giovedì 5 aprile 2012

L'amore dei Sacerdoti sul Cuore di Gesù è un balsamo



OGGI è la festa dei Sacerdoti.
Preghiamo ogni giorno perché Essi siano ministri santi e veri servitori di Gesù. Il ministero sacerdotale è un servizio di amore.


Gesù domanda ai suoi Sacerdoti solo di essere amato. Lo chiede con l'ansia di un assetato..., col desiderio di un affamato...., con l'ardore di un innamorato, che brama ricevere amore dalla persona che ama.


L'amore dei Sacerdoti sul Cuore di Gesù è un balsamo che addolcisce l'amarezza di sentirsi così poco amato...
Mai come oggi l'Amore non è amato. 


E quest'Amore invita i Sacerdoti ad amare tutti i fratelli di Gesù con la delicatezza infinita del suo amore divino. Com'è urgente imparare da Gesù che è mite ed umile di cuore. Com'è urgente cingere il grembiule per porsi al servizio del prossimo: dando a tutti la stessa ricchezza di Gesù; ai ricchi la sua povertà; ai sani la sua debolezza; ai malati il suo vigore; ai peccatori la sua salvezza; ai moribondi il suo Paradiso; agli affamati il suo Corpo; agli assetati il suo Sangue; ai deboli il suo sostegno; ai piccoli la sua difesa; a tutti la sua divina carezza.


Veramente in questo giorno del giovedì santo, in cui abbiamo ricevuto i doni dell'Eucaristia e del Sacerdozio, tutti noi cristiani, impariamo da Gesù ad amare. 


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR! 

La riforma liturgica



Recensione Libraria: la riforma liturgica secondo Brian Moore

 (di Fabrizio Cannone) Tante sono le critiche, e di varia natura, che la riforma liturgica post-conciliare ha portato con sé. Tra di esse spiccano quelle del cardinal Ratzinger, sia per la loro puntualità teologica, sia soprattutto per l’autorevolezza di colui che le ha pronunciate. L’espressione più forte l’allora Cardinal Ratzinger la usò nel 1992 introducendo un saggio di mons. Klaus Gamber: «la riforma liturgica non è stata una rianimazione, ma una devastazione».

Numerosi sono gli autori che hanno condiviso quest’affermazione, mai però, se non vado errato, la riforma liturgica e i suoi problemi, hanno dato luogo ad un romanzo storico come quello di Brian Moore, edito in edizione originale nel 1972, a soli 3 anni dalla promulgazione del Novus Ordo Missae (Cattolici, Lindau, Torino 2012, pp. 100, € 12) da cui è stato tratto un bellissimo film.


Lo scrittore cattolico irlandese immagina una Chiesa devastata dal modernismo a causa del Concilio Vaticano IV e di una riforma liturgica da strapazzo a cui si oppone, nel mondo intero, un unico convento di monaci, residenti in una sperduta isola irlandese, continuando la celebrazione more antiquo. Vista l’affluenza crescente di fedeli da ogni parte del mondo, i superiori dell’Ordine monastico, temendo l’inizio di una contro-rivoluzione cattolica, inviano un sacerdote, padre James Kinsella, per farli adeguare alla norma imposta da Roma.




Che cosa accadrà? Lo lascio scoprire al curioso lettore… Segnalo però da subito gli interessantissimi dialoghi tra i monaci (conservatori) e l’inviato (modernista) di Roma. Ad un certo punto, l’abate irlandese definisce così il problema di fondo, soggiacente alla stessa riforma della Messa: «L’ortodossia di ieri è (diventata) l’eresia di oggi» (p. 57).




Un altro monaco, che probabilmente esprime le posizioni dell’autore, spiega così le sue ragioni al Kinsella: «(…) vedete, è la cosa più normale che ci sia, non abbiamo fatto nulla perché iniziasse tutto questo, abbiamo continuato a dire la messa a Cahirciveen nel modo in cui lo abbiamo sempre fatto, nel modo in cui siamo stati educati a fare. La messa! La messa in latino, il sacerdote con le spalle rivolte ai fedeli affinché sia lui che i fedeli guardino l’altare dove c’è Dio. Offrire a Dio il sacrificio quotidiano della messa. Il pane e il vino che diventano il corpo e il sangue di Gesù Cristo, nel modo in cui Gesù disse ai suoi discepoli di fare durante l’Ultima Cena.




“Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me”. Dio ha mandato suo Figlio per redimerci. Suo Figlio è venuto sulla terra ed è stato crocifisso a causa dei nostri peccati e la messa è la commemorazione della crocifissione, del sacrificio del corpo e del sangue di Gesù Cristo a causa dei nostri peccati. E la messa è detta in latino poiché il latino è la lingua della Chiesa, la Chiesa è una e universale, così il cattolico poteva andare in ogni chiesa del mondo, qui come a Timbuctu, o in Cina, e ascoltava la stessa messa, l’unica messa che c’era un tempo, la messa in latino. Che poi la messa fosse in latino e il popolo non parlasse il latino, questo era parte del mistero della messa, perché la messa non parlava al nostro vicino ma a Dio. Dio onnipotente!




Abbiamo fatto così per quasi duemila anni e in tutto questo tempo la chiesa è stata il luogo dove si stava tranquilli, rispettosi, era un posto silenzioso perché Dio era lì, Dio era sull’altare, nel tabernacolo, in forma di ostia e di calice di vino. Era la casa del Signore, dove ogni giorno si compiva il miracolo quotidiano. Dio veniva tra noi. Un mistero. All’opposto questa nuova messa non è un mistero, ma una barzelletta, una cantilena, non parla a Dio, parla al nostro vicino; è per questo che è in inglese, in tedesco, in cinese e in ogni altra lingua che la gente parla in chiesa. Dicono che è un simbolo, ma un simbolo di cosa? E’ uno spettacolo, ecco cos’è» (pp. 43-45). Non c’è altro da aggiungere. (Fabrizio Cannone)


CHI vuol capire capisca.


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

GIOVEDI' SANTO: MESSA DEL CRISMA, BASILICA VATICANA




giovedì 5 aprile 2012

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI GIOVEDI' SANTO MESSA DEL CRISMA, BASILICA VATICANA


Cari fratelli e sorelle!
In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre. Egli stesso è la Verità. 

Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. 

“Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?” 

Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi? 

Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. 
Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?

Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada.

Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.

Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.

Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento, il (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso. Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l’esperienza di aver bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo.

Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino:
E che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d’Ars non era un dotto, un intellettuale, lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso era stato toccato nel cuore.

L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama
zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. 

Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore. Amen.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana 

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

martedì 3 aprile 2012

Nella confessione, non ci si rivolge ad un uomo, ma a Dio stesso.



Ci sono santi sulla terra che, a causa della fragilità umana, cadono in qualche errore, a volte anche grave. 

Il demonio allora opera per intimidire l'anima colpe­vole, alfine di impedirle di confessare il suo peccato. Le dice: Il sacerdote ti crede buona, santa, come oseresti confessargli questa colpa? confesserai questo peccato ad un uomo? No, tu non lo farai. 



L'anima, ingannata, nasconde il suo peccato; con­tinua a ricevere i sacramenti; un peccato ne attira un altro; il demonio finisce per accecarla ed essa cade nell'inferno. 

La vergine ha molto insistito su questa verità che, nella confessione, non ci si rivolge ad un uomo, ma a Dio stesso.

LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

Ti saluto, Ti adoro, Ti abbraccio, o Croce adorabile del mio Salvatore.


Ti saluto, Ti adoro, Ti abbraccio,
o Croce adorabile
del mio Salvatore.
Proteggici, custodiscici, salvaci. Gesù Ti ha tanto amata,
e così io Ti amo,
seguendo il Suo esempio.
Con la tua santa Immagine calma i nostri terrori.
Conservami la pace e la fiducia”


-        Ti saluto, Gesù Crocifisso, che mi lasci la vita.
-        Ti saluto con tutta la gioia degli Angeli e dei Santi nel momento in cui fosti deposto dalla Croce.
-        Ti saluto con la tristezza della Madonna quando Tu fosti deposto sul Suo Cuore e sui suoi ginocchi immacolati.


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!