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martedì 6 gennaio 2015

Cristo, Luce del mondo, e la sua manifestazione alle genti. Papa Benedetto e LA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE


CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE

Basilica Vaticana, Domenica, 6 gennaio 2008





Così quella luce, pur modesta nel suo apparire sulla terra, si proiettava con potenza nei cieli: la nascita del Re dei Giudei era stata annunciata dal sorgere di una stella, visibile da molto lontano. Fu questa la testimonianza di “alcuni Magi”, giunti da oriente a Gerusalemme poco dopo la nascita di Gesù, al tempo del re Erode (cfr Mt 2,1-2). Ancora una volta si richiamano e si rispondono il cielo e la terra, il cosmo e la storia. Le antiche profezie trovano riscontro nel linguaggio degli astri. “Una stella spunta da Giacobbe / e uno scettro sorge da Israele” (Nb 24,17), aveva annunciato il veggente pagano Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse perché – gli rivelò Dio – “quel popolo è benedetto” (Nb 22,12). Cromazio di Aquileia, nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mettendo in relazione Balaam con i Magi; scrive: “Quegli profetizzò che Cristo sarebbe venuto; costoro lo scorsero con gli occhi della fede”. E aggiunge un’osservazione importante: “La stella era scorta da tutti, ma non tutti ne compresero il senso. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per tutti, ma non tutti lo hanno accolto” (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella prospettiva storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso esprime la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata ad estendersi a tutti i popoli della terra.

L’avvenimento evangelico che ricordiamo nell’Epifania – la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme – ci rimanda così alle origini della storia del popolo di Dio, cioè alla chiamata di Abramo. Siamo al capitolo 12° del Libro della Genesi. I primi 11 capitoli sono come grandi affreschi che rispondono ad alcune domande fondamentali dell’umanità: qual è l’origine dell’universo e del genere umano? Da dove viene il male? Perché ci sono diverse lingue e civiltà? Tra i racconti iniziali della Bibbia, compare una prima “alleanza”, stabilita da Dio con Noè, dopo il diluvio. Si tratta di un’alleanza universale, che riguarda tutta l’umanità: il nuovo patto con la famiglia di Noè è insieme patto con “ogni carne”. Poi, prima della chiamata di Abramo si trova un altro grande affresco molto importante per capire il senso dell’Epifania: quello della torre di Babele. Afferma il testo sacro che in origine “tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Gn 11,1). Poi gli uomini dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gn 11,4). La conseguenza di questa colpa di orgoglio, analoga a quella di Adamo ed Eva, fu la confusione delle lingue e la dispersione dell’umanità su tutta la terra (cfr Gn 11,7-8). Questo significa “Babele”, e fu una sorta di maledizione, simile alla cacciata dal paradiso terrestre.

A questo punto inizia la storia della benedizione, con la chiamata di Abramo: incomincia il grande disegno di Dio per fare dell’umanità una famiglia, mediante l’alleanza con un popolo nuovo, da Lui scelto perché sia una benedizione in mezzo a tutte le genti (cfr Gn 12,1-3). Questo piano divino è tuttora in corso e ha avuto il suo momento culminante nel mistero di Cristo. Da allora sono iniziati gli “ultimi tempi”, nel senso che il disegno è stato pienamente rivelato e realizzato in Cristo, ma chiede di essere accolto dalla storia umana, che rimane sempre storia di fedeltà da parte di Dio e purtroppo anche di infedeltà da parte di noi uomini. La stessa Chiesa, depositaria della benedizione, è santa e composta di peccatori, segnata dalla tensione tra il “già” e il “non ancora”. Nella pienezza dei tempi Gesù Cristo è venuto a portare a compimento l’alleanza: Lui stesso, vero Dio e vero uomo, è il Sacramento della fedeltà di Dio al suo disegno di salvezza per l’intera umanità, per tutti noi.

L’arrivo dei Magi dall’Oriente a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è il segno della manifestazione del Re universale ai popoli e a tutti gli uomini che cercano la verità. E’ l’inizio di un movimento opposto a quello di Babele: dalla confusione alla comprensione, dalla dispersione alla riconciliazione. Scorgiamo così un legame tra l’Epifania e la Pentecoste: se il Natale di Cristo, che è il Capo, è anche il Natale della Chiesa, suo corpo, noi vediamo nei Magi i popoli che si aggregano al resto d’Israele, preannunciando il grande segno della “Chiesa poliglotta”, attuato dallo Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua. L’amore fedele e tenace di Dio, che mai viene meno alla sua alleanza di generazione in generazione. E’ il “mistero” di cui parla san Paolo nelle sue Lettere, anche nel brano della Lettera agli Efesini poc’anzi proclamato: l’Apostolo afferma che tale mistero “gli è stato fatto conoscere per rivelazione” (Ep 3,3) e lui è incaricato di farlo conoscere.

Questo “mistero” della fedeltà di Dio costituisce la speranza della storia. Certo, esso è contrastato da spinte di divisione e di sopraffazione, che lacerano l’umanità a causa del peccato e del conflitto di egoismi. La Chiesa è, nella storia, al servizio di questo “mistero” di benedizione per l’intera umanità. In questo mistero della fedeltà di Dio, la Chiesa assolve appieno la sua missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è di aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell’autentico progresso. Infatti resta sempre valida la parola di Dio rivelata per mezzo del profeta Isaia: “… le tenebre ricoprono la terra, / nebbia fitta avvolge le nazioni; / ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te” (Is 60,2). Quanto il profeta annuncia a Gerusalemme, si compie nella Chiesa di Cristo: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60,3).

Con Gesù Cristo la benedizione di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla Chiesa universale come nuovo Israele che accoglie nel suo seno l’intera umanità. Anche oggi, tuttavia, resta in molti sensi vero quanto diceva il profeta: “nebbia fitta avvolge le nazioni” e la nostra storia. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro. I conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. 

C’è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti. “Questa grande speranza può essere solo Dio … non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano” (Enc. Spe salvi ): il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto. Se c’è una grande speranza, si può perseverare nella sobrietà. Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. 

La moderazione non è allora solo una regola ascetica, ma anche una via di salvezza per l’umanità. È ormai evidente che soltanto adottando uno stile di vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione delle ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile. Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti ad un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi. Abbiamo tutti bisogno di questo coraggio, ancorato a una salda speranza. Ce lo ottenga Maria, accompagnandoci nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua materna protezione. Amen!

lunedì 11 marzo 2013

Insuperabile modello d'omelia che traccia il volto e il cuore d'un autentico Pastore



OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Domenica, 6 gennaio 2013

Cari fratelli e sorelle!
Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e delSalmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).

Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. 

Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.
Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.

Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. 

Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae

L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.

Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri.

 Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.
Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.
Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, 

il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!
In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.

I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfrGv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).


Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.

© Copyright 2013 - Libreria Editrice Vaticana

GESU' MARIA VI AMO
SALVATE ANIME!

giovedì 3 gennaio 2013

#LOS TRES SABIOS ADORAN AL SALVADOR Y EXPLICAN PORQUE VINIERON A ADORAR AL NIÑO



ADORACIÓN DE LOS TRES REYES







DESCRIPCIÓN DE LA CIUDAD DE BELÉN

Veo a Belén ciudad pequeña, ciudad blanca, recogida como una pollada bajo la luz de las estrellas.Dos caminos principales la cruzan en forma de cruz. La una viene del otro poblado y es el camino principal que continúa, la otra que viene de otro poblado, ahí se detiene. Varias callejuelas dividen este poblado, en que no se puede ver ningún plano con que se haya edificado, como nosotros pensamos, sino que ha seguido las conformaciones del terreno, lo mismo que las casas han seguido los caprichos del suelo y de su constructor. Volteadas unas a la derecha, otras a la izquierda, otras fabricadas en el ángulo respecto del camino que pasa cerca de ella, hacen que él tome la forma de una cinta que se tuerce, y no la de línea recta. Acá y allá se ve alguna plazoleta, que bien puede servir para mercado, bien para dar cabida a una fuente, o también porque se le construyó sin ningún plan, y se ha quedado allí como un trozo de tierra oblicuo, sobre el que no es posible construir algo.
Me parece que en el punto donde estoy es una de esas plazoletas irregulares. Debió haber sido cuadrada o al menos rectangular, pero se ha convertido en un trapecio, tan raro, que parece un triángulo agudo, achatado en el vértice. En el lado más largo, la base del triángulo, hay una construcción larga y baja. La más grande del poblado. Por fuera hay una valla lisa por la que se ven dos portones, que están ahora cerrados. Por dentro, en el cuadro, hay muchas ventanas que dan al primer piso, mientras abajo hay pórticos que rodean el patio en que hay paja y excrementos esparcidos; también hay estanques donde beben agua los caballos y otros animales. Sobre las rústicas columnas hay argollas donde se atan los animales, y a un lado hay un largo tinglado para meter rebaños o cabalgaduras. Caigo en la cuenta de quees el albergue de Belén.
En los otros dos lados iguales hay casas y casuchas, algunas que tienen enfrente algún huerto, otras que no lo tienen. Entre ellas hay unas que con su fachada dan a la plaza y otras con su parte posterior. En la otra parte más estrecha, dando de frente al lugar de las caravanas, hay una sola casita, con una escalera externa que llega hasta la mitad de la fachada de las habitaciones. Todas las casas están cerradas, porque es de noche. No se ve a nadie por la calle.

UNA ESTRELLA LLENA DE LUZ ILUMINA A BELÉN

Veo que en el cielo aumenta la luz de las estrellas, tan hermosas en el suelo oriental, tan resplandecientes y grandes que parecen estar muy cerca, y que sea fácil llegar a ellas, tocarlas. Levanto la mirada para saber cuál es la razón de que aumente la luz. Una estrella, de insólito tamaño que parece ser una pequeña luna, avanza en el cielo de Belén. Las otras parecen eclipsarse y hacerse a un lado, como las damas cuando pasa la reina, pues su esplendor las domina, las anula. De la esfera, que parece un enorme zafiro pálido, al que por dentro encendiera un sol, sale un rayo al que además de su color netamente zafiro, se unen otros, cual el rubio de los topacios, el verde de las esmeraldas, el de ópalos, el rojizo de los rubíes, y los dulces centelleos de las amatistas. Todas las piedras preciosas de la tierra están en ese rayo que rasga el cielo con una velocidad y movimiento ondulante como si fuese algo vivo. El color que predomina es el que mana del centro de la estrella: el hermosísimo color de pálido zafiro, que pinta de azul plateado las casas, los caminos, el suelo de Belén, cuna del Salvador.
No es ya la pobre ciudad, que por lo menos para nosotros no pasa de ser un rancho. Es una ciudad fantástica de hadas en que todo es plata. Y el agua de las fuentes, de los estanques es un líquido diamantino.
La estrella con un resplandor mucho más intenso se detiene sobre la pequeña casa que está en el lado más estrecho de la plazuela. Nadie la ve porque todos duermen, pero la estrella hace vibrar más sus rayos y su cola vibra, ondea más fuerte trazando como semicírculos en el cielo, que se enciende de todo con esta red de astros que arrastra consigo, con esta red llena de piedras preciosas que brillan tiñendo con los más vagos colores las otras estrellas, como para decirles una palabra de alegría.
La casucha está sumergida en este fuego líquido de joyas. El techo de la pequeña terraza, la escalerilla de piedra oscura, la puertecilla, todo es como si fuese un bloque de plata pura, espolvoreado con diamantes y perlas. Ningún palacio real de la tierra jamás ha tenido ni tendrá una escalera semejante a este, por donde pasan los ángeles, por donde pasa la Madre de Dios. Sus piececitos de Virgen Inmaculada pueden posarse sobre ese cándido resplandor, sus piececitos destinados a posarse sobre las gradas del trono de Dios.
Pero la Virgen no sabe lo que pasa. Vela junto a la cuna de su Hijo y ora. En su alma tiene resplandores que superan en mucho los resplandores de la estrella que adorna las cosas.

UNA CARAVANA AVANZA POR EL CAMINO PRINCIPAL

Por el camino principal avanza una caravana. Caballos enjaezados y otros a quienes se les trae de la rienda, dromedarios y camellos sobre los que alguien viene cabalgando, o bien tirados de las riendas. El sonido de las pezuñas es como un rumor de aguas que se mete y restriega las piedras del arroyo. Llegados a la plaza, se detienen. La caravana, bajo los rayos de la estrella, es algo fantástico. Los arreos, los vestidos de los jinetes, sus rostros, el equipaje, todo resplandece al brillo de la estrella, metales, cuero, seda, joyas, pelambre. Los ojos brillan, de las bocas la sonrisa brota porque hay otro resplandor que ha prendido en sus corazones: el de una alegría sobrenatural.

TRES HOMBRES PODEROSOS, SE POSTRAN, 
BESAN EL POLVO Y 
VENERAN LA CASA DONDE ESTÁ LA CASA DEL SALVADOR

Mientras los siervos se dirigen al lugar donde se hospedan las caravanas, tres bajan de sus respectivos animales, que un siervo lleva a otra parte, y van a la casa a pieSe postran, con la frente en el suelo.Besan el polvoSon tres hombres poderosos. Lo indican sus riquísimos vestidos. Uno de piel muyoscura que bajó de un camello, se envuelve en una capa de blanca seda, que se sostiene en la frente y en la cintura con un cinturón precioso, y de este pende un puñal o espada que en su empuñadura tiene piedras preciosas. Los otros dos han bajado de soberbios caballos. El uno está vestido con una tela de rayas blanquísimas en que predomina el color amarillo. El capucho y el cordón parecen una sola pieza de filigrana de oro. El otro trae una camisola de seda de largas y anchas mangas unida al calzón, cuyas extremidades están ligadas en los pies. Está envuelto en finísimo manto, que parece un jardín por lo vivo de los colores de las flores que lo adornan. En la cabeza trae un turbante que sostiene una cadenilla engastada en diamantes.
Después de haber venerado la casa donde está el Salvador, se levantan y se van al lugar de las caravanas, donde están los siervos que pidieron albergue.

***

Es después del mediodía. El sol brilla en el cielo. Un siervo de los tres atraviesa la plaza, por la escalerilla de la pequeña casa entra, sale, regresa al albergue.

LOS TRES SABIOS ADORAN AL SALVADOR

Salen los tres personajes seguidos cada uno de su propio siervo. Atraviesan la plaza. Los pocos peatones se voltean a mirar a esos pomposos hombres que lenta y solemnemente caminan. Desde que salió el siervo y vienen los tres personajes ha pasado ya un buen cuarto de hora, tiempo suficiente para que los que viven en la casita se hayan preparado a recibir a los huéspedes.
Vienen ahora más ricamente vestidos que en la noche. La seda resplandece, las piedras preciosas brillan, un gran penacho de joyas, esparcidas sobre el turbante del que lo trae, centellea.
Un siervo trae un cofre todo embutido con sus remaches en oro bruñido. Otro una copa que es una preciosidad. Su cubierta es mucho mejor, labrada toda en oro. El tercer una especie de ánfora larga, también de oro, con una especie de tapa en forma de pirámide, y sobre su punta hay un brillante. Deben pesar, porque los siervos los traen fatigosamente, sobre todo el que trae el cofre.
Suben por la escalera. Entran. Entran en una habitación que va de la calle hasta la parte posterior de la casa. Se va al huertecillo por una ventana abierta al sol. Hay puertas en las paredes, y por ellas se asoman los propietarios: un hombre, una mujer, y tres o cuatro niños.
María está sentada con el Niño en sus rodillas. José a su lado, de pie. Se levanta, se inclina cuando ve que entran los tres Magos. Ella trae un vestido blanco que la cubre desde el cuello hasta los pies. Trenzas rubias adornan su cabecita. Su rostro está intensamente rojo debido a la emoción. En sus ojos hay una dulzura inmensa. De su boca sale el saludo: "Dios sea con vosotros". Los tres se detienen por un instante como sorprendidos, luego se adelantan, y se postran a sus pies. Le dicen que se siente.
Aunque Ella les invita a que se sienten, no aceptan. Permanecen de rodillas, apoyados sobre sus calcañales. Detrás, a la entrada, están arrodillados los siervos. Delante de sí han colocado los regalos y se quedan en espera.
Los tres Sabios contemplan al Niño, que creo que tiene ahora unos nueve meses o un año. Está muy despabilado. Es robusto. Está sentado sobre las rodillas de su Madre y sonríe y trata de decir algo con su vocecita. Al igual que la mamá, está vestido completamente de blanco. En sus piececitos trae sandalias. Su vestido es muy sencillo: una tuniquita de la que salen los piececitos intranquilos, unas manitas gorditas que quisieran tocar todo; sobre todo su rostro en que resplandecen dos ojos de color azul oscuro. Su boquita se abre y deja ver sus primeros dientecitos. Los rizos parecen rociados con polvo de oro por lo brillantes y húmedos que se ven.

LOS TRES MAGOS EXPLICAN PORQUE VINIERON A 
ADORAR AL NIÑO

El más viejo de los tres habla en nombre de todos. Dice a María que vieron en una noche  del pasado diciembre, que se prendía una nueva estrella en el cielo, de un resplandor inusitado. Los mapas del firmamento que tenían, no registraban esa estrella, ni de ella hablaban. Su nombre era desconocido.Nacida por voluntad de Dios, había crecido para anunciar a los hombres una verdad fausta, un secreto de Dios. Pero los hombres no le habían hecho caso, porque tenían el alma sumida en el fango. No habían levantado su mirada a Dios, y no supieron leer las palabras que Él trazó - siempre sea alabado- con astros de fuego en la bóveda de los cielos.
Ellos la vieron y pusieron empeño en comprender su voz. Quitándose el poco sueño que concedían a sus cansados cuerpos, olvidando la comida, se habían sumergido en el estudio del zodíaco. Las conjunciones de los astros, el tiempo, la estación, el cálculo de las horas pasadas y de las combinaciones astronómicas les habían revelado el nombre y secreto de la estrella. Su nombre: "Mesías." Su secreto: "Es el Mesías venido al mundo." Y vinieron a adorarlo. Ninguno de los tres se conocía. Caminaron por montes y desiertos, atravesaron valles y ríos, hasta que llegaron a Palestina porque la estrella se movía en esta dirección. Cada uno, de puntos diversos de la tierra, se había dirigido a igual lugar. Se habían encontrado de la parte del Mar Muerto. La voluntad de Dios los había reunido allí, y juntos habían continuado el camino, entendiéndose, pese a que cada uno hablaba su lengua, y comprendiendo y pudiendo hablar la lengua del país, por un milagro del Eterno.
Juntos fueron a Jerusalén, porque el Mesías debe ser el Rey de Jerusalén, el Rey de los judíos. Pero la estrella se había ocultado en el cielo de dicha ciudad, y ellos habían experimentado que su corazón se despedazaba de dolor y se habían examinado para saber si habían en algo ofendido a Dios. Pero su conciencia no les reprochó nada. Se dirigieron a Herodes para preguntarle en qué palacio había nacido el Rey de los judíos al cual habían venido a adorar. El rey, convocados los príncipes de los sacerdotes y los escribas, les preguntó que dónde nacería el Mesías y que ellos respondieron: "En Belén de Judá."

LE OFRECEN SUS POBRE DONES: 
EL ORO COMO CONVIENE A UN REY;
 EL INCIENSO, COMO ES PROPIO DE DIOS; 
Y LA MIRRA, PARA TI MADRE, 
PORQUE TU HIJO ES HOMBRE ADEMÁS DE 
DIOS, Y BEBERÁ DE LA VIDA HUMANA SU AMARGURA, 
Y LA LEY INEVITABLE DE LA MUERTE.

Ellos vinieron hacia Belén. La estrella volvió a aparecerse a sus ojos, al salir de la Ciudad santa, y la noche anterior había aumentado su resplandor. El cielo era todo un incendio. Luego se detuvo la estrella, y juntando las luces de todas las demás estrellas en sus rayos, se detuvo sobre esta casa. Ellos comprendieron que estaba allí el Recién nacido. Y ahora lo adoraban, ofreciéndole sus pobres dones y más que otra cosa su corazón, que jamás dejará de seguir bendiciendo a Dios por la gracia que les concedió y por amar a su Hijo, cuya Humanidad veían. Después regresarían a decírselo a Herodes porque él también deseaba venir a adorarlo.
"Aquí tienes el oro, como conviene a un rey; el incienso como es propio de Dios, y para ti, Madre, la mirra, porque tu Hijo es Hombre además de Dios, y beberá de la vida humana su amargura, y la ley inevitable de la muerte. Nuestro amor no quisiera decir estas palabras, sino pensar que fuese eterno en su carne, como eterno es su Espíritu, pero, ¡oh mujer!, si nuestras cartas, o mejor dicho, nuestras almas, no se equivocan, Él, tu Hijo, es el Salvador, el Mesías de Dios, y por esto deberá salvar la tierra, tomar en Sí sus males, uno de los cuales es el castigo de la muerte. Esta mirra es para esa hora, para que los cuerpos que son santos no conozcan la putrefacción y conserven su integridad hasta que resuciten. Que Él se acuerde de estos dones nuestros, y salve a sus siervos dándoles su reino. Por tanto, para ser nosotros santificados, Vos, la Madre de este Pequeñuelo nos lo conceda a nuestro amor, para que besemos sus pies y con ellos descienda sobre nosotros la bendición celestial."
María, que no siente ya temor ante las palabras del Sabio que ha hablado, y que oculta la tristeza de las fúnebres invocaciones bajo una sonrisa, les presenta su Niño. Lo pone en los brazos del más viejo, que lo besa y lo acaricia, y luego lo pasa a los otros dos.
Jesús sonríe y juguetea con las cadenillas y las cintas. Con curiosidad mira, mira el cofre abierto que resplandece con color amarillento, sonríe al ver que el sol forma una especie de arco iris, al dar sobre la tapa donde está la mirra.
Después los tres entregan a María el Niño y se levantan. También María se pone de pie. Se hacen mutua inclinación después que el más joven dio órdenes a su siervo y salió. Los tres hablan todavía un poco. No se deciden a separarse de aquella casa. Lágrimas de emoción hay en sus ojos. Se dirigen en fin a la salida. Los acompañan María y José.
El Niño quiso bajar y dar su manita al más anciano de los tres, y camina así, asido de la mano de María y del Sabio, que se inclinan para llevarlo de la mano. Jesús todavía tiene ese paso bamboleante de los pequeñuelos, y ríe golpeando sus piececitos sobre las líneas que el sol forma sobre el piso.

MARÍA TOMA LA MANITA DE JESÚS Y LO GUÍA HACIENDO 
QUE HAGA UN GESTO DE BENDICIÓN 
SOBRE LA CABEZA DE CADA MAGO.

Llegados al dintel -no debe olvidarse que la habitación es muy larga- los tres arrodillándose nuevamente,besan los pies de Jesús. María se inclina al Pequeñuelo, lo toma de la manita y lo guía, haciéndole que haga un gesto de bendición sobre la cabeza de cada Mago. Es una señal algo así como de cruz, que los deditos de Jesús, guiados por la mano de María, trazan en el aire.
Luego los tres bajan la escalera. La caravana está esperándolos. Los enjaezados caballos resplandecen con los rayos del atardecer. La gente está apiñada en la plazoleta. Se acercó a ver este insólito espectáculo.
Jesús ríe, batiendo sus manecitas. Su Madre lo ha levantado en alto y apoyado sobre el pretil que sirve de límite al suelo, y lo ase con un brazo contra su pecho para que no se caiga. José ha bajado con los tres Magos, y les detiene las cabalgaduras, mientras sobre ellas suben.
Los siervos y señores están sobre sus animales. Se da la orden de partir. Los tres se inclinan profundamente sobre su cabalgadura en señal de postrer saludo. José se inclina. También María, y vuelve a guiar la manita de Jesús en un gesto de adiós y bendición.
I. 184-191
A. M. D. G. et B.V.MARIAE

domenica 8 gennaio 2012

UNA SECONDA EPIFANIA: GESU' si è manifestato ai Magi dopo essersi mostrato ai pastori. Nel mistero del Giordano, Cristo si manifesta con maggior splendore.


BATTESIMO DI CRISTO


Il secondo Mistero dell'Epifania, il Mistero del Battesimo di Cristo nel Giordano, attira oggi in modo speciale l'attenzione della Chiesa. 
 L'Emmanuele si è manifestato ai Magi dopo essersi mostrato ai pastori; ma questa manifestazione è avvenuta nel ristretto spazio d'una stalla a Betlemme, e gli uomini di questo mondo non l'hanno conosciuta. 
Nel mistero del Giordano, Cristo si manifesta con maggior splendore. La sua venuta è annunciata dal Precursore; la folla che accorre al Battesimo del fiume ne fa testimonianza, e Gesù esordisce alla vita pubblica. 


Ma chi potrebbe descrivere la grandiosità delle cose che accompagnano questa seconda Epifania?

Il mistero dell'acqua.
Essa ha per oggetto, al pari della prima, il bene e la salvezza del genere umano; ma seguiamo il progredire dei Misteri. 


La stella ha condotto i Magi verso Cristo. Prima essi aspettavano e speravano; ora, credono. La fede nel Messia venuto comincia in seno alla Gentilità. Ma non basta credere per essere salvi; è necessario che la macchia del peccato sia lavata nell'acqua. "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo" (Mc 16,16): è tempo dunque che avvenga una nuova manifestazione del Figlio di Dio, per inaugurare il grande rimedio che deve dare alla Fede la virtù di produrre la vita eterna.
Ora, i decreti della divina Sapienza avevano scelto l'acqua come strumento di questa sublime rigenerazione della razza umana. 
Già all'origine delle cose lo Spirito di Dio ci è rappresentato mentre sorvola sulle acque, affinché, come canta la Chiesa il Sabato Santo, la loro natura concepisse già un principio di santificazione. 
Ma le acque dovevano servire alla giustizia contro il mondo colpevole, prima di essere chiamate a compiere i disegni della misericordia. Ad eccezione d'una sola famiglia, il genere umano per un terribile decreto, scomparve sotto le acque del diluvio.
Tuttavia, alla fine di quella terribile scena, si manifestò un nuovo indizio della futura fecondità di questo elemento predestinato. 
La colomba, uscita per un momento dall'arca della salvezza, vi rientrò con un ramoscello d'ulivo, simbolo della pace ridata alla terra dopo l'effusione dell'acqua. Ma il compimento del mistero annunciato era ancora lontano.


Nell'attesa del giorno in cui il mistero sarebbe stato manifestato, Dio moltiplicò le immagini destinate a sostenere l'attesa del suo popolo. Così, fu attraversando le acque del Mar Rosso che il popolo arrivò alla Terra promessa; e durante il misterioso tragitto, una colonna di nube copriva insieme il cammino d'Israele e le acque benedette alle quali questi doveva la sua salvezza.
Ma il solo contatto delle membra umane d'un Dio incarnato poteva dare alle acque la virtù purificatrice che ogni uomo colpevole sospirava. 
Dio aveva dato il Figlio suo non al mondo soltanto come Legislatore, Redentore e Vittima di Salvezza, ma perché fosse anche il Santificatore delle acque; e appunto in seno a questo sacro elemento doveva rendergli una testimonianza divina, manifestarlo una seconda volta.

Il battesimo di Gesù.
Gesù dunque, all'età di trent'anni, va verso il Giordano, fiume già famoso per le meraviglie profetiche operate nelle sue acque. 
Il popolo ebreo, risvegliato dalla predicazione di Giovanni Battista, accorreva in massa per ricevere il Battesimo che poteva produrre il pentimento del peccato, ma non cancellarlo. 


Il nostro divino Re va anch'egli al fiume, non per cercarvi la santificazione, poiché egli è il principio di ogni giustizia, ma per dare finalmente alle acque la virtù di produrre, come canta la Chiesa, una razza nuova e santa. 


Scende nel letto del Giordano, non più come Giosuè per attraversarlo a piedi asciutti, ma affinché il Giordano lo cinga delle sue acque, e riceva da lui, per comunicarla a tutto l'elemento, quella virtù santificatrice che esso non perderà mai più. Riscaldate dai divini ardori del Sole di giustizia, le acque divengono feconde, nel momento in cui il sacro capo del Redentore viene immerso nel loro seno dalla mano tremante del Precursore.


Ma in questo preludio di una nuova creazione, è necessario che intervenga tutta la Trinità. Si aprono i cieli, e ne scende la Colomba, non più come simbolo e figura, ma per annunciare la presenza dello Spirito d'amore che dà la pace e trasforma i cuori. Essa si ferma e si posa sul capo dell'Emmanuele, scendendo insieme sull'umanità del Verbo e sulle acque che bagnano le sue auguste membra.

La testimonianza del Padre.

Tuttavia il Dio-Uomo non era manifestato ancora con abbastanza splendore; bisognava che la parola del Padre risonasse sulle acque, e le agitasse fin nella profondità dei loro abissi. Allora si fece sentire quella Voce che aveva cantata David: Voce del Signore che risuona sulle acque, tuono del Dio di maestà che spezza i cedri del Libano, l'orgoglio dei demoni, che spegne il fuoco dell'ira celeste, che scuote il deserto, che annuncia un nuovo diluvio (Sal 28), un diluvio di misericordia; e quella voce che diceva: "Questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto".



Così fu manifestata la Santità dell'Emmanuele dalla presenza della divina Colomba e dalla voce del Padre, come era stata manifestata la sua Regalità dalla muta testimonianza della Stella. 


 Compiuto il divino mistero e investito della virtù purificatrice l'elemento delle acque, Gesù esce dal Giordano e torna a riva, portando con sé - secondo l'opinione dei Padri - rigenerato e santificato il mondo di cui lasciava sotto le acque i delitti e le immondezze.

Usanze.
Come è grande la festa dell'Epifania, che ha per oggetto di onorare così sublimi misteri! E come non c'è da stupire se la Chiesa Orientale ha fatto di questo giorno una delle date per l'amministrazione solenne del Battesimo. Gli antichi monumenti della Chiesa delle Gallie ci mostrano che l'usanza esisteva anche presso i nostri avi; e più d'una volta - stando a quanto riferisce Giovanni Mosco (550-640 circa) - si vide il santo battistero riempirsi d'un'acqua miracolosa il giorno di questa grande festa, e asciugarsi da sé dopo l'amministrazione del Battesimo. La Chiesa Romana, fin dal tempo di san Leone, insisté per riservare alle feste di Pasqua e di Pentecoste l'onore di essere gli unici giorni consacrati alla celebrazione solenne del primo fra i Sacramenti; ma in parecchi luoghi dell'Occidente si conservò e dura ancora oggi l'usanza di benedire l'acqua con una solennità del tutto speciale nel giorno dell'Epifania.


La Chiesa d'Oriente ha conservato inviolabilmente tale usanza. La funzione ha luogo, ordinariamente, nella Chiesa, ma talvolta il Pontefice si reca sulle rive di un fiume, accompagnato dai sacerdoti e dai ministri rivestiti dei più ricchi paramenti e seguito da tutto il popolo. Dopo alcune magnifiche preghiere, che ci dispiace di non poter riportare qui, il Pontefice immerge nelle acque una croce rivestita di pietre preziose che significa il Cristo, imitando così l'azione del Precursore. Un tempo, a Pietroburgo, la cerimonia aveva luogo sulla Neva, e attraverso un'apertura praticata nel ghiaccio il Metropolita faceva scendere la croce nelle acque. Questo rito si osserva parimenti nelle Chiese dell'Occidente che hanno conservato l'usanza di benedire l'acqua nella Festa dell'Epifania.


I fedeli si affrettano ad attingere nella corrente del fiume quell'acqua consacrata; e san Giovanni Crisostomo - nella sua ventiquattresima Omelia sul Battesimo di Cristo - attesta, chiamando a testimone il suo uditorio, che quell'acqua non si corrompeva mai. Lo stesso prodigio è stato riconosciuto molte volte in Occidente.


Glorifichiamo dunque Cristo per questa seconda manifestazione del suo divino carattere, e rendiamogli grazie, insieme con la santa Chiesa, per averci dato, dopo la Stella della fede che ci illumina, l'Acqua potente che toglie le nostre immondezze. 


Nella nostra riconoscenza, ammiriamo l'umiltà del Salvatore che si curva sotto la mano di un uomo mortale al fine di compiere ogni giustizia, come dice egli stesso; poiché, avendo assunto la forma del peccato era necessario che sopportasse l'umiliazione per risollevarci dal nostro abbassamento. Ringraziamolo per questa grazia del Battesimo che ci ha aperto le porte della Chiesa terrena e della Chiesa celeste. Infine, rinnoviamo gli impegni che abbiamo contratti sul sacro fonte, e che sono stati la condizione di questa nuova nascita.


MESSA
La Messa è quella dell'Epifania, eccetto le Orazioni ed il Vangelo.

VANGELO (Gv 1,29-34). - In quel tempo Giovanni vide Gesù venire a lui, ed esclamò: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati dal mondo. Egli è colui del quale ho detto: dopo di me viene uno che è avanti di me, perché era prima di me. Ed io non lo conoscevo; ma affinché egli sia conosciuto in Israele, io venni a battezzare con acqua. E Giovanni rese la sua testimonianza dicendo: Ho veduto lo Spirito scendere dal cielo a guisa di colomba e posarsi su di lui. Ed io nulla sapevo di lui; ma chi mi inviò a battezzare con acqua mi disse: Colui sul quale vedrai scendere e fermarsi lo Spirito, è colui che battezza con lo Spirito. Ed io ho veduto, ed ho attestato che egli è il Figlio di Dio.
"Celeste Agnello, tu sei sceso nel fiume per purificarlo; la divina Colomba è venuta dalle altezze del cielo ad unire la sua dolcezza alla tua, e sei tornato a riva. Ma - oh prodigio della tua misericordia! - dopo di te sono scesi i lupi nelle acque santificate: ed ecco che essi tornano verso di te trasformati in agnelli. Noi tutti, immondi per il peccato, diventiamo, uscendo dal sacro fonte, le candide pecorelle del tuo divino Cantico, che tornano dal lavatoio tutte feconde, non una sterile; quelle caste colombe che sembra si siano bagnate nel latte, e che hanno fissato la propria dimora presso chiare fontane: tanto è potente la virtù purificatrice che il tuo divino contatto ha dato a quelle acque!

Mantieni in noi il candore che deriva da te, o Gesù, e se l'abbiamo perduto, ridonacelo con il battesimo della Penitenza, il quale soltanto può ridare il candore del nostro primo abito! Spandi ancor più quel fiume d'amore, o Emmanuele! 
Che le sue acque vadano a cercare nel più profondo dei loro selvaggi deserti quelli che finora non hanno raggiunto; inonda la terra, come tu hai promesso. 
Ricordati della gloria nella quale fosti manifestato in mezzo al Giordano; 
dimentica i delitti che da troppo tempo ritardano la predicazione del tuo Vangelo su quelle plaghe desolate. 

Il Padre celeste comanda ad ogni creatura di ascoltarti: parla ad ogni creatura, o Emmanuele!".
***
OMELIA 
8 gennaio 2012

Cari fratelli e sorelle!

E’ sempre una gioia celebrare questa Santa Messa con i Battesimi dei bambini, nella Festa del Battesimo del Signore. Vi saluto tutti con affetto, cari genitori, padrini e madrine, e tutti voi familiari e amici! Siete venuti – l’avete detto ad alta voce – perché i vostri neonati ricevano il dono della grazia di Dio, il seme della vita eterna. Voi genitori avete voluto questo. Avete pensato al Battesimo prima ancora che il vostro bambino o la vostra bambina venisse alla luce. La vostra responsabilità di genitori cristiani vi ha fatto pensare subito al Sacramento che segna l’ingresso nella vita divina, nella comunità della Chiesa. Possiamo dire che questa è stata la vostra prima scelta educativa come testimoni della fede verso i vostri figli: la scelta è fondamentale!
Il compito dei genitori, aiutati dal padrino e dalla madrina, è quello di educare il figlio o la figlia. Educare è molto impegnativo, a volte è arduo per le nostre capacità umane, sempre limitate. Ma educare diventa una meravigliosa missione se la si compie in collaborazione con Dio, che è il primo e vero educatore di ogni uomo.
Nella prima Lettura che abbiamo ascoltato, tratta dal Libro del profeta Isaia, Dio si rivolge al suo popolo proprio come un educatore. Mette in guardia gli Israeliti dal pericolo di cercare di dissetarsi e di sfamarsi alle fonti sbagliate: "Perché - dice - spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?" (Is 55,2). Dio vuole darci cose buone da bere e da mangiare, cose che ci fanno bene; mentre a volte noi usiamo male le nostre risorse, le usiamo per cose che non servono, anzi, che sono addirittura nocive. Dio vuole darci soprattutto Se stesso e la sua Parola: sa che allontanandoci da Lui ci troveremmo ben presto in difficoltà, come il figlio prodigo della parabola, e soprattutto perderemmo la nostra dignità umana. E per questo ci assicura che Lui è misericordia infinita, che i suoi pensieri e le sue vie non sono come i nostri – per nostra fortuna! – e che possiamo sempre ritornare a Lui, alla casa del Padre. Ci assicura poi che se accoglieremo la sua Parola, essa porterà frutti buoni nella nostra vita, come la pioggia che irriga la terra (cfr Is 55,10-11).
A questa parola che il Signore ci ha rivolto mediante il profeta Isaia, noi abbiamo risposto con il ritornello del Salmo: "Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza". Come persone adulte, ci siamo impegnati ad attingere alle fonti buone, per il bene nostro e di coloro che sono affidati alla nostra responsabilità, in particolare voi, cari genitori, padrini e madrine, per il bene di questi bambini. E quali sono "le sorgenti della salvezza"? Sono la Parola di Dio e i Sacramenti. Gli adulti sono i primi a doversi alimentare a queste fonti, per poter guidare i più giovani nella loro crescita. I genitori devono dare tanto, ma per poter dare hanno bisogno a loro volta di ricevere, altrimenti si svuotano, si prosciugano. I genitori non sono la fonte, come anche noi sacerdoti non siamo la fonte: siamo piuttosto come dei canali, attraverso cui deve passare la linfa vitale dell’amore di Dio. Se ci stacchiamo dalla sorgente, noi stessi per primi ne risentiamo negativamente e non siamo più in grado di educare altri. Per questo ci siamo impegnati dicendo: "Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza".
E veniamo ora alla seconda Lettura e al Vangelo. Essi ci dicono che la prima e principale educazione avviene attraverso la testimonianza. Il Vangelo ci parla di Giovanni il Battista. Giovanni è stato un grande educatore dei suoi discepoli, perché li ha condotti all’incontro con Gesù, al quale ha reso testimonianza. Non ha esaltato se stesso, non ha voluto tenere i discepoli legati a sé. Eppure Giovanni era un grande profeta, la sua fama era molto grande. Quando è arrivato Gesù, si è tirato indietro e ha indicato Lui: "Viene dopo di me colui che è più forte di me… Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo" (Mc 1,7-8). Il vero educatore non lega le persone a sé, non è possessivo. Vuole che il figlio, o il discepolo, impari a conoscere la verità, e stabilisca con essa un rapporto personale. L’educatore compie il suo dovere fino in fondo, non fa mancare la sua presenza attenta e fedele; ma il suo obiettivo è che l’educando ascolti la voce della verità parlare al suo cuore e la segua in un cammino personale.
Ritorniamo ancora alla testimonianza. Nella seconda Lettura, l’apostolo Giovanni scrive: "E’ lo Spirito che dà testimonianza" (1 Gv 5,6). Si riferisce allo Spirito Santo, lo Spirito di Dio, che rende testimonianza a Gesù, attestando che è il Cristo, il Figlio di Dio. Lo si vede anche nella scena del battesimo nel fiume Giordano: lo Spirito Santo scende su Gesù come una colomba per rivelare che Lui è il Figlio Unigenito dell’eterno Padre (cfr Mc 1,10). Anche nel suo Vangelo Giovanni sottolinea questo aspetto, là dove Gesù dice ai discepoli: "Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio" (Gv 15,26-27). Questo ci è di grande conforto nell’impegno di educare alla fede, perché sappiamo che non siamo soli e che la nostra testimonianza è sostenuta dallo Spirito Santo.
File:Bartolomé Esteban Murillo - Tres Ángeles Niños.jpg

E’ molto importante per voi genitori, e anche per i padrini e le madrine, credere fortemente nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo, invocarlo e accoglierlo in voi, mediante la preghiera e i Sacramenti. E’ Lui infatti che illumina la mente, riscalda il cuore dell’educatore perché sappia trasmettere la conoscenza e l’amore di Gesù. La preghiera è la prima condizione per educare, perché pregando ci mettiamo nella disposizione di lasciare a Dio l’iniziativa, di affidare i figli a Lui, che li conosce prima e meglio di noi, e sa perfettamente qual è il loro vero bene. E, al tempo stesso, quando preghiamo ci mettiamo in ascolto delle ispirazioni di Dio per fare bene la nostra parte, che comunque ci spetta e dobbiamo realizzare. I Sacramenti, specialmente l’Eucaristia e la Penitenza, ci permettono di compiere l’azione educativa in unione con Cristo, in comunione con Lui e continuamente rinnovati dal suo perdono. La preghiera e i Sacramenti ci ottengono quella luce di verità grazie alla quale possiamo essere al tempo stesso teneri e forti, usare dolcezza e fermezza, tacere e parlare al momento giusto, rimproverare e correggere nella giusta maniera.
Cari amici, invochiamo dunque tutti insieme lo Spirito Santo, perché scenda in abbondanza su questi bambini, li consacri ad immagine di Gesù Cristo, e li accompagni sempre nel cammino della loro vita. Li affidiamo alla guida materna di Maria Santissima, perché crescano in età, sapienza e grazia e diventino veri cristiani, testimoni fedeli e gioiosi dell’amore di Dio. Amen.
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AMDG