giovedì 31 maggio 2012

MARIA! Non recedat a corde, non recedat a mente.

immagine della madonnina che ho comperato dans Maria Vergine MaurGen1
Mater Boni Consilii ora pro nobis

Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa




Oggi si chiude il mese di maggio, ma non si chiude il nostro cuore. La Mamma celeste è una fonte copiosissima che emana sempre acque di pietà e di misericordia. E’ una fonte salutare che è pronta per tutti e a disposizione per tutti, essendo la Vergine tutta clemenza e pietà nell’aiutare i miseri.

Per attrarre  su di noi l’attenzione d’una persona non c’è mezzo più efficace che chiamarla col proprio nome. Ci guarderà e chiederà perché la chiamiamo.  Altrettanto avverrà con Maria SS.ma. Se vogliamo attrarre su di noi  gli occhi suoi misericordiosi e partecipare all’abbondanza delle sue grazie non desistiamo dall’invocarLa  col proprio magnifico nome di Maria.

Questo adorabile nome di MARIA è efficacissimo – specie per i giusti - per  impetrare ogni grazia. Esso non è un qualsiasi nudo nome, bensì un compendio di tutte le grandezze materne, adorabile segno e monogramma di tutta la sua gloria, scrigno di bellissimi titoli che la spingono e persuadono ad essere nostra benefica Madre:  come quelli di “Stella del mare”, e “Speranza di tutti”. Perciò il nome  Santissimo di Maria è un mezzo efficacissimo per ottenere ogni grazia e Divina benedizione.

Riccardo da san Lorenzo sintetizza tutto ciò asserendo  che dopo il nome adorabile di Gesù non vi è altro nome così salutare per ciascuno di noi quanto il nome Santissimo di Maria. Non est aliud nomen datum hominibus post nomen Jesu, ex quo tanta salus refundatur hominibus, sicut nomen Mariae: de Laud. Virg. Cap. 2.



Quest’adorabile nome sia sempre scolpito nel cuore, sempre presente nelle mente per invocarlo così in ogni necessità: Non recedat a corde, non recedat a mente (S. Bernardo). Sia esso pascolo del nostro spirito, centro dei nostri affetti se vogliamo partecipare  dell’abbondanza delle sue grazie. Ave Maria!



Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa


NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA



Misericordia e Giustizia



<<LA GIUSTIZIA SENZA MISERICORDIA
DIVENTA CRUDELTA’
E
LA MISERICORDIA SENZA GIUSTIZIA
DIVENTA CAUSA DI OGNI DISORDINE
PERCIO’
E’ BENE CHE SIANO SEMPRE COLLEGATE>>
San T.


DEUS MEUS ET OMNIA



!!!!! LEGGETE e MEDITATE, ANIME BELLE. Per una formazione autenticamente cattolica. Non per altro.


Estratto da V. Messori, Rapporto sulla Fede. Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, Ed. San Paolo, 1985, p. 123 ss.

« Pertanto – esortava il professor Ratzinger – ci si deve opporre, più decisamente di quanto sia stato fatto finora, all’appiattimento razionalistico, ai discorsi approssimativi, all’infantilismo pastorale che degradano la liturgia cattolica al rango di circolo di villaggio e la vogliono abbassare a un livello fumettistico. Anche le riforme già eseguite, specialmente riguardo al rituale, devono essere riesaminate sotto questi punti di vista ».

Mi ascolta, con l’attenzione e la pazienza consuete, mentre gli rileggo queste sue parole. Sono passati dieci anni da allora, l’autore di una simile messa in guardia non è più un semplice studioso, è il custode dell’ortodossia stessa della Chiesa. Il Ratzinger di oggi, Prefetto della fede, si riconosce ancora in questo brano?

« Interamente – non esita a rispondermi –. Anzi, da quando scrivevo queste righe altri aspetti che sarebbero stati da salvaguardare sono stati accantonati, molte ricchezze superstiti sono state dilapidate. Allora, nel 1975, molti colleghi teologi si dissero scandalizzati, o almeno sorpresi, dalla mia denuncia. Adesso, anche tra loro, sono numerosi quelli che mi hanno dato ragione, almeno parzialmente ». Si sarebbero cioè verificati ulteriori equivoci e fraintendimenti che giustificherebbero ancor più le parole severe di sei anni dopo, nel libro recente che citavamo: « Certa liturgia post-conciliare, fattasi opaca o noiosa per il suo gusto del banale e del mediocre, tale da dare i brividi...

La lingua, per esempio...
Per lui, proprio nel campo liturgico – sia negli studi degli specialisti che in certe applicazioni concrete – si constaterebbe « uno degli esempi più vistosi di contrasto tra ciò che dice il testo autentico del Vaticano II e il modo con cui è stato poi recepito e applicato ».
Esempio sin troppo famoso, si sa (ed esposto al rischio di strumentalizzazioni), è quello dell’impiego del latino, sul quale il testo conciliare è esplicito: « L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini » (Sacrosanctum Conciliurn, n. 36). Più avanti, i Padri raccomandano: « Si abbia (...) cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’Ordinario della Messa che spettano ad essi » (n. 54). Più avanti ancora, nello stesso documento: « Secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici sia conservata nell’Ufficio divino la lingua latina » (n. 101).
[..]
Lo vedo scuotere il capo: «Che vuole, anche questo è tra i casi di una sfasatura – purtroppo frequente in questi anni – tra il dettato del Concilio, la struttura autentica della Chiesa e del suo culto, le vere esigenze pastorali del momento e le risposte concrete di certi settori clericali. Eppure la lingua liturgica non era affatto un aspetto secondario. All’origine della frattura tra Occidente latino e Oriente greco c’è anche una questione di incomprensione linguistica. È probabile che la scomparsa della lingua liturgica comune possa rafforzare le spinte centrifughe tra le varie aree cattoliche ».
[..]
« La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere “fatta” da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il “successo” in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi ».
Continua: « Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere “predeterminata”, “imperturbabile”, perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata “la vecchia rigidità rubricistica”, accusata di togliere “creatività”, ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del “fai-da-te”, banalizzandola perché l’ha resa conforme alla nostra mediocre misura ».

C’è poi un altro ordine di problemi sul quale Ratzinger vuole richiamare l’attenzione: « Il Concilio ci ha giustamente ricordato che liturgia significa anche actio, azione, e ha chiesto che ai fedeli sia assicurata una actuosa participatio, una partecipazione attiva ».

Mi sembra ottima cosa, dico.
« Certo – conferma –. E un concetto sacrosanto che però, nelle interpretazioni postconciliari, ha subito una restrizione fatale. Sorse cioè l’impressione che si avesse una “partecipazione attiva” solo dove ci fosse un’attività esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture, stringer di mani... Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella actuosa participatio anche il silenzio, che permette una partecipazione davvero profonda, personale, concedendoci l’ascolto interiore della Parola del Signore. Ora, di questo silenzio non è restata traccia in certi riti ».

Suoni e arte per l’Eterno

E qui si aggancia un suo discorso sulla musica sacra, quella musica tradizionale dell’Occidente cattolico alla quale il Vaticano II non ha certo misurato le lodi, esortando non solo a salvare ma a incrementare « con la massima diligenza » questo che chiama « il tesoro della Chiesa »; e, dunque, dell’umanità intera.
« Invece, molti liturgisti hanno messo da parte quel tesoro, dichiarandolo “accessibile a pochi”, l’hanno accantonato in nome della “comprensibilità per tutti e in ogni momento” della liturgia postconciliare. Dunque, non più “musica sacra” – relegata, semmai, per occasioni speciali, nelle cattedrali – ma solo “musica d’uso”, canzonette, facili melodie, cose correnti ».
Anche qui il Cardinale ha facile gioco nel mostrare l’allontanamento teorico e pratico dal Concilio « secondo il quale, oltretutto, Ia musica sacra è essa stessa liturgia, non ne è un semplice abbellimento accessorio ». E, secondo lui, sarebbe anche facile mostrare come « l’abbandono della bellezza » si sia dimostrata, alla prova dei fatti, un motivo di « sconfitta pastorale ».

Dice: « È divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile. L’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull’unica categoria del “comprensibile a tutti” non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere. Liturgia “semplice” non significa misera o a buon mercato: c’è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica ». «Anche qui – continua – si è messa da parte la grande musica della Chiesa in nome della “partecipazione attiva”: ma questa “partecipazione” non può forse significare anche il percepire con lo sprito, con i sensi? Non c’è proprio nulla di “attivo” nell’ascoltare, nell’intuire, nel commuoversi? Non c’è qui un rimpicciolire l’uomo, un ridurlo alla sola espressione orale, proprio quando sappiamo che ciò che vi è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto la punta di un iceberg rispetto a ciò che è la nostra totalità? Chiedersi questo non significa certo opporsi allo sforzo di far cantare tutto il popolo, opporsi alla “musica d’uso”: significa opporsi a un esclusivismo (solo quella musica) che non è giustificato né dal Concilio né dalle necessità pastorali ».
Questo discorso sulla musica sacra – intesa anche come simbolo di presenza della bellezza “gratuita” nella Chiesa – sta particolarmente a cuore a Joseph Ratzinger che vi ha dedicato pagine vibranti: « Una Chiesa che si riduca solo a fare della musica “corrente” cade nell’inetto e diviene essa stessa inetta. La Chiesa ha il dovere di essere anche “città della gloria”, luogo dove sono raccolte e portate all’orecchio di Dio le voci più profonde dell’umanità. La Chiesa non può appagarsi del solo ordinario, del solo usuale: deve ridestare la voce del Cosmo, glorificando il Creatore e svelando al Cosmo stesso la sua magnificenza, rendendolo bello, abitabile, umano ».
[..]
« L’unica, vera apologia del cristianesimo può ridursi a due argomenti: i santi che la Chiesa ha espresso e l’arte che è germinata nel suo grembo. Il Signore è reso credibile dalla magnificenza della santità e da quella dell’arte esplose dentro la comunità credente, più che dalle astute scappatoie che l’apologetica ha elaborato per giustificare i lati oscuri di cui purtroppo abbondano le vicende umane della Chiesa. Se la Chiesa deve continuare a convertire, dunque a umanizzare il mondo, come può rinunciare nella sua liturgia alla bellezza, che è unita in modo inestricabile all’amore e insieme allo splendore della Resurrezione? No, i cristiani non devono accontentarsi facilmente, devono continuare a fare della loro Chiesa un focolare del bello – dunque del vero – senza il quale il mondo diventa il primo girone dell’inferno ».
Mi parla di un teologo famoso, uno dei leaders del pensiero post-conciliare che gli confessava senza problemi di sentirsi un “barbaro”. Commenta: « Un teologo che non ami l’arte, la poesia, la musica, la natura, può essere pericoloso. Questa cecità e sordità al bello non è secondaria, si riflette necessariamente anche nella sua teologia».

Solennità, non trionfalismo
Ancora in questa linea, Ratzinger non è affatto persuaso della validità di certe accuse di “trionfalismo”, nel nome delle quali si sarebbe gettato via con eccessiva facilità molto dell’antica solennità liturgica: « Non è affatto trionfalismo la solennità del culto con cui la Chiesa esprime la bellezza di Dio, la gioia della fede, la vittoria della verità e della luce sull’errore e sulle tenebre. La ricchezza liturgica non è ricchezza di una qualche casta sacerdotale; è ricchezza di tutti, anche dei poveri, che infatti la desiderano e non se ne scandalizzano affatto. Tutta la storia della pietà popolare mostra che anche i più miseri sono sempre stati disposti istintivamente e spontaneamente a privarsi persino del necessario pur di rendere onore con la bellezza, senza alcuna tirchieria, al loro Signore e Dio ».
[..]
« Per un certo modernismo neo-clericale il problema della gente sarebbe il sentirsi oppressa dai “tabù sacrali”. Ma questo, semmai, è il problema loro, di clericali in crisi. Il dramma dei nostri contemporanei è, al contrario, il vivere in un mondo sempre più di una profanità senza speranza. L’esigenza vera oggi diffusa non è quella di una liturgia secolarizzata, ma, al contrario, di un nuovo incontro con il Sacro attraverso un culto che faccia riconoscere la presenza dell’Eterno ».

Ma è sotto accusa, per lui, anche quello che definisce « l’archeologismo romantico di certi professori di liturgia, secondo i quali tutto ciò che si è fatto dopo Gregorio I Magno sarebbe da eliminare come un’incrostazione, un segno di decadenza. A criterio del rinnovamento liturgico non hanno posto la domanda: “Come deve essere oggi? “, ma l’altra: “Come era allora? “. Si dimentica che la Chiesa è viva, che la sua liturgia non può éssere pietrificata in ciò che si faceva nella città di Roma prima del Medio Evo. In realtà, la Chiesa medievale (o anche, in certi casi, la Chiesa barocca) hanno proceduto a un approfondimento liturgico che occorre vagliare con attenzione prima di eliminare. Dobbiamo rispettare anche qui la legge cattolica della sempre migliore e più profonda conoscenza del patrimonio che ci è stato affidato. Il puro arcaismo non serve, così come non serve la pura modernizzazione ».
Per Ratzinger, poi, la vita cultuale del cattolico non può essere ridotta al solo aspetto “comunitario”: deve continuare ad esserci un posto anche per la devozione privata, seppure ordinata al “pregare insieme”, cioè alla liturgia.

Eucaristia: nel cuore della fede
Aggiunge poi: « La liturgia, per alcuni sembra ridursi alla sola eucaristia, vista quasi sotto l’unico aspetto del “banchetto fraterno”. Ma la messa non è solamente un pasto tra amici, riuniti per commemorare l’ultima cena del Signore mediante la condivisione del pane. La messa è il sacrificio comune della Chiesa, nel quale il Signore prega con noi e per noi e a noi si partecipa. E la rinnovazione sacramentale del sacrificio di Cristo: dunque, la sua efficacia salvifica si estende a tutti gli uomini, presenti e assenti, vivi e morti. Dobbiamo riprendere coscienza che l’eucaristia non è priva di valore se non si riceve la Comunione: in questa consapevolezza, problemi drammaticamente urgenti come l’ammissione al sacramento dei divorziati risposati possono perdere molto del loro peso opprimente ».

Vorrei capire meglio, dico.
« Se l’eucaristia — spiega — è vissuta solo come il banchetto di una comunità di amici, chi è escluso dalla ricezione dei Sacri Doni è davvero tagliato fuori dalla fraternità. Ma se si torna alla visione completa della messa (pasto fraterno e insieme sacrificio del Signore, che ha forza ed efficacia in sé, per chi vi si unisce nella fede), allora anche chi non mangia quel pane partecipa egualmente, nella sua misura, dei doni offerti a tutti gli altri ».

All’eucaristia e al problema del suo “ministro” (che può essere solo chi sia stato ordinato in quel « sacerdozio ministeriale o gerarchico » il quale, riconferma il Concilio, « differisce essenzialmente e non solo di grado » dal « sacerdozio comune dei fedeli », Lumen Gentium, n. 10) il card. Ratzinger ha dedicato uno dei primi documenti ufficiali a sua firma della Congregazione per la fede. Nel « tentativo di staccare l’eucaristia dal legame necessario con il sacerdozio gerarchico », vede un altro aspetto di certa “banalizzazione” del mistero del Sacramento.
È lo stesso pericolo che individua nella caduta dell’adorazione davanti al tabernacolo: « Si è dimenticato — dice — che l’adorazione è un approfondimento della comunione. Non si tratta di una devozione “individualistica” ma della prosecuzione o della preparazione, del momento comunitario. Bisogna poi continuare in quella pratica, così cara al popolo (a Monaco di Baviera, quando la guidavo, vi partecipavano decine di migliaia di persone) della processione del Corpus Domini. Anche su questa gli “archeologi” della liturgia hanno da ridire, ricordando che quella processione non c’era nella Chiesa romana dei primi secoli. Ma ripeto qui quanto già dissi: al sensus fidei del popolo cattolico deve essere riconosciuta la possibilità di approfondire,di portare alla luce, secolo dopo secolo, tutte le conseguenze del patrimonio che gli è affidato ».

«Non c’è solo la messa »
Aggiunge: « L’eucaristia è il nucleo centrale della nostra vita cultuale, ma perché possa esserne il centro abbisogna di un insieme completo in cui vivere. Tutte le inchieste sugli effetti della riforma liturgica mostrano che certa insistenza pastorale solo sulla messa finisce per svalutarla, perché è come situata nel vuoto, non preparata e non seguita com’è da altri atti liturgici. L’eucaristia presuppone gli altri sacramenti e ad essi rinvia. Ma l’eucaristia presuppone anche la preghiera in famiglia e la preghiera comunitaria extra-liturgica ».

A cosa pensa in particolare?
« Penso a due delle più ricche e feconde preghiere della cristianità, che portano sempre e di nuovo nella grande corrente eucaristica: la Via Crucis e il Rosario. Dipende anche dal fatto che abbiamo disimparato queste preghiere se noi oggi ci troviamo esposti in modo così insidioso alle lusinghe di pratiche religiose asiatiche ».

Infatti, osserva, « se recitato come tradizione vuole, il Rosario porta a cullarci nel ritmo della tranquillità che ci rende docili e sereni e che dà un nome alla pace: Gesù, il frutto benedetto di Maria; Maria, che ha nascosto nella pace raccolta del suo cuore la Parola vivente e poté così diventare madre della Parola incarnata. Maria è dunque l’ideale dell’autentica vita liturgica. È la Madre della Chiesa anche perché ci addita il compito e la meta più alta del nostro culto: la gloria di Dio, da cui viene la salvezza degli uomini ».

LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

La Chiesa ha una natura divina che da nulla è offuscata e che la rende sempre pura e immacolata. Ma la sua dimensione umana può essere ricoperta da quella fuliggine che si chiamò ... sporcizia o fumo di Satana.



I frutti della "Gaudium et Spes" [?]

Chiesa cattolica: che cosa succede in Vaticano?

di Roberto de Mattei


Che cosa succede in Vaticano? I cattolici del mondo intero si domandano costernati qual è il senso delle notizie che esplodono sulla stampa e che sembrano rivelare l’esistenza di una guerra ecclesiastica interna alle Mura Leonine, la cui portata è artatamente ingigantita dai mass media. Però, se non è facile capire che cosa succede, si può tentare di capire perché tutto ciò oggi accade.

Non è privo di significato il fatto che l’autocombustione divampi proprio mentre ricorre il 50esimo anniversario del Concilio Vaticano II. Tra tutti i documenti di quel Concilio, il più emblematico, e forse il più discusso, è la costituzione Gaudium et Spes, che non piacque al teologo Josef Ratzinger. In quel documento si celebrava con irenico ottimismo l’abbraccio tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Era il mondo degli anni Sessanta, intriso di consumismo e di secolarismo; un mondo su cui si proiettava l’ombra dell’imperialismo comunista, di cui il Concilio non volle parlare.

Il Vaticano II vedeva i germi positivi della modernità, ma non ne scorgeva il pericolo, rinunciava a denunciarne gli errori e rifiutava di riconoscerne le radici anticristiane. Si poneva in ascolto del mondo e cercava di leggere i «segni dei tempi», nella convinzione che la storia portasse con sé un indefinito progresso. I Padri conciliari sembravano aver fretta di chiudere con il passato, nella convinzione che il futuro sarebbe stato propizio per la Chiesa e per l’umanità. Così purtroppo non fu. Negli anni del postconcilio, allo slancio verticale verso i princìpi trascendenti si sostituì l’inseguimento dei valori terrestri e mondani.

Il principio filosofico di immanenza si tradusse in una visione orizzontale e sociologica del Cristianesimo, simboleggiata, nella liturgia, dall’altare rivolto verso il popolo. La conversio ad populum, pagata a prezzo di inaudite devastazioni artistiche, trasformò l’immagine del Corpo Mistico di Cristo in quella di un corpo sociale svuotato della sua anima soprannaturale. Ma se la Chiesa volta le spalle al soprannaturale e al trascendente, per volgersi al naturale e all’immanente, capovolge l’insegnamento del Vangelo per cui bisogna essere «nel mondo, ma non del mondo»: cessa di cristianizzare il mondo ed è mondanizzata da esso.

Il Regno di Dio diviene una struttura di potere in cui dominano il calcolo e la ragion politica, le passioni umane e gli interessi contingenti. La “svolta antropocentrica” portò nella Chiesa molta presenza dell’uomo, ma poca presenza di Dio. Quando parliamo di Chiesa ci riferiamo naturalmente non alla Chiesa in sé, ma agli uomini che ne fanno parte. La Chiesa ha una natura divina che da nulla è offuscata e che la rende sempre pura e immacolata. Ma la sua dimensione umana può essere ricoperta da quella fuliggine che Benedetto XVI, nella Via Crucis precedente alla sua elezione, chiamò «sporcizia» e Paolo VI, di fronte alle crepe conciliari, definì, con parole inconsapevolmente profetiche, «fumo di Satana» penetrato nel tempio di Dio.

Fumo di Satana, prima delle debolezze e delle miserie degli uomini, sono i discorsi eretizzanti e le affermazioni equivoche che a partire dal Concilio Vaticano II si susseguono nella Chiesa, senza che ancora sia iniziata quell’opera che Giovanni Paolo II chiamò di «purificazione della memoria» e che noi, più semplicemente, chiamiamo «esame di coscienza», per capire dove abbiamo sbagliato, che cosa dobbiamo correggere, come dobbiamo corrispondere alla volontà di Gesù Cristo, che resta l’unico Salvatore, non solo del suo Corpo Mistico, ma di una società alla deriva. La Chiesa vive un’epoca di crisi, ma è ricca di risorse spirituali e di santità che continuano a brillare in tante anime. L’ora delle tenebre si accompagna sempre nella sua storia all’ora della luce che rifulge.

Fonte:
http://www.corrispondenzaromana.it/chiesa-cattolica-che-cosa-succede-in-vaticano/

AVE MARIA!

mercoledì 30 maggio 2012

“NON FORZARE LA SCELTA MA SEMINA CON SPERANZA”: sì con speranza. Come vorrei che tutti i miei lettori –su santa Messa e santo Rosario – la pensassero così!






<<XY …. vedo che lei ce l’ha a morte col Santo ROSARIO, mi chiedo perché tanta allergia …

le rammento che il Santo Rosario NON è una devozione “individualista”,  il Rosario si può dire in forma privata quanto comunitaria, si legga la Marialis Cultus di Paolo VI …
è vero che prima del Concilio molte persone dicevano il Rosario durante la Messa, ma non per questo lei può penalizzare il Rosario gettandolo nel cestino…

Paolo VI sulla scia di Pio XII, ma anche di Leone XIII e di san Pio V definisce il Santo Rosario LA REGINA DELLE DEVOZIONI … nonché sulla scia del Beato Giovanni Paolo II che ha fatto del Rosario in pubblico una vera liturgia di popolo …

Il Santo Rosario comunitario ha in sè una forma liturgica propria attraverso la MEDITAZIONE DELLA PAROLA nell’annunciazione del Mistero, ed è PREGHIERA nelle formule che lo compongono compreso l’Inno del Gloria alla Santissima Trinità …

Benedetto XVI è andato due volte a santa Maria Maggiore per dire il Santo Rosario in forma pubblica, dandogli una immagine liturgica propria, un incontro COMUNITARIO nel quale il popolo di Dio si è riunito per ascoltare la Parola e per Pregare …

Senza dubbio che nessuno è obbligato a dire il Santo Rosario, ma chi non vuole dirlo non ha alcun diritto di denigrarlo, specialmente se cattolico … né ha alcun diritto di porre il Santo Rosario e la Santa Messa uno contro l’altro…
NON SI SEPARA LA MADRE DAL FIGLIO!

Non esiste alcun Documento o alcuna Norma che VIETI di dire il Rosario durante la Messa, è invece più semplicemente richiesto di non farlo per non distrarsi dal rito…ma anche questo termine fu corretto dal beato Giovanni Paolo II: il Santo Rosario NON DISTRAE IL FEDELE DALL’EUCARESTIA, al contrario, Maria aiuta il fedele a COMPENETRARE più profondamente nel Mistero che si sta celebrando, Maria è DONNA EUCARISTICA ….

Diceva l’allora cardinale Ratzinger nello  “spirito della Liturgia”:

In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile.
La parola «partecipazione» rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte.

- La prima forma di partecipazione alla Messa E’ L’ADORAZIONE A DIO … -
Senza dubbio che esiste LA PARTECIPAZIONE del fedele alla Messa, ciò che va chiarito è cosa si intende per ATTIVA … 

* un malato nel suo letto di ospedale che segue la Messa alla TV non starà forse PARTECIPANDO ATTIVAMENTE unendo le sue sofferenze a quelle del Cristo?

* la Messa NON E’ UNA RECITA, non è recitazione, non è teatralità …

l’attivismo richiesto al fedele è quello dei BATTITI DEL SUO CUORE … è quello della sua sofferenza da unirsi all’offerta che il Sacerdote compirà sull’Altare … la nostra partecipazione è un unirsi come facevano i SANTI prima del Concilio … la nostra partecipazione attiva deve essere un ENTRARE dentro il soprannaturale che si sta vivendo e questo lo si fa ADORANDO, non svolgendo un attivismo...>>


 
LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!