mercoledì 22 gennaio 2020


MarinaTonini - Viaggio in Astronave - Prima Parte

Serie riflessioni del P. Giocondo..., e Una parola materna, credibile e illuminante

Chiose e postille di padre Giocondo / 2

Cari amici di Duc in altum, mi ha scritto di nuovo padre Giocondo da Mirabilandia, il quale si è tanto affezionato al blog da raccogliere e commentare alcune delle affermazioni che vado proponendo ai lettori, così da riannodare tanti fili.
In questo secondo contributo padre Giocondo si concentra sulla questione, sempre più centrale, della compresenza dei due papi. E mi sembra che le sue considerazioni vadano prese in esame molto attentamente.
A.M.V.
***  
Due papi e una matassa alquanto aggrovigliata
Caro Valli, eccomi di nuovo a riflettere su alcuni contenuti recenti del suo blog. E lo faccio mentre passeggio sulla terrazza del mio antico convento, e osservo un pallido sole che – pur tenace – non riesce ancora a perforare i fumi e le nebbie di questa città.
«Le vicende riguardanti il libro sul celibato dei sacerdoti scritto dal cardinale Sarah con il contributo del papa emerito Benedetto XVI stanno tenendo banco sulla stampa di tutto il mondo. Tante sono le domande che ne scaturiscono e forse con il tempo riusciremo a fare un po’ di chiarezza in quello che per il momento appare un gran pasticcio. Ci sono però anche un paio di domande di fondo che non possono essere eluse. La prima riguarda la compresenza dei due papi, e la seconda il diritto dei fedeli di ricevere una parola chiara e un insegnamento limpido. Due questioni che, ovviamente, sono connesse. Circa la compresenza e la convivenza dei due papi, è evidente che l’esperimento del papa emerito sta fallendo miseramente. Periodicamente, per un motivo o per un altro, la parola dell’emerito e quella del regnante si sovrappongono, si contrappongono oppure vengono messe in contrapposizione da osservatori interessati». (Aldo Maria Valli, Duc in altum, 16 gennaio 2020).
Detesto cordialmente il Diritto canonico, ma capisco che esso è necessario per la vita della Chiesa, così come il Diritto civile o penale è necessario per la vita della società.
Che vi sia attualmente nella Chiesa confusione e divisione, a tutti i livelli, è innegabile. Come sbrogliare, dunque, questa matassa così aggrovigliata?
A mio modesto avviso le vie sono due: 1) una percorribile soltanto nel futuro; 2) l’altra percorribile fin da ora. Ed entrambe non si escludono, ma, anzi, si sostengono a vicenda.
La prima via sarebbe quella di una indagine seria ed equilibrata sulle cause che hanno indotto Benedetto XVI a dare le dimissioni nel 2013: infatti, potrebbero emergere pressioni tali da rendere nulla quella decisione. In tal caso l’intero pontificato del papa gesuita verrebbe invalidato in un batter d’occhio. Ma per fare una simile indagine dovrebbero prima passare a miglior vita entrambi i protagonisti di questa fase storica, cosa che non dipende certo da noi e che non vogliamo augurare a nessuno.
La seconda via invece consisterebbe in una analisi più attenta e rispettosa della forma del tutto innovativa con la quale Benedetto XVI ha inteso dimettersi dal suo ufficio: e ciò può essere fatto – anzi, andrebbe fatto – il più presto possibile.
Conosciamo le parole del pontefice nella sua ultima catechesi in piazza San Pietro:
«[Il papa] non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti, e tutti appartengono a lui. Il “sempre” è anche un “per sempre”, non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero [petrino], non revoca questo. Non ritorno alla vita privata […]. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro». (Benedetto XVI, Catechesi, 27 febbraio 2013)
Papa Benedetto XVI, quindi, ha rinunciato all’esercizio attivo del papato, ma non ha rinunciato affatto al papato stesso (vedi: vestito, nome, residenza eccetera). E qui sta il nocciolo della questione: non tanto sul titolo in sé di “papa emerito” (su cui si può e si deve discutere), ma sulla sostanza della sua “rinuncia atipica e innovativa”.
Tutti sappiamo che il Diritto canonico non prevede un simile sdoppiamento dell’ufficio petrino. Ma il papa in carica – e Benedetto XVI lo era – può in qualunque momento emanare norme e disposizioni, correggendo, abrogando o integrando quanto già è previsto dal Codice della Chiesa: basta che tali nuove disposizioni abbiano una buona motivazione e una reale utilità, e non urtino in alcun modo con il “diritto divino” (cioè con verità di carattere rivelato, e quindi immutabili).
La distinzione tra una dimensione attiva (o funzionale) e una dimensione contemplativa (o ontologica) all’interno dell’unico ufficio petrino è senza dubbio una distinzione di “diritto ecclesiastico”; e come tale può essere promulgata da un papa legittimo, così come può essere abolita dallo stesso papa o da un suo legittimo successore.
Ora – come ha fatto osservare qualcuno –, Benedetto XVI “potuit, decuit, ergo fecit – poteva farlo, ne convenne (o lo ritenne conveniente), e quindi l’ha fatto”.
Ed è evidente che questa decisione libera e sovrana di Benedetto XVI, presa senza dubbio per motivi gravissimi e per finalità nobilissime, ha stabilito dei “paletti giuridici” per colui che gli doveva succedere sul trono di Pietro: il suo successore, cioè, non avrebbe ereditato un ufficio papale pieno e incondizionato, ma un ufficio limitato soltanto alla dimensione attiva o funzionale. Egli sarebbe stato cioè come una sorta di “supplente autorizzato” o di “facente funzione”, nei confronti del titolare impedito per l’età.
Ciò che forse bisognava fare pubblicamente – ma non è detto che non sia stato fatto in forma riservata – era chiarire il senso e la portata di una simile decisione.
Un successore umile avrebbe accettato serenamente queste limitazioni; e dalla propria residenza sarebbe ricorso continuamente al monastero Mater Ecclesiae per chiedere lumi e indicazioni, integrandosi in tutto e per tutto con il papa contemplativo, per il bene della Chiesa. Ma un successore smanioso, come quello venuto “dalla fine del mondo”, non ha accettato questo ruolo subalterno e complementare; e a somiglianza dell’antico angelo decaduto, anch’egli ha detto più volte – e continua tuttora a dire –, con il pugno chiuso e lo sguardo torvo: «Non serviam – Non ti servirò» (Ger 2,20).
Da qui scaturiscono tutti i mali ecclesiali del momento presente.
Concludendo: se, di tanto in tanto, le indicazioni sommesse di Benedetto XVI si scontrano che gli insegnamenti insensati del papa gesuita, la colpa non è di papa Benedetto che torna a farsi vivo sulla scena ecclesiale a difesa della migliore ortodossia cattolica. La colpa – semmai – è dell’illustre inquilino di Santa Marta che, dopo sette anni, ancora non ha capito i limiti invalicabili del suo mandato, nei confronti di colui che ha rinunciato certo a “fare il papa” ma non ha rinunciato affatto ad “essere papa”.
Ma ciò che non vuol capire uno, non è detto che non lo possano capire altri.
E per quanto poco possano valere le mie supposizioni personali, nessuno mi toglie dalla mente che alla base delle strane “dimissioni parziali” di Benedetto XVI vi sia stata una esplicita ispirazione celeste. In caso contrario, dopo sette anni di continue e snervanti polemiche, già da tempo egli avrebbe passato ad altri il testimone, senza “se” e senza “ma”. E invece sta ancora lì, eroicamente, in attesa degli sviluppi finali.
Ma ci sarebbe anche una terza possibilità…
Oltre alle due vie di cui sopra, ne esisterebbe anche una terza, la quale, anche se non risolverebbe del tutto gli attuali problemi della Chiesa, almeno li chiarirebbe non poco. Si tratta del classico “uovo di colombo”, cioè di una soluzione incredibilmente semplice ma efficace: che qualcuno dei cardinali che sono a conoscenza della cosa – e ce ne sono diversi – si decidano finalmente a rivelare il terzo segreto di Fatima, almeno nella parte che si riferisce alla grande apostasia dei vertici stessi della Chiesa cattolica.
Possibile che la Vergine Santa non abbia detto niente su questa situazione allucinante che ci troviamo attualmente a vivere? O non abbia spiegato ai pastorelli quella strana visione del Vescovo vestito di bianco e del Santo Padre che viene martirizzato?
Queste cose andavano chiarite fin dal 1960, ma nessuno dei papi che si sono succeduti in questi decenni ne ha avuto il coraggio. Anche la cosiddetta rivelazione dell’Anno Santo del 2000 è stata parziale e fuorviante. In tal modo la Chiesa dei nostri giorni è stata privata di una stella polare sicura, in mezzo al grande naufragio che è in atto.
Ora, ci sono dei cardinali che conoscono bene questo segreto: penso, ad esempio, al cardinal Bertone e al cardinal Sodano, che sono stati molto attivi su questo argomento in occasione dell’Anno Santo del 2000. Ma probabilmente ce ne sono anche altri.
Perciò, io mi domando: che cosa aspettano questi signori? Non vedono che la barca della Chiesa sta facendo acqua da tutte le parti? Non vedono che il papa gesuita è totalmente inaffidabile; e che il povero Benedetto XVI, aggredito da lupi e sciacalli, viene umiliato ed emarginato sempre di più? E non pensano questi cardinali che stanno ormai per presentarsi davanti al Tribunale di Dio, per rendergli conto di ogni cosa?
Perché non parlano? Hanno forse paura delle possibili ritorsioni del papa miserikordioso? E allora, se ne vadano dal Vaticano, come ha fatto monsignor Viganò, e poi facciano le loro rivelazioni. Non credo che, con le loro conoscenze e le loro risorse, avrebbero difficoltà a trovarsi un’altra sistemazione il più lontano possibile dalla capitale.
Avere una parola sicura dal cielo sarebbe fondamentale per tutti. E questa parola la Vergine Santa già ce l’ha detta da più di un secolo. Ma a noi non viene svelata.
Una parola materna, credibile e illuminante
«Cari figli, sono la vostra Madre Addolorata. Vi chiedo di essere fedeli a mio Figlio Gesù e al vero Magistero della sua Chiesa. Camminate per un grande naufragio nella fede. La mancanza di amore per la verità causerà grande confusione e divisione tra i miei poveri figli. Piegate le vostre ginocchia in preghiera. Questo è il tempo dei dolori per gli uomini e le donne di fede. Qualunque cosa accada, non permettete che la fiamma della fede si spenga dentro di voi. Testimoniate ovunque che siete del Signore. Non permettete che nulla vi allontani dal cammino che vi ho indicato. Rimanete sempre con Gesù. Cercatelo nell’Eucaristia, perché solamente così potete raggiungere la vittoria. Non vi dimenticate: la Presenza di mio figlio Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nell’Eucaristia è una verità non negoziabile. State attenti. […]». (Madonna di Anguera, Messaggio, 14 gennaio 2010)
L’ho già detto in un mio precedente intervento su questo blog, e ora lo ripeto: io non ho gli strumenti per dimostrare la veridicità o meno dei messaggi di Anguera, trasmessi dal veggente Pedro Regis; ma i loro contenuti mi appaiono oltremodo credibili, perché descrivono alla perfezione la condizione attuale della Chiesa, fanno intravedere alcuni possibili sviluppi futuri, si esprimono sempre con grande chiarezza e pacatezza, e invitano in modo instancabile alla preghiera e alla fedeltà.
Per queste ragioni, consulto regolarmente questi messaggi sull’apposito sito, ne faccio oggetto di riflessione personale, e ora – con il consenso di Aldo Maria Valli – ne propongo alcuni passaggi al termine del mio post. Spero di fare cosa utile e gradita per i lettori.
Esaminando con attenzione questi testi, si comprende che è in atto una drammatica battaglia spirituale tra due visioni contrapposte di Chiesa. La situazione è destinata a peggiorare ancora di più; ma alla fine la vittoria arriderà a coloro che saranno stati capaci di difendere la Verità, secondo i dettami del vero Magistero della Chiesa.
Una vera Madre non abbandona mai i suoi figli, specie se questi si trovano in grandi difficoltà. Come, dunque, non approfittare di questa voce che viene dal cielo?
Pace e bene.
Padre Giocondo da Mirabilandia

martedì 21 gennaio 2020

Wikileaks, Assange è colpevole di aver detto la verità


di Rossella Guadagnini


"Di' la verità anche se la tua voce trema", Daphne Caruana Galizia

L'udienza per la richiesta di estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti è stata fissata per la fine di febbraio: se venisse accettata il fondatore di Wikileaks potrà essere trasferito in un carcere americano, dove lo aspettano un procedimento con 18 capi di imputazione e una condanna a 175 anni. Nel caso in cui il 48enne giornalista australiano venisse estradato non avrà più la possibilità di tornare indietro e, probabilmente, morirà in carcere. Il suo legale ha chiesto, nel corso dell'udienza preliminare a Londra il 13 gennaio scorso, più tempo al fine di esaminare meglio la posizione difensiva, dal momento che gli sono stati concessi pochissimi incontri per parlare con l'assistito, il quale non ha avuto neppure modo di esaminare i documenti del procedimento che lo riguarda.

"Resta forte Julian, stiamo combattendo per te. Non gli permetteremo di farti questo! Ricordalo! Resta forte, sarai libero!", gli ha gridato uno sconosciuto, in mezzo alla piccola folla di attivisti, mentre era a bordo del van della polizia, che -dopo la visita alla Westminster Magistrates Court- lo trasportava nuovamente nella sua cella, nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel sud est di Londra, dove è segregato dall'aprile del 2019. In precedenza ha trascorso sette anni nell'ambasciata londinese dell'Ecuador, dove aveva chiesto asilo politico, che in seguito gli è stato negato.

Il giornalista è uno dei personaggi più controversi degli ultimi dieci anni: da alcuni è ritenuto un eroe che ha messo in gioco la sua libertà per avere reso pubblici decine di migliaia di documenti riservati e segretati attraverso il sito Wikileaks, da lui stesso creato. Per altri invece è un pericoloso sovversivo, una spia che merita il carcere a vita. Certo è che, quale che sia il futuro del giornalista, il suo destino rappresenta un caso emblematico della libertà di stampa nel XXI secolo.

Assange ha preso parte all'udienza senza fare alcuna affermazione ufficiale. Tuttavia è bastata questa breve apparizione per riaprire il dibattito sulla sua detenzione, che ha suscitato recenti appelli internazionali di medici, giornalisti e personaggi di primo piano del mondo della cultura, tra cui anche il linguista e filosofo Noam Chomsky. Il suo aspetto esteriore ha rassicurato i sostenitori, dopo i timori suscitati in seguito alla diffusione di alcune immagini in cui appariva in cattivo stato di salute e trascurato.

Anche in Italia chi crede nella necessità di liberare il fondatore di Wikileaks è tornato a farsi sentire. "La vicenda di Assange, le accuse più disparate, il trattamento iniquo e le violazioni dei diritti umani che ha dovuto subire dimostrano come le cosiddette 'grandi democrazie' occidentali -in particolare, Stati Uniti e Gran Bretagna- non hanno rispetto delle persone e nemmeno delle loro stesse leggi", sostiene il generale Fabio Mini. Cofondatore dell'associazione Peace Generation, è stato capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa, ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani e le operazioni di pace condotte dalla Nato nella guerra in Kosovo.

"Non occorre essere complottisti -prosegue- per riconoscere che l'accanimento contro Assange è dovuto a un solo, grave, delitto: aver detto la verità. E, ancor peggio, non aver aggiunto nulla di suo a quanto americani e inglesi affermavano e facevano in spregio a qualsiasi umanità e logica, in guerra e in pace, con i nemici e gli alleati. Ma se la persecuzione di questi 'paladini della libertà e della democrazia' non stupisce, è invece assordante il silenzio che tutti gli altri Stati mantengono da anni, invece di insorgere non soltanto per ciò che sta accadendo ad Assange, ma per ciò che si è limitato a svelare".

La comunità internazionale, i servizi d'intelligence, gli eserciti e i politici del mondo "gli sono debitori di molte rivelazioni che nemmeno immaginavano o che si rifiutavano d'immaginare -osserva poi Mini- Piuttosto che ammetterle, fingono di non averle mai sentite o dicono che si tratta di nefandezze giustificate in quanto parte della guerra e della politica. Il silenzio degli 'altri', però, autorizza i 'paladini' a insistere con le menzogne, mentre Assange dev'essere lasciato libero -fisicamente e psicologicamente- anche di difendersi o di accusare. In entrambi i casi abbiamo tutto da guadagnare".

Ad appoggiare le ragioni del fondatore di Wikileaks, che sta pagando con la vita "a vantaggio di noi tutti, la difesa della libertà" c'è anche il diplomatico Alberto Bradanini, già ambasciatore italiano in Iran e in Cina, che qualche mese fa ha lanciato una petizione per la sua liberazione. Questa prigionia ingiustificata testimonia a suo avviso "la pretesa di dominio imperiale dell’élite americana, che teme la verità ed è in preda al panico per il fatto che comuni cittadini possano conoscere trame oscure, corruttele e manipolazioni politiche e mediatiche, messe in opera da quella che si autoproclama la ‘più grande democrazia del mondo’".

Attraverso la pubblicazione di migliaia di documenti degli apparati americani, "ricevuti senza violare alcuna norma, ma solo svolgendo la professione di giornalista -precisa il diplomatico italiano- Assange ha mostrato come operino strutture Usa occulte o semiocculte. Queste dispongono di ingenti risorse finanziarie e tecnologiche, con cui raccolgono dati su nemici e amici, finanziano tensioni, aggressioni politiche ed economiche, ‘rivoluzioni’ e conflitti contro nazioni, organizzazioni, imprese o individui che non si sottomettono al loro potere e volere. Tutto ciò a beneficio di una minoranza, la plutocrazia dell’1% contro il 99% di una popolazione precarizzata ed eticamente manipolata, che alimenta il mito della ‘nazione indispensabile’, voluta da Dio per governare un mondo recalcitrante".

Con questa richiesta di estradizione gli Stati Uniti si pongono, secondo Bradanini, "al di sopra del diritto (nazionale e internazionale), della libertà di stampa, cruciale in un sistema democratico, e del rispetto dei diritti umani, com'è evidente anche dalla decisione di tenere aperta la prigione di Guantanamo", che Obama aveva promesso di abolire, dove si può essere "rinchiusi senza limiti di tempo e torturati senza aver subito alcuna condanna penale".

Gli abusi subiti da Assange, con la complicità del governo britannico -conclude l'ex ambasciatore- possono giustificarsi "solo nella presunzione che i cittadini debbano restare all’oscuro di quel che fanno apparati paralleli e servizi di intelligence. Il fondatore di Wikileaks appare come uno dei grandi della scena politica contemporanea, a favore del quale dovrebbero mobilitarsi le nazioni europee. L’Italia democratica e costituzionale -guidata da due partiti che per storie diverse si attribuiscono grande sensibilità nei confronti dei temi etici- potrebbe offrire asilo politico a Julian Assange".


Ma dove trovare il coraggio civile per un passo del genere?

(20 gennaio 2020)

VERITAS VINCIT