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venerdì 30 maggio 2014

Ascoltiamo Sant'Antonio che ci parla dell'ASCENSIONE DEL SIGNORE


1. In quel tempo: “Mentre gli Undici stavano a mensa, apparve loro Gesù” (Mc 16,14). In questo brano del vangelo si devono considerare tre fatti:
- l’ultima apparizione di Cristo,
- l’invio degli apostoli alla predicazione,
- l’ascensione di Cristo al cielo.

I. l’ultima apparizione di cristo

2. “Mentre gli Undici stavano a mensa”. Nota che Gesù, dopo la sua risurrezione, apparve ai suoi discepoli dieci volte. Apparve cinque volte nel giorno stesso della risurrezione, come vedremo nel sermone sulla Risurrezione del Signore: “Fiorirà il mandorlo”. La sesta volta apparve a Tommaso, insieme agli altri discepoli, otto giorni dopo essere risorto. La settima volta al mare di Tiberiade. L’ottava volta sul monte, al quale li aveva mandati. La nona e la decima volta in questo giorno dell’Ascensione.
In questo giorno andò da loro a Gerusalemme e disse: “Restate in città, finché non sarete rivestiti della potenza dall’alto” (Lc 24,49). E poiché mangiò con loro, se ne deduce che era passata l’ora sesta, cioè il mezzogiorno: e questa fu la nona apparizione.
Poi li condusse fuori, al monte degli Ulivi, verso Betania. Alzate le mani, li benedisse. E sotto i loro occhi si innalzò verso il cielo, avvolto in una nube splendente che sembrava sollevarlo: e questa fu la decima apparizione.
“Mentre dunque gli undici discepoli erano a mensa, apparve loro Gesù”. In lat. è detto recumbentibus, cioè mentre erano distesi (adagiati) a mensa, secondo l’uso del tempo. Osserva che Gesù appare solo a chi è disteso nella quiete, nella pace e nell’umil­tà. Dice infatti Isaia: “A chi volgerò il mio sguardo, se non al poverello, al contrito di spirito e a colui che teme le mie parole?” (Is 66,2). Nell’acqua torbida e agitata non vede il suo volto chi vi si specchia. Se vuoi che appaia in te il volto di Cristo che ti guarda, distenditi e riposa. “Fermatevi in città – disse – fino a che non siate rivesti­ti della potenza dall’alto”. Restare in città significa raccogliersi nella propria coscienza e tenersi lontano dal chiasso esteriore. Si legge infatti nel secondo libro dei Re che Davide si stabilì nella sua casa di cedro e il Signore gli diede tregua da tutti i suoi nemici all’intorno (cf. 2Re 7,1-2).
Si legge nella Storia Naturale che il cedro è un albero molto alto, di gradevole profumo e di vita lunga; con il suo profumo mette in fuga i serpenti e ha la particolarità di fare frutto di continuo, in inverno e in estate.
La casa di cedro è la coscienza del giusto: è alta per l’amore di Dio, di gradevole profumo per la sua onesta condotta, ha vita lunga per la perseveranza; con il profumo della sua onestà o della sua preghiera devota mette in fuga i serpenti, vale a dire gli impulsi carnali o i demoni, e sia nell’inverno dell’av­ver­sità che nell’estate della prosperità produce frutti di eterna salvezza. Chi dimora in tale casa sta al sicuro da tutti i nemici all’intorno, cioè dal diavolo, dal mondo e dalla carne, e gode della pace, perché si riveste di potenza dall’alto, e non dal basso, cioè dal mondo. Chi si riveste della potenza del mondo, viene facilmente sconfitto nella guerra; chi invece si riveste della potenza dall’alto, cioè della potenza dello Spirito Santo, distrugge i nemici e compie le opere di virtù.

3. “Li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato” (Mc 16,14). O infelici coloro che non credono a Pietro, al quale Cristo apparve, e che lo vide risuscitato dai morti!
Dice Pietro: “Avete ucciso l’autore della vita, che Dio ha risuscitato dai morti, e di questo noi siamo testimoni” (At 3,15), “noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui, dopo che fu risuscitato da morte” (At 10,41): e in questo è prefigurata la reale risurrezione della carne. Non credono che Cristo sia risuscitato dai morti coloro che negano la finale risurrezione dei corpi. Perciò leggia­mo nella prima lettera ai Corinzi: “Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dai morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscita­to; e se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,12-14). Nella finale risurrezione dei corpi, Dio ripudierà e condannerà gli increduli e i duri di cuore, i quali ora non credono che essa avverrà.

II. l’invio degli apostoli alla predicazione

4. Gli apostoli vengono mandati a predicare dove è detto: “Andate in tutto il mondo” (Mc 16,15). C’è un comando simile anche in Isaia: “Andate, veloci messaggeri, ad un popolo disperso e straziato, ad un popolo tremebondo come nessun altro, ad un popolo in attesa e oppresso” (Is 18,2).
Il genere umano era stato disperso, scacciato dalla felicità del paradiso terrestre, era straziato dalla perse­cuzione diabolica, pieno di terrore per le pene dell’inferno minacciate all’anima, e oppresso nei riguardi del corpo per la prospettiva della corruzione: e tuttavia aspettava il Salvatore del mondo. A questo popolo il Salva­tore mandò i veloci messaggeri, cioè gli apostoli obbedien­ti, dicendo: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a tutte le creature” (Mc 16,15), cioè a tutto il genere umano, che ha qualcosa in comune con ogni creatura, con gli angeli, con gli animali, con le piante, con le pietre, con il fuoco e con l’acqua, con il caldo e con il freddo, con l’umido e con il secco, perché l’uomo è un microcosmo, cioè un piccolo mondo.
“Chi crederà”, ossia chi professerà la fede per se stesso o per mezzo di un altro, “e sarà battezzato”, cioè persevererà nella grazia ricevuta con il battesimo, “sarà salvo; chi invece non crederà, sarà condannato. E questi saranno i miracoli che accompagneranno coloro che credono: nel mio nome scacceranno i demoni”, ecc. (Mc 16,16-17).
In quel tempo avvenivano i miracoli a favore degli infedeli chiamati alla conversione; adesso invece, poiché la fede è adulta, il miracolo è cessato. Anche noi infatti, quando impiantiamo delle pianticelle, le innaffiamo fino a che mettono le radici in terra e s’irrobustiscono.

5. Senso morale. Il mondo è così chiamato perché è sempre in movimento (lat. mundus, motus). Ai suoi elementi non è concesso riposo. Il mondo ha quattro parti: l’orien­te, l’occidente, il meridione e il settentrione. Come il mondo consta di queste quattro parti, così anche l’uomo, che è un piccolo mondo, consta – a detta degli antichi – di quattro fluidi (indoli) commisti, in giusta proporzione, in un unico temperamento. Il misero uomo dall’inizio alla fine della sua vita è sempre in movimento, e mai riposa finché non arriva al suo “luogo”, cioè a Dio. Dice infatti Agostino: “Inquieto è il nostro cuore, o Signore, finché non riposerà in te”. “E nella pace è il suo luogo”(Sal 75,3). Il luogo dell’uomo è Dio: non ci sarà mai pace se non in lui, e quindi a lui si deve tornare.
I momenti principali della vita dell’uomo sono: l’oriente della nascita, l’occidente della morte, il meridione della prosperità e il settentrione delle avversità. In questo mondo dobbiamo andare: “Andate in tutto il mondo”, per meditare come eravate al momento della vostra nascita, come sarete al momento della morte; come siete quando vi sorride la prosperità e come vi comportate quando si abbatte su di voi l’avversità: osservate se quella vi esalta e questa vi deprime. Da questa quadruplice meditazione scaturisce un quadruplice profitto: la diffidenza di sé, il disprezzo del mondo, l’equilibrio per non esaltarsi, la pazienza per non deprimersi e scoraggiarsi.
È bene quindi andare in tutto il mondo e predicare il vangelo a tutte le creature. Dice l’Apostolo: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura: le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove” (2Cor 5,17). E il salmo: “Il popolo che sarà creato [nuovo] darà lode al Signore” (Sal 101,19); e Isaia: “Ecco, io creo Gerusalemme, città di esultanza e il suo popolo, popolo di gaudio. E io esulterò di Gerusalemme e godrò del mio popolo” (Is 65,18-19).
Creare significa fare qualcosa dal nulla. L’uomo, quando è in peccato mortale, è nulla, perché Dio, che veramente è, non è in lui con la grazia. “L’uomo – dice Agostino – quando pecca diventa un nulla”; ma quando, per mezzo della grazia di Dio si converte e fa penitenza, viene creata in lui una nuova creatura, cioè una nuova e pura coscienza. E questa è Gerusalemme, cioè la città della pace, che esulta per la misericordia di Dio che le è stata elargita. Viene creato anche “un popolo” di molti e buoni pensieri e sentimenti, in cui c’è il gaudio e la lode a Dio, provenienti dalla sua dolcezza che esso pregusta. E allora le cose vecchie, vale a dire le opere e l’incallito comportamento dei cinque sensi, passano, si allontanano, e ne nascono di nuove in Cristo, affinché l’uomo non viva più per se stesso, ma per Cristo che è morto per lui (cf. 2Cor 5,15).
Queste dunque sono “tutte le creature”: l’uomo esteriore e interiore e il rinnovamento prodotto dalla grazia. A questa creatura dobbiamo predicare il vangelo del Regno, cioè annunziare il bene: la parola greca “evangelo” signi­fica appunto “buon annunzio”. Annuncia il bene ad ogni creatura colui che si orna di virtù internamente e esternamente. Predica il vangelo del Regno colui che, nel segreto del suo cuore, considera quanto grande sarà la gloria di contemplare, insieme con gli spiriti beati, il volto del creatore, lodarlo senza fine insieme con essi, vivere sempre con lui che è la vita, e godere perennemente di una felicità inesprimibile.
Da questa predicazione provengono due risultati: “Chi crederà e sarà battezzato”. Credere vuol dire “dare il cuore” (lat. credocor do). Figlio mio, dice Gesù, dàmmi il tuo cuore! (cf. Pro 23,26). Chi dà il cuore, dà tutto. Perciò crede colui che con la devozione del suo cuore si sottomette totalmente a Dio; viene battezzato, quando si inonda di lacrime o per la dolcezza della contemplazione divina, o per il ricordo della sua iniquità, oppure per la compassione che prova di fronte alle necessità dei fratelli. “Invece chi non crede”, non dà il cuore a Dio, e se non lo dà a Dio, necessariamente lo darà al diavolo, o alla carne, o al mondo. E chi avrà fatto questo, “sarà condanna­to”.

6. “E questi sono i miracoli che accompagneranno quelli che credono”. Il miracolo è chiamato in latino signum, segno. I segni accompagneranno coloro che hanno dato il cuore a Dio, perché già sul loro cuore c’è il segno di cui parla il Cantico dei Cantici: “Méttimi come un segno sopra il tuo cuore” (Ct 8,6).
Quando vogliamo difendere dai ladri una nostra proprietà, la nostra casa o i nostri beni, siamo soliti apporvi un segno, un marchio, come la bandiera del re o di qualche potente, perché vedendolo, i ladri non osino penetrarvi. Così se vogliamo difendere il nostro cuore dai demoni, mettiamo su di esso, come segno, Gesù, che è la salvezza: dove c’è salvezza c’è incolumità.
Ed ecco i segni, i miracoli: “Nel mio nome scacceranno i demoni” (Mc 16,17). “Demoni” è un termine preso dalla lingua greca. In greco dàimon significa “esperto”, “perito”, che conosce le cose. I demoni raffigurano la sapienza della carne e l’astuzia del mondo, le quali, a guisa di demoni, tormentano l’uomo, lo spirito dell’uomo e con insistenza affliggono il suo corpo.
La sapienza della carne simboleggia il demonio notturno, l’astuzia del mondo il demonio meridiano. La sapienza della carne è cieca, per quanto essa sia convinta di vederci molto bene: solo nella notte ha la vista acuta, come il gatto. L’astuzia del mondo, poiché arde del calore della malizia, è come il sole a mezzogiorno. Chi ha dato il cuore a Dio, scaccia via da sé questi demoni e farà anche tutti gli altri segni di cui parla il vangelo.
“Parleranno lingue nuove” (Mc 16,17). La lingua del mondo è una lingua vecchia, perché dice cose vecchie dell’uomo vecchio. Coloro che sono tormentati dai demoni sopraddetti, parlano questa lingua; ma quando li scacciano via da sé, parlano lingue nuove nella novità della loro vita. Dice infatti Isaia: “In quel giorno ci saranno cinque città nella terra d’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti: la prima si chiamerà “Città del Sole” (Is 19,18).
La terra d’Egitto, nome che significa “tenebre”, raffigura il corpo dell’uomo, coperto dalle tenebre della colpa e dei castighi: in esso ci sono cinque città, cioè i cinque sensi del corpo, il primo dei quali, cioè la vista, è chiamato “Città del Sole”, perché, come il sole illumina tutto il mondo, così la vista illumina tutto il corpo. Queste città parlano la lingua di Canaan, che significa “cambiata”: per il cambiamento operato dalla destra dell’Altissimo (cf. Sal 76,11), si spogliano dell’uomo vecchio con le sue azioni e indossano l’uomo nuovo, vivendo nella giustizia e nella verità (cf. Ef 4,24; Col 3,9).
Come parlando si porta all’esterno la parola che è nascosta nel cuore, così i cinque sensi dell’uomo, ormai cambiati e convertiti a Dio, parlano di lui all’esterno come lo hanno all’interno, e in questo appunto consiste il giurare: affermare la verità. Infatti la verità della coscienza si afferma e si conferma con la testimonianza della vita santa, a lode del Signore degli eserciti, cioè del Signore degli angeli.
E ancora: “Prenderanno i serpenti” (Mc 16,18), nei quali sono simboleggiate l’adu­lazione e la detrazione, che avanzano serpeggiando di nascosto e inòculano il veleno. L’adulatore avanza serpeggiando e il detrattore inòcula il veleno. Coloro che parlano lingue nuove, scacciano da sé questi serpenti: “Siano lontane dalla vostra bocca le cose vec­chie” (1Re 2,3). La saliva dell’uomo digiuno uccide il serpente; la lingua digiuna, cioè mortificata, è come una lingua nuova, il cui contravveleno annulla il veleno.
Ma l’antico serpente adulava, per così dire, Eva quando diceva: “Non morirete affatto!”, e quasi calunniava Dio dicendo: “Dio sa che nel giorno in cui mangerete dell’al­bero proibito, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscendo il bene e il male” (Gn 3,4­5). Come dicesse: Dio vi ha proibito questo perché è invidioso, e non vuole che voi diventiate simili a lui nella scienza. Ecco come l’adula­zione avanza serpeggiando, e la detrazione inòcula il veleno. Chi invece ha la lingua digiuna, sputi in bocca al serpente e lo uccida, e così lo scacci da sé.

7. Ancora: “Se berranno qualche veleno, non recherà loro danno” (Mc 16,18). Dice la Glossa: Quando sentono le pestifere sugge­stioni diaboliche, è come se bevessero qualcosa di micidia­le, che però non reca loro danno, perché non le portano ad esecuzione. E dice Isaia: “Non berranno più vino cantando: ogni bevan­da sarà amara per i bevitori” (Is 24,9), e quindi non recherà loro danno. Non beve, cantando, il vino della suggestione diabolica, colui che non vi acconsente, anzi la respinge, ne soffre e piange; e quindi la bevanda stessa, cioè la suggestione del diavolo, è amara per coloro che la bevono, cioè per quelli che l’avvertono e sono costretti a subirla. Al contrario Gioele dice: “Alzatevi, ubriachi, e piangete e mandate lamenti voi tutti che bevete il vino con piacere, perché sarà tolto dalla vostra bocca” (Gl 1,5). E così avviene proprio alla lettera, perché il piacere del vino sparisce immediatamente dalla bocca, non appena scende per la gola. Quanti mali cagiona un brevissimo piacere a colui che, con il consenso della mente e delle opere, beve il vino della suggestione diabolica! Agli ubriachi di questo vino è detto: “Alzatevi!” nel ricordo del vostro peccato, “piange­te” nella contrizione del cuore, “mandate lamenti” nella confessione.
Chi avrà realizzato in sé i quattro segni di cui abbiamo parlato, potrà certamente operare anche il quinto a favore del prossimo: “Imporranno le mani ai malati, e questi guariranno” (Mc 16,18). Ammalato si dice in lat. æger, che suona come egens, bisognoso, perché ha bisogno di un rimedio, di una medici­na. L’ammalato è il peccatore che ha veramente bisogno della medicina, cioè dell’esempio delle buone opere. E impone le mani su di lui perché si senta meglio, cioè perché ritorni alla penitenza, colui che non solo lo incoraggia con la parola della predicazione, ma anche lo sostiene con l’esempio della vita santa. Amen.

III. l’ascensione di gesù al cielo

8. “E il Signore Gesù”, che era disceso dal cielo, “dopo aver parlato loro, fu assunto in cielo” (Mc 16,19). Troviamo la concordanza nei Proverbi di Salomone: “Chi è salito al cielo e ne è disceso? Chi racchiuse lo spirito (vento) nelle sue mani? Chi raccolse le acque nel suo manto? Chi innalzò tutti i confini della terra? Qual è il suo nome, o qual è il nome del suo figlio, se lo sai?” (Pro 30,4).
Fa’ attenzione alle tre parole: racchiuse, raccolse, innalzò. Il Figlio di Dio Padre, Gesù Cristo, discese dal cielo e assunse la nostra carne mortale, e salì quindi al cielo proprio con essa, divenuta immortale: di lassù mandò lo Spirito della grazia settiforme, che egli racchiude nelle mani della sua potenza. Ed è così, perché lo dà a chi vuole e quando vuole, e lo chiude quando vuole. Dice infatti Giobbe: “Nasconde nelle mani la luce e le ordina di apparire di nuovo. Annunzia a chi gli è amico che essa è sua proprietà e che ad essa può avvicinarsi” (Gb 36,32-33). A chi è amico di Dio viene manifestata talvolta una certa luce nella coscienza, una luce di interiore letizia, come un lume che, rinchiuso tra le mani, si vede e si occulta ad arbitrio di colui che lo tiene: e questo perché l’animo s’infiammi per giungere al possesso della luce eterna e all’eredità della piena visione di Dio.
Parimenti, il Figlio di Dio raccoglie, cioè frena le acque, vale a dire la concupiscenza carnale, nel manto, cioè nel corpo, del quale l’anima è ricoperta come di una veste. Dice Giobbe: “Io mi consumerò e andrò in putrefazione, come una veste che viene consumata dalla tignola” (Gb 13,28). La tignola nasce dalla veste e poi la corrode: la corruzio­ne nasce dal corpo e poi lo distrugge. Il Figlio di Dio racchiude in questa veste gli istinti dei sensi con il legame dell’amore e la fune del timore, affinché non ne escano le acque della concupiscenza carnale, e così risveglia alla penitenza e alla gloria eterna tutti i confini della terra, cioè coloro nei quali ormai la condizione terrena è conclusa.
Perciò “fu assunto in cielo”, per sollevare con sé la terra e farla cielo; infatti il Padre per bocca di Isaia gli dice: “Ho posto le mie parole nella tua bocca e ti ho custodito all’ombra delle mie mani, perché tu impianti i cieli e fondi la terra e dica a Sion: Tu sei mio popolo” (Is 51,16). E il Figlio stesso dice: “Colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui” (Gv 8,26). Nell’ora della passione il Padre lo protesse all’ombra della mano della sua potenza, perché gli prestò conforto nel momento in cui più infieriva la crudeltà dei giudei. Dice il salmo: “Stendesti la tua ombra sopra il mio capo nel giorno della battaglia” (Sal 139,8), nella quale con le mani inchiodate sulla croce distrusse le potenze dell’aria. Egli impiantò i cieli, cioè la divinità, sulla terra della nostra umanità e fondò la terra della nostra umanità nel cielo, cioè ve la stabilì per sempre.
Quindi conclude: “E sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19). E nel salmo: “Disse il Signore”, il Padre, “al mio Signore”, cioè al Figlio suo: “Siedi alla mia destra” (Sal 109,1): vale a dire: Ripòsati e regna con me sui beni più preziosi.
Lo stesso Gesù, partecipe della nostra natura, renda anche noi partecipi di questi beni, lui che è benedetto nei secoli. Amen.

IV. sermone allegorico

9. “Ho attraversato questo Giordano portando solo il mio bastone, ed ora ritorno con due schiere” (Gn 32,10). Queste parole disse Giacobbe quando dalla Mesopotamia ritornava alla sua terra natale. Possono benissimo essere attribuite a Cristo che da questa terra fa ritorno al Padre, e il cui bastone fu la croce.
Leggiamo nel primo libro dei Re: “Il filisteo disse a Davide: Sono io forse un cane, perché tu mi venga contro con un bastone?” (1Re 17,43). Il filisteo, nome che s’in­ter­pre­ta “cade per aver bevuto”, o anche “doppia rovina”, raffigura il diavolo che, ubriaco di superbia, cadde dal cielo, e fece poi cadere l’uomo nella duplice rovina del­l’ani­ma e del corpo. È chiamato cane perché con le sue suggestioni abbaia contro gli innocenti e non riconosce il padrone, cioè il suo Creatore; il nostro Davide, Cristo, per combattere per noi contro di lui, lo affrontò con il bastone della croce. Ecco perché nello stesso libro dei Re è detto poco sopra: “Davide prese il suo bastone, che sempre aveva per mano; si scelse quindi dal torrente cinque ciottoli ben levigati e li pose nella sacca da pastore, che portava con sé; prese in mano la fionda e mosse contro il filisteo” (1Re 17,40).
Ecco le armi con le quali Gesù Cristo uccise il nostro nemico. Cristo ebbe sempre nelle sue mani il bastone della croce: prima della passione lo ebbe nelle opere, nella passione fu inchiodato ad essa per le mani, dopo la passione ne conservò nelle mani le ferite, per mostrarle per noi al Padre. Dice infatti Isaia: “Ecco che io ti ho scritto nelle mie mani” (Is 49,16).
Osserva che per scrivere qualche cosa sono necessari almeno tre strumenti: la carta, la penna e l’inchiostro. La carta fu la mano di Cristo, la penna il chiodo e l’inchio­stro il suo sangue. La sua scrittura fornisce la prova della nostra liberazione, cònfuta il nemico e ci riconcilia con Dio Padre.
I cinque ciottoli ben levigati raffigurano le cinque piaghe di Gesù Cristo, che egli prese dal torrente della nostra umanità. La sacca da pastore raffigura l’amore, con il quale ci ha amati sino alla fine: “Il buon pastore – ha detto – dà la sua vita per le sue pecore” (Gv 10,11). Mise in questa sacca i cinque ciottoli ben levigati, perché per l’amore che nutriva per noi, ricevette su di sé le cinque piaghe, le quali ci resero ben levigati, cioè puri e luminosi. La fionda, che ha due strisce di cuoio di pari lunghez­za, raffigura l’imparzialità della giustizia, per la quale condannò il diavolo e strappò dalle sue mani il genere umano. Fu giusto infatti e legittimo che il diavolo perdesse il potere che aveva sul genere umano, sul quale presumeva di avere qualche diritto, lui che osò stendere la mano su Cristo, sul quale diritti certamente non ne aveva. “Viene il principe di questo mondo, ma su di me non ha alcun potere” (Gv 14,30), perché “tra i morti io sono libero” (Sal 87,6): tuttavia Cristo è passato attraverso la morte, per liberare i morti. Dice infatti: “Con il mio bastone ho attraversato questo Giordano”. “Nel suo viaggio bevve al torrente: per questo sollevò in alto il capo” (Sal 109,7). Sul “bastone” della croce, solo, povero e nudo, passò dalla riva della nostra mortalità, della nostra condizione mortale, a quella della sua immortalità, attra­verso il fiume del giudizio – questo significa il nome Giordano –, vale a dire attraverso lo spargimento del suo sangue con il quale giudicò il diavolo, cioè lo condannò e ne distrusse il potere.

10. E quanto grande vantaggio sia venuto a noi da questo suo passaggio, si comprende quando aggiunge: “E adesso”, cioè oggi, “ritorno con due schiere”. La sua partenza dal Padre, il suo ritorno al Padre, la sua discesa agli inferi e la sua ascensione fino al trono di Dio: ecco il “cerchio (l’anello) posto nelle narici di beemot(ippopotamo) (cf. Gb 40,10.21) e di Sennacherib” (2Mac 15,22), al quale il Signore dice: “Metterò un anello alle tue narici e un morso alle tue labbra e ti rimanderò per la strada per la quale sei venuto” (Is 37,29). Cristo, sapienza del Padre, che, come il cerchio, non ha principio né fine, uscendo dal Padre e al Padre ritornando, riunendo in se stesso tutte le cose e racchiudendole nel suo cuore, smascherò la perfidia del diavolo, raffigurata nelle narici. Infatti, come per mezzo delle narici percepiamo le cose a distanza, così il diavolo, con l’acu­tezza della sua astuzia (perfidia) capisce a quale vizio un uomo è maggiormente incline, e quindi si sforza di catturarlo con quello.
Nel morso ci sono due elementi: il ferro e la briglia; il ferro si mette nella bocca del cavallo, con la briglia lo si frena e lo si guida. Cristo, nella sua passione, con i chiodi e con la bri­glia della sua umanità fabbricò un morso con cui domare e frenare il diavolo, perché non corresse a suo piacimento, ma ritornasse indietro per la via per la quale era venuto. Era venuto per mezzo di Eva, di Adamo e del frutto dell’albero proibito: ma dovette ritornare indietro, e ciò che aveva rapito con l’astuzia, lo perdette per opera di Maria, per opera di Cristo e per mezzo del legno della croce; con questo legno passò il nostro Giacobbe che sconfisse il diavolo e oggi è ritornato in cielo con due squadre.
Giacobbe divise in due squadre tutta la gente che era con lui (cf. Gn 32,7): le schiave e i loro figli erano nella prima squadra; nella seconda le donne libere, ossia Lia e Rachele e i loro figli. Queste due squadre simboleggiano la chiesa, formata da due popoli: dal popolo dei pagani, indicato nelle schiave, e dal popolo giudaico, indicato nelle persone libere, per aver dato al mondo la conoscenza di Dio e la sua legge.
Questa chiesa Cristo la conquistò con molte sofferenze, in Mesopotamia, cioè nel mondo, e l’ha portata con sé oggi ritornando al cielo, poiché ha portato con sé la sua fede e la sua devozione, affinché il suo cuore e la sua vita non fossero più in terra ma nel cielo (cf. Fil 3,20). E al cielo faccia giungere anche noi, colui che è benedetto nei secoli. Amen.

V. sermone morale

11. “Con il mio bastone”. Vedremo il significato morale di queste quattro cose: del bastone, del Giordano e delle due squadre.
Nel bastone è simboleggiata la pratica della penitenza, della quale si parla nella Genesi, quando Giuda [figlio di Giacobbe] dice a Tamar: “Cosa vuoi avere per caparra? Rispose Tamar: Il tuo anello, il tuo bracciale e il bastone che hai in mano” (Gn 38,18). Giuda è Cristo che, secondo l’Apostolo, appartiene appunto alla tribù di Giuda. Tamar, nome che s’inter­preta “mutata”, o “amara”, o anche “palma”, è l’anima che ha cambiato ed è passata dal male al bene; amara a motivo della penitenza che pratica per essere un giorno palma nella gloria. Si legge infatti in Giobbe: “Morirò nel mio piccolo nido”, cioè nell’umiltà e nella tranquillità della coscienza, “e moltiplicherò i miei giorni come la palma” (Gb 29,18). Però in questa triplice interpretazione può anche essere raffigurato il triplice stato degli incipienti, dei proficienti e dei perfetti.
Cristo dunque dice all’anima: “Che cosa vuoi avere per caparra?”. Caparra in lat. si dice àrrabo, che suona come arra bona, buon pegno: il pegno è ciò che si dà come caparra. L’anima, per essere sicura delle promesse, domanda un buon pegno, cioè l’anello, il bracciale e il bastone.
Nell’anello è simboleggiata la fede formata [la fede unita alla grazia e alla carità]. Leggiamo in Luca: “Mettetegli l’anel­lo nella mano” (Lc 15,22). La Glossa: L’anello è il segno della fede, con il quale sono segnate le promesse nel cuore dei fedeli. “Dàteglielo nella mano”, cioè nelle opere, affinché la fede si manifesti nelle opere, e le opere testimonino la fede.
Nel bracciale – in latino armilla, da armus, òmero, la parte superiore del braccio –, che è rotondo e si porta al polso, è indicata l’opera di carità che fa stendere il braccio per portare il peso del fratello in necessità, e lo fa metter sotto l’òmero, o la spalla, per sorreggerlo (cf. Gn 49,15).
Nel bastone, con il quale uno si difende dal cane, e sul quale si appoggia per non cadere, è indicata, come già detto, la pratica della penitenza, con la quale l’anima si difende dagli appetiti della carne e si sostiene per non cadere nel peccato mortale.
In queste tre cose è compresa tutta la giustizia, che consiste nel rendere a ciascuno il suo, cioè l’anello della fede a Dio, il bracciale della carità al prossimo e la pratica della disciplina a se stessi.

12. È detto del bastone: “Ho attraversato questo Giordano con il mio bastone”. Giordano s’interpreta “discesa” o anche “appropriazione delle cose”, cioè delle cose transi­torie di questo mondo. Chi vuole appropriarsene è costretto ad abbassarsi, cioè a discendere dal suo stato di giustizia, dalla quiete della coscienza e dalla dolcezza della contemplazione. Perché, come dice Gregorio, chi si appoggia ad uno che scivola giù, necessariamente scivola giù con lui. Beato invece chi può dire: Con la pratica della penitenza sono passato dalla riva della vanità del mondo alla riva della familiarità celeste; ho attraversato questo Giordano, ho scavalcato cioè tutto ciò che è transitorio e caduco.
Dice la Genesi: “Giacobbe attraversò il guado di Iabbok; trasportate tutte le cose che gli appartenevano, restò solo” (Gn 32,22-24). Iabbok s’interpreta “torrente di polvere”, e raffigura le cose temporali che, come il torrente, abbondano nell’inverno della miseria di questa vita, ma inaridiscono d’estate, vale a dire quando giungerà la vampa della morte o dell’ultimo giudizio. Le cose temporali, come la polvere, accecano i loro amatori. La polvere è detta in lat. pulvis, perché viene spazzata via (pulsa) dalla forza del vento. Così queste cose tempo­rali vengono spazzate via dal vento dell’avversità e rapite dalla morte. Ma Giacobbe, cioè il giusto, vincitore del mondo, passa al di là delle cose temporali, per non passare con esse, perché nulla vi rimanga delle sue cose, ma trasferi­sce al di là tutto ciò che gli appartiene. E che cosa appartiene al giusto, se non l’umiltà, la carità, la castità e le altre virtù? Chi trasferisce queste cose con sé, resta solo, cioè estraneo al chiasso del mondo, lontano dal tumulto dei pensieri e dagli assalti dei demoni. Beato colui che passa così, perché nell’ora della morte potrà dire: “E adesso io ritorno con due squadre”.
Infatti ciò si accorda con quanto è scritto nel Cantico dei Cantici: “Tutte hanno parti gemellari e nessuna di esse è sterile” (Ct 4,2). E di nuovo: “Le tue due mammelle sono come due cerbiatti gemelli di una capriola, che pascolano tra i gigli, fino a che spiri la brezza del giorno che finisce e le ombre si allunghino” (Ct 4,5-6).
La capriola – detta in lat. caprea, perché prende le cose difficili (ardua capiens) –, ha la vista acuta, sceglie le erbe da mangiare e si spinge sulle alture. La capriola raffigura l’anima del giusto che, con il desiderio del cielo, raggiunge le cose difficili, e perciò si innalza fino ad esse; ha molto acuto lo sguardo della fede, si sceglie le erbe dei pascoli eterni con le quali si ristora; le sue due mammelle sono il duplice sentimento suscitato dalla carità, con il cui latte e la cui dolcezza nutre se stessa e il prossimo.
Questi sono i due parti gemellari, i due cerbiatti o i due caprioli, che pascolano tra i gigli: il sentimento della carità divina pascola tra i gigli, cioè nella castità della mente e del corpo, ossia nella letizia della contemplazione; il sentimento della carità fraterna pascola tra i gigli, vale a dire nella luce della buona riputazione.
E per quanto tempo pascoleranno così? Finché spunterà il giorno dell’eterno splendore e tramonteranno le ombre della cecità presente. Dica dunque il giusto: “E ora”, cioè alla fine della mia vita, “con due squadre”, vale a dire con i meriti della vita attiva e di quella contemplativa, “ritornerò” alla patria celeste.
A questa patria faccia giungere anche noi, colui che è benedetto nei secoli. Amen.

giovedì 29 maggio 2014

Ascensione del Signore, solennità. E' una commoventissima pagina assai illuminante sugli inizi della santa Chiesa in Gerusalemme


Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Ascensione del Signore, solennità - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 28,16-20.
Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.
Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.
E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Traduzione liturgica della Bibbia 


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 10 Capitolo 638 pagina 415.

1Gesù è appena un rosare di aurora ad oriente passeggia con sua Madre per le balze del Getsemani. Non vi sono parole, solo sguardi d’indicibile amore. Forse le parole sono già state dette. Forse non sono mai state dette. Hanno parlato le due anime: quella del Cristo, quella della Madre del Cristo. Ora è contemplazione d’amore, reciproca contemplazione. La conosce la natura rugiadosa, la pura luce del mattino, la conoscono le gentili creature di Dio che sono le erbe, i fiori, gli uccelli, le farfalle. Gli uomini sono assenti.

2Io mi sento persino a disagio ad esser presente a questo addio. «Signore, io non ne sono degna!», esclamo fra le lacrime che mi cadono, mirando l’ultima ora di unione terrena fra la Madre e il Figlio e pensando che siamo giunti al termine della amorosa fatica, tanto Gesù, che Maria, che il povero, piccolo, indegno fanciullo che Gesù ha voluto testimone di tutto il tempo messianico e che ha nome Maria, ma che Gesù ama chiamare «il piccolo Giovanni», o anche la «violetta della Croce». Sì. Piccolo Giovanni. Piccolo, perché sono un niente. Giovanni, perché sono proprio quella a cui Dio ha fatto grandi grazie, e perché, in misura infinitesimale ma è tutto ciò che possiedo, e dando tutto ciò che possiedo so di dare in misura perfetta che accontenta Gesù, perché è il «tutto» del mio niente e perché, in misura infinitesimale, io, come il grande Giovanni diletto, ho dato tutto il mio amore a Gesù e a Maria, condividendo con loro lacrime a sorrisi, seguendoli angosciata di vederli afflitti e di non poterli difendere dal livore del mondo a costo della mia stessa vita, ed ora palpitante del palpito del loro cuore per ciò che finisce per sempre...

Violetta, sì. Una violetta che ha cercato di stare nascosta fra l’erbe perché Gesù non la schivasse, Egli che amava tutte le cose create perché opera del Padre suo, ma mi premesse sotto il suo piede divino, ed io potessi morire esalando il mio tenue profumo nello sforzo di addolcirgli il contatto con la terra scabra e dura. Violetta della Croce, sì. E il suo Sangue ha empito il mio calice sino a farlo piegare al suolo...

Oh! mio Diletto che, prima, del tuo Sangue mi hai colmata, facendomi contemplare i tuoi Piedi feriti, inchiodati al legno, «...e ai piedi della croce era una pianticina di mammole in fiore, e gocciavano le stille del Sangue divino sulla pianticina di mammole in fiore...». Ricordo lontano e così sempre vicino e presente! Preparazione a ciò che poi fui: il tuo portavoce che ora è tutto asperso del tuo Sangue, dei tuoi sudori e lacrime, del pianto di Maria tua Madre, ma che anche conosce le tue parole, i tuoi sorrisi, tutto, tutto di Te, e non più di mammole odora ma di Te solo, Amore mio unico e solo, di quel profumo divino che cullò ieri sera il mio dolore e che viene su me, dolce come un bacio, consolatore come il Cielo stesso, e mi fa dimenticare tutto per vivere di Te solo...

3La tua promessa è in me. So che non ti perderò. Me lo hai promesso e la tua promessa è sincera: è di Dio. Ti avrò ancora, sempre. Solo se io peccassi di superbia, menzogna, disubbidienza, ti perderei, Tu lo hai detto, ma Tu lo sai che, con la tua Grazia a sostegno della mia volontà, io non voglio peccare, e spero di non peccare perché Tu mi sosterrai. Non sono una quercia, lo so. Sono una violetta. Uno stelo fragile che può piegare per il piede di un uccellino e anche per il peso di uno scarabeo. Ma Tu sei la mia forza, o Signore. E l’amore per Te è la mia ala.
Non ti perderò. Me lo hai promesso. Verrai tutto per me, per dare gioia alla tua morente violetta. Ma non sono egoista, Signore. Tu lo sai. Tu sai che vorrei non vederti più io, ma che ti vedessero molti altri e credessero in Te. A me già tanto hai dato, e io non ne son degna. Veramente mi hai amata come Tu solo sai amare i tuoi figli diletti.

4 Io penso come era dolce vederti «vivere», Uomo fra gli uomini. E penso che non ti vedrò più così. Tutto è stato visto e detto. So anche che Tu non ti cancellerai dal mio pensiero nelle tue azioni di Uomo fra gli uomini, e che non avrò bisogno di libri per ricordarti quale realmente fosti: basterà che io guardi dentro di me, dove tutta la tua vita è fissata a caratteri indelebili. Ma era dolce, dolce...

Ora Tu ascendi... La Terra ti perde. Maria della Croce ti perde, Maestro Salvatore. Resterai a lei come Dio dolcissimo, e non più Sangue ma miele celeste verserai nel calice violaceo della tua violetta... Io piango... Sono stata tua discepola insieme alle altre per le vie montane, selvose, o aride, polverose della pianura, sul lago e presso il bel fiume, della tua Patria. Ora Tu te ne vai e non vedrò più altro che nel ricordo Betlem e Nazaret sui loro colli verdi d’ulivi, e Gerico ardente di sole e frusciante di palme, e Betania amica, e Engaddi perla smarrita nei deserti, e la Samaria bella, e le pianure opime di Saron e Esdrelon, e il bizzarro altopiano d’Oltre Giordano, e l’incubo del mar Morto, e le città solari della sponda mediterranea, e Gerusalemme, la città del tuo dolore, i suoi sali e scendi, gli archivolti, le piazze, i sobborghi, i pozzi e cisterne, i colli e persino la triste valle dei lebbrosi dove tanta tua misericordia si è effusa... E la casa del Cenacolo... la fontanella che piange lì presso... il ponticello sul Cedron, il luogo del tuo sudor sanguigno... il cortile del Pretorio...

Ah, no! quel che è tuo dolore è qui. Resterà sempre... Dovrò ricercare tutti i ricordi per trovarli, ma la tua orazione nel Getsemani, la tua flagellazione, la tua ascesa al Golgota, la tua agonia e morte, e il dolore di tua Madre, no, non avrò da cercarli: sono presenti sempre. Forse li dimenticherò in Paradiso... e mi pare impossibile poterli dimenticare persino là... Tutto ricordo di quelle atroci ore. Persino la forma della pietra sulla quale sei caduto. Persino il boccio di rosa rossa che batteva, e pareva una goccia di sangue, sul granito, contro la chiusura del tuo sepolcro...
Amore mio divinissimo, la tua Passione vive nel mio pensiero... e me se ne frange il cuore...

5 L’aurora è sorta completamente. Già il sole è alto e gli apostoli fanno sentire le loro voci. È un segnale per Gesù e Maria. Si fermano. Si guardano, l’Uno di fronte all’Altra, e poi Gesù apre le braccia e accoglie sul petto sua Madre... Oh! era ben un Uomo, un Figlio di Donna! Per crederlo basta guardare questo addio! L’amore trabocca in pioggia di baci sulla Madre amatissima. L’amore copre di baci il Figlio amatissimo. Sembra non si possano più separare. Quando pare che stiano per farlo, un altro abbraccio li unisce ancora, e fra i baci parole di reciproca benedizione... Oh! è proprio il Figlio dell’uomo che lascia Colei che lo ha generato! È proprio la Madre che congeda, per renderla al Padre, la sua Creatura, il Pegno dell’Amore alla Purissima... Dio che bacia la Madre di Dio!...

Infine la Donna, come creatura, si inginocchia ai piedi del suo Dio, che è pur suo Figlio, e il Figlio, che è Dio, impone le mani sul capo della Madre Vergine, dell’eterna Amata, e la benedice nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e poi si china e la rialza, deponendole un ultimo bacio sulla fronte bianca come petalo di giglio sotto l’oro dei capelli così giovanili ancora...

Vanno di nuovo verso casa, e nessuno, vedendo con quale pacatezza procedono l’Uno a fianco dell’Altra, penserebbe a quell’onda di amore che li ha soverchiati poco prima. Ma quale differenza anche, in questo addio, dalla mestizia di altri addii ormai superati e dallo strazio dell’addio della Madre al Figlio ucciso che doveva essere lasciato solo nel Sepolcro!... In questo, se pure gli occhi sono lucidi del naturale pianto di chi si sta per separare dall’Amato, le labbra sorridono nella gioia di sapere che questo Amato va nella Dimora che alla sua Gloria si conviene...

6  «Signore! Là fuori sono, fra il monte e Betania, tutti quelli che Tu avevi detto a tua Madre di voler benedire oggi», dice Pietro.
«Va bene. Ora andremo da loro. Ma prima venite. Voglio dividere ancora con voi il pane».
Entrano nella stanza dove dieci giorni prima erano le donne per la cena del quattordicesimo giorno del secondo mese. Maria accompagna Gesù sino là, poi si ritira. Restano Gesù e gli undici.
Sulla tavola vi è della carne arrostita, formaggelli e ulive piccole e nere, una piccola anfora di vino e una più grande d’acqua e dei larghi pani. Tavola semplice, non apparecchiata per una cerimonia di lusso, ma solo per necessità di cibo.
Gesù offre e fa le parti. È al centro fra Pietro e Giacomo d’Alfeo. Li ha chiamati Lui a quei posti. Giovanni, Giuda d’Alfeo e Giacomo gli sono di fronte, e Tommaso, Filippo, Matteo a un lato, Andrea, Bartolomeo e lo Zelote sull’altro. Così tutti possono vedere il loro Gesù... Pasto breve, silenzioso. Gli apostoli, giunti all’ultimo giorno di vicinanza con Gesù, e nonostante le successive apparizioni, collettive o singole, dalla Risurrezione in poi, tutte amore, non hanno mai più perduto quel venerabondo ritegno che ha caratterizzato i loro incontri con Gesù Risorto.
Il pasto è finito.

7  Gesù apre le mani al di sopra della tavola, col suo atto abituale davanti ad un fatto ineluttabile, e dice:
«Ecco. È venuta l’ora che Io debbo lasciarvi per tornare al Padre mio. Ascoltate le ultime parole del vostro Maestro.
Non allontanatevi da Gerusalemme in questi giorni. Lazzaro, al quale ho parlato, ha provveduto una volta ancora a fare realtà i desideri del suo Maestro e cede a voi la casa dell’ultima Cena, perché abbiate una dimora nella quale raccogliere l’adunanza e raccogliervi in preghiera. State là dentro in questi giorni e pregate assiduamente per prepararvi alla venuta dello Spirito Santo, che vi completerà per la vostra missione. Ricordatevi che Io, che pure ero Dio, mi sono preparato con una severa penitenza al mio ministero di Evangelizzatore. Sempre più facile e sempre più breve sarà la vostra preparazione. Ma non esigo altro da voi. Mi basta solo che preghiate assiduamente, in unione coi settantadue e sotto la guida di mia Madre, che vi raccomando con premura di Figlio. Ella vi sarà Madre e Maestra di amore e sapienza perfetta.

Avrei potuto mandarvi altrove per prepararvi a ricevere lo Spirito Santo, ma voglio invece che qui rimaniate, perché è Gerusalemme negatrice che deve stupire per la continuazione dei prodigi divini, dati a risposta delle sue negazioni. Dopo, lo Spirito Santo vi farà comprendere la necessità che la Chiesa sorga proprio in questa città che, giudicando umanamente, è la più indegna di averla. Ma Gerusalemme è sempre Gerusalemme, anche se il peccato la colma e se qui si è compiuto il deicidio. Nulla gioverà per essa. È condannata. Ma, se condannata essa è, non tutti condannati sono i suoi cittadini. State qui per i pochi giusti che essa ha nel suo seno, e state qui perché questa è la città regale e la città del Tempio, e perché, come è predetto dai profeti, qui, dove è stato unto e acclamato e innalzato il Re Messia, qui deve avere inizio il suo regno sul mondo, e qui ancora, dove da Dio ha libello di ripudio la sinagoga per i suoi troppo orrendi delitti, deve sorgere il Tempio nuovo al quale accorreranno genti d’ogni nazione.
Leggete i profeti. In essi tutto è predetto. Mia Madre prima, poscia lo Spirito Paraclito, vi faranno comprendere le parole dei profeti per questo tempo.

8 Rimanete qui sino a quando Gerusalemme ripudierà voi come mi ha ripudiato e odierà la mia Chiesa come ha odiato Me, covando disegni per sterminarla. Allora portatela altrove, la sede di questa mia Chiesa diletta, perché essa non deve perire. Io ve lo dico: neppur l’inferno prevarrà su essa. Ma, se Dio vi assicura la sua protezione, non tentate il Cielo esigendo tutto dal Cielo. Andate in Efraim come vi andò il vostro Maestro perché non era l’ora di esser preso dai nemici. Vi dico Efraim per dirvi terra di idoli e pagani. Ma non sarà Efraim di Palestina che dovete eleggere a sede della Chiesa mia. Ricordatevi quante volte, a voi uniti o a un di voi singolarmente, ho parlato di questo, predicendovi che avreste dovuto calcare le vie della Terra per giungere al cuore di essa e là fissare la mia Chiesa. È dal cuore dell’uomo che il sangue si propaga per tutte le membra. È dal cuore del mondo che il Cristianesimo si deve propagare a tutta la Terra.

Per ora la mia Chiesa è simile a creatura già concepita ma che ancora si forma nella matrice. Gerusalemme è la sua matrice, e nel suo interno il cuore ancor piccolo, intorno al quale si radunano le poche membra della Chiesa nascente, dà le sue piccole onde di sangue a queste membra. Ma, giunta l’ora che Dio ha segnata, la matrice matrigna espellerà la creatura formatasi nel suo seno, ed essa andrà in una terra nuova, e là crescerà divenendo grande Corpo, esteso a tutta la Terra, e i battiti del forte cuore della Chiesa si propagheranno a tutto il gran Corpo. I battiti del cuor della Chiesa, affrancatasi da ogni legame col Tempio, eterna e vittoriosa sulle rovine del Tempio perito e distrutto, vivente nel cuore del mondo, a dire ad ebrei e gentili che Dio solo trionfa e vuole ciò che vuole, e che né livore di uomini né schiere di idoli arrestano il suo volere.

Ma questo verrà poi, e in quel tempo voi saprete cosa fare. Lo Spirito di Dio vi condurrà. Non temete. Per ora raccogliete in Gerusalemme la prima adunanza dei fedeli. Poi altre adunanze si formeranno più il numero di essi crescerà. In verità vi dico che i cittadini del mio Regno aumenteranno rapidamente come semi gettati in ottima terra. Il mio popolo si propagherà per tutta la Terra. Il Signore dice al Signore: “Siccome Tu hai fatto questo e per Me non ti sei risparmiato, Io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo e come le arene che sono sul lido del mare. La tua progenie possederà la porta dei suoi nemici e nella tua progenie saranno benedette tutte le nazioni della Terra”. Benedizione è il mio Nome, il mio Segno e la mia Legge, là dove sono conosciuti sovrani.

9 Sta per venire lo Spirito Santo, il Santificatore, e voi ne sarete ripieni. Fate d’esser puri come tutto quello che deve avvicinare il Signore. Ero Signore Io pure come Esso. Ma avevo indossato sulla mia Divinità una veste per potere stare fra voi, e non solo per ammaestrarvi e redimervi con gli organi e il sangue di essa veste, ma anche per portare il Santo dei santi fra gli uomini, senza la sconvenienza che ogni uomo, anche impuro, potesse posare gli occhi su Colui che temono di mirare i Serafini. Ma lo Spirito Santo verrà senza velo di carne e si poserà su voi e scenderà in voi coi suoi sette doni e vi consiglierà. Ora, il consiglio di Dio è cosa così sublime che occorre prepararsi ad esso con una volontà eroica di una perfezione che vi faccia somiglianti al Padre vostro e al vostro Gesù, e al vostro Gesù nei suoi rapporti col Padre e con lo Spirito Santo. Quindi, carità perfetta e purezza perfetta, per poter comprendere l’Amore e riceverlo sul trono del cuore.

10 Perdetevi nel gorgo della contemplazione. Sforzatevi di dimenticare che siete uomini e sforzatevi a mutarvi in serafini. Lanciatevi nella fornace, nelle fiamme della contemplazione. La contemplazione di Dio è simile a scintilla che scocca dall’urto della selce contro l’acciarino e suscita fuoco e luce. È purificazione il fuoco che consuma la materia opaca e sempre impura e la trasmuta in fiamma luminosa e pura.
Non avrete il Regno di Dio in voi se non avrete l’amore. Perché il Regno di Dio è l’amore, e appare con l’Amore, e per l’Amore si instaura nei vostri cuori in mezzo ai fulgori di una luce immensa che penetra e feconda, leva le ignoranze, dà le sapienze, divora l’uomo e crea il dio, il figlio di Dio, il mio fratello, il re del trono che Dio ha preparato per coloro che si dànno a Dio per avere Dio, Dio, Dio, Dio solo. Siate dunque puri e santi per l’orazione ardente che santifica l’uomo, perché lo immerge nel fuoco di Dio che è la carità.

Voi dovete essere santi. Non nel senso relativo che questa parola aveva sinora, ma nel senso assoluto che Io ho dato alla stessa proponendovi la santità del Signore per esempio e limite, ossia la santità perfetta. Fra noi è chiamato santo il Tempio, santo il luogo dove è l’altare, Santo dei santi il luogo velato dove è l’arca e il propiziatorio. Ma in verità vi dico che coloro che possiedono la Grazia e vivono in santità per amor del Signore sono più santi del Santo dei santi, perché Dio non si posa soltanto su essi, come sul propiziatorio che è nel Tempio per dare i suoi ordini, ma abita in essi per dare ad essi i suoi amori.

11 Ricordate le mie parole dell’ultima Cena? Vi avevo promesso allora lo Spirito Santo. Ecco, Egli sta per venire a battezzarvi non già con l’acqua, come ha fatto con voi Giovanni preparandovi a Me, ma col fuoco per prepararvi a servire il Signore così come Egli vuole da voi. Ecco, Egli sarà qui, di qui a non molti giorni. E dopo la sua venuta le vostre capacità aumenteranno senza misura, e voi sarete capaci di comprendere le parole del vostro Re e fare le opere che Egli vi ha detto di fare per estendere il suo Regno sulla Terra».

«Ricostruirai allora, dopo la venuta dello Spirito Santo, il Regno d’Israele?», gli chiedono interrompendolo.
«Non ci sarà più Regno d’Israele. Ma il mio Regno. Ed esso sarà compiuto quando il Padre ha detto. Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo potere.
Ma voi, intanto, riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, e in Samaria, e sino ai confini della Terra, fondando le adunanze là dove siano uomini riuniti nel mio Nome; battezzando le genti nel Nome Ss. del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, così come vi ho detto, perché abbiano la Grazia e vivano nel Signore; predicando il Vangelo a tutte le creature, insegnando ciò che vi ho insegnato, facendo ciò che vi ho comandato di fare. Ed Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo.

12E questo voglio ancora. Che a presiedere l’adunanza di Gerusalemme sia Giacomo, fratello mio. Pietro, come capo di tutta la Chiesa, dovrà sovente intraprendere viaggi apostolici, perché tutti i neofiti desidereranno conoscere il Pontefice capo supremo della Chiesa. Ma grande sarà l’ascendente che sui fedeli di questa prima Chiesa avrà il fratello mio. Gli uomini sono sempre uomini e vedono da uomini. Parrà loro che Giacomo sia una continuazione di Me, solo perché mi è fratello. In verità Io dico che più grande, e somigliante al Cristo, egli è per sapienza che per parentela. Ma così è. Gli uomini, che non mi cercavano mentre ero fra loro, ora cercheranno Me in colui che mi è parente. Tu, poi, Simon Pietro, sei destinato ad altri onori...».
«Che non merito, Signore. Te lo dissi quando mi apparisti e ancor te lo dico alla presenza di tutti. Tu sei buono, divinamente buono, oltreché sapiente, e giustamente hai giudicato me, che ti ho rinnegato in questa città, non adatto ad esserne il capo spirituale. Tu mi vuoi risparmiare da tanti giusti scherni...».
«Tutti fummo uguali meno due, Simone. Io pure sono fuggito. Non per questo, ma per le ragioni che ha detto, il Signore ha destinato me a questo posto; ma tu sei il mio Capo, Simone di Giona, ed io tale ti riconosco, e alla presenza del Signore e di tutti i compagni ti professo ubbidienza. Ti darò ciò che posso per aiutarti nel tuo ministero, ma, te ne prego, dammi i tuoi ordini, perché tu sei il Capo ed io il suddito. Quando il Signore mi ha ricordato un discorso lontano, io ho chinato il capo dicendo: “Sia fatto ciò che Tu vuoi”. Così lo dirò a te dal momento che, avendoci lasciati il Signore, tu ne sarai il Rappresentante in Terra. E ci ameremo aiutandoci nel ministero sacerdotale», dice Giacomo inchinandosi dal suo posto per rendere omaggio a Pietro.
«Sì. Amatevi fra voi, aiutandovi scambievolmente, perché questo è il comandamento nuovo e il segno che voi siete veramente di Cristo.

13Non turbatevi per nessuna ragione. Dio è con voi. Voi potete fare ciò che Io voglio da voi. Non vi imporrei delle cose che non potreste fare, perché non voglio la vostra rovina, ma anzi la vostra gloria. Ecco. Io vado a preparare il vostro posto a fianco del mio trono. State uniti a Me e al Padre nell’amore. Perdonate al mondo che vi odia. Chiamate figli e fratelli quelli che vengono a voi, o già sono con voi per amor mio.
State nella quiete di sapermi sempre pronto ad aiutarvi e portare la vostra croce. Io sarò con voi nelle fatiche del vostro ministero e nell’ora delle persecuzioni, e non perirete, non soccomberete, anche se ciò sembrerà a quelli che vedono con gli occhi del mondo. Sarete gravati, addolorati, stanchi, torturati, ma il mio gaudio sarà in voi, perché Io vi aiuterò in ogni cosa. In verità vi dico che, quando avrete ad Amico l’Amore, capirete che ogni cosa subìta a vissuta per amor mio diviene leggera, anche se è tortura pesante del mondo. Perché a colui che riveste ogni sua azione, volontaria o impostagli, di amore, muta il giogo della vita e del mondo in giogo a lui dato da Dio, da Me. Ed Io vi ripeto che il mio carico è sempre proporzionato alle vostre forze e il mio giogo è leggero perché Io vi aiuto a portarlo.

14Voi lo sapete che il mondo non sa amare. Ma voi d’ora in poi amate il mondo di amor soprannaturale, per insegnargli ad amare. E se vi diranno, vedendovi perseguitati: “Così vi ama Dio? Facendovi soffrire, dandovi dolore? Allora non merita conto esser di Dio”, rispondete: “Il dolore non viene da Dio. Ma Dio lo permette, e noi ne sappiamo la ragione e ci gloriamo di avere la parte che ebbe Gesù Salvatore, Figlio di Dio”. Rispondete: “Noi ci gloriamo di esser confitti alla croce e di continuare la Passione del nostro Gesù”. Rispondete con le parole della Sapienza: “La morte e il dolore sono entrati nel mondo per invidia del demonio, ma Dio non è autore della morte e del dolore e non gode del dolore dei viventi. Tutte le cose di Lui sono vita e tutte sono salutari”. Rispondete: “Al presente noi sembriamo perseguitati e vinti, ma nel giorno di Dio, cambiate le sorti, noi giusti, perseguitati sulla Terra, staremo gloriosi davanti a coloro che ci vessarono e disprezzarono”. Però anche dite loro: “Venite a noi! Venite alla Vita e alla Pace. Il nostro Signore non vuole la vostra rovina, ma la salute vostra. Per questo ha dato il suo Figlio diletto, acciò voi tutti foste salvati”.

15E rallegratevi di partecipare ai patimenti miei per poter poi essere con Me nella gloria. “Io sarò la vostra ricompensa oltremodo grande”, promette in Abramo il Signore a tutti i suoi servi fedeli. Voi sapete come si conquista il Regno dei Cieli: con la forza, e vi si giunge attraverso a molte tribolazioni. Ma colui che persevera come Io ho perseverato sarà dove Io sono.
Io ve l’ho detto quale è la via e la porta che conducono nel Regno dei Cieli, e Io per primo ho camminato per quella e sono tornato al Padre per quella. Se ve ne fosse un’altra ve l’avrei insegnata, perché ho pietà della vostra debolezza d’uomini. Ma non ve ne è un’altra... Indicandovela come unica via e unica porta, anche vi dico, vi ripeto quale è la medicina che dà forza per percorrerla ed entrare. È l’amore. Sempre l’amore. Tutto diviene possibile quando in noi è l’amore. E tutto l’amore vi darà l’Amore che vi ama, se voi chiederete in Nome mio tanto amore da divenire atleti nella santità.

16Ora diamoci il bacio d’addio, o amici miei dilettissimi».
Si alza per abbracciarli. Tutti lo imitano. Ma, mentre Gesù ha un sorriso pacifico, di una bellezza veramente divina, essi piangono, tutti turbati, e Giovanni, abbandonandosi sul petto di Gesù, scuotendosi tutto nei singhiozzi che gli rompono il petto tanto sono laceranti, chiede, per tutti, intuendo il desiderio di tutti: «Dacci almeno il tuo Pane, che ci fortifichi in quest’ora!».
«Così sia! », gli risponde Gesù. E preso un pane lo spezza dopo averlo offerto e benedetto, ripetendo le parole rituali. E lo stesso fa col vino, ripetendo poi: «Fate questo in memoria di Me», aggiungendo: «che vi ho lasciato questo pegno del mio amore per essere ancora e sempre con voi sinché voi sarete con Me in Cielo».
Li benedice e dice: «Ed ora andiamo».



17Escono dalla stanza, dalla casa...
Giona, Maria e Marco sono lì fuori, e si inginocchiano adorando Gesù.
«La pace resti con voi. E vi compensi il Signore di quanto mi avete dato», dice Gesù benedicendoli nel passare.
Marco si alza dicendo: «Signore, gli uliveti lungo la via di Betania sono pieni di discepoli che ti attendono».
«Va’ a dire loro che si dirigano al campo dei Galilei».
Marco sfreccia via con tutta la velocità delle sue giovani gambe.
«Sono venuti tutti, allora», dicono gli apostoli fra loro.

18Più là, seduta fra Marziam e Maria Cleofe, è la Madre del Signore. E si alza vedendolo venire, adorandolo con tutto il palpito del suo cuore di Madre e di fedele.
«Vieni, Madre, anche tu, Maria...», invita Gesù vedendole ferme, inchiodate dalla sua maestà che sfolgora come nel mattino della Risurrezione. Ma Gesù non vuole opprimere con questa sua maestà, e domanda, affabilmente, a Maria d’Alfeo: «Sei tu sola?».
«Le altre... le altre sono avanti... Coi pastori e... con Lazzaro e tutta la sua famiglia... Ma ci hanno lasciate qui noi, perché... Oh! Gesù! Gesù! Gesù!... Come farò a non vederti più, Gesù benedetto, Dio mio, io che ti ho amato prima ancor che fossi nato, io che ho tanto pianto per Te quando non sapevo dove eri dopo la strage... io che ho avuto il mio sole nel tuo sorriso da quando sei tornato, e tutto, tutto il mio bene?... Quanto bene! Quanto bene mi hai dato!... Ora sì che divento veramente povera, vedova, sola!... Finché c’eri Tu, c’era tutto!... Credevo di aver conosciuto tutto il dolore quella sera... Ma il dolore stesso, tutto quel dolore di quel giorno mi aveva inebetita e... sì, era meno forte di ora... E poi... c’era che risorgevi. Mi pareva di non crederlo, ma mi accorgo adesso che lo credevo, perché non sentivo questo che sento ora...», piange e ansima, tanto il pianto la soffoca.
«Maria buona, ti affliggi proprio come un bambino che crede che la madre non lo ami e l’abbia abbandonato, perché è andata in città a comperargli doni che lo faranno felice, e che presto sarà a lui di ritorno per coprirlo di carezze e di regali. E non faccio così Io con te? Non vado per prepararti la gioia? Non vado per tornare e dirti: “Vieni, parente e discepola diletta, madre dei miei diletti discepoli”? Non ti lascio il mio amore? Te lo dono il mio amore, Maria! Tu lo sai se ti amo! Non piangere così, ma giubila, perché non mi vedrai più vilipeso e affaticato, non più inseguito e ricco solo dell’amore di pochi. E col mio amore ti lascio mia Madre. Giovanni le sarà figlio, ma tu siile buona sorella come sempre. Vedi? Ella non piange, la Madre mia. Ella sa che, se la nostalgia di Me sarà la lima che consumerà il suo cuore, l’attesa sarà sempre breve rispetto alla grande gioia di una eternità di unione, e sa anche che non sarà questa separazione nostra così assoluta da farle dire: “Non ho più Figlio”. Quello era il grido di dolore del giorno del dolore. Ora nel suo cuore canta la speranza: “Io so che mio Figlio sale al Padre, ma non mi lascerà senza i suoi spirituali amori”. Così credi tu, e tutti...

19Ecco gli altri e le altre. Ecco i miei pastori».
I volti di Lazzaro e delle sorelle framezzo a tutti i servi di Betania, il volto di Giovanna simile a rosa sotto un velo di pioggia, e quello di Elisa e di Niche, già segnati dall’età e ora le rughe si approfondiscono per la pena, sempre pena per la creatura anche se l’anima giubila per il trionfo del Signore e quello di Anastasica, e i volti liliali delle prime vergini, e l’ascetico volto di Isacco, e quello ispirato di Mattia, e il volto virile di Mannaen, e quelli austeri di Giuseppe e Nicodemo... Volti, volti, volti...
Gesù chiama a Sé i pastori, Lazzaro, Giuseppe, Nicodemo, Mannaen, Massimino e gli altri dei settantadue discepoli. Ma tiene vicino specialmente i pastori dicendo loro:
«Qui. Voi vicini al Signore che era venuto dal Cielo, curvi sul suo annichilimento, voi vicini al Signore che al Cielo ritorna, con gli spiriti gioenti della sua glorificazione. Avete meritato questo posto, perché avete saputo credere contro ogni circostanza in sfavore e avete saputo soffrire per la vostra fede. Io vi ringrazio del vostro amore fedele.
Tutti vi ringrazio. Tu, Lazzaro amico. Tu Giuseppe e tu Nicodemo, pietosi al Cristo quando esserlo poteva essere grande pericolo. Tu Mannaen, che hai saputo disprezzare i sozzi favori di un immondo per camminare nella mia via. Tu, Stefano, fiorita corona di giustizia, che hai lasciato l’imperfetto per il perfetto e sarai coronato di un serto che ancor non conosci ma che ti annunceranno gli angeli. Tu Giovanni, per breve tempo fratello al seno purissimo e venuto alla Luce più che alla vista. Tu Nicolai, che proselite hai saputo consolarmi del dolore dei figli di questa nazione. E voi discepole buone e forti, nella vostra dolcezza, più di Giuditta.

20E tu Marziam, mio fanciullo, e d’ora in poi prendi il nome di Marziale, a ricordo del fanciullo romano ucciso per via e deposto al cancello di Lazzaro col cartiglio di sfida: “E ora di’ al Galileo che ti resusciti, se è il Cristo e se è risorto”, ultimo degli innocenti che in Palestina persero la vita per servire Me anche incoscientemente, e primo degli innocenti di ogni nazione che, venuti al Cristo, saranno per questo odiati e spenti anzitempo, come bocci di fiori strappati allo stelo prima che s’aprano in fiore. E questo nome, o Marziale, ti indichi il tuo destino futuro: sii apostolo in barbare terre e conquistale al tuo Signore come il mio amore conquistò il fanciullo romano al Cielo.

21Tutti, tutti benedetti da Me in questo addio, invocandovi dal Padre la ricompensa di coloro che hanno consolato il doloroso cammino del Figlio dell’uomo.
Benedetta l’Umanità nella sua porzione eletta che è nei giudei come nei gentili, e che si è manifestata nell’amore che ebbe per Me.
Benedetta la Terra con le sue erbe e i suoi fiori, i suoi frutti che mi hanno dato diletto e ristoro tante volte. Benedetta la Terra con le sue acque e i suoi tepori, per gli uccelli e gli animali che molte volte superarono l’uomo nel dare conforto al Figlio dell’uomo. Benedetto tu, sole, e tu mare, e voi monti, colline, pianure. Benedette voi, stelle che mi siete state compagne nella notturna preghiera e nel dolore. E tu, luna, che mi hai fatto lume all’andare nel mio pellegrinaggio di Evangelizzatore.
Tutte, tutte benedette, voi, creature, opere del Padre mio, mie compagne in quest’ora mortale, amiche a Colui che aveva lasciato il Cielo per togliere alla tribolata Umanità i triboli della Colpa che separa da Dio.
E benedetti anche voi, strumenti innocenti della mia tortura: spine, metalli, legno, canape ritorte, perché mi avete aiutato a compiere la Volontà del Padre mio!».
Che voce tonante ha Gesù! Si spande nell’aria tepida e cheta come voce di un bronzo percosso, si propaga in onde sul mare di volti che lo guardano da ogni direzione.

22Io dico che sono delle centinaia di persone quelle che circondano Gesù che ascende, coi più diletti, verso la cima dell’Uliveto. Ma Gesù, giunto vicino al campo dei Galilei, vuoto di tende in questo periodo fra l’una a l’altra festa, ordina ai discepoli: «Fate fermare la gente dove è, e poi seguitemi».
Sale ancora, sino alla cima più alta del monte, quella che è già più prossima a Betania, che domina dall’alto, che non a Gerusalemme. Stretti a Lui la Madre, gli apostoli, Lazzaro, i pastori e Marziam. Più in là, a semicerchio a tenere indietro la folla dei fedeli, gli altri discepoli.

23Gesù è in piedi su una larga pietra un poco sporgente, biancheggiante fra l’erba verde di una radura. Il sole lo investe facendo biancheggiare come neve la sua veste e rilucere come oro i suoi capelli. Gli occhi sfavillano di una luce divina.
Apre le braccia in un gesto di abbraccio. Pare voglia stringersi al seno tutte le moltitudini della Terra che il suo spirito vede rappresentate in quella turba.
La sua indimenticabile, inimitabile voce dà l’ultimo comando: «Andate! Andate in mio Nome ad evangelizzare le genti sino agli estremi confini della Terra. Dio sia con voi. Il suo amore vi conforti, la sua luce vi guidi, la sua pace dimori in voi sino alla vita eterna».
Si trasfigura in bellezza. Bello! Bello come e più che sul Tabor. Cadono tutti in ginocchio adorando. Egli, mentre già si solleva dalla pietra su cui posa, cerca ancora una volta il volto di sua Madre, e il suo sorriso raggiunge una potenza che nessuno potrà mai rendere... È il suo ultimo addio alla Madre.
Sale, sale... Il sole, ancor più libero di baciarlo, ora che nessuna fronda anche lieve intercetta il cammino ai suoi raggi, colpisce dei suoi fulgori il Dio Uomo che ascende col suo Corpo Ss. al Cielo, e ne svela le Piaghe gloriose che splendono come rubini vivi. Il resto è un perlaceo ridere di luce. È veramente la Luce che si manifesta per ciò che è, in quest’ultimo istante come nella notte natalizia. Sfavilla il Creato della luce del Cristo che ascende. Luce che supera quella del sole. Luce sovrumana e beatissima. Luce che scende dal Cielo incontro alla Luce che sale... E Gesù Cristo, il Verbo di Dio, dispare alla vista degli uomini in questo oceano di splendori...
In terra due unici rumori nel silenzio profondo della folla estatica: il grido di Maria quando Egli scompare: «Gesù!», e il pianto di Isacco. Gli altri sono ammutoliti di religioso stupore, e restano là, come in attesa, finché due luci angeliche candidissime, in forma mortale, appaiono dicendo le parole riportate nel capo primo degli Atti Apostolici.



Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/