Un’infanzia difficile
Il 7 ottobre del 1907 veniva alla luce a Puos d’Alpago, poco lontano
dal lago di S. Croce in provincia di Belluno, nel nord del Veneto, il piccolo
Guido, terzogenito di Osvaldo Bortoluzzi che, dopo essere rimasto vedovo con la nascita del primo figlio, aveva sposato in seconde nozze Ancilla
Mocellin. Entrambi i genitori erano maestri elementari.
Dal primo matrimonio il padre aveva avuto Giuseppe, otto anni più
grande di Guido, che morì ancora adolescente.
Dalla seconda moglie ebbe altri tre figli: prima Gino, nato nel 1906, poi
Guido, nato nel 1907 e infine Giulio, nato nel 1910.
La vita di Guido è stata segnata fin dai primi momenti da difficoltà: la
madre non aveva latte e a quei tempi il latte artificiale non c’era ancora.
La nonna paterna Caterina si diede da fare e trovò a 7 km di distanza una
buona contadina che aveva appena perduto il suo bambino ed era disposta a
prendere a balia il piccolo. Aveva latte buono e tanto amore materno.
Così nonna Caterina mise il neonato in una gerla di vimini e s’incamminò a piedi su per la montagna. Tra le braccia della balia Guido succhierà,
insieme al latte, amore e cure. Sarà questo uno dei rari periodi di serenità
della sua infanzia.
Ad un anno, un mese e un giorno la balia lo riporterà a casa ancora con
la gerla dalla quale il piccino, lungo la strada, faceva eco alle preghiere che
la donna recitava a voce alta rispondendo ad ogni litania: “Oa po nobis”.
Dopo poco la famiglia si trasferì a Farra d’Alpago dove con un mutuo i
genitori avevano comprato una piccola e vecchia casa.
L’ambiente era freddo in tutti i sensi. Fra i genitori non c’era armonia.
La madre ‘siora Ancilla’, o semplicemente ‘la maestra’, come tutti la chiamavano, era brava, energica e temuta insegnante, ma dura e parziale con
marito e figli.
Il marito, appassionato cacciatore, si rifugiava sempre più spesso nelle
battute di caccia pur di stare lontano da casa. Sovente si fermava a dormire
nei cascinali, incurante del maltempo. Fu così che s’ammalò di tubercolosi,
malattia che lo portò alla morte nel 1911 poco dopo la nascita del quarto
figlio.
Uomo impulsivo, collerico, scontento, era la sofferenza della vecchia nonna Caterina che non riuscì con le sue premure a farlo riaccostare ai
Sacramenti neanche quand’egli si trovò in fin di vita. Lo ottenne il piccolo
Guido.
Si legge in una pagina autobiografica:
Quella santa donna carismatica che fu mia nonna paterna mi predisse
fin da quando avevo quasi quattro anni che da grande sarei stato prete e
sarei stato contento di sapere che il papà prima di morire aveva fatto pace
con Dio. Era gravemente malato e aveva espresso il desiderio di vedere i
suoi tre figlioletti prima di morire.
Abitavamo a 8 km di distanza e ci andammo in carrozza. Non potevamo
baciarlo in faccia perché c’era pericolo di TBC.
La mamma si fermò da lui in camera; noi, piccoli, fummo invitati dalla
nonna a rimanere fuori, nel corridoio.
Qui la nonna chiamò vicino a sè il
più grande, di 5 anni. Voleva incaricarlo di una missione, ma egli scappò
via. Chiamò me e disse:
– Hai visto il papà com’è patito! Morirà presto e non lo vedrai più. – E
piangeva. – Poveri piccoli! Ha patito tanto, sai, e patirà ancora di più dopo
morto perché ha detto tante e tante bestemmie. Ma tu vuoi bene al tuo papà,
vero? Tu puoi salvarlo dai patimenti dell’inferno dopo la morte. –
E mi spiegò in breve cos’è l’inferno.
– Va dentro e digli che chiami il prete e che faccia pace con Dio. –
Entrai e dissi:
– Papà, ti voglio bene; non voglio che tu vada a patire anche all’inferno. –
– Reazione violenta: – È stata quella stupida di tua nonna a dirti queste
cose? – E giù ingiurie e bestemmie. Scappai fuori e dissi alla nonna:
– È cattivo, non torno da lui. –
Lei invece mi convinse a ritornare. Mi promise che avrebbe pregato lo
Spirito Santo e la Madonna perché gli facessero capire l’importanza e l’urgenza del messaggio. Mentre mi scostavo da lei disse:
– Povero innocente, perché sei così piccolo non ti crederà. Ma ti seguo
con la preghiera. –
Arrivato al capezzale del malato, dissi subito:
– Papà, tu non mi credi perché sono piccolo, ma io so, sai, quello che
dico. Quando sarò grande sarò prete e sarò contento di sapere che, prima
di morire, hai fatto pace con Dio. –
– Io sono sempre in pace con Dio. –
– Eh no, papà. Ti ho sentito dire bestemmie e parolacce alla nonna. –
Da quanto è che gli insegni la lezione? – chiese alla mamma.
– Non gli ho mai parlato di queste cose. –
Erano circa due anni che egli viveva dai nonni e ignorava i miei progressi nel parlare. Egli mi guardò fisso per alcuni istanti, poi disse:
– Vieni qua, che ti dò un bacio. –
Nonna e mamma intervennero: – No! È troppo pericoloso! –
– Lasciatemi quest’ultima soddisfazione prima di morire. –
Devo dire che mentre parlavo col papà la nonna usciva in molte esclamazioni:
– Caro da Dio! È lo Spirito Santo che gli fa dire queste cose. Ascoltalo
figlio mio, è tuo sangue. –
Un anno dopo la nonna venne a trovarci a Farra. Si mostrò buona con me.
– Tu hai salvato tuo padre – disse – e salverai ancora molte anime. –
La nonna in quell’occasione gli portò un giochino. Quando partì, la
mamma prese il gioco per darlo a Giulio, il più piccolo, che lo ruppe subito.
Dopo la morte della nonna Guido non ebbe più nemmeno il soldino che
ella donava ai nipotini nelle feste.
Orfano di padre e con la morte della nonna, la sua vita divenne ancor
più triste. La madre aveva per lui un astio incontrollabile e una predilezione
speciale per il piccolo Giulio che era il più bello ed il più gracilino dei quattro maschi. Guido invece era un bambino forte, che cresceva bene. Forse
per questo a tavola, nella povera cucina, doveva sedersi sempre nel posto
più esposto agli spifferi che entravano dalle fessure della finestra. Negli
inverni freddi l’aria gelida che gli arrivava dritta alle spalle diventava un
tormento.
Fino alla quinta elementare non ebbe neppure un letto normale e fu costretto a dormire raggomitolato in un lettino con le sponde che gli impedivano di allungare le gambe.
Come i suoi fratelli, doveva andare a turno a prendere l’acqua alla fontana, portare al primo piano la legna e fare ogni genere di servizi, come quello
di salire a prendere il latte alla malga Pèterle che distava più d’un’ora di
cammino, dove in estate alpeggiavano le mucche della valle.
Scrive don Guido: “Ebbi un’infanzia e una fanciullezza senza i giochi e
gli spassi di quell’età per dover accudire alle faccende di casa, ma con la
gioia di andare in chiesa alle funzioni e a cantare”.
La sua precoce vocazione
diventa una promessa
Fu appunto durante una di queste escursioni per andare a prendere il
latte quando, all’età di dieci anni, gli accadde un fatto che rafforzò la sua
decisione di offrire tutto se stesso alla Madonna e al Signore e diventare
prete: la Madonna lo aveva miracolosamente salvato dal pericolo di cadere
in un precipizio.
Riprendo un’altra pagina autobiografica.
Ero arrivato alle Casere Pèterle, in cima alla valle Runàl, a prendere il
solito latte da Giovanna Mira quando mancava poco più di un’ora al tramonto. In breve il sole fu oscurato dalle nubi e cominciò a piovere.
Nella speranza che cessasse, mi fermai. Ma, visto che continuava, mi decisi di
ripartire. Mi diedero una vecchia giacca per coprirmi le spalle.
Calzavo un paio di scarpette di pezza. Dovevo risparmiare le ‘dàlmade'
dai danni dei ciottoli che coprivano la strada ripida, ma i danni li
sentivano le mie caviglie.
Mi sconsigliarono di prendere la scorciatoia per i prati del Col Salèr ai
Lastrìn, ma, giunto al bivio coi piedi dolenti, preferii eventuali scivolate sul
prato ai sassi che mi rotolavano sotto i piedi.
Si fece buio presto e non sapevo a che punto dovevo girare a sinistra per
ritornare sulla strada. La pioggia sempre più fitta ad ogni nuovo lampo e
tuono faceva scorrere l’acqua sotto i miei piedi.
Lunghi scivoloni mi avevano portato troppo a destra dove sotto c’era il
burrone profondo e il torrente che rumoreggiava minaccioso. Ad ogni scivolone mi adagiavo sul fianco per aderire di più al suolo ripido e per poter
piantare le dita della mano libera sul terreno e così trattenermi.
Con l’altra tenevo il manico del vaso del latte che era da cinque litri, ma
ne conteneva uno soltanto, non avendone trovato uno più piccolo.
Un terrore inesprimibile mi invase quando mi sentii scivolare per una
decina di metri fin dove sentivo direttamente il fragore del torrente sottostante. Mi adagiai supino annaspando intorno senza trovare alcun appiglio. L’acqua piovana scorreva sotto la mia schiena. La vecchia giacca che
mi era stata data era inzuppata e pesante e mi era sfuggita dalle spalle.
Terrorizzato invocai la Madonna. In cima alla valle c’è Irighe col suo
Santuario, mèta di pellegrinaggi. A Lei rinnovai il mio proposito di consacrarmi al Signore.
Non osavo muovermi perché ogni piccolo movimento mi faceva scivolare.
Mi vedevo con la fantasia ormai morto sfracellato laggiù e immaginavo
come il dì seguente mi avrebbero cercato e raccolto in pezzi.
Invocavo un po’ di luce, urlando fortemente.
Proprio sopra di me guizzarono successivamente tre lampi e vidi la mia
posizione.
Riuscii a raccogliere la giacca, ma non il berretto nuovo al quale ero
affezionato per la piccola aquila dorata che era stata cucita sul davanti.
Fatti alcuni passi prudenti verso la strada, mi ritrovai di fronte ad un
profondo crepaccio. Non potevo saltarlo e non trovavo, nel buio, il modo di
aggirarlo. Disperato urlai ancora:
– Madonna Santissima,
aiutatemi ancora. Fate che
trovi la via d’uscita. –
Fui molto contento di vedere ancora un lampo e poi
un secondo. Così riuscii a
portarmi in salvo.
Il berretto fu trovato, su
mie indicazioni, da mio fratello maggiore il giorno seguente, in cui toccava a lui,
di turno, recarsi alle Casere
Pèterle, a prendere il solito
litro di latte.
La visione dell’apparizione della Madonna ai tre pastorelli a Fatima,
il 13 ottobre 1917, avuta da don Guido a 10 anni
Di lì a poco ci fu un altro episodio che vagamente si ricollega a quello
precedente per via di quel famoso berretto e che ricorderà da adulto con
molta commozione in un altro brano autobiografico.
C’è un rapporto misterioso tra una visione che ho avuto il 13 ottobre
1917 all’età di dieci anni e il fatto straordinario accaduto lo stesso giorno
a Fatima in Portogallo.
Quel giorno mi trovavo a giocare a nascondino con un amico in una
stalla vuota di animali, presso casa mia. Egli mi tolse il berretto, lo gettò
sul selciato e vi buttò sopra una bracciata di foglie secche tolte da un grande mucchio addossato alla parete, sfidandomi di trovarlo entro lo spazio di
un’Ave Maria.
– Adesso trova il tuo berretto – disse.
– Lo troverò – risposi – a costo di passare le foglie ad una manciata
alla volta. –
Trovato il berretto, toccò a me nasconderlo. A turno egli si voltò dalla
parte opposta, mentre nascondevo il berretto sotto un mucchio più grande
di foglie. Il gioco continuò con sfida alterna. Ad un nuovo turno mio, il berretto si trovò sotto un mucchio di foglie alto quanto la mia statura.
La campana suonò l’Ave Maria di mezzodì e l’amico scappò via.
Introducendo il braccio tra il fogliame, non riuscivo più a pescare nel
fondo il berretto come le altre volte. Non si trovava più al centro della base
del cumulo. Dovetti adattarmi a prendere una bracciata alla volta di quelle
foglie e riportarle nel mucchio grande. Quel berretto, comprato qualche
mese prima per me, mi aveva recato una grande gioia quando mi venne
regalato da mamma. Portava sul davanti, sopra il frontino, un’aquila di
metallo dorato con le ali aperte, ma era stato ridotto ad un cencio durante
il furioso temporale di qualche giorno prima, quando lo perdetti in montagna e rischiai di perdere insieme anche la vita.
Faticai quel mezzodì del 13 ottobre a trovare il berretto nascosto per
gioco e intanto meditavo sul terrore di quella sera, delle mie grida di aiuto
alla Madonna, sul miracolo dei lampi che mi salvarono, e sulla mia promessa...
Quando ritrovai il berretto, ebbi d’improvviso la visione che la Madonna
stava apparendo a dei bambini grandi più o meno come me e vidi che stava
compiendo un miracolo
Temendo d’esser creduto un visionario, tenni il segreto per me. In casa
chiesi a mamma se era successo qualcosa di importante nel mondo. Andò a
prendere il giornale. Nulla. Il dì seguente mi disse che tutti i giornali parlavano di Fatima e dei tre fanciulli.
Molte volte, guardando quel berretto che ancora conservo, penso a
quella visione...
Nel frattempo era venuta la guerra e con essa la fame.
Dopo che l’affezionatissima nonna era morta, i due figli più piccoli,
Guido e Giulio, vennero mandati a Tambre d’Alpago, paese di origine dei
genitori, da uno zio che faceva il contadino, perché lo aiutassero in campagna e nella stalla in cambio di un piatto sicuro. Giulio fu riportato a casa
dopo poco tempo perché era sempre in lacrime per la nostalgia. Guido invece rimase lì, salvo brevi intervalli, per quasi tre anni, ben voluto e ben
nutrito. Tornò a casa più forte e più sano.
La visione fu solo visiva, non uditiva. Ciò che il piccolo Guido vide fu l’apparizione della
Madonna ai tre pastorelli e il miracolo del sole che in quello stesso giorno a Fatima prese
a girare davanti a migliaia di persone. Una curiosità: don Guido è nato nel 1907, lo stesso
anno di Sr. Lucia di Fatima.
Il ricordo della visione del 13 ottobre del 1917 fece pensare a don Guido, una volta concluse le rivelazioni, che ci fosse una relazione fra queste e il terzo segreto di Fatima, visto che
la Madonna li aveva in qualche modo associati.
Nemmeno questa lunga assenza fu sufficiente a fargli recuperare l’affetto della madre che in quel periodo aveva visto solo tre volte nonostante la
sua casa distasse appena 8 km da quella dello zio: forse assomigliava troppo
a sua nonna Caterina che lei non sopportava.
Il Cappellano di Farra lo notò per la sua bontà e correttezza e, benché
appena dodicenne, gli affidò l’incarico di catechista ad una trentina di compagni in vista della Prima Comunione. Gli impartì anche i primi elementi
di latino.
Di lì “...l’invito del parroco ad entrare in Seminario, poi la Cresima,
l’abbraccio del Vescovo Cattarossi, gli studi...”.
Nel 1920 partì per Feltre, dove il Seminario aveva solo le classi inferiori.
Furono anni duri, in cui patì il freddo e la fame. Vi furono reclami da parte di seminaristi e genitori e, dopo successivi controlli della Curia Vescovile
di Belluno, le cose andarono meglio.
Nel Seminario di Feltre ebbe le prime due predizioni riguardanti le future “rivelazioni che avrebbe ricevuto da anziano dal Signore sulla Genesi
Biblica”.
La terza la ebbe nel Seminario di Belluno e l’ultima quando già era
Cappellano a Dont, piccolo paesino della Val Zoldana.
Prima però accadde un fatto strano che lasciò perplesso don Guido:
“Padre Anselmo e Padre Emidio, francescani venuti da lontano, dopo
aver predicato una grande missione al mio paese nel 1921, vennero a cercarmi al Santuario di San Vittore, vicino a Feltre, dove mi trovavo a passeggio con i miei compagni di Seminario, e insistettero perché andassi con
loro per farmi frate”.
Proposero al giovane Guido una borsa di studio che comprendeva l’intera retta per tutti gli anni del Seminario: vitto, alloggio, libri, tasse scolastiche e la promessa della consacrazione anticipata di un anno rispetto alla
data prevista dai corsi regolari e quindi la possibilità di celebrare la Messa
dodici mesi prima. Insistettero a lungo e con tanta benevolenza.
Guido, allora quattordicenne, ne fu entusiasta perché provava una grande fiducia per questi Padri.
Tornato in Seminario, corse nello studio del
Rettore per comunicargli la notizia. Ma questi gli disse in modo perentorio
che, se anche fosse uscito solo per prova, non avrebbe più rimesso piede
nel Seminario di Feltre. Gli ricordò i grandi sforzi economici fatti dalla sua
famiglia e la riconoscenza che egli doveva ai suoi parenti e ai Superiori e si
fece promettere che avrebbe declinato l’invito.
Guido passò un giorno e una notte in grande angoscia, combattuto dal
desiderio di seguire i padri francescani e la promessa fatta al Rettore e finì
per rinunciare. “Dissi ai Frati che la loro divisa non mi piaceva e che la
decisione era troppo impegnativa”.
Ripensando a quest’episodio non riusciva a capire come mai fossero
venuti da così lontano per fare solo a lui questa proposta, dal momento che
nel Seminario e nella sua stessa classe c’erano alunni molto più intelligenti
e preparati di lui. Infatti, nei suoi studi non brillava per profitto. Per questo
non si spiegava come qualcuno potesse aver interesse a lui.
Più tardi pensò che il motivo di tanta insistenza dei due Frati fosse dovuto alla loro conoscenza di cose future che prudentemente non avevano
voluto rivelare. Con l’età gli rimase il rimpianto e il dubbio che quell’opportunità gliel’avesse mandata il Signore.
L’anno seguente accadde un fatto ancor più singolare: da alcune parole
profetiche di un santo Sacerdote venne a sapere che Dio lo aveva scelto
come strumento per spiegare all’umanità alcuni passi oscuri della Bibbia.
Sentiamo quanto egli stesso scrive.
1922: prima predizione, di San Giovanni Calabrìa
del progetto di Dio su don Guido
Nel 1922, mentre ero in Seminario a Feltre, ebbi una predizione di don
Giovanni Calabria.
Accadde questo fatto: con i miei compagni di classe ritornavamo dal
cortile alla sala di studio attigua alla stanza del Rettore. Il Rettore era davanti alla sua porta e parlava con un Sacerdote forestiero.
Appena entrati, ci raggiunse lasciando l’uscio aperto e disse che quel
Sacerdote era don Giovanni Calabria, fondatore della Casa dei Buoni
Fanciulli di Verona, un carismatico come don Bosco, e che, guardandoci
entrare, gli aveva detto che uno di noi, diventato anziano, avrebbe scritto
un libro molto importante e che avrebbe dovuto scriverlo presto. Solo io,
fra i dodici compagni, chiesi:
– Lo saprà quell’uno di noi, l’interessato, che il suo libro è
molto importante? –
Dal corridoio mi giunse la voce di don Calabria:
– Sì, lo saprà. È proprio lui. –
– Su quale argomento? – replicai.
– Vado a domandarglielo – rispose il Rettore.
Il Rettore uscì e parlò con don Calabria. Rientrato disse che l’interessato
lo avrebbe saputo e che riguardava la Bibbia, la Genesi biblica. Poi chiese:
– Chi ha fatto quella domanda? –
[NB: S. Giovanni Calabria, figura profetica e grande carismatico della prima metà del XX
secolo (1873-1954), fonda nel 1907 a Verona la ‘Casa dei Buoni Fanciulli’ per accogliere i giovani in difficoltà, nel 1910 fonda l’ordine delle “Povere Serve alla Divina
Provvidenza” e infine un ospedale e una casa di riposo. È stato chiamato ‘il Profeta del
Volto del Padre’ per la sua totale fiducia e abbandono in Dio come Padre buono. La sua
Opera infatti è interamente affidata alla Provvidenza, mettendo in pratica l’insegnamento
del Vangelo. Riteneva urgente irradiare il Vangelo in tutto il mondo per affermare il primato del Regno di Cristo e difendere il patrimonio religioso e culturale della Chiesa dei primi
secoli. Figura estremamente attiva nella Chiesa, è stato beatificato nel 1988 e canonizzato
il 18 aprile 1999.]
Tacqui nel timore di aver commesso un’impertinenza. Ripetè l’interrogazione. Un compagno disse il mio nome. C’era un mio omonimo. Uno
m’indicò col dito. Egli mi guardò, poi guardò tra i banchi il mio omonimo
che era il più bravo della classe. E poiché dell’altro don Giovanni Calabria
aveva predetto che avrebbe cambiato strada, disse:
– Ho capito. So io quale dei due. – Quello divenne il beniamino; io,
secondo il Rettore, ero quello che avrebbe cambiato strada. Accadde il contrario.
Il Rettore pagò d’allora in poi per ‘l’omonimo’ la retta di tasca sua. E poiché don Calabria aveva predetto che ‘l’altro’ sarebbe uscito dal Seminario,
il chierico Guido fu trattato in seguito con molta freddezza e sufficienza.
1928: seconda predizione, di padre Matteo Crawley
[NB: Padre Matteo Crawley-Boewey (1875-1960), di origine peruviana, ma residente in Cile,
apparteneva alla Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Grande carismatico con
doni di profezia, comprese, meditando le rivelazioni di santa Margherita Maria Alacoque,
che ogni uomo e ogni nazione nasce sotto il dominio del ‘Principe di questo mondo’ e che
solo la piena adesione e consacrazione a Cristo di tutte le famiglie e di tutte le istituzioni può
ridare la libertà spirituale e fisica alla società. Per contrastare gli errori dei tempi moderni e
l’ateismo dilagante, dedicò tutte le sue energie ad estendere la devozione e la consacrazione di tutte le famiglie e di tutte le nazioni cattoliche ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria con
l’obiettivo di portare il cristianesimo con vasto carattere sociale a tutti i popoli della terra
per conseguire la pace a livello mondiale. La sua iniziativa godette l’appoggio di papa Pio
X, del suo successore Benedetto XV e in particolare di Pio XI che durante il suo pontificato
istituì la festa di Cristo Re con l’enciclica ‘Quas primas’ nel 1925. P. Matteo Crawley rimase
famoso anche per la sua iniziativa dell’Ora Santa, un’ora mensile di adorazione notturna
nelle famiglie, in riparazione agli oltraggi alla Regalità di Nostro Signor Gesù Cristo. Morì
in concetto di santità ed è in corso la sua causa di beatificazione.]
Finito il ginnasio a Feltre, il giovane Guido si trasferì, con altri
Seminaristi della provincia, al Seminario di Belluno dove vi erano solo le
classi superiori.
Passarono gli anni e Guido crebbe meditando sempre le parole di don
Calabria nel suo cuore.
Leggiamo ancora quello che accadde poi:
Nel 1928, all’inizio del secondo anno di teologia, Padre Matteo Crawley
tenne un ritiro per tutti i chierici e predisse a ciascuno, senza nominarlo ma
fissandolo negli occhi, il suo avvenire.
Fra gli altri ricordo che disse di uno, intelligente e buono, che sarebbe
salito ai più alti gradi della gerarchia ecclesiastica. Dai brevi connotati,
molti capirono, compreso egli stesso, che si riferiva ad Albino Luciani che
allora faceva la prima o la seconda liceo. Poi, dopo una breve pausa, soggiunse: “Ooooh..! Ahimè..! Ma durerà poco!”.
Guardò anche me e disse, fissandomi negli occhi, che uno di noi avrebbe
ricevuto una rivelazione sui punti oscuri della Genesi Biblica. Descrisse in
breve la mia vita dicendomi che avrei avuto molto da soffrire, anche per
l’incomprensione dei miei confratelli e dei miei Superiori.
Non avevo più dubbi: il Signore, malgrado le mie molte insufficienze, mi
guidava al Suo scopo.
Padre Matteo Crawley gli preannunciò anche che avrebbe subìto un furto. A quale furto si riferisse non lo seppe mai. Solo in vecchiaia pensò che
si fosse trattato del dizionario dei toponimi che egli aveva composto con
grande fatica e che gli fu sottratto dalla sua casa di Farra.
Però questo vago annuncio gli diede fin da allora non poca inquietudine.
Per questo divenne un tantino sospettoso e diffidente con il prossimo.
Il suo voler sapere sempre il come e il perché delle cose, aveva dato al giovane Guido fama di contestatore e per gli insegnanti era un alunno scomodo.
In un esame, presieduto dal Vescovo Cattarossi, si presentò la solita situazione di prevenzione dell’esaminatore che, posta la domanda al giovane
Guido, cominciò a parlare senza dargli la possibilità di aprir bocca, nonostante egli cercasse con la mano di interromperlo per esporre egli stesso.
Il professore fece per accomiatarlo e propose un voto sufficiente, ma
basso.
Il Vescovo intervenne:
– Ora voglio sentire lui, gli faccia un’altra domanda. –
E Guido, libero questa volta di parlare, espose bene e diffusamente l’argomento. Il Vescovo propose un nove. Fecero media, e gli venne dato otto.
Guido ne fu molto incoraggiato perché comprese d’essere stimato dal
suo Vescovo.
1932: terza predizione, di mons. Gaetano Masi
[NB: Mons.Masi, nato a Vallesella di Cadore nel 1870, si laureò in filosofia e teologia a Bologna e in "utroque iure" a Roma.
Nel 1895 divenne insegnante di dogmatica al seminario di Belluno. Rimosso
dalla sua cattedra da Pio X per le sue idee moderniste espresse sul settimanale cattolico ‘La
Domenica’ di cui era direttore, si trasferì prima a Monaco di Baviera, poi a Vienna alle dipendenze dell’ ‘Opera Bonomelli’ per dedicarsi all’assistenza spirituale degli emigrati. Nel
1913 venne richiamato a Belluno dal vescovo Cattarossi che lo designò l’anno successivo
vicario generale della diocesi. Nel 1919 gli venne assegnata la cattedra di dogmatica, catechetica e teologia pastorale nel seminario di Belluno alla quale rinunciò dopo un decennio
per dedicarsi totalmente alla direzione spirituale dei seminaristi, fra i quali il chierico Guido.
La sua spiritualità verteva principalmente sulla ‘Consecratio Mundi’ a Cristo Re. Il suo
motto era: “Fatevi santi senza riserve! Buttate via il pessimismo e abbiate fiducia nella liberazione globale! Cristo infatti non ha solo salvato le anime, ma anche i corpi, riconsacrando
in radice tutte le realtà terrestri”. Morì improvvisamente come un santo nel 1936. Non vi è
dubbio che Mons. Masi ebbe un ruolo importante nella formazione di don Guido.]
lo vedeva con gli occhi del Signore.
Nel gennaio del 1932, mentre erano in corso gli Esercizi spirituali agli
ordinandi Sacerdoti, mons. Gaetano Masi, Padre spirituale dei seminaristi,
concluse con questa espressione:
– E quando il Signore si degnerà manifestare a uno di voi – guardando diritto al chierico Guido – il mistero del peccato originale, ringraziateLo, perché solo per mezzo della conoscenza della vera essenza del
peccato originale potranno essere compresi il mistero e l’economia della
Redenzione. –
La consapevolezza della sua missione maturava così, lentamente, nel
suo animo, nella riservatezza, modestia e umiltà, col cuore pieno d’attesa e
di riconoscente abbandono nella serena disposizione di accettare la Volontà
di Dio tutta intera.
Ma i dolori non gli furono risparmiati neanche il giorno della sua
Consacrazione, il 31 gennaio 1932, giorno che egli attendeva con molta
emozione insieme ad altri sei consacrandi.
Era felice e compreso della grandezza di quanto stava compiendosi.
Arrivò il suo turno e il Rettore disse al Vescovo Cattarossi:
– Ecco il contestatore! –
Il Vescovo, che lo stimava, ne fu palesemente addolorato.
Il giovane Guido gli disse sottovoce:
– Non si rattristi! –
Il Vescovo capì e gli sorrise.
Quella festa che doveva esser un tripudio di gioia fu invece sciupata dalla tristezza. Tuttavia in cuor suo era certo, certissimo, della sua vocazione,
consapevole già allora che stava portando la croce con Gesù.
Il 2 febbraio del 1932 celebrò la sua prima Messa. Questa data fu ricordata da lui negli anni come la più importante della sua vita e ad ogni
anniversario era preso da grande commozione.
Don Guido Sacerdote
Don Guido fu subito mandato cappellano a Fusine, frazione di Zoldo
Alto in provincia di Belluno, dove rimase fino al 1934 quando fu nominato
Parroco a Dont, frazione di Forno di Zoldo, a pochi chilometri di distanza
dalla sede precedente.
Vi rimase dieci anni, dando tutto se stesso ai suoi parrocchiani e al restauro della chiesa che aveva urgente bisogno di un tetto nuovo e di altri
interventi di manutenzione.
Quarta predizione, di Teresa Neumann
Don Guido ebbe anche un altro incontro significativo che può aggiungersi alle predizioni avute in Seminario: fu la visita di Teresa Neumann che
venne appositamente dalla Germania fino a Dont per conoscerlo
Egli ne aveva già sentito parlare, ed aveva anche acquistato un paio di
libri che parlavano di lei. Ma quando ella si presentò alla porta della sua
canonica, a piedi, vestita con modestia e con un fazzoletto in testa, lì per lì
non la riconobbe.
Infatti, al suo saluto in tedesco, don Guido le chiese, sempre in tedesco,
chi fosse e come mai fosse arrivata fin lassù.
Ella si presentò e soggiunse che “desiderava conoscere l’uomo sul quale
Dio aveva grandi progetti di Misericordia”. Certamente Teresa Neumann
alludeva all’intera umanità. Don Guido invece pensò che la Misericordia
fosse rivolta a lui e, sentendosi gran peccatore, rispose:
– Preferirei non provocare la Sua Giustizia. –
Ella sorrise e gli disse:
– Quando il Signore le parlerà scriva tutto, proprio tutto! Il Signore le
vuole molto bene. – E, dopo una breve pausa, aggiunse:
– Lei avrà molto da soffrire. –
[NB: Teresa Neumann di Konnersreuth (1898-1962), è riconosciuta come la grande mistica stimmatizzata bavarese del XX secolo. Contadina di nascita, rimase cieca e paralitica per un
incidente poco più che ventenne e venne miracolata nel 1927 per intercessione di S. Teresa
di Lisieux. Per 36 anni, fino alla sua morte, visse di sola Eucaristia, senza mai toccare né
cibo, né acqua. Ogni settimana riviveva la Passione di Cristo perdendo, il venerdì, quattro
chili di peso per riacquistarli la domenica senza toccare cibo. Fu oggetto di studio per molti
medici. Parlava, pur senza istruzione, in greco, latino e aramaico. Tenne un’affettuosa corrispondenza con Padre Pio da Pietrelcina. Morì in concetto di santità. È in corso la sua causa
di beatificazione.]
La data è incerta perché nei suoi appunti non è precisata. Di certo si sa solo che fu tra il
1934 e il 1945, anni in cui don Guido fu parroco a Dont.
Egli le offrì da mangiare. Teresa declinò l’invito: non volle nemmeno un
uovo a bere. A quel tempo ella viveva unicamente d’Eucarestia, ma non lo
disse. Gli chiese solo un posto per la notte. Don Guido, però, volendo obbedire al Vescovo che aveva emanato una circolare nella quale si ordinava
di non ospitare nessuno nelle canoniche per la notte, specialmente donne,
le disse che non poteva e la invitò a proseguire per altri 3 o 4 km dove il
Parroco di Fusine poteva ospitarla in una piccola foresteria distaccata dalla
canonica. Ella vi andò e vi pernottò.
Il mattino seguente accadde un fatto strano. Don Guido stava celebrando
la S. Messa. Poco prima della Comunione, mentre diceva “Agnus Dei qui
tollis peccata mundi...”, la Particola che teneva tra le dita improvvisamente
scomparve.
Lui e le donne della prima fila la cercarono ovunque, inutilmente.
Tutti furono testimoni di quella sparizione e nessuno capì.
L’indomani don Guido incontrò il parroco di Fusine presso cui era stata
ospite Teresa Neumann e gli chiese se era venuta da lui una donna. Egli
rispose di sì ed aggiunse che non gli era piaciuta perché gli aveva fatto dei
rimproveri. Disse anche che, durante la Messa, le aveva chiesto se volesse
fare la Comunione ed ella gli aveva risposto che l’aveva già fatta.
Il Parroco di Fusine aggiunse d’averla guardata commiserandola poiché
non si era mossa di lì. Don Guido però capì.
Si dice che Teresa Neumann non sia mai uscita dal Reich. Che fosse
venuta a Dont in bilocazione? Don Guido non seppe dare una risposta a
questo interrogativo.
Don Guido, Curato a Casso
(in provincia di Pordenone, ma nella diocesi di Belluno)
Nel 1945 fu mandato Curato a Casso, un paesino che si trova sopra
la diga del Vajont, ai confini della provincia di Belluno con quella di
Pordenone, cioè tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia.
Al tempo della Repubblica Veneta, Casso era stato per secoli un luogo
di confino, un bagno penale della Serenissima, dove venivano mandati i detenuti politici e comuni, le prostitute, gli indesiderabili di ogni provenienza
e gli ex-galeotti dàlmati che non potevano più esser impiegati come rematori sulle galere. I confinati non potevano uscire dal limite territoriale ben
picchettato e sorvegliato dai soldati della Repubblica. Dentro questi limiti
potevano fare ciò che volevano, anche giustizia personale.
Gente difficile, dunque, di un paese povero, poverissimo, dove si allevavano i cinghiali al posto dei maiali, dove le case non erano intonacate,
dove talvolta famiglie di due o tre generazioni vivevano in un’unica stanza
e dove poteva accadere che ragazzine di dodici anni partorissero figli illegittimi, talvolta frutto di incesti.
In questo contesto don Guido ebbe molto da lavorare e ovviamente gli
fu opposta molta resistenza. La sua sincerità dal pulpito gli procurò non
pochi nemici. Molti furono gli attentati alla sua vita, ma nessuno riuscì. Ne
ricordo uno.
In una notte piuttosto buia gli fu teso un tranello. Fu invitato ad uscire
dalla canonica col falso pretesto di un’Estrema Unzione. Ignaro del pericolo che lo attendeva, si avviò passando per un vicolo stretto tra un alto muro
e una casa. All’improvviso vide un’ombra scura e minacciosa sul muro.
Fece un passo indietro e una figura alta, forte, pesante, balzò giù con un
impeto tale che sbattè la testa con un botto sordo contro la casa. L’attentatore
cadde svenuto e rimase in coma per alcuni giorni. Il destinatario dell’impatto doveva essere don Guido.
L’indomani la gente scrutava il Curato incredula e sorpresa chiedendosi quale stella mai lo avesse protetto. Segno che era stata una piccola
congiura.
Durante la sua esistenza don Guido subì ventitrè attentati, in ognuno
dei quali rischiò di perdere la vita. Da questo si può capire quanto grande
fosse il progetto che Dio aveva su di lui e quanto lo amasse per dargli tanta
protezione.
La parrocchia, per quanto turbolenta, era piccola, per cui a don Guido
restava molto tempo per studiare. Risparmiando in ogni spesa, cominciò
ad acquistare libri e pubblicazioni che parlavano della comparsa dell’uomo
sulla Terra e delle scoperte scientifiche riguardo all’evoluzione. Dedicava
tutto il tempo libero alle sue ricerche.
1945: la visione della catastrofe del Vajont,
che avverrà nel 1963
Nel primo anno del suo ministero a Casso egli ebbe un sogno profetico.
Vide, con 18 anni d’anticipo, l’enorme frana staccarsi dal monte Toc,
invadere il bacino del lago del Vajont e l’acqua tracimare con forza oltre
la diga e incanalarsi spaventosamente per la stretta e ripida valle che porta
a Longarone. Vide la massa d’acqua scendere precipitosamente a zig-zag
verso il paese e spazzare via case, strade, piazze, chiesa, municipio, cimitero... quindi l’enorme distesa piatta e gialla di limo ricoprire ogni cosa
appiattendo tutto. Vide i morti e quelli che stavano per morire mentre annaspavano disperatamente fra gli spasimi cercando di salvarsi. Ne riconobbe
molti, fra i quali anche l’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Làrese e il
suo cappellano e parente don Lorenzo Làrese.
Sconvolto, cercò di responsabilizzare i paesi interessati inviando ai rispettivi sindaci e parroci lettere circostanziate. Descrisse perfino la linea di
demarcazione tra le case che sarebbero state travolte e quelle che sarebbero
rimaste illese. Ma, a quell’epoca, la diga e il lago del Vajont non c’erano ancora e, dunque, non fu preso seriamente. Tutti ne risero, ma molti di costoro
persero la vita diciott’anni dopo.
Incominciava così per don Guido il calvario di essere considerato un
personaggio strano.
Don Guido però non rivelò nelle sue lettere e nei suoi appunti la descrizione di una scena che, nella medesima visione, precedeva la catastrofe e che
mi raccontò a viva voce.
Vide snodarsi lungo le vie di Longarone una processione formata da alcuni giovinastri che portavano infilati su bastoni i genitali 37
di bovini raccolti al macello comunale intonando frasi blasfeme e irripetibili
sull’aria delle Litanie Lauretane: “Santa..., ora pro nobis” con evidente atteggiamento di scherno. Dedusse che l’episodio avvenne qualche ora prima
della caduta della frana dalla luce del tramonto della scena che vide.
Il fatto che il Signore abbia fatto vedere a don Guido la catastrofe in stretta
sequenza logica con quella infelice e blasfema processione ci spinge a credere che fra i due eventi ci fosse un nesso per far capire a noi uomini come un
nostro comportamento irrispettoso possa alienarci la protezione di Dio.
Dio non castiga: Dio, quando viene respinto, solamente si astiene dalla
Sua protezione nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo.
Don Guido tuttavia ripeteva:
“È improprio chiamarlo castigo di Dio perché Dio non è vendicativo.
Non è Dio che manda i castighi, anche se questo è il termine che usa la
Bibbia per far intendere che tra due fatti c’è un nesso di causa-effetto. Il
castigo ce lo diamo noi stessi perché è la naturale conseguenza dell’allontanamento dalla protezione di Dio. Purtroppo in questi casi vengono coinvolti degli innocenti. Ma la colpa non è di Dio. Anzi, stiamone certi, Dio è
vicino alle vittime innocenti e spiritualmente le sostiene.
Dio ha a cuore la
salvezza di tutti, quella eterna. Inoltre, la parte più pesante della sofferenza, specialmente quella degli innocenti, la porta Lui stesso. Certo è che se
il Signore mal sopporta che Lo si bestemmi, non permette che s’insulti la
Vergine Immacolata!”.
Ovviamente il cedimento del Monte Toc era già in corso da mesi. È
chiaro che non si può attribuire a Dio l’improvviso franamento perché è un
fatto naturale.
La protezione di Dio non evita le calamità naturali, ma può evitare che
si assommino gli errori umani e, in particolare, che le persone arrivino alla
conclusione della loro vita impreparate.
Al tempo della sciagura del Vajont, avvenuta nella tarda serata del 9
ottobre del 1963, don Guido da dieci anni era partito da Casso ed erano
passati diciott’anni dalla visione. Molti avevano dimenticato la sua profezia
ed erano andati incontro alla morte.
La celebrazione della S. Messa con San Pio da Pietrelcina
Partito da Casso nel lontano 1953, si ritirò a Farra per due anni accanto
alla mamma anziana e malata che nel frattempo era rimasta sola perché
l’altro figlio, Giulio, si era sposato.
Fu durante questo periodo che si recò a San Giovanni Rotondo per incontrare Padre Pio.
Al suo arrivo provò dapprima una delusione: il Frate, che ormai da anni
attirava in quel luogo numerosi pellegrini, lo fece attendere per quattro
giorni prima di riceverlo.
Quando ormai era deciso a rinunciare all’incontro e a ritornarsene a casa,
fu avvicinato spontaneamente da Padre Pio che lo invitò per l’indomani a
celebrare insieme a lui la S. Messa.
Non fu una concelebrazione come la conosciamo ai giorni nostri per cui
i Sacerdoti concelebrano sullo stesso altare. Padre Pio invitò don Guido a
celebrare su di un altare laterale, seguendo però all’unisono gli stessi atti e
le stesse preghiere.
Durante la Messa, che durò più di due ore, Padre Pio si rivolse più volte
a don Guido con tono robusto dicendogli:
– Vada più piano, vada più piano! –
Non era infatti nello stile di don Guido avere lunghe pause, nonostante
celebrasse sempre la S. Messa con calma e grande devozione. Tornò a casa
più sereno.
I luoghi nei quali sono avvenute le rivelazioni
Dopo questi due anni di aspettativa, nel 1955 venne mandato Parroco
a Chies d’Alpago, un altro paesino della provincia di Belluno, in alto e all’estremo limite del bellissimo anfiteatro della Valle d’Alpago ai cui piedi,
in riva al lago di S. Croce, c’era Farra e a Farra la sua casa paterna dove abitava ancora la sua vecchia madre, sempre più anziana e malata, che morirà
nel gennaio del 1970. Spesso, nella bella stagione, vi scendeva in bicicletta
o in corriera.
Mai ebbe un mezzo di trasporto proprio né una perpetua.
Ogni suo risparmio era per la chiesa o per i suoi libri di studio.
Rimase Parroco di Chies d’Alpago per più di vent’anni, fino al 1976.
Fu durante la sua permanenza a Chies d’Alpago che don Guido ebbe quasi
tutte le rivelazioni, sia sotto forma di ‘locuzioni interiori’, che di ‘sogni
profetici’ e di ‘visioni in stato di veglia’.
Solo la rivelazione del ‘peccato originale’ l’ebbe nella casa paterna a
Farra d’Alpago.
* Intanto andava nascendo in lui la convinzione di essere indegno agli
occhi del Signore dal momento che quanto gli era stato predetto in gioventù
non si era ancora avverato.
Ma i tempi del Signore non sono i nostri... Ed ecco che all’improvviso,
quando le innumerevoli mortificazioni avevano temprato il suo animo e la
sua fede, il Signore arrivò al Suo appuntamento.
Tutte le otto rivelazioni avvennero fra il 1968 e il 1974.
Per tutta la vita, prima delle rivelazioni, egli si era tormentato nel tentativo di risolvere razionalmente i quesiti esistenziali dell’uomo, come la
presenza del dolore che la Bibbia considerava una colpa ereditata dal peccato originale.
“Ma, com’è possibile ereditare una colpa? – si chiedeva don Guido. – Si
possono ereditare solo le conseguenze di una colpa. Ma quale poteva essere questa colpa per lasciare delle conseguenze anche fisiche sull’uomo?”
Egli sentiva che c’era, al di là di questi interrogativi, un vuoto di conoscenza perché se Dio è Giustizia, oltre che Misericordia infinita, il principio
dell’eredità della colpa è inaccettabile. Si diceva convinto che quando l’uomo non capisce l’operato del Signore è perché non conosce completamente
i fatti che la Provvidenza, per carità, ha celato nel mistero. Don Guido,
nella sua totale fiducia in Dio, mai aveva dubitato della Sua Misericordia,
e neppure della Sua Parola depositata nella Bibbia e soleva ripetere le parole di Isaia (55, 10-11): “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e
non vi ritornano senza aver irrorato la terra, senza averla fecondata e fatta
germogliare perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà
della Parola uscita dalla bocca di Dio: non tornerà a Lui senza effetto, senza
aver operato ciò che Egli desidera e senza avere compiuto ciò per cui l’ha
mandata”.
***
Con don Guido si apre un periodo nuovo nel rapporto dell’umanità con
Dio, nel quale Dio vuole essere anzitutto conosciuto per essere amato in
modo consapevole non solo col cuore ma anche con un’adesione completa
della mente.
***
Il Signore rassicura don Guido, preoccupato di non saper essere un testimone fedele: – TI AIUTERÒ A RICORDARE E A CAPIRE. –
Ciò significa che l’azione dello Spirito Santo non si esaurisce col primo
tentativo di don Guido di mettere per iscritto quanto ha appreso.
Non è una semplice trascrizione che Dio vuole, ma uno sforzo a ragionare e a ricollegare con la logica quanto sta imparando sotto la Sua paterna
guida. Infatti, certe comprensioni sono avvenute per gradi e alcune solo
quando il Signore gli fa rivivere questo o quell’episodio, la prima volta
incompreso, commentandolo.
Don Guido fa una prima ed una seconda relazione al suo Vescovo, ma
senza alcun esito.
Fra il 1976 e il 1977, don Guido viene mandato per diversi mesi a Pieve
di Cadore. È un periodo grigio perché nessuno dei suoi confratelli, neanche
l’Arciprete di Pieve, è disposto ad ascoltarlo.
Nel 1977 viene inviato Parroco a Vìnigo, un paesino della valle del
Boite che scende da Cortina, situato su una balza lungo le pendici d’un’ampia conca verde.
È la sua fortuna: una premura della Provvidenza!
Questo villaggio di poche ‘anime’ non richiede un grande lavoro, per cui
gli rimane molto tempo per la preghiera e per gli studi. La canonica è una
grande e solida casa, ben esposta al sole, che domina dall’alto un panorama
splendido.
Questo è il momento più importante delle sue riflessioni.
Può finalmente dedicarsi al riordino dei suoi scritti e alla stesura definitiva del suo manoscritto.
I profondi concetti vengono maturati sotto la guida costante della
Sapienza.
È un decennio relativamente sereno e grandemente fruttuoso.
L’incontro con il Patriarca Albino luciani,
il futuro Papa Giovanni Paolo I
Don Guido aveva capito che il riconoscimento delle rivelazioni, seguendo la via gerarchica, gli era precluso.
Nel frattempo mons. Albino Luciani, suo ex-compagno di Seminario e
già Vescovo di Vittorio Veneto, era stato nominato Patriarca di Venezia, per
cui era diventato suo Superiore e Superiore anche del suo Vescovo.
Veramente affranto per tanta chiusura e dopo tante esitazioni per rispetto
al suo Vescovo, don Guido decise di scrivere al Patriarca che, come sappiamo, aveva condiviso con lui le predizioni, fatte ad entrambi da Padre
Matteo Crawley nel lontano 1928, in cui al giovane Albino era stato predetto che “sarebbe salito ai più alti gradi della gerarchia ecclesiastica” e
al chierico Guido che “da anziano il Signore gli avrebbe rivelato i passi
oscuri della Genesi Biblica”. Così don Guido gli raccontò, con una breve
relazione, le rivelazioni avute dal Signore.
Gli spiegò tra l’altro che “Dio fu Padre e Madre per il primo Uomo”
non solo spiritualmente ma anche fisicamente, perché creò nel seno di una
femmina preumana sia il gamete maschile, e così Dio gli fu Padre, sia il
gamete femminile, e così Dio gli fu Madre, formando la cellula germinativa del primo Uomo; mentre, per la creazione della prima Donna, Dio le fu
solo Madre, poiché le fu padre l’Uomo stesso generando, ‘in similitudine
naturae’, nel sonno, come dice la Bibbia.
Il particolare legame che univa don Guido al Patriarca, poiché per entrambi quelle predizioni si erano realizzate, gli dava la certezza di essere
creduto.
Il Patriarca infatti gli rispose affettuosamente. Tuttavia lo invitò al riserbo poiché, fin tanto che tali rivelazioni non fossero state approvate dalle
competenti autorità ecclesiastiche, ossia dal suo Vescovo, esse mantenevano il carattere di rivelazioni private.
Intanto il Patriarca Luciani
cominciò a dire pubblicamente che “Dio per l’uomo è Padre e Madre”.
Questo intervento poteva essere interpretato come un benevolo e intelligente incoraggiamento al Vescovo di Belluno. Il Patriarca Luciani era infatti molto rispettoso dei ruoli altrui. Ciò nonostante, il Vescovo rimase sulle
sue posizioni.
Passò ancora qualche tempo finché don Guido s’incontrò con il Patriarca
Luciani a Vittorio Veneto dove questi era venuto a guidare un ritiro spirituale di un solo giorno invitato dalla sua affezionata vecchia Diocesi. Alla fine
del ritiro, il Patriarca lo avvicinò e lo pregò di trattenersi per parlargli. Ma
l’ora era tarda e don Guido, preoccupato di non perdere il treno utile per la
coincidenza con l’ultima corriera, gli rispose che sarebbe tornato presto per
poter parlare con più calma e corse via.
Intanto il Patriarca fu eletto Papa e non ebbe più l’occasione di rincontrare don Guido. Tuttavia nel suo discorso introduttivo al Soglio Pontificio
non esitò a ripetere che “Dio è, per l’uomo, Padre e Madre”, affermazione
che diede a molti motivo di riflessione.
Probabilmente il compito di Papa Giovanni Paolo I nei confronti di don
Guido e delle rivelazioni da lui ricevute era solo quello di avergli creduto e di testimoniare che le predizioni fatte da Padre Matteo Crawley nel
Seminario di Belluno in quel lontano 1928 si erano avverate per entrambi e
di accreditarlo come profeta.
Gli anni della vecchiaia
Il dolore per la scomparsa di Papa Luciani, che aveva dimostrato amicizia e apertura verso di lui, fu per don Guido un’ulteriore prova dolorosa. La
solitudine spirituale gli diventava sempre più pesante.
Nell’inverno del 1985, durante le festività dei Santi, a Vìnigo scivolò sul
ghiaccio e, per non cadere, si afferrò ad una palizzata.
Lo strattone fu forte e si lussò la spalla destra. Fu una grossa pena morale e fisica il non poter più usare la mano per scrivere con disinvoltura.
Dopo un paio di mesi trascorsi all’ospedale di Cortina, si trasferì a
Belluno in una piccola e modesta mansarda prestatagli dai padri del P.I.M.E.
(Pontificio Istituto Missioni Estere) a poca distanza dalla Casa del Clero.
La sua vecchia casa di Farra, priva di impianto di riscaldamento, non era
idonea ad ospitare un anziano solo.
Fu nella cappella della Casa del Clero che ebbi l’occasione di conoscerlo.
Nel gennaio del 1987, don Guido trovò alloggio nella Casa di Riposo di
Meano, una frazione di S. Giustina a pochi chilometri da Belluno.
Don Guido, sebbene già ultraottantenne, manteneva tutta la sua vivacità
fisica e intellettuale. Il Signore gli aveva promesso una mente limpida, buona vista e buon udito per tutta la vita e così fu. Quegli occhi, che si erano
tanto affaticati sui libri, con un paio di occhiali gli consentirono di leggere
fino alla fine. Anche il suo udito rimase perfetto.
Il suo pensiero era sempre rivolto a come poter ottenere il PLACET della
Santa Sede. Don Calabria aveva predetto tanti anni prima che il messaggio
era “urgente” e don Guido si sentiva responsabile di tanto ritardo. Poiché la
via gerarchica fino a quel momento si era dimostrata impercorribile, andava progettando d’informare direttamente il Cardinale Ratzinger.
Sfiduciato,
finì poi per desistere pensando che la S. Sede, senza un parere favorevole
del Vescovo competente, non l’avrebbe nemmeno preso in considerazione.
Accanto all’intima gioia di esser stato fatto partecipe della conoscenza
di quelli che erano stati i misteri della Genesi e del più ampio e profondo
valore della Redenzione, don Guido sperimentava la Passione intima di
Gesù.
Nella sua vita si ripetevano inimmaginabili umiliazioni. La sufficienza che molti suoi confratelli non si curavano di nascondere gli diventava
sempre più pesante. Il marchio di una fama di ‘visionario’ era il suo pane
quotidiano.
Tuttavia don Guido non perse mai la fiducia nella Provvidenza. Continuava
a coltivare una profonda serenità d’animo per la certezza che il Signore
avrebbe portato a compimento il Suo progetto. Appena poteva raccogliersi in
preghiera o sui suoi libri esprimeva gioia dagli occhi. Aveva l’entusiasmo di
un giovane, certo che in un modo o in un altro tutti avrebbero conosciuto la
verità e avrebbero così compreso la grande Misericordia di Dio.
Le rivelazioni non andarono perdute
con la sua morte
Un giorno, sentendo che le forze gli andavano calando e che non gli
restava ormai molto tempo da vivere, don Guido mi disse:
– Desidero lasciare a lei l’eredità materiale dei miei scritti e di quel
che rimane della mia biblioteca di Farra. Metta il manoscritto e tutti i miei
quaderni al sicuro perché, se dovessi mancare, tutte le mie cose verrebbero
gettate da chi non ne capisce il valore. –
– Si, ...ma ci sono molti Sacerdoti più vicini a lei di me. –
– È vero, ma qui sono tutti prevenuti e, fra quelli che hanno accolto
queste rivelazioni, nessuno ha mostrato un interesse autentico. Io desidero
che ottengano l’approvazione del Vescovo di questa Diocesi, perciò non
desidero che escano da questa Chiesa diocesana che il Signore ha scelto
per questa rivelazione. – Poi, dopo una breve pausa, soggiunse:
– Desidero anche che lei porti avanti il mio lavoro, riordinandolo e
togliendovi tutte le ripetizioni. –
– Ma don Guido, lei sa bene che non sono all’altezza! –
– Dio non cerca le persone più colte o più intelligenti: Dio cerca le
persone che sono sinceramente motivate a fare la Sua volontà. La conosco
ormai da tanto tempo, abbiamo parlato tanto insieme e lei è la persona di
cui ho più fiducia. –
– La ringrazio della sua stima, ma una cosa è parlare di queste cose,
un’altra cosa è riordinare i suoi scritti. Questo presume una certa discrezionalità e per togliere le ripetizioni, come lei vuole, bisogna fare delle scelte.
Lei capisce che questo lavoro richiede troppa responsabilità. –
– Lei lavori con serenità e proceda come meglio crede: io le sarò sempre
vicino e l’aiuterò. – Poi, per mettermi in guardia da inevitabili tentazioni di
autocompiacimento, dopo un’altra breve pausa aggiunse:
– Non creda però che questo compito sia privo di croci. Da un lato c’è
la gioia perché Dio ci ha fatto partecipi dei suoi progetti; dall’altro deve
avere fin da ora la consapevolezza che lei erediterà le mie sofferenze, le
incomprensioni degli amici più cari, le delusioni e perfino le derisioni, le
ostilità, o la noncuranza dei Superiori. Sono umiliazioni pungentissime, ma
diventano superabili solo se lei non si aspetta gratificazioni, salvo quella
d’aver fatto il possibile per amore della Verità e per amore di Dio. Se la
sente?–
– Se è così, allora va bene – risposi.
Con estrema commozione di entrambi, mi fece inginocchiare ai suoi
piedi e, posandomi le mani sulla testa, formulò una lunghissima preghiera
in latino invocando su di me lo Spirito Santo, preghiera di cui io capii il
senso solo a grandi linee. Mi stava dando, assieme alla sua benedizione,
un vero e proprio mandato, come un’investitura, a riordinare quanto aveva
scritto nei suoi appunti e nei suoi Quaderni. Sentii quella preghiera come un
segno di fiducia, ma provai anche in quell’istante tutto il peso dell’enorme
responsabilità che comportava.
Vedendomi emozionata, don Guido non esitò ad incoraggiarmi con
amore paterno e continuò:
– Quando avrà finito questo lavoro vada dal Vicario generale. È mio
amico. Mi ha aiutato lui a stendere il mio testamento. Ho lasciato alla
Curia tutti i miei risparmi e le disposizioni per la pubblicazione di questo
manoscritto. Li ho messi da parte in tanti anni di economie per questo scopo. E adesso cominci a portar via queste cose e a prenderne conoscenza. Ci
sono in mezzo tante carte da buttar via. Faccia uno spoglio a casa sua. Qui
non c’è lo spazio. E si ricordi che proverà tanta solitudine, perché nessuno
che si accinga a lavorare per il Signore ne è risparmiato. –
La malattia e la morte
Verso la fine degli anni ’80 don Guido cominciava a manifestare un
progressivo decadimento fisico. Erano i primi sintomi di un tumore che si
sarebbe manifestato apertamente due anni più tardi.
Il male apparve improvvisamente e in tutta la sua gravità ai primi di
luglio del 1991 quando il chirurgo diagnosticò un tumore intestinale. Fu
operato dopo una settimana e di lì a pochi giorni dovette esser rioperato. I
dolori erano molto forti.
Quando si fu sufficientemente ripreso, fu riportato alla Casa di Riposo
di Meano. Poi il suo declino fu rapido, ma la sua mente rimase vigile fino
alla fine.
Un giorno, mentre giocherellava con una specie di piaga secca sul dorso
della mano che sembrava un grosso neo grigiastro a forma di pisello, mi
disse:
– Vede, questo è un ricordo di quella notte in cui ebbi la visione della
creazione dell’universo. È stata una scintilla uscita dal quadro visivo a
lasciarmi quest’ustione. Non fa male, ed è lì solo per rinnovarmi il ricordo.
Il Signore volle lasciarmi un segno perché, al mattino, non dubitassi pensando che quanto avevo visto fosse frutto della mia immaginazione. –
Poco prima di morire, dopo quasi vent’anni, questa crosta grigia se ne
andò del tutto lasciando solo un tenue rossore.
L’8 ottobre, il giorno dopo il suo 84° compleanno, Maria, la Mamma che
lo aveva condotto nel ‘viaggio più lungo a ritroso nello spazio e nel tempo’,
come lui lo chiamava, lo volle con Sé. Erano le sette di sera.
Eravamo presenti il Vicario generale mons. Pietro Bez, la Madre Superiora della Casa
di Riposo ed io.
L’indomani la salma, dal volto sereno e disteso, era composta nella bara.
Vestito di bianco, nei suoi paramenti sacerdotali, aveva l’austerità di un
patriarca, un aspetto regale pur nella semplicità. Gli anziani della Casa di
riposo vennero alla spicciolata a dargli l’ultimo saluto. Tutti erano stati confortati dalle sue buone parole.
La Santa Messa funebre fu accompagnata da bellissimi canti di voci
bianche. La sua bara, per un disguido dei necrofori che stranamente all’occorrenza erano spariti, fu portata fuori dalla Chiesa a spalla dai Sacerdoti
più giovani, in camice bianco, quasi che il Signore avesse voluto riservargli
quell’onore che molti confratelli non gli avevano riconosciuto.
Sul marmo veronese della sua semplice tomba si leggono queste belle e
assai appropriate parole:
“CANTERÒ IN ETERNO
LE TUE LODI, O DIO,
SIGNORE DELL’ UNIVERSO”.
Alcune date Biografiche:
1907 (7 ottobre) La nascita
(festa della Madonna del Rosario)
1907-1920 L’infanzia e l’adolescenza
1917 (13 ottobre) Ha la visione dell’apparizione della Madonna
ai pastorelli di Fatima e del miracolo del sole
1920-1932 I suoi studi in Seminario
1922 Prima predizione, di don Calabria, che preannunzia questa
rivelazione
1928 Seconda predizione, di Padre Crawley
1932 Terza predizione, di mons. Masi
1932-1934 Cappellano a Fusine (BL)
1934-1945 Parroco a Dont (BL)
1944 Probabile data della quarta predizione, di Teresa Neumann
1945-1953 Curato a Casso (BL)
1945 Ha la visione della catastrofe del Vajont che si verificherà
nel 1963
1953-1955 Periodo di aspettativa a Farra d’Alpago nella casa paterna
1955 Incontro con Padre Pio
1955-1976 Parroco a Chies d’Alpago (BL)
1968 I rivelazione: ‘Il segno di Caino’ (ricevuta nella canonica
di Chies d’Alpago)
1970 II rivelazione: ‘Il peccato originale’ (ricevuta nella sua
casa di Farra d’Alpago)
Vita di don guido Bertoluzzi50 Genesi Biblica
1970 III rivelazione: ‘La morte di Abele’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1970 IV rivelazione: ‘Sono uomini’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1972 V rivelazione: ‘La creazione dall’Alfa all’Omega’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
I parte: ‘Il Capostipite’
II parte: ‘La creazione del cosmo’
III parte: ‘La nascita della Prima Donna: l’Omega’
1974 VI rivelazione: ‘L’ultimo pasto di Abele’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1974 VII rivelazione: ‘La sera del dì della morte di Abele’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1974 VIII rivelazione: ‘L’ultimo colloquio’ con il Signore
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1976-1977 Cappellano a Pieve di Cadore: la sua solitudine
1977-1986 Parroco a Vìnigo: dove approfondisce lo studio della genetica e della geofisica. Incontro con il Patriarca di Venezia
Albino Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I
1986-1987 In pensione a Belluno
1987-1991 In Casa di Riposo a Meano, nel comune di S. Giustina (BL)
1991 (8 ottobre) La morte
Da: genesibiblica.eu
AMDG et BVM