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lunedì 7 ottobre 2013

Consenso artificiale e manipolazione mentale. L'ortodossia di ieri è divenuta l'eresia di oggi.

Consenso artificiale e manipolazione mentale

Michael Trehorne Davies è un noto scrittore cattolico inglese scomparso nel 2004. Fu presidente della Federazione Internazionale Una Voce dal 1995 al 2003 e soprattutto autore di numerose opere in difesa della Tradizione cattolica, nelle quali il rigore delle argomentazioni e l’accuratezza delle informazioni si accompagnava ad una eccellente preparazione teologica. L’allora cardinale Ratzinger, che lo conobbe personalmente, lo definì “un uomo di profonda fede”, “sempre fedele alla Chiesa”. Mentre è molto conosciuto nel mondo cattolico anglofono, non lo è altrettanto nel nostro. I suoi scritti hanno aiutato a dissipare le nubi dell'incomprensione e dell'ignoranza su numerose delle ambigue questioni sorte, in materia liturgica, in seguito alle decisioni del Vaticano II. Propongo l'immagine di uno dei suoi libri, L'Altare cattolico, edito dal Monastero delle Murate, come informavamo qui.
« Egli era infatti convinto che la pratica liturgica quotidiana avrebbe trasformato le idee e le mentalità meglio di qualsivoglia libro o discorso. La storia della riforma inglese è quella di un disegno che, pur a momenti alterni, finì per prevalere grazie al carattere profondamente equivoco del Book of Prayers cranmeriano, suscettibile per la sua ambiguità, di opposte “ermeneutiche ».
I titoli del testo che pubblichiamo oggi sono molto attuali e pertinenti con la situazione che stiamo vivendo.



Consenso artificiale
Il più deprimente aspetto della vita contemporanea è il modo in cui coloro che controllano i media fabbricano un consenso artificiale. I sud-vietnamiti sono stati consegnati ad una dittatura comunista principalmente come risultato del consenso pacifista fabbricato in Occidente dai media controllati dai liberali. Il punto fondamentale del liberalismo condannato per secoli dai Pontefici è che ogni individuo ha il diritto di costruire le sue leggi morali. La società ha ormai pienamente accettato questo concetto. Le donne che uccidono i loro figli non nati stanno «esercitando il diritto di scegliere». La letteratura che una volta era chiamata pornografica è stata riclassificata come «per adulti». I pervertiti che una volta erano considerati individui malati dai quali la società andava protetta, ora vengono considerati come gruppi di minoranza con uno stile di vita «alternativo» (e legittimo). Perfino i vescovi cattolici li trattano con molta più simpatia di quanta ne concedano ai cattolici tradizionalisti.

Ho descritto e documentato nel mio libro Pope John's Council il modo in cui i Padri Conciliari sono stati ingabbiati in un consenso artificialmente creato, che ha avuto come primo risultato l'abbandono da un giorno all'altro, da parte della maggioranza di loro, delle attitudini di una vita intera. Dai tempi in cui Hitler ipnotizzava i tedeschi, sono stati pochi gli esempi di condizionamento di massa così drammatici. Ancor oggi si fatica a capire come la quasi totalità dei circa 3000 Padri (per gran parte di retta ortodossia) entrati nella Basilica di San Pietro l'11 ottobre 1962 ne uscì l'8 dicembre 1965 in forma di poco più che marionette programmate ad essere felici di abbandonare la saggezza e la spiritualità accumulate in 2000 anni a favore dei cliché fabbricati dagli "esperti" liberali, ripetendo ad nauseam ai media controllati da questi ultimi quelle "novità" del Vaticano II in sintonia con la mentalità contemporanea. Chi chiedesse una prova di come i vescovi si siano resi burattini dei loro "esperti", può anzitutto trovarla nell'imposizione ai fedeli della Comunione "sulle mani", così come desiderato dagli "esperti".

Una volta che il consenso è stato stabilito all'interno di un gruppo sociale, è difficile per i suoi appartenenti resistere al conformismo. Se uno rifiuta di conformarsi, è più facile venir rifiutato dal gruppo che influire sull'attitudine di un apprezzabile numero di membri. A volte questo è un bene, altre volte è vero il contrario. 
Quelli che hanno osannato Gesù nella domenica delle Palme e chiesto la sua morte nel Venerdì successivo erano solo individui che seguivano la maggioranza. Nel Vangelo di Matteo leggiamo di due decisioni collegiali del collegio dei vescovi: Mt 26,35: "...Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli". Poco dopo, Mt 26,56: "...Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono". Comunque uno degli Apostoli era ai piedi della Croce - ma non era san Pietro. Il principio dell'ubi Petrus, ibi Ecclesia (laddove c'è Pietro, c'è la Chiesa) si può applicare "normalmente" ma non "invariabilmente".

Manipolazione mentale
Certamente questo non è il posto adatto a discutere in dettaglio la tecnica delle dinamiche di gruppo utilizzata per convincere interi gruppi ad immergere l'intelletto e la volontà individuali nella mente collettiva del gruppo. Laddove un individuo opponga resistenza significativa, i manipolatori (correttamente) stabiliscono che sarebbe controproducente spendere energie per sopraffarlo, poiché capiscono che ciò che conta è il controllo del gruppo; l'individuo recalcitrante, dunque, viene semplicemente isolato.

Il gesuita p. Paul Crane mi ha fatto notare che dal Vaticano II la Chiesa in occidente è stata sottoposta ad un processo di condizionamento su vasta scala e che i tradizionalisti sono stati efficacemente isolati dal gruppo dei cattolici e dal momento che la nostra capacità di influenzare il gruppo è minima, i manipolatori non sono particolarmente preoccupati da noi. Come mostrerò più tardi in questo stesso studio, i normali fedeli sono indotti dalla propaganda ad abbandonare la maniera tradizionale di ricevere la Comunione violando le norme più elementari dell'etica naturale (ancor prima che la morale cristiana); propaganda che offende i più semplici standard culturali, semantici, e di semplice onestà. Etiche o no, tali tecniche riescono ad essere efficaci. I nazisti hanno dimostrato che la propagazione costante di informazioni false e tendenzione è stata sufficiente per convincere i normali tedeschi incapaci o non troppo desiderosi di consultare fonti informative alternative. Stalin osservò che la maggioranza delle persone non ha una mentalità critica. I più sono convinti che le informazioni ufficiali siano informazioni corrette. Così, in un editoriale del 21 maggio 1976, The Universe (il più grande settimanale cattolico inglese) informava i suoi lettori che:
Papa Paolo VI ha dato il permesso per la Comunione sulle mani perché crede, come i vescovi, che ciò evidenzi la natura sacra del comunicante come tempio dello Spirito Santo, così come la sacra natura dell'Eucarestia come Corpo e Sangue di Nostro Signore.
Il tipico fedele cattolico, leggendo queste parole, non si chiederà «ma è vero?» ma lo accetterà per vero semplicemente perché lo ha letto in The Universe. Sarebbe irrealistico aspettarsi che reagisca in qualsiasi altro modo. Per cui rimarrà ignaro del fatto che il Papa ha invece detto chiaramente che desidera che i fedeli seguano la maniera tradizionale di ricevere la Comunione; e che una minoranza di vescovi inglesi ha combattuto quell'innovazione coi denti e con le unghie; e che il modo tradizionale di ricevere la Comunione non riduce affatto la dignità del cristiano battezzato come tempio dello Spirito Santo ma era intesa ad evidenziare la natura del Santissimo Sacramento come Corpo di Cristo. I riformatori protestanti hanno abolito la pratica per evidenziare la loro credenza che l'Eucarestia non è il Corpo di Cristo, e tuttavia su The Universe si afferma - senza una sola parola di spiegazione - che tale innovazione enfatizzerebbe la Presenza Reale, certi che questa asserzione gratuita e senza senso non verrà verificata, oppure, che se qualcuno osasse sfidarla, i lettori non ne verrebbero a conoscenza.

L'esempio per eccellenza del modo in cui i cattolici possono essere condizionati si trova nel caso dell'arcivescovo Marcel Lefebvre. Un'analisi dettagliata dei suoi scritti e delle sue omelie rivela che tutto ciò che sta facendo è tener viva quella che era la normalità prima del Concilio, e che nel fare questo è stato minacciato di scomunica e perfino descritto come un rinnegato.

L'ortodossia di ieri è divenuta l'eresia di oggi. 

I cattolici che non avrebbero mai messo piede in una chiesa protestante poiché il loro parroco gli aveva detto di non farlo, ora si recheranno volentieri a quelle noiose celebrazioni ecumeniche, poiché il parroco dice che devono. E glielo dice perché è ciò che il vescovo ha ordinato; e il vescovo, a sua volta, sta semplicemente seguendo le direttive ricevute dal Vaticano. In nessun livello della piramide si capisce bene l'inconsistenza e l'illogicità di un simile comportamento - chiunque abbia da ridire sulla saggezza del contraddire l'attitudine all'eresia fino alla Chiesa degli apostoli viene marchiato come ribelle. Molte cose si spiegano nel momento in cui si capisce chi dentro (o fuori) il Vaticano avvia direttive e riforme che stanno distruggendo la fede.

(Michael Davies, primo capitolo del testo 'Comunione sulle mani e frodi dello stesso genere', Remnant Press, 1978; traduzione a cura di Chiesa e postconcilio)


giovedì 20 giugno 2013

Bellezza liturgica


Nel nome della Chiesa perseveriamo nella devozione alla bellezza liturgica

“…Sant'Ireneo diceva, verso la fine della sua esistenza, di non aver fatto altro nella vita che lasciare crescere e maturare quanto era stato seminato nella sua anima da Policarpo, discepolo di san Giovanni. 

In un punto memorabile della sua breve autobiografia, Joseph Ratzinger ci rivela come fin da bambino abbia imparato a vivere la liturgia, grazie al seme deposto in lui dai suoi genitori, che gli regalarono lo «Schott», cioè il messale tradotto in tedesco dal monaco benedettino Anselm Schott. 
Il frammento ha una bellezza germinale paragonabile a quella racchiusa nell'episodio della «Maddalena» nell'opera più importante di Proust: «Naturalmente, essendo bambino non comprendevo ogni dettaglio, ma il mio cammino con la liturgia era un processo di continua crescita in una grande realtà che superava tutte le individualità e le generazioni, che diveniva motivo di meraviglia e di scoperta nuove». 

Questa concezione della liturgia come patrimonio ereditato dalla Tradizione, arricchito da apporti successivi che lo fanno crescere in modo organico, contrasta con alcune visioni contemporanee che preconizzano un sapere atomizzato, orfano di fondamenta e di vincoli saldi, facilmente adattabile alla circostanza concreta; un sapere, in definitiva, rabbiosamente «originale» – come se la tradizione non fosse la forma suprema di originalità, in quanto ci permette di vincolarci alle «origini» – che ha contaminato certe tendenze liturgiche, svuotando di senso il rito. 

Il seme che i genitori deposero in quel bambino avrebbe in seguito recato frutti in opere come Dio e il mondo, dove Ratzinger si preoccuperà di mostrare il senso della storicità della liturgia come dono consegnato da Cristo alla Chiesa, dono che cresce con essa e incita a «riscoprirla come una creatura vivente». 

A questa creatura vivente avrebbe dedicato Introduzione allo spirito della liturgia, un libro in cui – in continuità con il titolo classico di Guardini – Ratzinger rivendica il concetto di Tradizione, che non è statico, «ma che non si può neanche sminuire in una mera creatività arbitraria», approfondendo una concezione della liturgia come partecipazione all'incontro di Cristo con il Padre, in comunione con la Chiesa universale. 

Come il suo maestro Guardini, Ratzinger desidera che la liturgia si celebri «in modo più essenziale». 
E qui «essenzialità» non significa povertà, almeno non nel senso in cui alcuni hanno voluto anteporre la dimensione sociale alla celebrazione liturgica (ai quali Gesù risponde chiaramente nel brano evangelico dell'unzione di Betania); «essenzialità» significa «esigenza intima», ricerca di una purezza interiore che in nessun modo deve essere interpretata come purismo statico. 
Nell'attenzione per la liturgia dobbiamo inquadrare l'importanza — visibile per qualsiasi persona non completamente stordita dalla frivolezza — che Benedetto XVI attribuisce ai paramenti e, in modo particolare, agli ornamenti liturgici. 

Il sacerdote non sceglie tali ornamenti per un vezzo estetico: lo fa per rivestirsi di Cristo, quella «bellezza tanto antica e tanto nuova» di cui ci parlava sant'Agostino. 
Questo «rivestirsi di Cristo», concetto centrale dell'antropologia paolina, esige un processo di trasformazione interiore, un rinnovamento intimo dell'uomo che gli permetta di essere una sola cosa con Cristo, membro del suo corpo. 
Gli ornamenti liturgici rappresentano questo «rivestirsi di Cristo»: il sacerdote trascende la sua identità per divenire qualcun altro; e i fedeli che partecipano alla celebrazione ricordano che il cammino inaugurato con il Battesimo e alimentato con l'Eucaristia ci conduce alla casa celeste, dove saremo rivestiti con abiti nuovi, resi candidi nel sangue dell'Agnello. 

Così gli ornamenti liturgici sono «anticipazione della veste nuova, del corpo risuscitato di Gesù Cristo»; anticipazione e speranza della nostra stessa risurrezione, tappa definitiva e dimora permanente dell'esistenza umana. …” 
( Cfr. Le vesti liturgiche secondo Ratzinger Da "L'Osservatore Romano" del 26 giugno 2008 di Juan Manuel de Prada, da :http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/205468 

 ***

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio … cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia» 
"Non tanto facilmente entra nel club dei progressisti chi parla bene del passato. Ma al compromesso preferisco l'impopolarità." (Card. Giuseppe Siri). 
Perseveriamo con tutte le forze che la Provvidenza ci mette a disposizione nella devozione alla bellezza liturgica :  fonte sicura di santità e di obbedienza alla Chiesa di ieri, di oggi e di domani ! 
( A.C.)

mercoledì 17 aprile 2013

Natura squisitamente divina della liturgia: un affacciarsi del Cielo sulla terra




L’undicesimo volume dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger, quello sulla “Teologia della Liturgia”, riporta sul retro della copertina una neanche troppo velata dichiarazione: “Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della chiesa”. Questi primi giorni di pontificato (anzi, di episcopato?) di papa Francesco la rendono tremendamente attuale e ci impongono inevitabilmente una riflessione sul rapporto tra la povertà (e non il pauperismo) e la liturgia. Una riflessione che, non va sottovalutato, è tra una dimensione umana, la povertà, e quella divina, la liturgia. Già, perché è sfuggito, in questi anni di convulsioni post conciliari, la natura squisitamente divina della liturgia: un affacciarsi del Cielo sulla terra, la prefigurazione terrena della Gerusalemme che, pertanto, ne deve richiamare la maestà e la gloria. Nella liturgia, attualizzazione incruenta del Sacrificio di Cristo sulla croce, è Dio che incontra l’uomo: essa non è fatta dall’uomo – altrimenti sarebbe idolatria – ma è divina, come richiama anche il Concilio Vaticano II.
In questo quadro, assume, evidentemente, una notevole importanza anche il discorso relativo ai paramenti. Lo ha già sottolineato magistralmente Annalena Benini nelle sue “Nostalgie benedettine” sul Foglio del 23 marzo scorso: “Benedetto XVI si rivestiva di simboli e di tradizione mostrando a tutti che lui non apparteneva più a se stesso, né tantomeno al mondo”. Era di Cristo, era l’“alter Christus” quale è il sacerdote nella liturgia. Con il paramento egli non è più un uomo privato, ma “prepara” (parare) il posto a qualcun altro: e quel qualcun altro è il Re dell’Universo. Impoverire la maestosità del paramento significa, inevitabilmente, impoverire Cristo. Ed è proprio Gesù stesso ad aver separato il concetto di povertà personale da quella dell’istituzione chiesa. Lo fa nel vangelo di Giovanni, laddove accettò l’unzione di una donna di Betania: “Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. Versando quest’olio sul mio corpo lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei” (Gv 12, 3-5). Innanzitutto, Egli giustifica il culto con oli costosi (e, guarda caso, Giovanni ricorda che è Giuda a lamentare lo spreco di danaro che, invece, avrebbe potuto essere destinato ai poveri) e, soprattutto, emerge l’esistenza di una cassa comune tra i dodici.
Torniamo alle origini? Allora si dovrà tornare ai drappi d’oro e porpora ritrovati nella tomba di Pietro. E’ evidente, dunque, che, non essendo il pauperismo un tratto distintivo della vita cultuale della chiesa, essa ci “trasmette ciò che ha ricevuto”, per usare un’affermazione dell’apostolo Paolo (1Cor 15, 3). Pio XII, emblema collettivo dell’opulenza liturgica, si dice che dormisse su tavole di legno nude e crude e seguisse modestissime diete. Ma in privato. L’ancoraggio liturgico alla tradizione fatta di mozzette, pianete e fanoni, è parziale manifestazione della Gerusalemme celeste, della liturgia degli angeli, come dice san Gregorio. Una tradizione fatta di canto gregoriano, che è incarnazione sonora della Parola di Dio, è garanzia di corretta risposta alla Parola stessa. Una tradizione fatta di una lingua sacra, il latino, immutabile nella quale ogni parola è già essa stessa teologia.
B-XVI, nella scuola di liturgia delle sue messe papali, ci ha insegnato magnificamente questo: ristabilire il primato della liturgia, fonte e culmine della vita della chiesa, e il primato di Cristo. “Non più io vivo, ma è Cristo che vive in me”, afferma san Paolo. Il sacerdote, coi paramenti, si “riveste” di Cristo (Gal 3, 27), dell’uomo nuovo (Ef 4, 24), per diventare per Cristo, con Cristo e in Cristo. Il Padre misericordioso, ci ha insegnato Joseph Ratzinger, dopo averlo abbracciato al suo ritorno, che è una risurrezione spirituale, ordina di andare a prendere “il vestito migliore” (Lc 15, 22). 
E questo altro non è che l’applicazione di quel Concilio Vaticano II al quale molti si appellano per dimostrare il definitivo superamento dell’arte sacra della tradizione: “Una vigilanza speciale abbiano gli Ordinari nell’evitare che la sacra suppellettile o le opere preziose, che sono ornamento della casa di Dio, vengano alienate o disperse” (Sacrosanctum Concilium, 126) e precisa, inoltre, l’Ordinamento generale del Messale romano: “Nei giorni più solenni si possono usare vesti festive più preziose” (n. 346). 


di Mattia Rossi

AVE MARIA PURISSIMA!

venerdì 18 gennaio 2013

Messa "ad orientem"


Santa Messa "ad Orientem"

Tale scelta sembra causare il maggior sconcerto. Molto si deve dire al riguardo, io ne traccerò i punti più salienti.

1. Fin dai tempi antichi e perfino durante e dopo il Concilio Vaticano II, la Messa rivolta "ad oriente" era la norma. Non c'è legislazione liturgica autorevole che l'abbia mai abolita. Il Messale Romano (il libro liturgico ufficiale che guida nella celebrazione della Messa) non soltanto la permette, ma anzi le rubriche la presuppongono (ad esempio, si dice al celebrante di "volgersi verso il popolo" all'Orate Fratres ("Pregate, fratelli ...").

2. Da tempo immemorabile, questa è stata la prassi dell'intera Chiesa, all'est come all'ovest. Contrariamente all'idea prevalente erronea (anche di molti liturgisti), non c'è riscontro di Messe celebrate coram populo (dinanzi al popolo) nei primi diciannove secoli della storia della Chiesa, salvo rare eccezioni (cfr. Introduzione allo spirito della liturgia del Cardinale Ratzinger, pp. 74-84). La scelta di ridurre l'altare ad una tavola per una liturgia con il popolo davanti, iniziò nel XVI secolo con Martin Lutero.

"Malgrado tutte le variazioni nella prassi che hanno avuto luogo nel secondo millennio ben inoltrato, una cosa rimane chiara per l'intera cristianità: pregare verso oriente è una tradizione che risale ai primissimi tempi. Inoltre, è un'espressione fondamentale della sintesi cristiana del cosmo e della storia il radicarsi negli eventi della storia della salvezza accaduti una volta per tutte, mentre si esce per andare incontro al Signore che ritornerà" (Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p.75).

3. Il Concilio Vaticano II non ha detto nulla sulla direzione del celebrante durante la Messa, poiché presuppone che la Messa sia ad orientem.

4. Un felice ritorno alla tradizione più antica e, credo, in armonia con l'intento della Sacrosanctum Concilium, è stato quello di portare l'altare più vicino alla navata, separandolo dai suoi paliotti e dossali, e proclamare le letture dall'ambone, benché il Vaticano II non disponga e non menzioni nulla al riguardo. Tuttavia, la Messa coram populo, pur essendo certamente permessa (ho celebrato 10.000 Messe in questo modo) e sia divenuta quasi universale, di fatto priva la Messa del suo simbolismo cosmico ed escatologico.

Le chiese sono state costruite tradizionalmente dinanzi al sole nascente. Il sole, naturalmente, è un simbolo cosmico della luce, dell'energia e della grazia che vengono a noi dal Padre attraverso il Figlio. Il sole è il segno cosmico del Cristo Risorto, luce del mondo. Volgendoci ad oriente, ci volgiamo in attesa verso il Signore che viene (escatologia) e manifestiamo di essere partecipi di un atto che va oltre la chiesa e la comunità in cui celebriamo, ma raggiunge il mondo intero (cosmos). Nelle chiese non rivolte all'oriente geografico, la Croce e il Tabernacolo divengono "l'oriente liturgico". (Incidentalmente, le rubriche richiedono che il celebrante della Messa stia davanti al Crocifisso durante la preghiera eucaristica. Ciò ha condotto, se non alla semplice inosservanza delle norma liturgica, all'anomalia di avere due crocifissi nel presbiterio - uno dinanzi al popolo e un altro piccolo sull'altare dinanzi al sacerdote - o perfino alla scelta grottesca di una Croce con un Corpo da entrambe le parti!).

5. Il dramma della storia della salvezza è potentemente simboleggiato nella liturgia rinnovata, quando si celebra ad orientem. Il sacerdote sta davanti al popolo quando chiama alla preghiera. Poi si volta per guidarlo nell'intercessione comune per la misericordia (Kyrie eleison). Prega a nome del popolo, continuando a stare dinanzi al Signore. Si volge verso il popolo per proclamare la Parola e istruire. Dopo aver ricevuto i doni, si volge di nuovo al Signore per offrirgli i doni, che prima sono solo pane e vino, e poi, dopo la consacrazione, sono il Corpo e il Sangue di Cristo. Quindi si volge verso il popolo per distribuire al banchetto eucaristico il Cristo Risorto, nelle forme di pane e vino.

Se c'è qualche simbolismo positivo nella Messa coram populo, vi è anche però un simbolismo assai negativo. "Il prete che si pone dinanzi al popolo trasforma la comunità in un cerchio racchiuso su di sé. In tale posizione esteriore, essa non si apre più su ciò che le sta davanti e in alto, ma è chiusa in se stessa" (Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p. 80).

6. Papa Giovanni Paolo II celebra regolarmente la Messa ad orientem nella sua cappella privata.


Il canto di parti della Messa in latino
Anche quando celebro la Messa in inglese, normalmente intono un canto gregoriano specifico al Kyrie, al Gloria, al Credo, al Sanctus e all'Agnus Dei. Intono in latino pure l'introduzione al prefazio (Dominus vobiscum, Sursum corda, ecc.) e il grande Amen (Per ipsum ...).
Anche se molti non lo sanno, il latino è una delle poche cose incoraggiate esplicitamente dal Concilio Vaticano II: " .. Si abbia cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della Messa che spettano ad essi" (Sacrosanctum Concilium, n.54). Il canto gregoriano è raccomandato ancora più fortemente: "La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale" (Sacrosanctum Concilium, n.116).

Queste parti della Messa sono facili da imparare e il fatto di cantarle unisce i fedeli cattolici non solo nel tempo (insieme a tutte le generazioni che lungo i secoli hanno elevato a Dio questi canti) ma anche nello spazio (anche oggi, in molte parti del mondo - soprattutto a Roma - i fedeli cattolici cantano in gregoriano). Questi canti in latino aggiungono sacralità alla Messa in due modi: è musica sacra (cioè messa da parte), intesa infatti per finalità sacre e quasi esclusivamente usata per tali finalità; e il latino non è solamente una lingua antica ma è espressione del sacro, grazie alla sua storia nella Chiesa.



Celebrazione della Messa in latino

Sorprenderà molti, ma non occorre alcuna autorizzazione per celebrare in latino. Infatti, non è possibile proibirlo, in quanto è ancora la lingua ufficiale della Chiesa cattolica romana e sempre adatta per la Santa Messa.
Alcuni motivi li ho scritti nei paragrafi precedenti. La mia prassi (che sono convinto fosse la vera intenzione dei Padri conciliari del Vaticano II) è di cantare o recitare in inglese le parti della Messa che variano di giorno in giorno (orazioni, prefazio) e di cantare o recitare in latino le parti invariabili (l'"Ordinario" della Messa). Si impara facilmente, soprattutto quando si usa in tutte le Messe la stessa Preghiera Eucaristica e le opzioni.


Ministranti e lettori

Questo è un argomento delicato e non posso farvi giustizia in questa sede. In breve: La Messa è essenzialmente nuziale, Cristo Sposo abbraccia la Chiesa Sposa e i due diventano una sola carne. Il sacerdote agisce non solo in persona Christi, ma in persona Christi Capitis et Sponsi (in persona di Cristo Capo e Sposo). Il presbiterio, che per norma liturgica deve essere chiaramente separato dalla navata (nella nostra cappella una delle funzioni degli inginocchiatoi è proprio quella di servire da balaustra), è il luogo dello Sposo (e dei "testimoni dello Sposo"). La navata è il luogo della Sposa, la Chiesa.
Il sacerdote agisce in persona di Cristo Figlio, che è l'icona e il Verbo del Padre. La relazione del Padre con la creazione (come quella di Cristo con la Chiesa, che è compimento nell'ordine della Redenzione) è nuziale o sponsale. Il sacerdote offre allo stesso tempo il Sacrificio di Cristo al Padre. Le donne non possono partecipare simbolicamente all'azione di Cristo, ma ciò non significa affatto che gli uomini siano più santi, superiori o più degni delle donne. Dipende, almeno in parte, dal fondamento teologico della ininterrotta tradizione della Chiesa di oltre due millenni che permette che siano solo gli uomini o i giovani a servire all'altare o a proclamare la Parola di Dio.
Ci sono anche conseguenze pratiche nell'avere ministranti donne. Molte vocazioni al sacerdozio hanno la loro origine o maturazione proprio servendo all'altare. Più donne all'altare porta ad avere meno uomini ministranti. In genere poi gli uomini frequentano la chiesa meno delle donne, per cui l'incentivo a servire all'altare controbilancia la "femminizzazione", come l'hanno chiamata, della Chiesa. Inoltre, nell'età dell'adolescenza, le ministranti ragazze inibiscono i ragazzi dal parteciparvi.

Sono invece meno insistente per avere solo uomini lettori. (Non sono sicuro perché, forse perché la liturgia della Parola è la parte didattica della Messa, mentre la liturgia eucaristica è la parte sacrificale). Ma lo preferisco, senza offesa per le donne. La Beata Vergine Maria non ha mai letto le Scritture nella sinagoga.



Omelie lunghe

E' una prassi che non è ordinata né proibita dal Concilio Vaticano II, né da nessun altro. Ma avviene. Parte della colpa, la attribuisco alla Parola di Dio, così ricca. E un po' è dovuto al fatto che da venticinque anni faccio omelie alle stesse persone, ma su testi che si sono ripetuti molte volte in tutti quegli anni. Le omelie si sono progressivamente accorciate (mi pare), poiché non riesco più a trovare nuovi spunti dalle stesse pericopi. Con assemblee nuove, riesco ad attingere alle omelie degli anni precedenti (per fortuna, ne ricordo solo una minima parte).


Il Canone Romano
Avrete notato che io faccio uso costante del "Canone Romano" (Preghiera Eucaristica I). Le ragioni sono molte di più di quante ne possa menzionare qui.

Fino alla seconda metà del XX secolo, non c'era alcuna tradizione di scelte diverse per il Canone. Il Vaticano II non ha richiesto tale innovazione, e nemmeno ne ha accennato. (Dice invece nella Sacrosanctum Concilium n.23: "...non si introducano innovazioni se non quando lo richiedano una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti". Non ho mai avuto una spiegazione convincente su come l'introduzione di nuovi canoni non costituisca una violazione del divieto conciliare).

Dopo lunga riflessione ed esperienza, sono persuaso che: 1) la stabilità è molto più importante della varietà in questa preghiera centrale della Messa; 2) il Canone Romano è superiore a tutti gli altri canoni in ogni aspetto (eccetto quello della brevità, che è il motivo per cui credo che la seconda Preghiera Eucaristica sia divenuta predominante nelle Messe quotidiane).

Il Canone Romano ci unisce tutti con gli altri cattolici - tutti i santi e tutti i peccatori - da almeno il VI secolo fino al 1969. E' rimasto virtualmente immutato in tutto questo periodo. E' l'unico Canone che menziona gli angeli, le donne (Felicita, Perpetua, ecc.), grandi prototipi storici (Abele, Abramo, Melchisedech) per farci ricordare concretamente la saga della storia della salvezza, e che allude alla liturgia celeste del libro dell'Apocalisse (i ventiquattro apostoli e santi che evocano i ventiquattro vegliardi). Contiene preghiere di insuperabile bellezza, potenza ed antichità.


"Ministri eucaristici"

Ho messo le virgolette al titolo del paragrafo, perché il titolo ufficiale è "Ministri straordinari della Comunione". Si intende che siano "straordinari", cioè che non corrispondano alla consuetudine normale. La prassi attuale in molte parrocchie è un abuso. E' talmente un abuso che - questo sì è davvero "straordinario" - i capi di oltre otto dicasteri della Santa Sede hanno emanato un decreto per porre fine all'abuso. Il decreto è stato largamente ignorato.
La norma liturgica prevede che siano solo i ministri ordinati (Vescovo, prete, diacono) ad essere ministri "ordinari" dell'Eucaristia. Se nessuno di questi è disponibile, allora può assistere una persona laica ufficialmente istituita come ministro straordinario dell'Eucaristia. Uno dei ruoli importanti che hanno in parrocchia è quello di assistere i sacerdoti e i diaconi a portare la Comunione ai fedeli infermi a casa.

Di tanto in tanto si può avere bisogno di questi ministri straordinari, ma noi speriamo che il Signore ci benedica con il dono di molti preti e diaconi.

Una considerazione importante: molti di noi hanno bisogno di dedicare più tempo alla preghiera personale e alla contemplazione. Si ha anche bisogno di prepararci a ricevere il Signore nella Santa Comunione e dell'intimo ringraziamento dopo averlo ricevuto. Un'ottima opportunità per farlo è un tempo prolungato di silenzio o un canto orante prima e dopo la Comunione. Non è facile sapere dove stia il giusto equilibrio, ma non dobbiamo cercare una maggiore "efficienza" al momento della Comunione moltiplicando i ministri straordinari.



Il bacio della pace
Si tratta di un gesto tradizionale, per quanto piuttosto oscure siano la sua nascita, sviluppo e trasformazioni lungo la storia liturgica. Nelle liturgie più antiche, avveniva al momento in cui i doni venivano portati all'altare, richiamo dell'ingiunzione biblica a riconciliarsi con il fratello prima di presentarsi al giudice.

Nel Medio Evo, si usava una "pax brede" (instrumentum pacis, o osculatorium); una tavoletta di legno che il sacerdote e altri ministri baciavano e che veniva passato ai membri dell'assemblea. In seguito e fino ad oggi, tra i ministri dell'altare ci si scambiava un gesto formale di abbraccio in alcune forme del Rito Romano.


Il bacio della pace è stato inserito nel Novus Ordo Missae del 1969, ma solo facoltativo e non obbligatorio. Il sacerdote che scendeva dal presbiterio e offriva il bacio della pace ai fedeli, era sempre un abuso liturgico. L'invito è: Offerte vobis pacem (scambiatevi un segno di pace). Questa rubrica era chiara nella precedente versione dell'Istruzione generale per il Messale Romano, ma è stata resa ancora più chiara nell'ultima versione.
Con il passare degli anni, le mie riserve sull'appropriatezza di questo gesto in quel preciso momento della Messa, sono aumentate. Può darsi che sia semplicemente perché sto invecchiando, ma non credo che sia questo. Penso che introdurre qualcosa che in origine e nella pratica era una prassi laica - molto buona e umana, certamente - al momento che precede l'atto più sacro che una persona può compiere - ricevere nel proprio cuore lo "Sposo dell'anima" - è stato uno dei tanti cambiamenti che ha condotto alla mancanza di rispetto verso il Santissimo Sacramento e a una perdita del senso di riverenza dinanzi al Signore Eucaristico.
Le Missionarie della Carità della Beata Teresa di Calcutta hanno trovato, secondo me, la miglior soluzione. Il saluto laico in India consiste in un inchino con le mani giunte. E' un bellissimo gesto che non disturba il sacro silenzio che precede la Santa Comunione. Forse sto protestando troppo. Il bacio della pace è certamente permesso ed è diffuso.


La Santa Comunione

Ai fedeli è permesso di ricevere la Comunione sulla mano o sulla lingua, in piedi o in ginocchio. C'è molta confusione al riguardo, poiché i Vescovi degli Stati Uniti hanno recentemente emanato un documento che dichiara normativa in America la postura eretta.[!!!] Ciò ha causato costernazione in molti fedeli e a Roma, alla Congregazione del Culto Divino e alla Disciplina dei Sacramenti. Quest'ultima ha chiarito che i fedeli hanno il diritto di ricevere la Comunione in tutti i modi approvati, compreso l'inginocchiarsi e che, nell'esercitare tale diritto, non sono affatto disobbedienti.

In una lettera del 2 luglio 2002 da parte della Congregazione a un Vescovo americano, pubblicata nel bollettino pubblico della Congregazione, Notitiae, il Prefetto stabiliva: "La Congregazione è preoccupata per il grande numero di doglianze simili ricevute negli ultimi mesi da vari luoghi, e considera che il rifiuto della Santa Comunione a motivo della postura inginocchiata, sia una grave violazione di uno dei più fondamentali diritti dei fedeli cristiani, quello in particolare di essere assistiti dai propri Pastori per la ricezione dei Sacramenti (Codice di Diritto Canonico, can.213).

Dopo che la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha richiesto e ricevuto la recognitio (termine canonico per "riconoscimento") per rendere normativa in tutti gli Stati Uniti la postura eretta per la Santa Comunione, qualche Vescovo ha tentato di imporla, pretendendo che chi non l'avesse seguita, sarebbe stato disobbediente al Papa stesso. La Congregazione per il Culto Divino ha rigettato con forza questa interpretazione, scrivendo: "Per l'autorità ricevuta dalla recognitio che ha ottenuto la forza di legge, questo Dicastero è competente per specificare la maniera per comprendere la norma per una appropriata applicazione ...".

"... questa Congregazione, pur avendo concesso la recognitio alla norma desiderata dalla Conferenza Episcopale del vostro Paese per ricevere in piedi la Santa Comunione, lo ha concesso a condizione che ai comunicandi che scelgono di inginocchiarsi, non sia negata la Santa Comunione per questi motivi. E ancor più, i fedeli non devono essere obbligati né accusati di disobbedienza e di agire in modo illecito quando si inginocchiano per ricevere la Santa Comunione".

Nella nostra cappella, i comunicandi possono stare in piedi o in ginocchio. Io rispetto il vostro diritto di riceverla nel modo che scegliete, e tutti devono rispettare le scelte degli altri. La prassi è che si proceda lungo il corridoio centrale e in piedi riceverla quando si giunge alla testa della fila, o andare ad uno degli inginocchiatoi e riceverla in ginocchio. Qualcuno va all'inginocchiatoio e rimane in piedi. E' accettabile. In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas (nelle cose necessarie unità, nelle cose discutibili libertà, in tutte carità).




fonte: CatholicCulture.org, 16/03/2003
http://www.catholicculture.org/culture/library/view.cfm?recnum=4647

trad. it. di D. Giorgio Rizzieri



Mons. Sample

 Un vescovo difende la Messa "ad orientem"


Monsignor Alexander Sample, vescovo di Marquette (Michigan), spiega ai suoi fedeli perché il sacerdote è girato verso il crocifisso durante la celebrazione della Messa tradizionale. Qui sotto pubblichiamo interessanti brani dell'ultima parte della sua omelia del 4 settembre 2011.

Quelli tra noi che hanno sperimentato questa forma del rito romano della Chiesa vedono chiaramente in questo rito un orientamento, un’attenzione che si rivolge verso Dio, non verso il popolo. Tutto l'orientamento di questa sacra Liturgia è chiaramente verso Dio.
….
Si sente la gente dire così: "Beh, non mi piace quando il prete mi volge le spalle". Non è di questo che si tratta. Il prete non volta le spalle a nessuno. Il sacerdote è rivolto verso il Signore Dio insieme ai fedeli.
….
Oppure: "Non mi piace perché non riesco a vedere il volto del sacerdote quando celebra la Messa", beh, non siete a Messa per vedere il volto del sacerdote, la nostra attenzione è verso Cristo, verso Dio.

Nella forma straordinaria della Messa, quando il sacerdote è girato verso il crocifisso, possiamo dire che è voltato verso l'Oriente, è per questo che è girato in quel modo si trova su quel lato dell'altare e si gira in quel modo.

Questa è l'intenzione generale: il sacerdote e la gente sono rivoltati verso l’Est, nella direzione del sole nascente, la direzione da cui Cristo verrà nella sua gloria, questo è l'orientamento escatologico della liturgia che vedremo alla fine dei tempi.

Papa Benedetto XVI parla così bene del carattere cosmico della liturgia; parla di noi che celebriamo ciò che è già accaduto, ciò che Cristo ha già compiuto nel suo mistero pasquale, la Sua morte e la Sua Risurrezione. Tuttavia siamo anche voltati verso il "non ancora", l’"ancora da venire". Questo è l'orientamento escatologico della liturgia; ci rivolgiamo a Cristo in preghiera, in attesa del suo ritorno nella gloria. Facendo così, noi partecipiamo alla liturgia celeste che si celebra adesso alla presenza degli angeli.

Dunque, quando sentite la gente criticare questa liturgia con il sacerdote che volta le spalle ai fedeli, correggetela. Non si tratta di questo, si tratta di tutti noi, sacerdoti e fedeli insieme, uniti nella preghiera, di fronte a Cristo, rappresentato dal crocifisso. La nostra adorazione è diretta verso di Lui. Il nostro culto è diretto verso Dio Onnipotente che dovremmo amare con tutto il cuore, con tutta la nostra anima, tutta la nostra forza e con tutta la nostra mente.
(Potremmo agginugere che il motivo principale per il quale il sacerdote è rivoltato alla croce è il fatto che la Messa è il rinnovamento de Sacrificio del Calvario, ndr)
Fonte: Gloria TV (video della predica)
_____________
Versione completa in inglese dell'ultima parte della predica:
This focus on the love for God in our lives, that He is everything to us, that He is the center. I would make connection here perhaps to our celebration with the extraordinary form. Those of us who have experienced this form of the Latin rite of the Roman rite of the Church see clearly in this rite an orientation and a focus which is on God, not on us. The whole orientation of this sacred Liturgy is clearly on God.

Even the orientation of prayer. And this orientation of prayer we use here is probably one the more controversial elements in the minds of some in the more modern set of this liturgy.

You will hear people say things like: “Well, I don’t like it when the priest turns his back on me”.

It is not what this is about. It is not about the priest turning his back on anyone. It is about the priest facing the Lord God with you. Some of them pointed out: what happens in the liturgy? and perhaps I betray some of my own sentiments spiritually in regard to the sacred liturgy, what happens when we face one another at the altar? When the priest stands on this side of the altar and faces the congregation which quite honestly, if you polled the people, I am sure it would be the preferred orientation, but what happens, where is the focus? We become almost a circle and we focus within, we focus on each other.

I heard people say: “I don’t like this because I can’t see the priest’s face when he celebrates the Mass”, well, you are not supposed to be looking at the priest’s face, our focus is on Christ, on God.

And so, when we are facing one another face to people, there is an inward sort of focus, there is a focus on us, and we see this even portrayed in some of the hymnity of the Church. There are so many hymns that we sing today that are focused on us, gather us in: “the Rich and the Hardy”, “the Blind and the Lame”. It’s a very inward focus on us. And I can list many others.

So, there is no longer an orientation of prayer in song toward God, but it becomes very focused on us gathered in worship, and that’s not the orientation and focus of the sacred liturgy.

And so, in the extraordinary form, when the priest faces the crucifix in this case, we can say he is facing the East, why he should be placed on that side of the altar and face that way. That’s the general intention here, is that priest and people face East, the direction of the rising sun, the direction from which Christ will come again in His glory, the eschatological orientation of the liturgy that we will look for the end of times. That Pope Benedict XVI speaks so beautifully of the cosmic nature of the liturgy, he talks about we celebrate here what is already happened, the already, what Christ has accomplished in His Paschal mystery, His Death and Resurrection, but we also have a focus on the orientational “not yet”, the “yet to come”, the eschatological orientation of the liturgy, in time when Christ will be coming in glory, we turn to Him in prayer as we await His return in glory. And as we do so, we participate in the Heavenly liturgy, which goes on now in presence of the angels.

And so, when you hear people describe this liturgy with the priest turning his back on us, correct them; it is not about that, it is about all of us, priest and people, together, united in prayer, facing Christ represented by the crucifix. Our focus and orientation is on Him. Our worship is directed toward the Almighty God Whom we should love, with our whole heart, our soul, our whole strength, and with all our mind.




DEO GRATIAS et B. V. MARIAE

domenica 2 dicembre 2012

Sono forse alleati


DOMENICA 2 DICEMBRE 2012


" A sacerdotibus ridiculis. Libera nos Domine ! " ( Quando i giovani scrivono ...)

Un giovanissimo Lettore di MiL ci ha inviato alcune sue dolenti  considerazioni riguardo un cosiddetto “ritiro spirituale” di due giorni a cui ha avuto la (s) ventura di partecipare.
Ancora una volta dobbiamo leggere quel che alcuni chierici fanno per distruggere quel che rimane della religiosità  :  sono forse alleati con il Nemico per allontare dalla Fede i giovani ? 
Le parole che il  diciottenne  ci ha scritto dovrebbero far impallidire tutti quei Chierici che si coprono di ridicolo per sembrare "al passo con i giovani" ...
Questi Consacrati vanno tuttavia sostenuti con la nostra incessante preghiera perché prima o poi, dovranno render conto del loro nefasto operato davanti al Trono dell’Altissimo ! 
A.C. 

Cara Redazione, 
sono F., uno studente diciottenne di un istituto superiore Cattolico (o almeno così dovrebbe essere); vorrei raccontarvi la triste esperienza dell'ultimo ritiro spirituale (questi venerdì e sabato) fatto con la scuola, "presieduto" da un sacerdote molto particolare. 
Non si è trattato certo di un convegno sulla liturgia, e la cosa sembra abbastanza scontata per un ritiro spirituale di ragazzi di scuola superiore: è stato difatti incentrato sulla riflessione e il dibattito in merito a temi che toccavano anche la fede, ma che non erano propriamente religiosi. 
Fin qui nulla da ridire. 
Arrivato però il momento della Santa Messa (e Santa sarebbe dovuta essere), anche se precedentemente s'era intuito di che modi era il sacerdote, si è rivelata tutta la dissacrazione di cui questo reverendo padre era capace. 
Premetto che, per interesse personale, avevo tentato di assicurarmi che i canti liturgici fossero veramente degni d'esser così chiamati, anche se non potevo certo far cantare in gregoriano dei liceali che, negli anni passati, hanno sentito solamente canzonette come "Te al centro del mio cuore" (messaggi subliminali di Vodaphone et similia ? ) 
Tuttavia, con mio sommo rammarico, ho dovuto assistere a scene indegne: tanto per cominciare, il classico alleluia "delle lampadine", veementemente gesticolato dal celebrante, che ha così dimostrato la sua indiscutibile vocazione d'elettricista; l'omelia, poi, opportunamente decorata con eleganti ed aulici forme verbali messe in bocca a Nostro Signore, della serie "Perchè ve ne fot**te di me?"; un solenne Sanctus in stile country, da far invidia a quello della Messa da Requiem di Mozart; actuosa participatio dell'assemblea con batitti di mani liturgici, profondamente ispirati dal sacralità e solennità del momento. Della casula ornata da pennellate di colori caldi meglio non parlare, così come della mancanza di quest'ultima del concelebrante, che ha però sfoggiato una raffinatissima stola, sobria e priva di ogni simbolo cristiano, così da non infastidire i fedeli delle altre religioni! 
Sono certo che i Padri Conciliari avessero in mente questo tipo di celebrazioni, specialmente nel cinquantesimo anniversario dello stesso, per rinnovare una Chiesa di "tombaroli" (i sacerdoti legati alla tradizione sono stati definiti in questo modo dal celebrante): i più sinceri complimenti, dunque, a questo reverendo, tanto fedele al Magistero della Chiesa e allineato al suo Pontefice! 
F.P

Immagine  e titolo del post  a cura del giovane studente ( N.d.R)

AVE MARIA!

giovedì 15 novembre 2012

Verso il Signore


Versus Deum per Iesum Christum

"La direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore". L'introduzione del decano del Sacro Collegio al libro di Uwe Michael Lang
del cardinale Joseph Ratzinger


Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi in questa forma.

Certo, alla lingua volgare si sarebbe dovuto dare spazio, secondo le intenzioni del Concilio (cfr. Sacrosanctum Concilium 36,2) - soprattutto nell'ambito della liturgia della Parola - ma, nel testo conciliare, la norma generale immediatamente precedente recita: "L'uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini" (Sacrosanctum Concilium 36,1).

Dell'orientamento dell'altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l'Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: "L'altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]". L'introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: "è auspicabile laddove è possibile". Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire - "laddove possibile" - gli altari rivolti verso il popolo.

Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola "expedit" [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L'orientamento fisico dovrebbe - così dice la Congregazione - essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.

Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant'anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell'ascolto attento degli altri, ma soprattutto nell'ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come 'preconciliari', 'reazionarie', 'conservatrici', oppure 'progressiste' o 'estranee alla fede', non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.

Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell'orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno - mi sembra - un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.
Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall'inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato 'voltando le spalle al popolo'. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo.

La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa.

La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo - secondo Jungmann - la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all'essenza dell'azione liturgica.

Più tardi Louis Bouyer - anch'egli uno dei principali liturgisti del Concilio - e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall'inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l'elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l'uno verso l'altro.
Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti 'anticonciliari'. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l'apertura della liturgia verso ciò che l'attende e verso ciò che la trascende. In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d'Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell'Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.
Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo - necessario per ogni generazione - di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

IL LIBRO
Il testo del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato in queste pagine, inedito in Italia, è la prefazione che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha scritto al libro di Uwe Michael Lang Conversi ad Dominum. Zu Geschichte und Theologie der christlichen Gebetsrichtung, edito lo scorso anno in Svizzera dalla Johannes Verlag di Einsiedeln. Del volume sta uscendo la versione in lingua inglese (Turning towards the Lord: Orientation in Liturgical Prayer) per la casa editrice Ignatius Press di San Francisco (Usa), che detiene il copyright dell'opera.
Uwe Michael Lang è membro dell'oratorio di San Filippo Neri a Londra, ha studiato teologia a Vienna e Oxford, e ha pubblicato numerosi testi su argomenti patristici.
Gianni Cardinale
da "30Giorni", 3/2004www.30Giorni.it
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AVE MARIA! 

giovedì 31 maggio 2012

Card. Leo Raymond Burke: "La cultura secolare ha intaccato anche la liturgia latina, la sua sacralità, la sua dimensione cattolica"




Omelia pronunciata dal card. Raymond Leo Burke durante la S. Messa celebrata nel Santuario di Santa Maria de finibus terrae a Leuca il 1° maggio 2012.

<<Dopo la statio liturgica presso queste coste luminose – donde il significato di Leuca in greco – dove l'apostolo Pietro approdò, secondo la tradizione, siamo saliti in pellegrinaggio qui dove la Santa Madre di Dio gode di una plurisecolare venerazione.

Tra il carisma petrino, presente nel Papa, successore dell'Apostolo, e il carisma mariano c'è piena corrispondenza. Infatti, siamo venuti sulle orme di Benedetto XVI, il Papa che il Signore ha scelto per questo inizio del terzo millennio cristiano. La nostra fede, trasmessaci attraverso l’ufficio petrino, per la Tradizione, è guardata con gratitudine ed è illuminata tramite la devozione più antica del pellegrinaggio. Siamo rinnovati e cresciamo fino alla misura di Gesù Cristo che, nell'immagine venerata sull'altare, la Vergine Maria ci mostra, ma, anche nella quale il suo Figlio Divino ci indica la Madre come via sicura per arrivare a Lui.

Siamo venuti qui nel giorno che la Chiesa dedica a San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria e artigiano. San Giuseppe era un costruttore – nell’originale greco del Vangelo che è stato appena proclamato,tèkton1 – termine che significa non un semplice artigiano o falegname, ma un lavoratore dell'edilizia, in grado di lavorare anche la pietra. San Giuseppe fu perciò costruttore di edifici, cioè preparato e capace nelle attività specializzate necessarie per costruire una casa.




Nella liturgia odierna, all'antifona d'introito abbiamo pregato con le parole del Salmista: “Se il Signore non edifica la casa, invano si affaticano quelli che la costruiscono”2. La parola ispirata del Salmo 126 ci fa ricordare la verità che oggi frequentemente dimentichiamo, cioè che Dio ha stabilito la legge umana del lavoro – come pure ricorda la preghiera colletta3 – pertanto, il nostro lavoro può essere espressione dell'amore, se ogni giorno per Cristo, con Cristo e in Cristo è offerto a Dio Padre con umiltà. Proprio così ha fatto San Giuseppe. 

Nella Lettera ai Colossesi di San Paolo, troviamo la descrizione della dignità e del fine del nostro lavoro umano, che vediamo manifestato in modo eroico nella vita di San Giuseppe: “Qualunque sia il vostro lavoro, agite di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete in ricompensa l'eredità4.

Fu il Venerabile Papa Pio XII, ad istituire la Festa di San Giuseppe Lavoratore, affinché nel giorno che il mondo secolare dedicava alla festa del lavoro, fosse dalla Chiesa richiamata la verità sul lavoro umano e cioè il suo nesso essenziale con Dio Padre e Creatore. Oggi, seguendo l’ispirazione del Venerabile Pontefice, ci accorgiamo che un'economia – che dalla sua radice greca significa “legge per il mondo abitato” – non basata sulla dignità degli uomini che abitano la terra e la corrispondente dignità del lavoro umano, ma sulla speculazione finanziaria, entra in grave crisi. La dignità dell'uomo che lavora, come ha testimoniato il Beato Giovanni Paolo II, non può essere rettamente riconosciuta se, prima di tutto, Dio non è riconosciuto.

La fede, che costituisce la vera conoscenza che noi abbiamo di noi stessi, la nostra vera autocoscienza, ci fa comprendere che apparteniamo a Dio. Ne scaturisce un percorso che porta a guardare a Gesù Cristo non come un devoto ricordo, ma come vita della nostra vita che nessun errore e nessun potere può strappare. È il percorso dei cuori attratti al Sacro Cuore di Gesù sempre aperto a riceverci, a purificarci e a rafforzarci con l’amore inesauribile che scaturisce in abbondanza dal Suo Cuore glorioso trafitto. Ciò riguarda tutti, vecchi e giovani, e spalanca un orizzonte e una direzione sicura, specie in questo tempo segnato da relativismo, materialismo e individualismo.

Eusebio, vescovo di Cesarea di Palestina, primo storico della Chiesa, vissuto al tempo dell'imperatore Costantino, a proposito di Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe, scrive: "In lui v'era un esimio pudore, una modestia e una prudenza somma; eccellente nella pietà verso Dio, splendeva di una meravigliosa bellezza anche nel sembiante"5. Queste parole, San Giovanni Bosco, nella sua Vita di San Giuseppe, le attribuisce allo Sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Abbiamo bisogno di ricorrere al suo esempio e alla sua protezione perché il Signore ci conceda di vivere così la nostra vita, in unione con il Cuore Divino, specialmente in ogni aspetto del nostro lavoro.

San Paolo ci ha esortato nell'Epistola di oggi: “Servite a Cristo Signore6. Riflettendo sulla verità del nostro lavoro, come non pensare al primato del nostro più perfetto lavoro, la Sacra Liturgia che giustamente si chiama opus Dei, ”opera di Dio”, a cui non anteporre null'altro, come dice San Benedetto7? Come non riscoprire la verità e la bellezza della liturgia come servizio di Dio, servizio all'altare? Sebbene i termini ministro e ministrante stiano ad attestarlo, nella cultura relativista, materialista e individualista di oggi, facilmente si dimentica che la liturgia va servita e non ci si deve servire di essa per mettere al centro noi stessi.

Gesù, come ci ricorda il vangelo odierno e l'antifona di comunione8, era conosciuto come figlio del falegname: San Giuseppe è stato per Gesù l'immagine vivente dell'operosità del Padre, il Quale, come dice Gesù, opera sempre9. Se la liturgia è l'opera di Dio in quanto richiede la fede – la fede è l'opera di Dio – noi dobbiamo fare della liturgia la nostra opera più importante, sia per servire il Signore in terra, sia per essere trasformati da Lui e trovare in Lui il vero senso del nostro lavoro quotidiano. L'antifona d'offertorio10 inneggia al Signore che porta a buon fine il nostro lavoro: egli lo fa dal suo tempio santo, quel tempio ove presentiamo le offerte del pane e del vino, frutto del lavoro delle nostre mani. Infatti, sono i santi Misteri che riceviamo – ricorda la preghiera dopo la Comunione – che perfezionano il nostro operato e ci assicurano il loro premio11. Così, ci prepariamo alla liturgia celeste ove opereremo per sempre a lode e gloria della Trinità Santissima.
*
Siamo venuti qui, sulle orme di Papa Benedetto XVI che sta incoraggiando e sostenendo un nuovo movimento verso la liturgia e la sua corretta celebrazione, esteriore ed interiore12. Nell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis il Santo Padre ci ricorda che il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio contiene ricchezze non pienamente esplorate13. L’esplorazione si è interrotta o è rimasta in superficie, perché la cultura secolare fortemente marcata dal relativismo, materialismo e individualismo, ha intaccato anche la liturgia latina specialmente la sua sacralità e la sua dimensione cattolica.

Così si è sviluppato un conflitto tra innovatori e conservatori, in gran parte emotivo: per superarlo razionalmente bisognerebbe quasi riprendere in mano la Memoria sulla riforma liturgica14, redatta nel 1949 sotto il Venerabile Papa Pio XII, che già prima del Concilio Ecumenico Vaticano II promuoveva il restauro della liturgia. 

In quella Memoria sono enunciati le necessità, i principi fondamentali, il programma organico e l'attuazione pratica. Vi si trovano anche le ragioni - all’epoca - della riforma liturgica: lo stato della liturgia, della scienza liturgica, del movimento liturgico mondiale, la situazione del clero, le promesse e iniziative della Santa Sede per la riforma liturgica definitiva. 
Alla luce di tali presupposti, si può rileggere la Costituzione Sacrosanctum Concilium nei suoi punti fondamentali: la natura della liturgia e la sua importanza nella Chiesa, l’educazione liturgica del clero - a partire dalla formazione nei seminari - e dei fedeli, la riforma liturgica e spirituale, e i suoi criteri.

Per distinguere la riforma dalle “deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile15, per adoperare la loro descrizione da parte di Papa Benedetto XVI, basterebbe verificare se siano state osservate due condizioni irrinunciabili: “probe servata eorum [rituum] substantia” e “restituantur vero ad pristinam sanctorum Patrum normam16, “conservata fedelmente la loro [dei riti] sostanza” e “siano riportati alla primitiva tradizione dei Padri”. Si deve tenere in conto anche quanto abbia pesato nell'impostazione e, di conseguenza, nell'applicazione della riforma, per esempio, lo spirito di critica e di insofferenza verso la Santa Sede, un certo razionalismo nella liturgia senza nessuna preoccupazione per la vera pietà, il fatto che i liturgisti non sempre fossero teologi, malgrado nella liturgia, ogni gesto e parola esprima una realtà teologica. Poiché tutta la teologia già da allora era in discussione, le teorie correnti cadevano sulla formula e sul rito, con una gravissima conseguenza: mentre la discussione teologica rimane nell’ambito degli specialisti, la formula e il rito si diffondono nel popolo. Se ne riscontra una eco nella Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II Vicesimus Quintus Annus del 1988 ove si parla apertamente di “[a]pplicazioni errate17.

Un altro tema importante è la desacralizzazione della liturgia già intravista da Paolo VI in alcune tendenze e sperimentazioni18: la legge liturgica che fino al Concilio era una cosa sacra, per molti dopo il Concilio non esisteva e non esiste più. Non vi è alcun amore per ciò che è stato tramandato; ciascuno si ritiene autorizzato a fare quello che vuole.

In occasione della pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum si è sostenuta l’incompatibilità dei due Messali Romani, quasi supponessero due ecclesiologie. L’intervento pontificio va letto, invece, come continuazione della riforma liturgica in linea con la Costituzione Sacrosanctum Concilium. Giova ricordare le parole di Papa Benedetto XVI sulla riforma liturgica: Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all’interno dell’unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture19. Basandosi sulla realtà dell’unità organica della Sacra Liturgia, specialmente dopo la pubblicazione dell’Istruzione Universae Ecclesiae dello scorso anno, dobbiamo tutti, specialmente negli Istituti e nelle cattedre di Sacra Liturgia nei Seminari e Facoltà, favorire una discussione onesta e perseverante, affinché vi sia l’arricchimento vicendevole tra la forma ordinaria e quella straordinaria del Rito della Messa, per il quale il Santo Padre insistentemente lavora. Soprattutto tutte le nostre chiese e cappelle devono essere luoghi dove la sacra liturgia è celebrata in modo esemplare come l’opera di Dio, affidata a noi e perciò la più alta e perfetta espressione della Sua santa Chiesa.

Preghiamo Santa Maria di Leuca e San Giuseppe, suo sposo, “fidelis servus ac prudens, super Familiam tuam ... constitutus20 – “servo fedele e prudente messo a capo della Santa Famiglia” – affinché protegga il Santo Padre Benedetto XVI, ottenga la riconciliazione della Fraternità San Pio X con la Chiesa universale di cui tutti siamo parte, sostenga il lavoro che la Scuola Ecclesia Mater compie per la promozione della Sacra Liturgia, della musica, arte ed architettura sacre, e ispiri in tutti noi l’obbedienza alla disciplina della Sacra Liturgia, opera di Dio affidata a noi per la salvezza del mondo.

Cuore di Gesù, fonte di vita e di santità, abbi pietà di noi.
Santa Maria di Leuca, prega per noi.
San Giuseppe, il Lavoratore, Sposo di Maria e Fedele Custode della Santa Famiglia, prega per noi.>>
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1 Mt 13, 55; cf. Mc 6, 3.
2 Sal 127 [126]: 1.
3 Cf. “Rerum conditor Deus, qui legem laboris humano generi statuisti:…” Missale Romanum ex decreto Ss. Concilii Tridentini restitutum Summorum Pontificum cura recognitum, Editio Typica 1962 [Missale Romanum 1962], ed. Manlio Sodi e Alessandro Toniolo, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2007, p. 600, “Oratio”.
4 Col 17, 23-24.
5 Eusebio, Praeparatio Evangelica, libro VII, 32-34.
6 Col 17, 24.
7 Benedicti Regula, Cap. XLIII, 7.
8 Cf. Mt 13: 55; “Nonne hic est fabri filius”? Missale Romanum 1962, p. 601, “Ant. ad Communionem”.
9 Cf. Gv 5: 17.
10 Cf. “Bonitas Domini Dei nostri sit super nos, et opus manuum nostrarum secunda nobis, et opus manuum nostrarum secunda”. Missale Romanum 1962, p. 601, “Ant. ad Offertorium”.
11 Cf. “Haec sancta quae sumpsimus, Domine: per intercessionem beati Ioseph; et operationem nostram compleant, et praemia confirment”. Missale Romanum 1962, p. 601, “Postcommunio”.
12 Cf. Joseph Ratzinger, Teologia della liturgia. La fondazione sacramentale dell’esistenza cristiana [Opera omnia, Vol. XI], Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 201, p. 26.
13 Cf. n. 3.
14 Cf. Carlo Braga, C.M., ed., La riforma liturgica di Pio XII: Documenti, I. La «Memoria sulla riforma liturgica», Roma: Centro Liturgico Vincenziano, 2003.
15 Benedictus PP. XVI, Epistula “Ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani”, die 7 Iulii 2007, Acta Apostolicae Sedis [AAS] 99 (2007), p. 796.
16 Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio Sacrosanctum Concilium, “De Sacra Liturgia”, AAS 56 (1964), p. 114, n. 50. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 1, p. 51, n. 87.
17 “[u]sus vitiosi”. Ioannes Paulus PP. II, Litterae apostolicae Vicesimus quintus annus, “Quinto iam lustro expleto conciliari ab promulgata de Sacra Liturgia Constitutione Sacrosanctum Concilium”, 4 Novembris 1988, AAS 81 (1989), p. 910, c, n. 13. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 11, p. 999, n. 1586.
18 Cf. “Resistite fortes in fide”, 29 giugno 1972, Insegnamenti di Paolo VI, Vol. 10 (1972), Città del Vaticano: Tipografia Poliglotta Vaticana, 1973, pp. 705-708.
19 “Agitur reapse de immutationibus percipiendis, quas intra unitatem voluit Concilium, quae historicum ipsius ritus progressum, absque inductis facticiis fractionibus, designat”. Benedictus PP. XVI, Adhortatio Apostolica Post-Synodalis Sacramentum caritatis, “De Eucharistia vitae missionisque Ecclesiae fonte et culmine”, die 22 Februarii 2007, AAS 99 (2007), p. 107, n. 3. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 24, p. 91, n. 107.
20 Missale Romanum 1962, p. 1071, “Praefatio de S. Ioseph, Sponso B.M.V.”.
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AMDG et BVM