martedì 4 settembre 2012

La mayor señal de la ira de Dios sobre un pueblo y el más terrible castigo que sobre él pueda descargar en este mundo, es permitir que ...


El mayor castigo que puede infligir Dios sobre Su Pueblo, según San Juan Eudes


(secretummeummihi) La mayor señal de la ira de Dios sobre un pueblo y el más terrible castigo que sobre él pueda descargar en este mundo, es permitir que, en castigo de sus crímenes, venga a caer en manos de pastores que más lo son de nombre que de hecho, que más ejercitan contra él la crueldad de lobos hambrientos que la caridad de solícitos pastores, y que, en lugar de alimentarle cuidadosamente, le desgarren y devoren con crueldad; que en lugar de llevarle a Dios, le vendan a Satanás; en lugar de encaminarle al cielo, le arrastren con ellos al infierno; y en lugar de ser la sal de la tierra y -la luz del mundo, sean su veneno y sus tinieblas.
Porque nosotros, pastores y sacerdotes, dice San Gregorio el Grande, seremos condenados delante de Dios como «asesinos de todas las almas que van todos los días a la muerte eterna por nuestro silencio y nuestra negligencia» (occidimus, quot ad mortem ¡re tepidi et tacentes videmus. Homil. 12 super Ezech.). «Nada hay, dice este mismo Santo («Nullum, puto, frates charissimi, majus praejudicium ab allis quam a sacerdotibus tolerat Deus: quando eos quos ad aliorum correptionem posuit, dare de se exempla pravitatis cernit; quando preccamus qui compescere peccata debuimus: officium quidem sacerdotale suscipimus, sed opus officii non implemus.Homil. 27 in evang.), que tanto ultraje a Dios (y por consiguiente que más provoque su ira y atraiga más maldiciones sobre los pastores y sobre el rebaño, sobre los sacerdotes y sobre el pueblo) como los ejemplos de una vida depravada dados por quienes él ha establecido para la corrección de los demás; cuando pecamos, debiendo reprimir pecados», cuando no tenernos cuidado alguno de la salvación de las almas; cuando no nos cuidamos más que de satisfacer nuestras inclinaciones; cuando todas nuestras aficiones se terminan en las cosas de la tierra; cuando nos alimentamos con avidez de la vana estima de los hombres, haciendo servir a nuestra ambición un ministerio de bendición; cuando abandonamos los quehaceres de Dios para ocuparnos en los del mundo; y cuando llenando un lugar de santidad, nos entregamos a cosas terrenas y profanas.
Cuando Dios permite que esto suceda, es prueba muy cierta de que está encolerizado contra su pueblo, siendo éste el más espantoso rigor que puede ejercer sobre él en este mundo. Por esto, dice incesantemente a todos los cristianos: Convertíos a mí… y os daré pastores según mi corazón (Convertimini ad me… et dabo vobis pastores juxta cor meum. Jerem. 3-15). En lo cual se deja ver bien claro que el desarreglo de la vida de los pastores es un castigo de los pecados del pueblo; y que, por el contrario, el mayor efecto de la misericordia de Dios hacia él, y la más preciosa gracia que puede otorgarle, es darle pastores y sacerdotes según su corazón, que no busquen más que su gloria y la salvación de las almas.
San Juan Eudes
“El sacerdote y sus ministerios en su
aspecto ascetico-pastoral”
Capítulo II,
Cualidades y excelencias de un buen pastor
y de un santo sacerdote
Editorial San Juan Eudes
Usaquén-Bogotá D.E., Colombia
195

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>

Spiritualis Communio


Spiritualis Communio

"Mi Iésu,/ crédo Te in Sanctìssimo Sacraménto adésse,/
Te ànte òmnia àmo,/ Tùi desidério tòto còrde flàgro./
Quìa nunc per sacraméntum Te accìpere néqueo,/
sàltem, spìritu tàntum, quæso,/ in cor méum véni...

Quàsi iàm præséntem Te ampléctor,/ Totùmque me Técum iùngo;/
ne ùmquam sìnas ut a Te discédam".

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>







lunedì 3 settembre 2012

Nell’anno della fede e per la nuova evangelizzazione è necessaria una forte ripresa del fondamento teologico della liturgia pastorale


IL senso teologico della liturgia

Autore: Oliosi, Don Gino  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
venerdì 27 luglio 2012

Nell’anno della fede e per la nuova evangelizzazione è necessaria una forte ripresa del fondamento teologico della liturgia pastorale
«Alla vigilia del Concilio, infatti, appariva sempre più viva in campo liturgico l’urgenza di una riforma, postulata anche dalle richieste avanzate dai vari episcopati…Inoltre, si rivelava chiara fin dall’inizio la necessità di studiare in modo approfondito ilfondamento teologico della Liturgia, per evitare di cadere nel ritualismo o di favorire il soggettivismo, il protagonismo del celebrante e affinché la riforma fosse ben giustificata nell’ambito della Rivelazione divina e in continuità con la tradizione della Chiesa» [Benedetto XVI, Discorso al pontificio istituto liturgico, 7 maggio 2011].

Importante il connubio tra storia, teologia e pastorale della liturgia. Ma occorre rilevare che la storia della liturgia, indispensabile e preziosa, potrebbe però tendere anche verso l’archeologismo liturgico, per il quale si vorrebbe una dimensione rituale del tutto identica alle origini, con la mancanza di un dinamismo a scapito degli sviluppi successivi nella continuità o Tradizione viva. Il cammino della Chiesa cioè della persona viva del Risorto presente tra i suoi con una ontologia sacramentale soprattutto quando convengono nella preghiera liturgica con il dono del Suo Spirito, non solo memorizza nel presente ma spinge in avanti: non posso fare riferimento alla tradizione della Chiesa assolutizzando un momento. Ritornare alla forma classica romana antica è certo un buon criterio per comprendere i riti nelle loro linee essenziali e primarie e valutare il senso dello sviluppo e il valore degli elementi di sviluppo. Tuttavia una ‘mitizzazione’ dell’epoca antica potrebbe negare la legittimità a sviluppi nella continuità altrettanto necessari e oggi irrinunciabili nella crescita organica del complesso rituale. Fu un pericolo, comprensibile e reale, che portò a una spogliazione talvolta eccessiva. Anche la forte considerazione pastorale può aver spinto, insieme alle legittime esigenze consone con l’intento fondamentale della riforma di ridonare al popolo la liturgia, a non tener conto la tradizione contenuta in forme specifiche consacrate dall’uso dottrinale e liturgico e non facilmente sostituibili. La ricerca di moduli simbolici, gestuali e linguistici conformi alle culture odierne antimetafisiche e quindi incapaci di comprendere l’ontologia sacramentale e l’accentuazione di quei contenuti psicologici e sociali che toccano con maggior immediatezza la sensibilità dell’uomo d’oggi ha prodotto certamente una grande sforzo pastorale, ma a prezzo, talvolta, di un impoverimento o un oscuramento dell’immensa ricchezza liturgica fluente nei secoli. Potrebbe essersi verificato, insomma, in taluni momenti della riforma e certamente nella sua attuazione pratica, una specie di cortocircuito tra storia liturgica e pastorale liturgica, senza un passaggio altrettanto robusto attraverso la teologia liturgica. I Padri Conciliari nell’elaborare la Sacrosanctum Concilium avevano sottomano Il Senso teologico della liturgia di Vagaggini. La teologia liturgica in realtà è quella che consente di individuare la legittimità degli sviluppi secolari, distinguendo quelli dottrinalmente coerenti e conforma alla continuità dinamica della Tradizione apostolica, da quelli incoerenti e difformi dal dogma della fede, e dalla sua espressione organica, coerente e progressiva. Non tutto ciò che avvenne nella storia dei riti fu anche sempre nobile e mirabile. Vi furono epoche di decadenza, come oggi accade per il fondamento teologico di tutta la pastorale, e la liturgia ne subì l’influsso. Occorre oggi ridare fiato al fondamento teologico di tutta la pastorale, a cominciare dalla liturgia, ritornare allo spirito della liturgia, come direbbe Benedetto XVI. E questo per evitare gli scogli sia dell’archeologismo, che fa della liturgia un museo dell’antichità, della riforma tridentina, di san Pio X senza nessuna possibilità di sviluppo, sia del pastoralismo, che spinge la liturgia verso una tale attualizzazione in luoghi e ambienti che spinge la liturgia verso una tale attualizzazione da dissolversi nell’invenzione. 
E’ in questa completa prospettiva che la Chiesa oggi con serena e grata esultanza recupera alcune forme medioevali del culto eucaristico, del realismo ontologico tridentino della dimensione sacrificale e della presenza reale nell’eucaristia, che non furono esplicitate nel primo millennio, ma il mistero, l’ontologia sacramentale, a esse sotteso fu sempre creduto e vissuto fin dalle origini apostoliche. 
Analogo discorso per il realismo ontologico tridentino della Messa come Sacrificio, dell’altare non riducibile a mensa, della prece eucaristica celebrata in silenzio da chi agisce in persona Christi, trovano la loro legittimazione nella teologia sacrificale, che è parte ineliminabile, anzi centrale, di una vera e completa teologia liturgica. E sarà sulla base della teologia liturgica che si potranno prospettare, con l’apporto sia oggi della forma extra ordina e ordinaria dell’unico rito romano nuovi sviluppi unitari del rito, come già avvenne mediante la dottrina espressa sia nella Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium e in modo ancora più esteso nell’ecclesiologia sacramentale della Lumen gentium. In questa superiore sintesi, nella quale la teologia ritorna ad essere il fondamento sia della pastorale in generale, sia della pastorale liturgica, potranno preparare quegli sviluppi ulteriori che l’itinerario vivo del popolo di Dio, per la presenza in esso del Risorto con il dono del suo Spirito, potranno maturare.
*

«Sono ugualmente errati l’archeologismo e il pragmatismo pastorale. I due si potrebbero definire come una fatale coppia di gemelli. I liturgisti della prima generazione erano prevalentemente degli storici. Erano quindi inclini all’archeologismo: essi volevano dissotterrare la forma più antica nella sua purezza; consideravano gli attuali libri liturgici, con i riti ivi prescritti, come espressione di escrescenze storiche, prodotte da equivoci e da ignoranza del passato. Si cercava di ricostruire la più antica liturgia romana e di ripulirla da tutti gli aggiuntivi posteriori. In questo vi era qualcosa di giusto, ma la riforma liturgica è tuttavia qualcosa di diverso da una attività archeologica, e non ogni sviluppo di ciò che è vivo deve seguire logicamente un criterio razionalistico – storicistico. Questo è anche il motivo per cui l’ultima parola nella riforma liturgica non deve spettare agli esperti. Esperti e pastori hanno gli uni come gli altri una loro propria funzione (come nella politica specialisti e responsabili delle decisioni rappresentano due piani diversi)» [J. Ratzinger, Opera omnia, pp. 791 – 792].
“Si possono individuare – don Enrico Finotti Vaticano II 50 anni dopo, pp. 381 – 383 – molti sintomi che rivelano che i sacramenti non abbiano un’equilibrata integrazione e ancor meno il loro primato in settori importanti della pastorale ecclesiale e nel tessuto della vita del cristiano:

il facile rimando nel tempo del battesimo dei bambini che si traduce in una esorbitante attesa, oppure, nel caso peggiore, in una negazione di tale sacramento in vista di una richiesta consapevole nell’età adulta:
«Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di Dio, perché ogni uomo dall’inizio ha bisogno di Dio, ed hanno la capacità di percepire la sua grandezza; sanno apprezzare il valore della preghiera – del parlare con questo Dio – e dei riti, così come intuire la differenza fra il bene e il male. Sappiate, allora, accompagnarli nella fede, in questa conoscenza di Dio, in questa amicizia con Dio, in questa differenza fra il bene e il male. Accompagnateli nella fede sin dalla più tenera età. E come coltivare il germe della vita eterna a mano a mano che il bambino cresce? San Cipriano ci ricorda: ‘Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre’» [Benedetto XVI, Discorso a san Giovanni in Laterano, 15 giugno 2011].

L’eccessiva considerazione del ruolo della catechesi (senza la preminenza fondamentale dell’avvenimento dell’incontro sacramentale con la persona viva del Risorto) e delle mutevoli ipotesi metodologiche tende a ritardare il più possibile sia la recezione della prima Confessione e della prima Comunione, sia della Confermazione: si nota una tendenza tipica dell’errore giansenista, già superato dal decreto Quam singulari (1910) di S. Pio X, secondo il quale l’efficacia dell’azione formativa umana è ritenuta di fatto superiore a quella dell’azione sacramentale della grazia, che non accompagna il cammino, ma lo corona soltanto;

L’estensione sproporzionata del carattere didascalico della liturgia della Parola della Messa, rispetto alla celebrazione troppo breve, veloce e subito terminata della successiva liturgia sacrificale e sacramentale, ridotta talvolta ad una questione di orologio;

L’acquiescenza verso la convivenza come esperienza previa al matrimonio: il sacramento è prospettato in un futuro che mai arriva ed è inteso come coronamento di un itinerario, piuttosto che come base iniziale di un edificio quale è la famiglia cristiana, che Cristo stesso edifica con la sua grazia;

L’impostazione pastorale della parrocchia a prevalente carattere umanitario, nella quale i sacramenti e la liturgia tendono alla marginalità in favore di attività a forte impatto sociologico, culturale e folcloristico: si pensi a talune feste patronali in cui la predicazione, la preghiera, la degna recezione dei sacramenti e la centralità della liturgia sono sommerse da programmi solidaristici, sportivi, musicali e ricreativi;

La riduzione della missione a promozione umana, sia promuovendo l’impegno caritativo senza la connessione ai sacramenti, sia rapportandosi col mondo sui soli valori condivisi, senza mai giungere a un annunzio esplicito di Cristo e all’incontro con la celebrazione sacramentale della sua opera di salvezza.

All’inizio degli anni settanta c’è stata una giusta valutazione critica verso unasacramentalizzazione formale, senza l’accompagnamento mirato alle concrete persone e alla loro coscienza e libera accoglienza attraverso l’ascolto della Parola di Dio. Ma oggi c’è il rischio dell’oblio della fondamentale centralità dell’ontologia sacramentale, fondamento della fede e quindi della moralità conseguente come della nuova evangelizzazione..

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ora pro nobis.

Fascino del latino sui giovani sul Bollettino Salesiano. * In Vaticano traducono «indirizzo email» con «inscriptio cursus electronici»; mountain bike è “bírota montāna”, paracadute diventa “umbrella descensória”. ...


Nel 50° della Veterum Sapientia di Giovanni XXIII nascera una nuova 'Pontificia Academia Latinitatis' - Così Benedetto XVI vuole promuovere il latino

Così il Papa vuole promuovere il latino-
A lezione di latino - Benedetto XVI pubblicherà un motu proprio per istituire la «Pontificia Academia Latinitatis». E in Vaticano traducono «indirizzo email» con «inscriptio cursus electronici»di A. Tornielli, da Vatican Insider del 31.08.2012





Città del Vaticano
«Foveatur lingua latina». Papa Ratzinger vuole far crescere la conoscenza della lingua di Cicerone, di Agostino e di Erasmo da Rotterdam, nell’ambito della Chiesa ma anche della società civile e della scuola e sta per pubblicare un motu proprio che istituisce la nuova «Pontificia Academia Latinitatis». Fino ad oggi Oltretevere ad occuparsi di mantenere in vita l’antico idioma era stata una fondazione, «Latinitas» [qui anche il link alla pagina in latino del sito della Santa Sede, n.d.r.], rimasta sotto l’egida della Segreteria di Stato e ora destinata a scomparire: oltre a pubblicare l’omonima rivista e a organizzare il concorso internazionale «Certamen Vaticanum» di poesia e prosa latina negli anni si è occupata di tradurre in latino parole moderne.
L’imminente istituzione della nuova accademia pontificia che si affianca alle undici già esistenti – tra le quali ci sono le più note dedicate alle scienze e alla vita – è confermata in una lettera che il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della Cultura, ha inviato a don Romano Nicolini, un sacerdote riminese grande propugnatore del ritorno dell’ora di latino nella scuola media inferiore. Ravasi ha ricordato che l’iniziativa dell’Accademia è «voluta dal Santo Padre» ed è promossa dal dicastero vaticano della cultura [di cui il Card. Ravasi è presidente, n.d.r.]: vi faranno parte «eminenti studiosi di varie nazionalità, con finalità di promuovere l’uso e la conoscenza della lingua latina sia in ambito ecclesiale sia in ambito civile e quindi scolastico». Un modo per rispondere, conclude il cardinale nella lettera, «a numerose sollecitazioni che ci giungono da diverse parti del mondo».

Sono passati cinquant’anni da quando Giovanni XXIII, ormai alla vigilia del Concilio, promulgò la costituzione apostolica «Veterum sapientia» per definire il latino come lingua immutabile della Chiesa e ribadirne l’importanza, chiedendo alle scuole e università cattoliche di ripristinarlo nel caso fosse stato abbandonato o ridotto. Il Vaticano II stabilirà di mantenere il latino in alcune parti della messa, ma la riforma liturgica post-conciliare ne avrebbe abolito ogni traccia nell’uso comune. Così, mentre mezzo secolo fa prelati di ogni parte del mondo riuscivano a capirsi parlando l’idioma di Cesare e i fedeli mantenevano un contatto settimanale con esso, oggi nella Chiesa il latino non gode di buona salute. E sono altri ambiti, laici, interessati a promuoverla.

Oltretevere continuano comunque a lavorare studiosi che propongono neologismi per tradurre le encicliche papali e i documenti ufficiali. Un lavoro non facile è stato quello di tradurre in latino l’ultima enciclica di Benedetto XVI, «Caritas in veritate» (luglio 2009), dedicata alle emergenze sociali e alla crisi economico finanziaria. Alcune scelte dei latinisti della Santa Sede sono state criticate da «La Civiltà Cattolica», l’autorevole rivista dei gesuiti, che ha ritenuto discutibile la scelta dei termini «delocalizatio», «anticonceptio» e «sterilizatio», approvando invece le scelte di «plenior libertas» per liberalizzazione, e di «fanaticus furor» per fanatismo». Tra le curiosità, l’espressione «fontes alterius generis» per tradurre le fonti alternative e «fontes energiae qui non renovantur» per le risorse energetiche non rinnovabili.

L’iniziativa del Papa di istituire una nuova Pontificia Accademia è un segnale significativo, di rinnovata attenzione. «Il latino educa ad avere stima delle cose belle – spiega don Nicolini, che ha diffuso nelle scuole medie diecimila copie di un opuscolo gratuito introduttivo alla lingua latina e sta diffondendo l’appello per farla tornare tra le materie curricolari – e ci educa anche a dare importanza alle nostre radici».

Tra coloro che si occupano di rinnovare il lessico latino per poter comunicare ancora oggi nella lingua ciceroniana c’è don Roberto Spataro, 47 anni, [qui un'intervista a padre Spataro a cura di S. Cernuzio, Zenit, e qui un'altra sua intervista sul fascino del latino sui giovani uscita proprio sul Bollettino Salesiano; n.d.r.] è docente di Letteratura cristiana antica e segretario del Pontificium Institutum Altioris latinitatis, voluto da Paolo VI presso l’attuale Università Pontificia Salesiana di Roma. [presso cui lo scorso febbraio è stato organizzato un convegno di alto profilo proprio in occasione del 50° della Costituzione Veterum sapientia; si veda anche qui, un altro nostro post sulla ricorrenza, n.d.r.]. «Come tradurrei “corvo”? Mi aspettavo questa domanda… Ecco, direi: “Domesticus delator” o “Intestinus proditor”», risponde il sacerdote. E spiega come nascono i neologismi latini: «Esistono due scuole di pensiero. La prima, che potremmo definire anglosassone, ritiene che prima di creare un neologismo per tradurre parole moderne bisogna passare al setaccio tutto ciò che è stato scritto in latino lungo i secoli, non soltanto il latino classico. L’altra scuola, che per comodità definirei latina, ritiene che si possa essere più liberi nel creare una circonlocuzione che renda bene l’idea e il significato della parola moderna, mantenendo però il sapore del latino classico, ciceroniano».
Spataro appartiene alla seconda scuola e invita «a sfogliare l’ultima edizione del “Lexicon recentis latinitatis”, curato da don Cleto Pavanetto, eccellente latinista salesiano, e pubblicato nel 2003, con ben 15.000 vocaboli moderni resi in lingua latina». [edito Libreria Editrice Vaticana, QUI sul sito della Santa Sede l'elenco dei termini "recenti" tradotti in latino, n.d.r.]. Ad esempio, fotocopia si traduce “exemplar luce expressum”, banconota diventa “charta nummária”, basket-ball “follis canistrīque ludus”, best seller è “liber máxime divénditus”, i blue-jeans sono “bracae línteae caerúleae”, mentre goal è “retis violátio”. Gli hot pants diventano “brevíssimae bracae femíneae”, l’IVA si traduce “fiscāle prétii additamentum”, mountain bike è “bírota montāna”, paracadute diventa “umbrella descensória”. Nel Lexicon mancano però i riferimenti al web. «In effetti non ci sono – spiega don Spataro – ma negli ultimi nove anni tra chi scrive e parla in latino si sono coniate nuove espressioni. Così internet è “inter rete”, e l’indirizzo email “inscriptio cursus electronici”».


VAS AUREUM, 
OMNI LAPIDE PRETIOSO ORNATUM!

La Cintura della Madre di Dio






Notizia del 31/08/2012 stampata 
dal sito web www.lucisullest.it

La Cintura della Madre di Dio, che è stata ritrovata, non si sa molto bene come, nel Vescovato di Zela, nelle vicinanze di Amasée, nell'Ellesponto, fu trasferita a Costantinopoli sotto il regno di Giustiniano (nel 530 circa), e depositata nella chiesa di Chalcoprateia, situata non lontano da Santa Sofia. Vi si celebra, in questo giorno, la Consacrazione della chiesa e le due insigni Reliquie che vi si trovavano: la Santa Cintura e le Fasce di Nostro Signore.

Molti anni dopo, verso l'888, Zoè, sposa dell'imperatore Leone il Saggio, essendo gravemente malata, trovandosi sotto l'effetto di uno spirito maligno, nel corso di una rivelazione, le fu confidato che avrebbe ottenuto la guarigione, con l'imposizione della Cintura della Madre di Dio. L'imperatore fece immediatamente infrangere i sigilli della cassa che conteneva la Reliquia e vi si scoprì, con stupore, che la Santa Cintura, si trovava in uno stato da sembrare nuova e brillante, come se fosse appena stata tessuta.
Si trovò, di lato, un documento che indicava esattamente la data nella quale era stata portata a Costantinopoli e come, lo stesso imperatore, l'aveva riposta nella cassa e sigillata con le sue proprie mani. L'imperatore Leone, baciò la Reliquia con venerazione e la consegnò al Patriarca. Quando il prelato impose la Cintura sul capo dell'imperatrice, questa fu liberata dalla malattia. Tutti resero gloria a Cristo Salvatore e alla sua Santissima Madre e si ricollocò la Reliquia nella cassa, dopo che l'imperatrice l'ebbe impreziosita con fili d'oro.
Tratto dal Synaxario di Constantinopoli, Confermato dal Ménologio* Imperiale (Xe s.) libro liturgico che raccoglie, mese per mese, le preghiere liturgiche, gli inni e le preghiere dedicati a ciascun santo per tutti i giorni dell'anno.

Tropario del Santo del giorno

Madre di Dio sempre vergine,
protezione degli uomini, hai donato
alla tua città, come potente riparo,
la veste e la cintura del tuo corpo immacolato,
rimaste incorrotte grazie al tuo parto senza seme:
in te infatti natura e tempo sono rinnovati.
Noi dunque ti supplichiamo di donare a tutta la terra
la pace, e alle anime nostre la grande misericordia.

Tropario del Santo della Chiesa
Cantiamo la sposa di Cristo degna di ogni lode,
la divina Caterina, protettrice del Sinai,
nostro aiuto e soccorso:
essa ha splendidamente chiuso la bocca
con la spada dello spirito ai più abili
tra gli empi, ed ora incoronata come martire,
chiede per tutti la grande misericordia.


AVE AVE AVE MARIA!