martedì 6 ottobre 2015

Una fiaba

La figlia della Madonna

Una fiaba dei fratelli Grimm



Davanti a un gran bosco viveva un taglialegna con la moglie e l'unica figlia, una bambina di tre anni. Ma erano così poveri che non tutti i giorni avevano il pane e non sapevano che cosa dare da mangiare alla bimba. Un giorno il taglialegna andò a lavorare nel bosco tutto preoccupato e, mentre tagliava la legna, gli apparve all'improvviso una bella signora d'alta statura, che aveva una corona di stelle lucenti sul capo, e gli disse: "Io sono la Vergine Maria, la madre del Bambino Gesù; tu sei povero e bisognoso: portami la tua bimba; la prenderò con me, sarò la sua mamma e provvederò a lei." Il taglialegna prese la bimba e la diede alla Vergine Maria che la portò con sé in Cielo. Là stava bene: mangiava marzapane, beveva latte dolce, i suoi vestiti erano d'oro e gli angioletti giocavano con lei. 

Quando ebbe quattordici anni, la Vergine Maria la chiamò a sé e disse: "Cara bambina, devo fare un lungo viaggio; prendi in consegna le chiavi delle tredici porte del regno dei Cieli: dodici puoi aprirle e contemplare le meraviglie che custodiscono, ma la tredicesima, per cui si deve usare questa piccola chiave, ti è vietata; guardati dall'aprirla, o sarai infelice." La ragazza promise di essere ubbidiente e, quando la Vergine Maria se ne fu andata, incominciò a visitare le stanze del regno dei cieli: ogni giorno ne visitava una, fino a quando ne ebbe viste dodici. In ogni stanza c'era un apostolo, e all'intorno un grande splendore. Ella gioiva non avendo mai visto in vita sua tanta magnificenza e grandiosità, e gli angioletti, che l'accompagnavano sempre, gioivano con lei. 

Ora non rimaneva che la porta proibita; ella provò un gran desiderio di sapere che cosa nascondesse, e disse agli angioletti: "Non voglio aprirla del tutto, ma soltanto un pochino, che si possa vedere attraverso la fessura." - "Ah, no," esclamarono gli angioletti, "sarebbe peccato: la Vergine Maria lo ha proibito e potrebbe essere la tua rovina." Allora ella tacque, ma non tacquero la curiosità e la brama che continuavano a tormentarla in cuor suo. E una volta che gli angioletti erano via, ella pensò: "Ora sono sola: chi può vedermi?" Così prese la chiave, e dopo averla presa la infilò nella serratura, e dopo averla infilata la girò. La porta si spalancò, ed ella vide la Trinità circonfusa di fuoco e splendore. Sfiorò appena quel fulgore con il dito, ed esso si ricoprì d'oro. Allora fu presa dalla paura, chiuse violentemente la porta e corse via. Ma qualsiasi cosa facesse, la paura non passava e il cuore continuava a battere forte, e non si voleva chetare, e anche l'oro rimase sul dito e non se ne andò, per quanto lo lavasse.



Dopo pochi giorni la Vergine Maria ritornò dal suo viaggio. Chiamò la fanciulla e disse: "Ridammi le chiavi del Cielo." Quando la fanciulla le porse il mazzo, la Vergine la guardò e le chiese: "Non hai forse aperto anche la tredicesima porta?" - "No," rispose. La Vergine le mise la mano sul cuore, sentì come batteva e capì che ella aveva trasgredito il suo ordine e aveva aperto la porta. Domandò ancora una volta: "Davvero non l'hai fatto?" - "No," rispose la fanciulla per la seconda volta. Allora la Vergine scorse il dito d'oro, con il quale la fanciulla aveva sfiorato il fuoco divino, vide che aveva peccato e domandò per la terza volta: "Non l'hai fatto?" - "No," rispose la fanciulla per la terza volta. Allora la Vergine Maria disse: "Non mi hai obbedito, hai mentito: non sei più degna di stare in Cielo."

La fanciulla cadde in un sonno profondo e, quando si risvegliò, giaceva sulla terra vicino a un albero alto, circondato da una fitta boscaglia impossibile a penetrarsi. La sua bocca era muta e non poteva pronunciare parola. Nell'albero vi era una cavità dov'ella dormiva di notte e si riparava quando pioveva o vi era tempesta. Radici e bacche erano il suo unico nutrimento, le cercava fin dove poteva arrivare. In autunno raccoglieva le foglie dell'albero, le portava nella cavità e, se nevicava o gelava, si copriva con esse. I suoi vestiti si sciuparono e le caddero di dosso e dovette così avvolgersi nelle foglie. Appena il sole splendeva caldo, usciva e si sedeva davanti all'albero, e i suoi lunghi capelli la ricoprivano da ogni parte come un mantello. Così visse a lungo e sentì il dolore e la miseria del mondo.

Un giorno di primavera il re di quella terra cacciava nel bosco inseguendo un capriolo e, siccome la bestia si era addentrata nella boscaglia che circondava l'albero cavo, discese da cavallo, spezzò gli sterpi e si aprì un varco con la spada. Penetrato nel fogliame, vide seduta sotto l'albero una fanciulla bellissima, coperta da una chioma dorata che le arrivava fino ai piedi. Egli si meravigliò e disse: "Come hai potuto arrivare in questo luogo deserto?" Ma essa non rispose, perché‚ non poteva schiudere le labbra. Il re proseguì: "Vuoi venire con me al mio castello?" La fanciulla annuì leggermente con il capo. Il re la prese allora tra le braccia, la mise sul suo cavallo e la portò a casa dove le fece indossare dei vestiti e le diede ogni cosa in abbondanza. E, anche se non poteva parlare, era così bella e leggiadra che egli se ne innamorò e la sposò.

Dopo circa un anno, la regina mise al mondo un bimbo. Di notte, mentre era sola, le apparve la Vergine Maria e disse: "Se dici la verità e ammetti di avere aperto la porta proibita, ti dischiuderò le labbra e ti ridarò la parola, ma se ti ostini a mentire rimanendo nel peccato, allora mi prenderò il bambino appena nato." La regina poté rispondere questa volta, ma disse: "No, non ho aperto la porta proibita," e la Vergine Maria prese dalle sue braccia il bambino appena nato e scomparve con lui. Il giorno seguente quando si scoprì che il bambino era sparito, la gente cominciò a mormorare che la regina era un mostro e che aveva ucciso il suo bambino. Ella udiva ogni cosa, ma non poteva replicare nulla. Il re però non credette a niente di tutto ciò, tanto l'amava.

Dopo un anno la regina diede alla luce un altro figlio. Di notte comparve nuovamente la Vergine Maria e disse: "Se ammetti di avere aperto la porta proibita, ti ridarò il tuo bambino e ti scioglierò la lingua, ma se persisti nel peccato e neghi, allora prenderò anche questo neonato con me." Ma la regina disse nuovamente: "No, non ho aperto la porta proibita," e la Vergine Maria le prese il bimbo dalle braccia e lo portò con sé in Cielo. La mattina, scomparso di nuovo il piccino, la gente disse ad alta voce che la regina lo aveva divorato e i consiglieri del re chiesero che fosse giudicata. Ma il re l'amava tanto che non volle crederlo e ordinò ai consiglieri di non parlarne più, pena la vita.

Dopo un anno la regina partorì una bella figlioletta; la Vergine Maria le apparve nuovamente di notte e disse: "Seguimi." La prese per mano, la condusse in Cielo e le mostrò i due figli maggiori che le sorridevano e giocavano con la palla del mondo. La regina se ne rallegrò; allora disse la Vergine Maria: "Se ammetti di avere aperto la porta proibita ti ridarò i due figlioletti." Ma la regina rispose per la terza volta: "No, non ho aperto la porta proibita!" Allora la Vergine la lasciò ricadere sulla terra e le prese anche il terzo bambino.

La mattina dopo, quando la cosa trapelò, la gente gridò a gran voce: "La regina è un mostro e deve essere condannata!" E il re non pote' più trattenere i suoi consiglieri. La regina fu giudicata e, poiché‚ non poteva rispondere né difendersi, fu condannata a morire sul rogo. Ammucchiarono la legna e, quando fu legata al palo e il fuoco incominciò ad avvampare intorno a lei, il suo cuore fu mosso dal pentimento ed ella pensò: Potessi confessare, prima di morire, di avere aperto la porta! e gridò: "Oh Maria, sì l'ho fatto!" Come ebbe in cuore questo pensiero, dal cielo incominciò a piovere e l'acqua spense le fiamme, ella fu inondata di luce e la Vergine Maria discese fra i due bambini e con la neonata in braccio. Le disse amorevolmente: "Chi si pente della propria colpa e la confessa è perdonato," le porse i bambini, le sciolse la bocca e la rese felice per tutta la vita.




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SAN BRUNO: OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Chiesa della Certosa di Serra San Bruno.

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CELEBRAZIONE DEI VESPRI
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI 
Chiesa della Certosa di Serra San Bruno
Domenica, 9 ottobre 2011
  
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
cari Fratelli Certosini,
fratelli e sorelle!

Rendo grazie al Signore che mi ha condotto in questo luogo di fede e di preghiera, la Certosa di Serra San Bruno. Nel rinnovare il mio saluto riconoscente a Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, mi rivolgo con grande affetto a questa Comunità Certosina, a ciascuno dei suoi membri, a partire dal Priore, Padre Jacques Dupont, che ringrazio di cuore per le sue parole, pregandolo di far giungere il mio pensiero grato e benedicente al Ministro Generale e alle Monache dell’Ordine.

Mi è caro anzitutto sottolineare come questa mia Visita si ponga in continuità con alcuni segni di forte comunione tra la Sede Apostolica e l’Ordine Certosino, avvenuti nel corso del secolo scorso. Nel 1924 il Papa Pio XI emanò una Costituzione Apostolica con la quale approvò gli Statuti dell’Ordine, riveduti alla luce del Codice di Diritto Canonico. Nel maggio 1984, il beato Giovanni Paolo II indirizzò al Ministro Generale una speciale Lettera, in occasione del nono centenario della fondazione da parte di san Bruno della prima comunità alla Chartreuse, presso Grenoble. Il 5 ottobre di quello stesso anno, il mio amato Predecessore venne qui, e il ricordo del suo passaggio tra queste mura è ancora vivo. Nella scia di questi eventi passati, ma sempre attuali, vengo a voi oggi, e vorrei che questo nostro incontro mettesse in risalto un legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa. La comunione ecclesiale infatti ha bisogno di una forza interiore, quella forza che poco fa il Padre Priore ricordava citando l’espressione “captus ab Uno”, riferita a san Bruno: “afferrato dall’Uno”, da Dio, “Unus potens per omnia”, come abbiamo cantato nell’Inno dei Vespri. Il ministero dei Pastori trae dalle comunità contemplative una linfa spirituale che viene da Dio.

Fugitiva relinquere et aeterna captare: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno. In questa espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò al Prevosto di Reims, Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra spiritualità (cfr Lettera a Rodolfo, 13): il forte desiderio di entrare in unione di vita con Dio, abbandonando tutto il resto, tutto ciò che impedisce questa comunione e lasciandosi afferrare dall’immenso amore di Dio per vivere solo di questo amore. Cari fratelli, voi avete trovato il tesoro nascosto, la perla di grande valore (cfr Mt 13,44-46); avete risposto con radicalità all’invito di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt 19,21). Ogni monastero – maschile o femminile – è un’oasi in cui, con la preghiera e la meditazione, si scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’“acqua viva” per la nostra sete più profonda. Ma la Certosa è un’oasi speciale, dove il silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare cura, secondo la forma di vita iniziata da san Bruno e rimasta immutata nel corso dei secoli. “Abito nel deserto con dei fratelli”, è la frase sintetica che scriveva il vostro Fondatore (Lettera a Rodolfo, 4). La visita del Successore di Pietro in questa storica Certosa intende confermare non solo voi, che qui vivete, ma l’intero Ordine nella sua missione, quanto mai attuale e significativa nel mondo di oggi.

Il progresso tecnico, segnatamente nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche più concitata, a volte convulsa. Le città sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un rumore di fondo rimane sempre, in alcune zone anche di notte. Negli ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei media ha diffuso e amplificato un fenomeno che già si profilava negli anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare sulla realtà. Sempre più, anche senza accorgersene, le persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera. I più giovani, che sono nati già in questa condizione, sembrano voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. Si tratta di una tendenza che è sempre esistita, specialmente tra i giovani e nei contesti urbani più sviluppati, ma oggi essa ha raggiunto un livello tale da far parlare di mutazione antropologica. Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine.

Ho voluto accennare a questa condizione socioculturale, perché essa mette in risalto il carisma specifico della Certosa, come un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, un dono che contiene un messaggio profondo per la nostra vita e per l’umanità intera. Lo riassumerei così: ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si “espone” al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente “vuoto” cui accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile. E’ una presenza percepibile in ogni creatura: nell’aria che respiriamo, nella luce che vediamo e che ci scalda, nell’erba, nelle pietre… Dio, Creator omnium, attraversa ogni cosa, ma è oltre, e proprio per questo è il fondamento di tutto. Il monaco, lasciando tutto, per così dire “rischia”: si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo.

Qualcuno potrebbe pensare che sia sufficiente venire qui per fare questo “salto”. Ma non è così. Questa vocazione, come ogni vocazione, trova risposta in un cammino, nella ricerca di tutta una vita. Non basta infatti ritirarsi in un luogo come questo per imparare a stare alla presenza di Dio. Come nel matrimonio non basta celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita coniugale, così il diventare monaci richiede tempo, esercizio, pazienza, “in una perseverante vigilanza divina – come affermava san Bruno – attendendo il ritorno del Signore per aprirgli immediatamente la porta” (Lettera a Rodolfo, 4); e proprio in questo consiste la bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di operare con il suo Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la misura della maturità di Cristo, in quel particolare stato di vita. In Cristo c’è il tutto, la pienezza; noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una delle dimensioni del suo mistero. Potremmo dire che questo è un cammino di trasformazione in cui si attua e si manifesta il mistero della risurrezione di Cristo in noi, mistero a cui ci ha richiamato questa sera la Parola di Dio nella Lettura biblica, tratta dalla Lettera ai Romani: lo Spirito Santo, che ha risuscitato Gesù dai morti, e che darà la vita anche ai nostri corpi mortali (cfr Rm 8,11), è Colui che opera anche la nostra configurazione a Cristo secondo la vocazione di ciascuno, un cammino che si snoda dal fonte battesimale fino alla morte, passaggio verso la casa del Padre. A volte, agli occhi del mondo, sembra impossibile rimanere per tutta la vita in un monastero, ma in realtà tutta una vita è appena sufficiente per entrare in questa unione con Dio, in quella Realtà essenziale e profonda che è Gesù Cristo.

Per questo sono venuto qui, cari Fratelli che formate la Comunità certosina di Serra San Bruno! Per dirvi che la Chiesa ha bisogno di voi, e che voi avete bisogno della Chiesa. Il vostro posto non è marginale: nessuna vocazione è marginale nel Popolo di Dio: siamo un unico corpo, in cui ogni membro è importante e ha la medesima dignità, ed è inseparabile dal tutto. Anche voi, che vivete in un volontario isolamento, siete in realtà nel cuore della Chiesa, e fate scorrere nelle sue vene il sangue puro della contemplazione e dell’amore di Dio.

Stat Crux dum volvitur orbis – così recita il vostro motto. La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele. Rimanendo saldamente uniti a Cristo, come tralci alla Vite, anche voi, Fratelli Certosini, siete associati al suo mistero di salvezza, come la Vergine Maria, che presso la Croce stabat, unita al Figlio nella stessa oblazione d’amore. Così, come Maria e insieme con lei, anche voi siete inseriti profondamente nel mistero della Chiesa, sacramento di unione degli uomini con Dio e tra di loro. In questo voi siete anche singolarmente vicini al mio ministero. Vegli dunque su di noi la Madre Santissima della Chiesa, e il santo Padre Bruno benedica sempre dal Cielo la vostra Comunità. Amen
  
© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana
   

lunedì 5 ottobre 2015

ASSOLUTAMENTE FERMI SULLA DOTTRINA!

Raccomandazione
che il Papa emerito, Benedetto XVI,
ha dato
privatamente in tedesco dopo la scorsa edizione del Sinodo:
«Halten Sie sich unbedingt an die Lehre!» 
(Rimanete assolutamente fermi 
sulla dottrina!)

AVE MARIA!


« Quanto tempo ancora ti dovrò sopportare? Fino a quando mi ingannerai?».

Varsavia, I.VIII.1925 
L'INGRESSO IN CONVENTO.



Fin dall'età di sette anni avvertii la suprema chiamata di Dio, la grazia
della vocazione alla vita religiosa. A sette anni intesi per la prima volta la
voce di Dio nella mia anima, cioè la chiamata ad una vita più perfetta, ma
non sempre ubbidii alla voce della grazia. Non incontrai nessuno che mi
chiarisse queste cose. Diciottesimo anno di vita; insistente richiesta ai
genitori del permesso di entrare in convento; rifiuto categorico dei
genitori. Dopo tale rifiuto mi diedi alle vanità della vita, non rivolgendo
alcuna attenzione alla voce della grazia, sebbene l'anima mia  non
trovasse soddisfazione in nulla. Il richiamo continuo della grazia era per
me un gran tormento, però cercavo di soffocarlo con i passatempi.

Evitavo d'incontrarmi con Dio intimamente e con tutta l'anima mi
rivolgevo verso le creature. Ma fu la grazia di Dio ad avere il sopravvento
nella mia anima. Una volta ero andata ad un ballo con una delle mie
sorelle. Quando tutti si divertivano moltissimo, l'anima mia cominciò a
provare intimi tormenti. Al momento in cui cominciai a ballare, scorsi
improvvisamente Gesù accanto a me, Gesù flagellato, spogliato delle
vesti, tutto coperto di ferite, che mi disse queste parole: « Quanto
tempo ancora ti dovrò sopportare? Fino a quando mi
ingannerai?». All'istante si spense l'allegro suono della musica;
scomparve dalla mia vista la compagnia in cui mi trovavo. Rimanemmo
soli Gesù e io. Mi sedetti accanto alla mia cara sorella, facendo passare
per un mal di testa quanto era accaduto dentro di me. 

Poco dopo
abbandonai la compagnia e la sorella senza farmi scorgere e andai nella
cattedrale di S. Stanislao Kostka. Era quasi buio. Nella cattedrale c'erano
poche persone. Senza badare affatto a quanto accadeva intorno, mi
prostrai, le braccia stese, davanti al SS.mo Sacramento e chiesi al Signore
che si degnasse di farmi conoscere ciò che dovevo fare. Udii allora queste
parole: « Parti immediatamente per Varsavia; là entrerai in
convento ». Mi alzai dalla preghiera, andai a casa e sbrigai le cose
indispensabili. Come potei, misi al corrente mia sorella di quello che era
avvenuto nella mia anima, le chiesi di salutare i genitori e così, con un
solo vestito, senza nient'altro, arrivai a Varsavia. Quando scesi dal treno e
vidi che ciascuno andava per la sua strada, fui presa dalla paura: che
fare? ove rivolgermi, dal momento che non conoscevo nessuno? E dissi
alla Madre di Dio: « Maria, fammi strada, guidami Tu! ».


Immediatamente udii dentro di me queste parole: di andare fuori dalla
città in un villaggio, dove avrei trovato un alloggio sicuro per la notte.
Feci così, e trovai tutto come la Madre di Dio mi aveva detto. Il giorno
dopo di buon mattino feci ritorno in città ed entrai nella prima chiesa che
mi si parò dinanzi. Qui mi misi a pregare, per conoscere che cosa volesse
ancora Iddio da me. Le SS. Messe si susseguivano una dietro l'altra.
Durante una di queste, mi sentii dire: « Va' da questo sacerdote e
spiegagli ogni cosa; egli ti dirà quello che dovrai fare »

Terminata la S. Messa, 
entrai nella sacrestia e gli raccontai tutto ciò che era accaduto
nell'anima mia, pregandolo di indicarmi dove entrare, in quale convento.
In un primo momento il sacerdote rimase sorpreso, tuttavia mi
raccomandò d'aver molta fiducia perché Iddio avrebbe continuato a
provvedere. « Nel frattempo - egli disse - ti manderò da una pia signora,
presso la quale potrai restare fino al giorno del tuo ingresso in un
convento ». Quando mi presentai a quella signora, mi ricevette con
grande affabilità. In quel tempo cominciai a cercare un convento, ma a
qualsiasi porta ebbi a bussare, incontrai un netto rifiuto.14 

Il dolore attanagliava il mio cuore e dissi al Signore Gesù: « Aiutami. Non
lasciarmi sola ». Bussai infine alla nostra porta. Quando mi venne
incontro la Madre Superiora, l'attuale M. Generale Suor Michaela, dopo
un breve colloquio mi disse di andare dal Padrone di casa e domandargli
se mi accoglieva. Capii subito che dovevo chiederlo al Signore Gesù.
Tutta felice mi recai in cappella e chiesi a Gesù: « Padrone di questa casa,
sei disposto ad accettarmi? Una delle suore di qui m'ha mandata da Te
con tale domanda». Immediatamente udii questa voce: « Ti accolgo; sei
nel Mio Cuore ». Quando tornai dalla cappella, la Madre Superiora mi
chiese prima di tutto: « Ebbene, il Signore ti ha accettata? ». « Si », le
risposi. Ed essa: « Se ti ha accettata il Signore, t'accetterò anch'io ». Fu
così ch'io venni ammessa in convento. 

Per varie ragioni tuttavia dovetti
rimanere nel mondo per più d'un anno ancora, presso quella pia signora.
A casa mia però, non feci più ritorno. In quel periodo dovetti lottare
contro molte difficoltà, ma Dio non mi risparmiò la sua grazia e cominciò
ad invadermi sempre più la nostalgia di Dio. La signora che mi ospitava,
per quanto fosse molto devota, non comprendeva però la felicità della
vita religiosa e, nella sua schietta semplicità, cominciò a prospettarmi
altri progetti di vita, ma io sentivo di avere un cuore così grande, che
nulla avrebbe potuto colmarlo. 

Mi rivolsi allora verso Dio con tutta la mia anima assetata di Lui. 
Fu durante l'ottava del Corpus Domini. Dio inondò
l'anima mia di una luce interiore tale da farmeLo riconoscere più
profondamente come il sommo bene e la suprema bellezza. Compresi
quanto Dio mi amasse: dall'eternità il suo amore per me! Fu durante i
vespri; con le parole semplici che mi sgorgavano dal cuore, feci a Dio /4
voto di castità perpetua. Da quel momento provai una maggiore intimità
con Dio, mio Sposo; da quel momento costruii nel mio cuore una celletta
dove m'incontravo sempre con Gesù. 

Venne finalmente il momento in cui s'aprì per me la porta 
del convento. Era la sera del primo agosto, vigilia
della Madonna degli Angeli. Mi sentivo infinitamente felice; mi pareva di
essere entrata nella vita del paradiso. Dal mio cuore erompeva, unica, la
preghiera della gratitudine. Dopo tre settimane però, m'accorsi che qui
era così poco il tempo dedicato all'orazione e che c'erano molte altre cose
che mi spingevano nell'intimo ad entrare in un convento di regola più
stretta. Tale pensiero prendeva sempre più forza dentro di me, ma non
era questa la volotità di Dio. 

Tuttavia quel pensiero, cioè quella tentazione si 
consolidava sempre più, tanto che un giorno decisi di
parlarne con la Madre Superiora e di uscire decisamente dal convento.
Tuttavia Iddio diresse le circostanze in modo tale che non potei accedere
alla Madre Superiora. Prima di andare a riposare, entrai nella cappellina
e domandai a Gesù di illuminarmi su questo problema; ma non ottenni
nulla nel mio intimo; solo s'impadronì di me una strana inquietudine che
non riuscii a comprendere. Tuttavia, nonostante tutto, mi proposi di
rivolgermi alla Madre Superiora di primo mattino, subito dopo la S.
Messa e comunicarle la decisione presa. 

Andai verso la cella; le suore
erano già coricate e le luci spente. Entrai, angosciata e insoddisfatta,
nella cella. Non sapevo più che fare. Mi buttai a terra e cominciai a
pregare con fervore per conoscere la volontà di Dio. Dappertutto silenzio,
come in un tabernacolo. Tutte le suore, simili a bianche ostie rinchiuse
dentro il calice di Gesù, riposavano e solo dalla mia cella Iddio udiva il
gemito di un'anima. Non sapevo che, senza autorizzazione, non era
consentito pregare nelle celle dopo le nove di sera
Dopo un momento,
nella mia cella si fece un chiarore e vidi sulla tenda il volto di Gesù molto
addolorato. Piaghe vive su tutto il Volto e grosse lacrime cadevano sulla
coperta del mio letto. Non sapendo che cosa tutto ciò potesse significare,
domandai a Gesù: « Gesù, chi ti ha causato un simile dolore? ». E Gesù
rispose: « Tu Mi causerai un simile dolore, se uscirai da questo
ordine. È qui che t'ho chiamata e non altrove e ho preparato
per te molte grazie ». Domandai perdono a Gesù e mutai all'istante la
decisione che avevo presa. 

Il giorno dopo ci fu la nostra confessione.
Raccontai tutto quello che era avvenuto nella mia anima ed il confessore
mi rispose che era evidente in ciò la volontà di Dio, che dovevo rimanere
in questa Congregazione e che non dovevo nemmeno pensare ad un altro
ordine. Da quel momento mi sento sempre felice e contenta. Poco tempo
dopo mi ammalai. La cara Madre Superiora mi mandò, assieme ad altre
due suore, a passare le vacanze a Skolimòw, un po' fuori Varsavia. In quel
tempo domandai al Signore Gesù: « Per chi ancora devo pregare? ». Gesù
mi rispose che la notte seguente m'avrebbe fatto conoscere per chi

dovevo pregare. 

Vidi l'Angelo Custode, che mi ordinò di seguirlo. In un
momento mi trovai in un luogo nebbioso, invaso dal fuoco e, in esso, una
folla enorme di anime sofferenti. Queste anime pregano con grande
fervore, ma senza efficacia per se stesse: soltanto noi le possiamo aiutare.
Le fiamme che bruciavano loro, non mi toccavano. Il mio Angelo Custode
non mi abbandonò un solo istante. E chiesi a quelle anime quale fosse il
loro maggior tormento. Ed unanimemente mi risposero che il loro
maggior tormento è l'ardente desiderio di Dio. Scorsi la Madonna che
visitava le anime del purgatorio. Le anime chiamano Maria « Stella del
Mare ». Ella reca loro refrigerio. Avrei voluto parlare più a lungo con
loro, ma il mio Angelo Custode mi fece cenno d'uscire. Ed uscimmo dalla
porta di quella prigione di dolore. Udii nel mio intimo una voce che disse:
« La Mia Misericordia non vuole questo, ma lo esige la giustizia ». 
Da allora sono in rapporti più stretti con le anime sofferenti del purgatorio.

***

ATTO DI AFFIDAMENTO 
DELLE SORTI DEL MONDO 
ALLA DIVINA MISERICORDIA

Dio, Padre misericordioso,
che hai rivelato il Tuo amore nel Figlio tuo Gesù Cristo,
e l’hai riversato su di noi nello Spirito Santo Consolatore,
Ti affidiamo oggi i destini del mondo e di ogni uomo.
ChìnaTi su di noi peccatori,
risana la nostra debolezza, sconfiggi ogni male,
fa che tutti gli abitanti della terra
sperimentino la tua misericordia,
affinché in Te, Dio Uno e Trino,
trovino sempre la fonte della speranza.
Eterno Padre, per la dolorosa Passione
e la Risurrezione del tuo Figlio,
abbi misericordia di noi e del mondo intero! Amen.
B. Papa Giovanni Paolo II

"Amo la Polonia in modo particolare e, se ubbidirà al Mio volere, l'innalzerò in potenza e santità. Da essa uscirà la scintilla che preparerà il mondo alla Mia ultima venuta" (Diario, 1732).





AVE MARIA!

domenica 4 ottobre 2015

E' questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio! ( Benedetto XVI )

DOMENICA 4 OTTOBRE 2015

San Francesco d’Assisi: “La santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo" ( Benedetto XVI)

Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico “gigante” della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione. 
“Nacque al mondo un sole”. 
Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. 
Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. 
A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. 
Si ammalò e fu liberato. 
Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. 
Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano. 
Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: “Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina”. 
Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. 
Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. 
Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. 
Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. 
E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. 
Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. 
Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. 
Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. 
Insieme cresce il vero rinnovamento. 
Ritorniamo alla vita di san Francesco. 
Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna. 
Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. 
Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. 
Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. 
Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. 
Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. 
Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo. 
In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. 
Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. 
La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. 
E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. 
Inoltre, sapeva che Cristo non è mai “mio”, ma è sempre “nostro”, che il Cristo non posso averlo “io” e ricostruire “io” contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio. 
E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. 
Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. 
Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. 
Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. 
Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni. 
Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana. 
Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco. 
Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa. 
Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco. 
Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. 
Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. 
In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. 
Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. 
È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). 
Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. 
Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa. 
Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. 
Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa. 
Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore. 
La morte di Francesco – il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. 
Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. 
Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. 
Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco. 
È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo.
Egli fu chiamato anche “il fratello di Gesù”. In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. 
In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. 
La prima beatitudine del Discorso della Montagna - Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco. 
Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. 
La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali. 
In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. 
Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: “Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane” (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401). 
In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: “Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo” (Francesco di Assisi, Scritti, 399). 
Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. 
Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. 
Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo
Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. 
È un messaggio molto attuale. 
Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. 
Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. 
La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio. Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. 
La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto.
 
Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. 

Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio! 

Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. 
Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro (Francesco di Assisi, Scritti, 163). 


Benedetto XVI, Udienza Generale 27 gennaio 2010