioni che facciamo: In spiritu et in veritate orat (dice l'angelico), qui ex instinctu spiritus ad orandum accedit, etiam si ex infirmitate aliqua mens postmodum evagetur. Ed aggiunge che anche alle anime elevate alla contemplazione avviene che non possono star lungo tempo in alto, ma dal peso dell'umana miseria son tirate al basso di qualche involontaria distrazione: Mens humana diu stare in alto non potest; pondere enim infirmitatis humanae deprimitur ad inferiora. Et ideo contingit, quod cum mens orantis ascendit in Deum per contemplationem, subito evagetur.

All'incontro, dice il santo dottore, che non può essere scusato da colpa, né può riportar frutto dalla sua orazione, chi orando volontariamente e di proposito si distrae in pensieri alieni: Si quis ex proposito in oratione mente evagatur, hoc peccatum est et impedit orationis fructum. Di proposito poi s'intende, come dicono comunemente i dottori, quando la persona avverte già che sta distratta e vuol seguire a distrarsi. Contra cui s. Cipriano esclama e dice essere una impertinenza troppo insopportabile agli occhi di Dio, il veder taluno che, mentre lo sta pregando, si mette a pensare ad altro, come vi fosse cosa più importante del parlare con Dio per implorarne le sue grazie: Quae segnitia est alienari cum Dominum precaris, quasi sit aliud quod debeas magis cogitare, quam cum Deo loquaris. Quindi scrisse s. Bernardo: Voluntas neglecta facit cogitationes indignas Deo, pia efficaces ad fructum spiritus. Siccome la volontà rende i nostri pensieri efficaci ad acquistar frutti di spirito, così la volontà trascurata li rende indegni di Dio, e perciò meritevoli, non di grazie, ma di castighi.

È celebre nelle croniche cisterciensi la visione ch'ebbe s. Bernardo, mentre una notte salmeggiava nel coro co' suoi monaci. Vide egli al lato d'ogni monaco un angelo che scriveva; alcuni angeli scriveano con oro, altri con argento, altri con inchiostro, altri con acqua, altri finalmente stavano colla penna sospesa senza scriver cosa alcuna. Indi il Signore fe' intendere al santo che le orazioni scritte con oro significavano il fervore di carità con cui erano recitate; quelle con argento dinotavano divozione, ma minor fervore; quelle con inchiostro dinotavano la diligenza in proferir le parole, ma senza divozione; quelle con acqua dinotavano la negligenza di coloro che, distratti, poco attendeano a ciò che proferivano colla lingua; gli angeli finalmente che nulla scriveano dinotavano l'insolenza di coloro che volontariamente si distraevano. All'incontro, s. Roberto abate, stando anche nel coro, ebbe un'altra visione. Vide il demonio che, andando in giro e trovando chi stava sonnacchioso, lo dileggiava; trovando poi alcuno distratto, ne facea gran festa, dimostrando che in colui molto guadagnava.
Per tanto, sacerdote mio, quando prendete in mano il breviario, figuratevi che da un lato vi assista un angelo che noti nel libro della vita i vostri meriti, se dite l'officio con divozione; e dall'altro lato il demonio che scriva le vostre colpe nel libro della morte, se lo dite distratto. E con questo pensiero, eccitatevi a recitarlo colla maggior divozione che potete avere. Procurate perciò, non solo in cominciar l'officio, ma anche in principio d'ogni salmo, di rinnovar l'attenzione, acciocché possiate accompagnar col cuore tutt'i sentimenti che vi leggerete: Cum oratis Deum, scrisse Cassiano, hoc versetur in corde, quod profertur in ore. Quindi dice s. Agostino, Si psalmus orat, orate; si gemit, gemite; si sperat sperate. Notò l'angelico, che le parole divote proferite colla bocca eccitano la divozione nella mente: Verba significantia aliquid ad devotionem pertinens, excitant mentes. E vuol dire che perciò il Signore ci ha insegnato a pregar colla voce, affinché recitando le nostre orazioni ci applichiamo colla mente a chiedere quel che pronunziamo colla lingua. E questo appunto è quel che si legge nel celebre canoneDolentes, del V concilio Lateranense, che l'officio si reciti studiose et devote, quantum Deus dederit: studiose, col proferir bene le parole; devote, con applicare il cuore a quel che si proferisce. Bisogna persuaderci di quel che dice s. Agostino, cioè, che l'impetrazione delle grazie che desideriamo per noi e per gli altri più si ottiene coi gemiti del cuore, che colle voci della bocca: Hoc negotium plus gemitibus, quam sermonibus, agitur.

Riferisce Cassiano, che i monaci dell'Egitto diceano esser più utile cantar solo dieci versi con affetto e con pausa, che un intiero salmo con distrazione di mente: Utilius habent decem versus cum rationabili assignatione cantari, quam totum psalmum cum confusione mentis effundi. Oh quanti lumi e grazie si ricevon dai salmi, quando si dicono con pausa e riflessione! Dice s. Epifanio: Psalmus mentem, illuminat, in coelum reducit, homines familiares Deo reddit, animam laetificat. Il salmo illustra la mente, rallegra l'anima, l'indirizza al cielo e la rende familiare a Dio.

È vero che molti passi de' salmi sono oscuri e difficili ad intendersi senza spiegazione; ma molti altri son facili e chiari, che ravvivano la nostra fede, la confidenza, l'amore verso Dio e i buoni desideri. Ravvivano la fede, mettendo avanti gli occhi le verità eterne dell'esistenza di Dio, della creazione del mondo, e de' novissimi, dell'immortalità dell'anima. Specialmente qual vigore non danno alla nostra fede le tante predizioni che ivi si leggono della grand'opera della nostra redenzione, fatte tanti secoli prima ch'ella avvenisse? Predisse già Davide in tanti luoghi la venuta del Redentore: Redemisti me, Domine, Deus veritatis. Redemptionem misit populo suo,Copiosa apud eum redemptio. Predisse particolarmente più cose della passione del Salvatore. Predisse il concilio de' principi de' sacerdoti, quando si congregarono per macchinar la morte a Gesù Cristo: Principes convenerunt in unum adversus Dominum, et adversus Christum eius.Predisse la di lui crocifissione: Foderunt manus meas et pedes meos, dinumeraverunt omnia ossa mea. Predisse la divisione che si fecero i carnefici delle sue vesti, e la sorte che posero per giocarsi la veste interiore ch'era inconsutile: Diviserunt sibi vestimenta mea, et super vestem meam miserunt sortem. Predisse la sete di Gesù Cristo, e 'l fiele mischiato con aceto che gli diedero a bere sulla croce: Et dederunt in escam meam fel, et in siti mea potaverunt me aceto.Predisse anche la conversione delle genti: Convertentur ad Dominum universi fines terrae, et adorabunt in conspectu eius universae familiae gentium.

Quanti belli affetti poi di confidenza in Dio vi sono ne' salmi! In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum. In manus tuas commendo spiritum meum, Quoniam in me speravit, liberabo eum. Laudans invocabo Dominum, et ab inimicis meis salvus ero, Protector est omnium sperantium in se, Dominus firmamentum meum et refugium meum et liberator meus, Vivet anima mea et laudabit te. Misericordias Domini in aeternum cantabo, Spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam. Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo, Sperantem autem in Domino misericordia circumdabit. Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te.

Quanti atti d'amore! Diligam te, Domine, fortitudo mea. Quid mihi est in coelo? et a te quid volui super terram? Deus cordis mei, et pars mea in aeternum. Sitivit in te anima mea, quam multipliciter tibi caro mea, Satiabor cum apparuerit gloria tua, Confiteantur tibi populi, Deus, confiteantur tibi populi omnes. Magnificate Dominum mecum, et exaltemus nomen eius in id ipsum, Memor fui Dei et delectatus sum. Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum. Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus, Quando veniam et apparebo ante faciem Dei?

Quanti atti di ringraziamento! Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi? Venite, audite, et narrabo, omnes qui timetis Deum, quanta fecit animae meae. Quanti atti d'umiltà! Nisi quia Dominus adiuvit me, paulo minus habitasset in inferno anima mea. Eruisti animam meam ex inferno inferiori. Et non intres in iudicium cum servo tuo, quia, non iustificabitur in conspectu tuo omnis vivens. Ego autem sum vermis et non homo, opprobrium hominum et abiectio plebis. Erravi sicut ovis quae periit, quaere servum tuum. Quanti atti di pentimento! Iniquitatem odio habui et abominatus sum. Exitus aquarum deduxerunt oculi mei, quia non custodierunt legem tuam. Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie, ubi est Deus tuus? Quanti buoni propositi! Et custodiam legem tuam semper, In aeternum non obliviscar iustificationes tuas. Iuravi et statui custodire iudicia iustitiae tuae. Ab omni via mala prohibui pedes meos ut custodiam verba tua. Legem tuam in medio cordis mei. Docebo iniquos vias tuas.
Quasi tutti poi i salmi son pieni di mille sante preghiere. Solamente nel salmo 50 quante belle preghiere vi sono! Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam. Averte faciem tuam a peccatis meis. Cor mundum crea in me, Deus. Ne proiicias me a facie tua. Spiritu principali confirma me. Quante altre preghiere nel solo salmo 118 che si recita ogni giorno nelle ore picciole! Doce me iustificationes tuas. Revela oculos meos. Viam iniquitatis amove a me. Averte oculos meos ne videant vanitatem. Da mihi intellectum et discam mandata tua. Fiat misericordia tua ut consoletur me. Non confundas me ab expectatione mea. Adiuva me et salvus ero. Suscipe servum tuum in bonum. Aspice in me et miserere mei. Intellectum da mihi et vivam. Gressus meos dirige secundum eloquium tuum. Clamavi ad te, salvum me fac ut custodiam mandata tua. Vide humilitatem meam et eripe me. Intret postulatio mea in conspectu tuo. Tuus sum ego, salvum me fac. Fiat manus tua ut salvet me. Doce me facere voluntatem tuam. Per gli altri passi poi che sono oscuri, io non dico esservi obbligo di studiare gl'interpreti; ma dico all'incontro che un tale studio certamente è una delle applicazioni più divote e utili che può avere un sacerdote, siccome consigliò il concilio di Milano: Interpretationem studio adsequatur, unde mens animusque ad aliquem salutarem affectum incendatur. A tal fine gioverebbe leggere il cardinal Bellarmino sovra i salmi.

Le preghiere poi più care a Dio son quelle che abbiamo nel Pater nosterch'è l'orazione fra tutte la più eccellente, insegnataci dalla stessa bocca di Gesù Cristo; che perciò la s. chiesa vuole che tante volte la replichiamo nell'officio. Specialmente quanto sono belle le prime tre preghiere che sono insieme tre atti perfettissimi di amore: Sanctificetur nomen tuum: Adveniat regnum tuum: Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra! Nella prima, Sanctificetur nomen tuum, noi imploriamo che Dio si faccia conoscere ed amare da tutti gli uomini. Nella seconda, Adveniat regnum tuum, gli domandiamo ch'egli possieda intieramente i nostri cuori, regnando in essi colla sua grazia in questa vita e colla gloria nell'altra. Nella terza, Fiat voluntas tua etc., gli domandiamo il dono della perfetta uniformità, sì che facciamo la sua volontà in questa terra, siccome la fanno i beati in cielo. 
Nel replicare poi tante volte il Gloria Patriquanti divoti affetti possiamo fare di fede, di lode, di ringraziamento, di compiacenza della felicità e perfezioni di Dio! S. Maria Maddalena de' Pazzi ogni volta che diceva il Gloria Patri, inchinando la testa, figuravasi d'offerirla al carnefice in onor della fede. 
Inoltre la s. chiesa vuole che in principio di tutte l'ore dell'officio salutiamo e ricorriamo alla Madre di Dio Maria: per mezzo di cui allora quante grazie possiamo ottenere, giacch'ella è chiamata la tesoriera e la dispensiera di tutte le divine misericordie!


Termino. Molti sacerdoti, stimano, e chiamano gran peso l'obbligo del divino officio, ed io dico che han ragione di chiamarlo così quei che lo dicono strapazzatamente, senza divozione o con impegno di finirlo presto; perché in fatti han già da stentare almeno per un'ora a recitarlo senza gusto e con gran pena. Ma a coloro che lo dicono con divozione, gustando colla mente tanti divoti sentimenti che ivi sono espressi, ed accompagnando col cuore i santi affetti e preghiere che ivi si porgono a' Dio, non è già peso l'officio, ma è sollievo delizia dello spirito, come già avviene a' buoni sacerdoti: e se mai vuol dirsi peso, è peso di ale che ci solleva ed unisce a Dio.

Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis