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mercoledì 27 luglio 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza (a cura di Gemma)

Grazie al sapiente lavoro della nostra Gemma possiamo leggere la terza parte della biografia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Un ringraziamento sincero a Gemma da parte di tutto il blog :-)












Il ministero sacerdotale di Joseph Ratzinger ha inizio il primo agosto del 1951, in qualità di coadiutore nella parrocchia del Preziosissimo Sangue a Monaco. Il carico di compiti affidatogli, reso più gravoso dall’iniziale inesperienza, non è indifferente e comprende, oltre le celebrazioni in parrocchia, l’insegnamento religioso a scuola e il lavoro con i giovani ma, ricorda,: “dato che il parroco non si risparmiava, anch’io non potevo né volevo farlo”.
L’esperienza di quel periodo, a contatto col mutato rapporto dei giovani e delle famiglie con la fede nel dopoguerra, lo porta ad elaborare alcune riflessioni e a metterle per iscritto diversi anni dopo in un’opera dal titolo“I nuovi pagani e la Chiesa “, diventata allora anch’essa vivace argomento di dibattito.
Il primo ottobre del ’52, viene chiamato dal seminario di Frisinga e si ripropone il dilemma che accompagnerà un po’ tutta la sua vita: da una parte la passione per il lavoro teologico, dall’altra la cura pastorale e il carico di relazioni ed esperienze umane che questo porta con sé. Dovendo terminare gli studi, decide di accettare solo in parte e di tenere un corso sulla pastorale dei sacramenti per gli studenti.

Così ricorda Alfred Lapple quel periodo:

- “Nel ’52, mentre mi accingevo a lasciare il mio incarico di docente di Pastorale dei sacramenti al Seminario di Frisinga, decisi di andare dal vescovo Faulhaber, per dirgli che il mio migliore successore in quel posto sarebbe stato Joseph Ratzinger. Che infatti, il 1° ottobre, prese il mio posto. Iniziò così la sua carriera accademica. A lui non ho mai detto che ero andato dal vescovo a proporre il suo nome. Ma mi piace pensare che forse quel mio intervento a favore della sua assunzione può aver favorito il suo cammino”.
- Nel luglio del ’53, porta a termine l’esame di dottorato, prova da lui stesso definita piuttosto impegnativa, con esame orale e scritto in 8 discipline , il tutto coronato da una disputa pubblica, con tesi tratte da tutte le discipline teologiche. Così ricorda quell’evento nella sua biografia,“fu una grande gioia, soprattutto per mio padre e mia madre, quando nel luglio del 1953 questo atto andò in scena e mi guadagnai il titolo di dottore in teologia”.
E’ di quegli anni, la conoscenza con la teologa tedesca,oggi dissidente, Uta Rank Heinemann che di quel periodo ricorda:
-“Eravamo studenti di dottorato insieme all'Università di Monaco nel 1953 e 54 ed era la prima volta che ad una donna veniva concesso il dottorato in teologia cattolica. Il nostro rispetto l’uno per l’altro divenne più profondo quando dovemmo difendere le nostre tesi in latino e, in preparazione, traducemmo insieme le nostre tesi dal tedesco al latino. Lui era molto intelligente. Era la star tra gli studenti maschi; c’erano poche studentesse femmine e tutte ammiravamo la sua intelligenza. Ma c’era qualcosa di più di lui che ammiravo. Era uno studente piuttosto timido, non ossessionato dal suo ego. Mi piaceva la sua intelligenza umile. Ho spesso citato alcuni passaggi dei suoi libri nei miei e durante tutta la mia vita molte persone sono rimaste sorprese che io lo abbia spesso difeso, sebbene abbia sempre detto che ritengo molte delle sue opinioni sbagliate.”
- Alla fine del semestre estivo 1953, si libera la cattedra di dogmatica e teologia fondamentale presso il seminario teologico di Frisinga e i superiori pensano a lui come prossimo titolare. Impegnato nella stesura della tesi di abilitazione, accetta di tenere il corso di dogmatica come professore straordinario e rimanda di un anno l’incarico di teologia fondamentale. La tesi di abilitazione, su volere del professor Söhngen, verte questa volta sul Medioevo, su Bonaventura e sul concetto di rivelazione :
”dovevo verificare se in qualche forma ci fosse in Bonaventura un corrispondente del concetto di storia della salvezza e se questo motivo, qualora fosse riconoscibile, si ponesse in rapporto con l’idea di rivelazione”.
Inizia il lavoro con entusiasmo ma nel mentre, in seguito alla morte del professore emerito di filosofia, viene nuovamente sollecitato ad assumere la cattedra di dogmatica. Accetta di tenere il corso ma rinvia ancora l’incarico di teologia fondamentale e alla fine dell’autunno del 1955, nonostante si sia imbattuto in una dattilografa un po’ distratta, responsabile di errori di battitura e d’impaginazione e di una veste grafica tutt’altro che soddisfacente, riesce finalmente a consegnare il lavoro alla facoltà di Monaco.
Nel frattempo, deve prendere una decisione riguardo alla sistemazione abitativa dei genitori, ormai anziani per vivere da soli a Traunstein, nella vecchia casa ai margini del bosco. Dato che l’esame di abilitazione sembra cosa sicura e con la morte di uno dei professori si è liberata una casa nei pressi del duomo di Frisinga, accetta la sistemazione proposta dai superiori e progetta la riunificazione della famiglia.
Ricorda con malinconia il momento del trasloco: “un distacco, che non significava solo andar via da un luogo, ma da un pezzo di vita”, tuttavia, la capacità di adattamento dei genitori, la disponibilità e l’aiuto materiale degli studenti della facoltà, contribuiscono a rendere la nuova casa subito accogliente e a ricreare tutto intorno un nuovo clima di serenità.
Nuove nubi però non tardano ad arrivare e, nonostante l’entusiasmo del prof Söhngen nei confronti della sua tesi di abilitazione, il suo lavoro viene fortemente contestato dal correlatore, il prof. Schmaus che, nel corso di un colloquio, “in maniera piuttosto fredda e senza nessuna emozione” gli comunica che deve ricusare il suo lavoro perché non corrisponde ai criteri richiesti per opere di quel genere. Al riguardo, lo stesso Ratzinger ricorda nella sua biografia: “era come se mi avesse colpito un fulmine a ciel sereno. Tutto un mondo minacciava di crollarmi addosso….I miei progetti per l’avvenire, tutti orientati all’insegnamento della teologia, erano falliti”. Nei suoi pensieri si fa strada il timore del fallimento e la responsabilità di aver coinvolto gli anziani genitori in un progetto senza futuro. Nell’analisi dell’accaduto, cita tre fattori: Schmaus è in quel periodo in Germania il principale referente degli studi sul Medioevo. Ratzinger, non solo non si è affidato alla sua guida per condurre il suo studio ma nella sua ricerca critica quelle che ritiene posizioni superate. Non hanno poi aiutato il giudizio gli errori di stampa e l’insufficiente veste grafia, in parte rimasti nonostante le correzioni, e certe voci circolanti riguardo alla modernità della sua teologia.
Quegli stessi concetti, acquisiti grazie allo studio su Bonaventura, saranno molto importanti per Ratzinger durante il dibattito conciliare sui temi della rivelazione, della Scrittura e della tradizione. Purtroppo, allora, Schmaus non vede affatto nelle sue tesi una fedele interpretazione del pensiero di Bonaventura ma , come afferma lo stesso Ratzinger “un pericoloso modernismo, che doveva condurre verso la soggettivazione del concetto di rivelazione”.
Dopo una tempestosa seduta del consiglio di facoltà , il lavoro non viene ricusato ma comunque restituito per essere corretto, in base alle osservazioni riportate da Schmaus nell’originale (“note a margine, scritte in ogni colore, che a loro volta non lasciavano a desiderare in quanto a durezza”). Tale lavoro avrebbe potuto richiedere un impegno di anni ma Ratzinger si accorge che, mentre le prime due parti sono piene di correzioni e annotazioni polemiche, l’ultima parte, dedicata alla teologia della storia di Bonaventura, nonostante contenga anch’essa materiale innovativo, è intatta e può comunque possedere una sua autonomia, costituendo una tesi a sé stante.
Ripresenta quindi in tempi brevi la sua tesi, seppur in forma ridotta, e il 21 febbraio 1957 dopo quella che finisce per diventare quasi una appassionata disputa teologica tra Söhngen e Schmaus e una lunga riunione consiliare, supera l’esame ed ottiene la tanto desiderata abilitazione.
Dal racconto di Lapple: - “Ratzinger fece la sua esposizione. Poi Schmaus iniziò chiedendo più o meno se secondo Ratzinger la verità era qualcosa di statico e immutabile o qualcosa di storico-dinamico. Ma non rispose Ratzinger. Prese la parola Söhngen, e i due professori iniziarono a scontrarsi in quella che sembrava una grande disputatio medievale. Il pubblico applaudiva Söhngen e sembrava compiaciuto che Schmaus, il professore altezzoso, stesse prendendo una bella botta. Alla fine arrivò il rettore e disse: basta, il tempo è scaduto. Allora relatore e correlatore si alzarono e dissero in tutta fretta: va bene, è abilitato “ - Nella sua biografia, Ratzinger ricorda così quei momenti: “sul momento non riuscii quasi a provare gioia , tanto si faceva ancora sentire l’incubo di quel che avevo passato. Ma a poco a poco si sciolse l’ansia che si era accumulata in me; ora, finalmente, potevo continuare in pace il mio lavoro a Frisinga e non dovevo più temere di aver trascinato i miei genitori in una triste avventura”.
Poco tempo dopo viene nominato libero docente all’università di Monaco e il primo gennaio 1958 professore di teologia fondamentale e dogmatica presso il seminario filosofico-teologico di Frisinga, pur con qualche disturbo da parte avversa. Le relazioni col prof Schmaus in un primo tempo restano tese ma miglioreranno progressivamente negli anni 70 fino a diventare amichevoli. E’ di quel periodo invece, in contemporanea alla distanza da Schmaus, l’avvicinamento a Karl Rahner con cui instaura un rapporto cordiale già durante il travagliato periodo del conseguimento dell’abilatazione.
La sistemazione di Frisinga è destinata a breve durata: il fratello Georg ha terminato gli studi musicali, diventa direttore del coro in una parrocchia di Traunstein e porta con sé i genitori e Ratiznger nell’estate del 58 è libero di accettare la cattedra di teologia fondamentale a Bonn – “la cattedra che il mio maestro, Söhngen , aveva sempre desiderato, ma che nelle circostanze di quegli anni gli era rimasta preclusa. Giungere a quella cattedra era per me quasi un sogno”-
Dal racconto del prof. Lapple vengono riferiti problemi tra Ratzinger e la curia episcopale, che lo avrebbe voluto impegnato nell’insegnamento pedagogico in un istituto alla periferia di Monaco. Ma in Germania vige una legge per cui se un professore viene chiamato da un’università statale, il vescovo non può porre alcun veto alla chiamata e il cardinale Wendel, allora arcivescovo di Monaco, forse a malincuore, deve prenderne atto e lasciarlo libero di dedicarsi all’insegnamento teologico universitario.
Dell’esperienza di Frisinga Ratzinger ricorda: “il Domberg di Frisinga, l’altura sulla quale sorge la cattedrale e su cui ora, purtroppo, non c’è alcun seminario, è rimasto in me come qualcosa di profondamente mio, a cui si legano i ricordi di un inizio grande, anche se gravato da tanti rischi, insieme con le immagini della convivenza quotidiana e delle ore gioiose, che là abbiamo potuto vivere.”

Vedi anche:


martedì 26 luglio 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda (a cura di Gemma)


Grazie alla nostra Gemma (di nome e di fatto) possiamo leggere la seconda parte della biografia di Papa Benedetto.
Ancora un ringraziamento speciale a Gemma per il lavoro straordinario che sta svolgendo :-)


LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei"(Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze 

Alla fine del 1945, comincia la frequentazione nel seminario di Frisinga in un gruppo di circa 120 seminaristi. Un gruppo piuttosto eterogeneo, per esperienze e per età ma, dice nella sua autobiografia, “nessuno dubitava che la Chiesa fosse il luogo delle nostre speranze”.
Gli interessi didattici sono molteplici e spaziano dalla teologia in senso stretto, alla filosofia, alla lettura dei romanzieri, tra cui Dostoevskji, Claudel, Bernanos, Mauriac, Gertud Von Le Fort… In campo teologico è forte il fascino per Romano Guardini, Theodor Hacker, J. Pieper, P. Wust.
In quel periodo nasce una profonda amicizia con il teologo Alfred Läpple, oggi 92 anni, allora prefetto della sala di studio, appena rientrato dalla prigionia inglese. Lo stesso Läpple in un’intervista rilasciata alla rivista “30 giorni” (gennaio 2006) ricorda così il loro primo incontro: “durante una pausa di tempo libero, mi si avvicinò questo giovane, che non avevo ancora conosciuto. Mi disse: "sono Joseph Ratzinger, e ho per lei alcune domande". Da quelle domande nacque il nostro primo lavoro insieme. E fu l’inizio di tante chiacchierate, di tante passeggiate, di tante discussioni appassionate e di tanti lavori fatti insieme. È partita lì la grande amicizia di una vita. Non ci siamo mai persi di vista. E se c’era qualcosa da dirsi, ci si telefonava e ci si scriveva molto”. La domanda allora posta era: “come hai potuto conservare la fede durante tutto il tempo della guerra?”

La metà del seminario in quel periodo è ancora adibita a lazzaretto, e vi sono ospitati i feriti degli eserciti alleati.. I seminaristi dormono in grandi camerate a gruppi di quaranta in cui ciascuno ha il suo letto circondato da una specie di tenda bianca, a mo’ di separé. La mattina la sveglia è alle 5,30, poi c’è la messa, la colazione, le lezioni. I corsi di materie attinenti alla pastorale si tengono in seminario. Quelli più scientifici si tengono nella Scuola superiore di filosofia e teologia, istituto statale ospitato nell’edificio accanto al seminario. Dopo il pranzo nel tempo libero, si passeggia, poi ci si dedica allo studio. La sera, dopo cena, spazio alla meditazione o magari ad una conferenza da ascoltare. Non c’è riscaldamento, e si va a letto presto.
Sempre dal ricordo del prof Läpple, i fratelli Ratzinger a lezione siedono spesso in prima fila e i colleghi per distinguerli li chiamano Orgel-Ratz e Bücher-Ratz (il Ratzinger dell’organo e quello dei libri). Dice Läpple:” Joseph era come uno straccio secco che si inzuppa di acqua quasi con avidità. Quando nello studio trovava una cosa nuova, si riempiva di entusiasmo, non vedeva l’ora di poterla comunicare agli altri. Io e lui passavamo ore e ore a discutere passeggiando”.
In seminario, malgrado le differenze di età e di formazione culturale, regna un clima familiare, grazie anche ai modi benevoli e cordiali del rettore, Michael Höck,, chiamato semplicemente “il padre”. Si coltiva molto anche la musica e, in occasione di feste, si recitano pezzi teatrali.
Ratzinger si appassiona al cardinale-teologo inglese Newman, al pensatore ebreo Buber, ad Agostino del quale, dice, “ nelle Confessioni mi venne incontro in tutta la sua passionalità e profondità umane”; ha invece difficoltà nell’accesso al pensiero di Tommaso d’Aquino (“la cui logica cristallina mi appariva troppo chiusa in se stessa, troppo impersonale e preconfezionata”). Anche in quel periodo, un posto importante occupano le grandi feste liturgiche in cattedrale e la preghiera silenziosa nella cappella del seminario. Significativo è il ricordo della figura del cardinale Faulhaber (“non cercavamo in lui un vescovo accessibile: mi colpiva piuttosto la veneranda grandezza della sua missione, con cui egli si era del tutto identificato”).
Il primo scritto di Joseph Ratzinger risale al 46, quando ha da poco iniziato il seminario. Di quell’opera prima esistono solo due copie dattiloscritte, rilegate in marocchino rosso. Le scritte in caratteri giallo oro sulla copertina chiariscono che si tratta di una traduzione, la versione in tedesco della Quaestio disputata di san Tommaso sulla carità. Una delle due copie è in possesso dell’autore. L’altra la conserva Alfred Läpple che racconta: «la traducemmo insieme, riga dopo riga. Era il 1946. Ricordo che cercavamo le versioni originali di tutte le citazioni: Platone, Aristotele, Agostino... Poi, molti anni dopo, il manoscritto originale si stava deteriorando, e allora la mia segretaria ribatté il testo a macchina e ne feci rilegare due copie. Una la regalai a Joseph il 14 marzo ’79, quando, in occasione della festa di san Tommaso, venne a Salisburgo, nell’aula magna dell’Università dove insegnavo, a tenere una lezione magistrale su “Le conseguenze della fede nella creazione”».

Con il semestre estivo del 1947 si conclude il biennio di studi filosofici e chiede al vescovo, con successo, di proseguire gli studi a Monaco. La facoltà teologica si trova provvisoriamente nell’ex residenza di caccia di Fürstenried, a sud di Monaco. Lo spazio è molto ridotto e si dorme in letti a castello e anche il vitto è scarso ma gli studenti hanno a disposizione il bel parco del castello (“molto spesso me ne andavo a passeggiare per quel parco, immerso in molti pensieri; là sono maturate le decisioni di quegli anni e là ho riflettuto su quel che ci veniva detto cercando di trarne una mia visione delle cose”). Non c’è la spontanea cordialità di Frisinga , il gruppo è eterogeneo e comprende studenti da tutta la Germania, alcuni dei quali avanti negli studi e dominano l’interesse intellettuale e l’individualismo. Dato che non c’è una vera e propria aula, i corsi si svolgono nella serra del giardino del castello, ambiente freddo d’inverno e molto caldo d’estate.
I professori più importanti sono: Gottlieb Söhngen , Michael Schmaus , Friedrich Wilhelm Maier, Josef Pascher … La star della facoltà nel racconto di Ratzinger è Maier, professore di esegesi del nuovo testamento (“le sue lezioni erano le uniche in cui la serra diventava troppo piccola; per avere un posto bisognava arrivare molto presto”). Ratzinger segue con grande interesse le lezioni del prof Maier, facendole oggetto di rielaborazione personale (“per me l’esegesi è sempre rimasta il centro del mio lavoro teologico” …) Nel ricordo di Läpple , Söhngen è il “maestro” di Ratzinger, insegna teologia fondamentale e in lui Ratzinger “ vide anche il gusto di riscoprire la Tradizione intesa come teologia dei Padri e il gusto di fare teologia riandando alle grandi fonti: da Platone a Newman, passando per Tommaso, Bonaventura, Luther. E ovviamente sant’Agostino…”
Sempre secondo il racconto di Läpple, Söhngen non ha il costume di plasmare i propri allievi e Ratzinger è piuttosto libero nei confronti del maestro che, commentando le sue interpretazioni su sant’Agostino diceva: “adesso il mio studente ne sa più di me che sono il maestro! Söhngen teneva in grande considerazione quello che riteneva il suo migliore allievo. Una volta disse di sentirsi come sant’Alberto Magno, quando nel Medioevo diceva che il suo allievo avrebbe gridato più forte di lui. E l’allievo era san Tommaso! Era contento che qualcuno sapesse sviluppare in maniera originale e non pre-stabilita i suoi suggerimenti.”
Pascher , teologo della pastorale e direttore del Georgianum, ha un ruolo molto importante nel consolidamento dell’interesse del giovane Ratzinger per il movimento liturgico (“come avevo imparato a comprendere il Nuovo Testamento quale anima di tutta la teologia, così capii che la liturgia ne era il fondamento vitale, senza di cui essa finisce per inaridirsi”).
Negli ambienti cattolici della Germania di allora, c’è in generale consenso nei confronti del papato e di Pio XII ma il clima dominante in facoltà, secondo lo stesso racconto di Ratzinger, è un po’ più tiepido. A questo contribuiscono una teologia locale ampiamente segnata dal pensiero storico, le esperienze vissute dal prof Maier e “forse anche un certo orgoglio tedesco, per cui ritenevamo di saperne di più di “quelli laggiù”.” Ma questo tipo di riserve e sentimenti non compromette l’assenso al ministero petrino, nemmeno in occasione della definizione dogmatica dell’assunzione corporea di Maria in cielo, nonostante il commento di alcuni docenti sia inizialmente decisamente negativo. Ratzinger ricorda: “in quegli anni a Monaco si fa teologia in maniera critica ma credente…il dogma non era sentito come vincolo esteriore, ma come la sorgente vitale, che rendeva possibili nuove conoscenze. La Chiesa per noi era viva soprattutto nella liturgia e nella grande ricchezza della tradizione teologica”. E in riferimento alla scelta di vita di quegli anni dice: “ Non abbiamo preso alla leggera l’esigenza del celibato , ma eravamo comunque convinti di poterci fidare dell’esperienza secolare della Chiesa e che quella rinuncia che essa ci chiedeva , e che penetrava fin nel profondo di noi,sarebbe divenuta feconda.”

Nell’estate del 1949 un’aula del Georgianum nella Ludwigstrabe di Monaco viene resa abitabile e gli studenti possono tornare in città. L’accesso alle stanze non è molto agevole, vi si accede da uno spazio aperto e attraverso una scala a pioli. Ora è possibile frequentare anche lezioni di altre facoltà ma c’è anche un lato negativo dal momento che a Fürstenried docenti, discenti, tanto i seminaristi che gli studenti e le studentesse della città, erano vissuti insieme come una grande famiglia. Ora, come ricorda lo stesso Ratzinger, “mancano questa immediatezza e questa vicinanza e gli anni di Fürstenried restano nella mia memoria come un tempo di grandi novità, pieno di speranza e di fiduciosa attesa, ma anche come un tempo di grandi e sofferte decisioni”, e conclude, “ quando mi capita di entrare in quel parco, rimasto ancora oggi intatto, le vie esteriori che lo attraversano si uniscono tanto strettamente a quelle interiori, che qui ho cominciato a percorrere, che quel che ho vissuto in quel luogo ritorna vivo e presente dinnanzi a me in tutta la sua freschezza”.
Già allora, nel ricordo di chi lo ha conosciuto, colpiscono la personalità umile e sensibile. Una compagna di corso dei tempi dell’università, Hilda Brauer, racconta: "Era straordinariamente sensibile, tutte noi eravamo affascinate da questo suo modo di fare, così distante dall'atteggiamento di tutti gli altri compagni . Lui era molto timido, e quando ci incontravamo nei corridoi salutava con un breve cenno del capo e con una voce molto flebile. Era questa sua timidezza che incuriosiva le ragazze e che lo metteva sotto una luce diversa dagli altri. Nel nostro corso era il più brillante; nessuno era al pari suo, tutta la sua timidezza era soppiantata da una mente agile e straordinariamente attiva. Devo dire che oltre a questo sapeva essere anche molto gentile; ricordo benissimo che un giorno, noi ragazze, ci fermammo a discutere su alcuni temi teologici nel parco, e lui arrivò portando con sè alcuni mazzolini di fiori che aveva preparato per ognuna di noi, un gesto che ci svelò quanta sensibilità si celasse dietro una maschera apparentemente fredda. Fortunatamente eravamo soltanto in tre, quel giorno, altrimenti avrebbe raccolto tutti i fiori del parco! " (l’Adige, aprile 2005).
Riguardo al periodo precedente l’ordinazione, quando presentò la sua autobiografia qualcuno gli fece notare che non aveva mai parlato di “cotte” o flirt. Al giornalista curioso rispose, scherzando, tirando fuori quel senso dell’ironia che gli amici gli riconoscono: “L’editore mi aveva chiesto di non superare le 100 cartelle! Poi però è tornato sull’argomento: “A Monaco si viveva a stretto contatto coi professori, ma anche con le studentesse, così che la questione della rinuncia si poneva in termini assai pratici proprio in forza di questa convivenza quotidiana. Mi sono spesso confrontato con queste domande finchè nell’autunno del 50, potei pronunciare un “si” convinto in occasione della mia ordinazione diaconale”

Dopo l’esame conclusivo degli studi teologici nell’estate del 1950 gli viene proposto da Sohngen un lavoro, che se premiato, potrà aprirgli la strada al dottorato, sul tema: “Popolo e casa di Dio nell’insegnamento di sant’Agostino nella Chiesa”. In questo contesto, produttiva è per lui la lettura dell’opera, regalatagli l’anno prima da Läpple, “Cattolicismo” di Henri de Lubac nella traduzione di Hans Urs von Balthasar (“questo libro è divenuto per me una lettura di riferimento”). Si mette in cerca di altre opere di De Lubac e trae profondo giovamento dalla lettura di Corpus Mysticum e, ricorda, ”potei addentrarmi, come mi veniva richiesto nel dialogo con Agostino, che in molti modi avevo già da lungo tempo tentato”.
Ratzinger dedica al lavoro tutte le ferie estive ma alla fine di ottobre riceve l’ordinazione diaconale, preludio all’ordinazione sacerdotale. Torna nel seminario di Frisinga per l’avviamento alla predicazione e alla catechesi, impegni che con fatica riesce a conciliare al lavoro teologico in corso. Lo aiutano la tolleranza del seminario, il fratello Georg, che sta svolgendo lo stesso percorso spirituale e pratico di preparazione al sacerdozio, e la sorella Maria , nel frattempo impiegata in uno studio legale, che redige nel tempo libero la copia scritta del lavoro che può essere consegnato con successo entro il termine previsto.
Nel ricordo di Läpple, “Ratzinger trovò molto di più di quello che il suo maestro gli aveva suggerito di cercare. Documentò con una quantità incredibile di citazioni cosa intendeva sant’Agostino quando definiva la Chiesa come popolo di Dio. La stessa espressione che sarebbe stata riproposta solo parecchio tempo dopo dal Concilio Vaticano II e da Paolo VI. Ma Ratzinger non contrapponeva le due definizioni di Chiesa, anzi le conciliava”.

Finalmente, Il 29 giugno 1951, nella festa dei santi Pietro e Paolo, nel duomo di Frisinga, per mano del cardinale Faulhaber, Joseph Ratzinger riceve insieme al fratello Georg l’ordinazione sacerdotale. Sono più di quaranta candidati quel giorno a rispondere, quando chiamati, adsum , “sono qui”. Di quel giorno lo stesso Ratzinger ricorda: “era una splendida giornata d’estate , che resta indimenticabile, come il momento più importante della mia vita “ e, segno beneaugurate, nel momento in cui l’anziano arcivescovo impone le sue mani su di lui, un’uccellino, forse un’allodola, si leva dall’altare maggiore della cattedrale e intona un piccolo canto gioioso (“per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta”).
Durante la cerimonia, anche Läpple, dopo il cardinal Faulhaber, come tutti gli altri sacerdoti presenti, si mette in fila per porgli le mani sul capo e, come ama ricordare, ” lui in quel momento ha alzato la testa e mi ha detto: grazie. Dopo la messa, lui, i suoi genitori e sua sorella Maria sono saliti nella mia stanza, e io ho detto: caro Joseph, adesso dammi tu la tua benedizione. Mi ha abbracciato con una gioia indescrivibile. Lui non sa essere finto. E la cosa che gli fa più male è quando qualcuno non è sincero, quando uno fa il teatrino. Questo gli fa male. Per questo gli dispiace quando si riduce anche la liturgia a teatro. Perché – dice lui – non è così che si tratta Gesù Cristo”.

domenica 27 aprile 2014

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima (a cura di Gemma)


LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei" (Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze

Joseph Alois Ratzinger nasce in Baviera nella diocesi di Passau, a Marktl an Inn , il 16 aprile 1927 alle 4.15, Sabato Santo, da Joseph e Maria.

Viene battezzato il mattino successivo con l’acqua appena benedetta della “notte pasquale”. Come ricorda nella sua biografia, “La mia vita” , l’essere il primo battezzato della nuova acqua è sempre stato per lui un segno di benedizione, “un importante segnale premonitore di una vita fin dall’inizio immersa nel mistero pasquale”.
Indiscrezione della stampa tedesca, vuole che i genitori si siano conosciuti con l’aiuto di un annuncio pubblicato dal padre Joseph su una rivista cattolica. La madre Maria, ex cuoca, ha origini sud-tirolesi. Il padre viene descritto come uomo severo ma giusto, severità compensata dalla calorosa cordialità della mamma Maria.
Ha due fratelli, Maria e Georg, più grandi rispettivamente di 5 e 3 anni.
Marktl si trova vicinissimo ad Altotting, l'antico santuario mariano risalente all'epoca carolingia, luogo di grandi pellegrinaggi per la Baviera e l'Austria occidentale.
Il padre, gendarme, nei dieci anni successivi, deve spesso trasferirsi e, come dice lui stesso, “non è per nulla facile dire dove io sia di casa”.
Solo due anni dopo, si stabilisce a Tittmoning, piccola città sul Salzach, il cui ponte fa anche da confine con l’Austria (“Tittmoning, dall’architettura così marcatamente salisburghese, è rimasto il paese dei sogni della mia infanzia”).Di quel periodo racconta: “sentivamo che il nostro sereno mondo infantile non era affatto incastonato in un paradiso. Nelle adunanze pubbliche, mio padre doveva intervenire sempre più di frequente contro le violenze dei nazisti. Sentivamo molto chiaramente l’enorme preoccupazione che gravava su di lui e che egli non riusciva a scrollarsi di dosso nemmeno nei piccoli gesti di ogni giorno”. Così alla fine del 1932, dal momento che a Tittmoning si era esposto parecchio, decide di trasferirsi ad Aschau sull’Inn. A Tittmoning il piccolo Joseph riceve la Cresima dalle mani del Cardinale Michael Faulhaber, Arcivescovo di Monaco. Alla vista del porporato il cresimando Ratzinger disse: «Anch’io, un giorno, diventerò cardinale!». Il fratello Georg, pero', smorzo' subito quella frase che si sarebbe rivelata profetica: «Vabbè, due settimane fa volevi fare l’imbianchino!».

Ad Aschau la famiglia Ratzinger abita nel primo piano della villa di un contadino con annesso giardino e stagno dove il piccolo Joseph mentre gioca sta quasi per annegare.
La vita della famiglia procede secondo i ritmi della locale comunità cattolica e sempre presente e vivo è, fin dall’infanzia, l’interesse per la liturgia che accompagnerà Joseph Ratzinger per tutta la vita (”l’inesauribile realtà della liturgia cattolica mi ha accompagnato attraverso tutte le fasi della mia vita”…“ogni nuovo passo che mi faceva entrare più profondamente nella liturgia era per me un grande avvenimento”) .
Nel 1937, in seguito al pensionamento del padre, la famiglia si trasferisce a Traunstein , località a 30 km da Salisburgo, diventato in pratica il suo vero paese d’origine.
Il fratello Georg sviluppa grande passione per la musica e per primo entra in seminario, Maria frequenta la scuola media delle francescane, il piccolo Joseph fa spesso lunghe passeggiate col padre al quale in quel periodo si avvicina di più.
I bambini a casa durante i giochi si immedesimano spesso nella parodia del sacerdote e un aneddoto riportato in una biografia vuole che durante una “processione” prendano accidentalmente fuoco le trecce della sorella.
Nel 1939, su consiglio del parroco, entra anche lui nel seminario di Traunstein. Della fase iniziale di quell’esperienza dice: “ io sono tra quelle persone che non sono fatte per la vita in internato. A casa avevo vissuto e studiato in grande libertà, così come volevo, costruendomi un mio mondo infantile. Trovarmi a contatto in una sala studio con circa sessanta altri ragazzi era per me una tortura”, così come le due ore di sport odierne, essendo poco dotato per le attività sportive , più piccolo d’età e nettamente inferiore per forza fisica di tutti gli altri.
E’ il primo della classe ma non è malvisto dai compagni perché li lascia copiare. Legge "con fervore Goethe, Schiller gli appare un po' troppo moralista", scrive poesie sulla vita quotidiana e la natura e da lezioni di recupero.
Nello stesso anno, a settembre, scoppia la guerra e nel 1943, a 16 anni, insieme agli altri seminaristi della sua classe, viene reclutato nei servizi di contraerea a Monaco (“è quasi superfluo ricordare che il periodo trascorso presso la contraerea causò delle situazioni imbarazzanti, soprattutto per un individuo così poco incline alla vita militare come me”) e alla fine assegnato ai servizi telefonici e dispensato dalle esercitazioni militari. Nel settembre 44 viene congedato ma, a casa, trova la chiamata al servizio lavorativo del Reich. (“Quelle settimane di servizio lavorativo sono rimaste nella mia memoria come un ricordo opprimente”. I superiori sono in gran parte provenienti dalla cosiddetta Legione Austriaca, “persone fanaticamente ideologizzate, che ci tiranneggiavano con violenza”. Racconta di essersi salvato in quel periodo dall’arruolamento volontario dichiarando insieme a qualcun altro, di essere intenzionato a diventare sacerdote cattolico. (“Venimmo coperti di scherni e insulti e ricacciati indietro, ma queste umiliazioni ci erano molto gradite, dal momento che ci liberavano dalla minaccia di questo arruolamento falsamente volontario e da tutte le sue conseguenze”). Sospesi i lavori, viene rimandato a casa ma di lì a poco arriva la chiamata alle armi con destinazione alla caserma di fanteria di Traunstein per il corso di addestramento. Da lì il trasferimento a varie località nei dintorni, anche se viene più volte esonerato dal servizio per malattia.
Durante l'arruolamento forzato, non sparo' mai nemmeno un colpo anche a causa di una ferita al pollice della mano sinistra, la cui cicatrice è tuttora visibile.
Secondo una biografia di un autore tedesco il giovane Ratzinger rischio' di morire di setticemia per quel taglio. Il medico militare consiglio' l'amputazione del dito, ma, grazie soprattutto alle cure della madre, non fu necessario procedere all'operazione.
Alla fine di aprile del 45 diserta e torna a casa ma all’arrivo degli americani, identificato come soldato, viene internato come prigioniero di guerra. Di quei giorni ricorda: “mi infilai in tasca un grosso quaderno e una matita – una scelta apparentemente poco pratica, mentre in realtà, quel quaderno si rivelò per me una meravigliosa compagnia, poiché, giorno dopo giorno, vi potei segnare pensieri e riflessioni di ogni genere; arrivai persino a cimentarmi con la composizione di esametri greci”. A giugno, viene rilasciato in libertà e torna a casa (“la Gerusalemme celeste in quel momento non mi sarebbe potuta apparire più bella”) e col ritorno anche del fratello Georg si ricostituisce l’unità familiare. (“I mesi successivi in cui potemmo gustare la ritrovata libertà , che ora avevamo imparato a stimare nel suo giusto valore, sono tra i più bei ricordi della mia vita”).
In quel periodo, insieme ad altri, partecipa con entusiasmo alla ricostituzione del seminario semidistrutto, adibito ad ospedale militare e comincia ad appassionarsi allo studio della teologia (“di libri, nella Germania distrutta ed economicamente prostrata, non era possibile acquistarne. Ma dal parroco e in seminario potevamo ricevere qualcosa in prestito, cercando così di muovere i primi passi sul terreno sconosciuto della teologia e della filosofia”)