martedì 14 maggio 2019

Sì, in un piccolo resto...


TROVERA' LA FEDE SULLA TERRA?
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XII n° 5 - Maggio 2019

 “Quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà la fede sulla terra?”: è questa la domanda che, espressa da Nostro Signore Gesù Cristo, torna continuamente nella nostra mente nei giorni che ci è chiesto di vivere.

 Forse tutti i cristiani, di tutte le generazioni cristiane, l'hanno udita riecheggiare dentro, nella costante e implacabile lotta della vita. Certo, tutte le anime seriamente impegnate, preoccupate di conservare la fede difronte al mondo, hanno sentito risuonare quelle terribili e solenni parole... “troverà la fede sulla terra?”.
 Come però negare che oggi l'eco dell'interrogativo di Cristo ci raggiunge con una drammaticità che toglie il respiro?

  Ma c'è una cosa che fa ancora più tremare ed è che questa domanda diventa forte come un rombo di tuono non difronte al mondo, già da troppo tempo perso in uno stanco e reiterato laicismo, ma difronte alla Chiesa che, nel suo insieme, sembra aver smarrito la strada della fede autentica.

 E se il Signore si riferisse proprio alla sua Chiesa quando parlava di “terra”? Eh sì, perché affinché la terra degli uomini faccia ritrovare la fede a Cristo che torna, occorre che questa fede la Chiesa l'abbia custodita e, così custodita, comunicata.

 Ma quale fede?
 Quale fede dovrà trovare Cristo che torna?

 Certamente non una vaga religiosità, quella c'era già senza Cristo e ci sarà sempre.

 Non cercherà, il Signore, una vaga religiosità naturale, a cui magari affrettatamente qualche ecclesiastico avrà aggiunto un altrettanto affrettato “timbro” cristiano.
 Non una vaga religiosità naturale, la fede in un Dio generico che, come uscita di sicurezza, deve pur esserci per l'uomo che, consumata la vita su questa terra, si ritrova senza più niente in mano.

 No, non è questa la fede.

 La fede di Cristo, quella che lui cerca, è la fede nella vita soprannaturale che Lui è venuto a portare nel mondo; quella vita per cui lui è morto in Croce.
 È la fede nella vita di Grazia, quella comunicata dai sacramenti, tutti e sette, e custodita dai comandamenti, tutti e dieci.

 Gesù è venuto per elevare la nostra vita, per portarla in Dio unica nostra pace, e perché questa elevazione sia reale, si produca sul serio, chiede la rinuncia a se stessi, che inizia dalla rinuncia al peccato.

 Nella notte di Pasqua, nel cuore della Veglia, la Chiesa ci ha chiesto di ripetere le promesse del battesimo: Rinunciate a Satana e a tutte le sue opere?... Credete in Dio...?

 La fede, quella che dà davvero la vita eterna, produce una operazione reale nella vita, di rinuncia a sé e di consegna a Dio. La fede naturale, invece, non chiede niente e non produce niente.

 Il battesimo con le sue promesse ha aperto per noi, dono inaudito, la vita di Dio.
 “Quando Cristo tornerà” troverà questa fede sulla terra?

 Molta Chiesa Cattolica sembra averla già abbandonata nell'illusione di essere più facilmente accettata nella società praticamente atea di oggi.

 Certo, questa chiesa dalla fede “ridotta” non sarà mai la Chiesa Cattolica, ma la abita da dentro occupandola abbondantemente.

 E questa chiesa dalla fede “ridotta” ha da tempo il suo clero: un clero muto, che non chiama alla conversione perché in fondo, per lui, il peccato è solo un modo per dire la fatica del vivere.

 Questa chiesa dalla fede “ridotta” ha da tempo il suo clero che è pronto a benedire tutto, pur di sedersi nel salotto buono della società.
 Sì, perché nel vuoto della fede resta, per sentirsi ancora vivi, solo una cosa: esserci ancora in tutte le iniziative; e in nome di questo presenzialismo, non si cura la crescita di quel piccolo resto che ancora conserva la fede autentica, la fede di Cristo. Non si cura amorevolmente il piccolo resto, ma lo si scandalizza mentre si conversa nel salotto buono della società.

 Ci si illude che tutto diventi cristiano con un passaggio frettoloso in chiesa, con una benedizione a uno dei tanti “cippi” della religione civile, prendendo la parola tra un sindaco e un assessore.

 Sono illusioni e non benedizioni queste, perché non hanno, dentro, il movimento della Grazia, cioè la rinuncia a Satana e il credere in Dio.

 No, non basta davvero un passaggio in chiesa, non basta l'assistenza ad una messa affrettata e umanizzata, dove la preoccupazione è salire sul palco; non basta questa messinscena perché le cose diventino cristiane.

 Occorre che la vita degli uomini e della società lo siano davvero cristiane, cioè che portino dentro, anche come giudizio culturale, la rinuncia a Satana e l'obbedienza a Dio.

 Occorre che siano veramente cristiane, con tutti i sacramenti e tutti i comandamenti... per la gloria di Dio e la vita degli uomini.

AMDG et DVM

LA MESSA CATTOLICA - E L' "ALTER CHRISTUS"


Il testo del saluto di don Stefano Coggiola 
a don Alberto Secci
in occasione del suo XXV° di Sacerdozio

 Nella festa di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, quest'anno vi è per noi tutti un motivo particolare per esprimere la gratitudine al Signore e alla Vergine Maria: il XXV° di sacerdozio di don Alberto.

 Carissimo don Alberto, permettimi di rivolgerti alcune parole partendo dalla frase che hai scelto per l'immaginetta di questo tuo anniversario, immaginetta che distribuirai al termine della Messa ai cari fedeli qui presenti: 
...questo piccolo resto disprezzato possedeva un tesoro: la messa cattolica che è ciò che di più bello c'è al mondo. Sono commoventi e drammatiche parole prese da un libro che ti sconvolse anni fa, “La Riforma liturgica Anglicana” di M. Davies: dalla Riforma della Messa – si legge in quest'opera - entrò l'eresia nella Chiesa d'Inghilterra nel XVI secolo. Una straordinaria attualità; un testo, quello di Davies, che ti fu di grande aiuto, testo fondamentale, chiarissimo: l'ambiguità del rito porta all'eresia di fatto. Non è forse quello che è successo e che è sotto gli occhi di tutti, don Alberto? Non è forse per questo motivo che oggi tu, insieme a ciascuno di noi, sei grato al Signore per averti permesso di vivere la Tradizione della Chiesa?

 Venticinque anni fa nella Collegiata di Domodossola celebravi la tua prima Santa Messa. L'allora arciprete, don Mauro Botta, rivolgendoti un saluto lesse l'atto di Battesimo e le note marginali, in esso riportate, riguardanti la tua Cresima, l'ordinazione diaconale e quella sacerdotale.

 Così diceva: “ [...] Era l'anno del Signore 1963. Il 26 del mese di gennaio nella parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio, presso la cappella dell'Ospedale, è stato presentato alla Chiesa un fanciullo nato il 19 del mese di gennaio alle ore 18.15 figlio di Secci Francesco e di Carboni Anna cui si ministrò il Battesimo da don Giuseppe Pirazzi e si impose il nome Alberto... Le note marginali dicono: Secci Alberto cresimato a Sagliano Micca da mons. Vittorio Piola il 21.10.1973; ordinato diacono il 24.10.1987; ordinato sacerdote il 25.6.1988 da mons. Aldo Del Monte nella Cattedrale di Novara. [...]”.

 Un'anagrafe ecclesiale scarna sì, ma essenziale, dei doni di grazia che il Signore ti ha fatto e delle date precise in cui ti ha prediletto: dal dono della fede nel giorno del Battesimo a quello del Sacerdozio cattolico.

 Nel biellese, lo sappiamo bene, hai trascorso gli anni dell'infanzia in una buona parrocchia, guidata da un vecchio buon parroco con una fortissima devozione alla Madonna, lì sicuramente ci fu, e tu lo sai bene, il primo germe della vocazione: il servizio all'altare, il mese di maggio, il santuario di Oropa... accanto alla fedeltà della tua mamma al suo compito quotidiano, alla Messa, al senso del dovere e dell'ordine del papà e a tante altre cose che segnarono positivamente la tua infanzia cattolica.

 Un'intensa e agguerrita militanza cattolica, la preghiera, il rosario, la Messa quotidiana, l'amore alla Chiesa e alla sua storia, la lettura dei grandi autori spirituali ti portarono all'evidenza della vocazione Sacerdotale: Cristo è tutto, la Chiesa è il suo Corpo: come non dare la vita per questo?

 Alle date che abbiamo ascoltato poco fa mi permetto, non senza commozione, di aggiungere quella del 10 luglio 2007, un martedì, giorno a partire dal quale hai iniziato a celebrare esclusivamente la Santa Messa di sempre. 
   Tu stesso hai raccontato con semplicità quella decisione a chi ti domandò come avvenne l'incontro con la santa Messa tradizionale e cosa ti portò, nonostante le difficoltà, ad abbracciare in esclusiva questo rito:  
   “[La Messa tradizionale] È come se ci fosse sempre stata. Ricordo di non aver mai sopportato un certo modo di celebrare, di aver avvertito il ridicolo di molte liturgie, questo da sempre. Era come sapere che si era in un momento confuso, di guado drammatico, ma che si sarebbe tornati a casa. Tutto in chiesa ti parlava della liturgia antica, solo lei mancava, e si aspettava. Da vicario parrocchiale e più ancora da parroco feci tutto quello che al momento mi sembrava possibile: altare ad orientem, canto gregoriano con i fedeli, comunione in bocca, uso costante dell'abito talare, incontri di dottrina per gli adulti, catechismo tradizionale per i bambini. Ma non bastava, c'era il cuore della Messa in questione, ma come fare, ero già “inquisito” da anni per quel poco che avevo fatto! 
   Nel 2005 introdussi nella Messa di Paolo VI prima l'offertorio poi il canone della Messa di sempre. Aspettai con pazienza il più volte annunciato Motu Proprio, che sembrava non arrivare mai, e il 10 luglio 2007 iniziai, era un martedì, a celebrare solo la Messa di sempre. Devo dire che il colpo finale lo diede mio fratello: in una gita in montagna il giorno prima mi disse “non so cosa stai aspettando”... era il segno che dovevo iniziare”.

 La ricorrenza del tuo XXV° di sacerdozio, allora, carissimo don Alberto, è giusto che sia un mettere al centro la santa Messa di sempre, la sua unicità, la sua bellezza e, mettere al centro la santa Messa tradizionale significa mettere al centro Gesù Cristo, la sua Passione e la sua Morte redentrici.

 Non possiamo leggere senza emozione ciò che dice il concilio di Trento sul rito tradizionale della Messa: «E poiché le cose sante devono essere trattate santamente, e questo è il sacrificio più santo, la chiesa cattolica, perché esso potesse essere offerto e ricevuto degnamente e con riverenza, ha stabilito da molti secoli il sacro canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente, che non profumi estremamente di santità e di pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono, formato com’è dalle parole stesse del Signore, da quanto hanno trasmesso gli apostoli e istituito piamente anche i santi pontefici».

 E' con questa certezza che possiamo affermare della Messa tradizionale che essa è “...ciò che di più bello c'è al mondo”! Quando cadrà sotto i nostri occhi l'immaginetta del tuo anniversario, immaginetta che conserverò gelosamente nel breviario, e che, sicuramente, verrà conservata dai fedeli nel messalino, rileggendo queste dolci parole, tornerò e torneremo con la mente e il cuore all'importante compito che la provvidenza ci ha assegnato: conservare la santa Messa, conservare, nonostante la nostra piccolezza, la santa Tradizione della Chiesa.

 Caro don Alberto rimani forte nella fede, fedele al vero sacrificio della Messa, al vero e santo sacerdozio di Nostro Signore, per il trionfo e la gloria di Gesù in cielo e in terra. Si degni Dio, per intercessione di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, di accordarti la grazia della fedeltà al sacerdozio che hai ricevuto e che desideri fortemente esercitare per l’onore di Dio, il trionfo della Chiesa e la salvezza delle anime.
AMEN!

SE MI AMI...

Se mi ami, scrivimi

Se mi ami, scrivimi,
ti prego;
se sei imbronciato con me,
scrivimi lo stesso,
a dispetto del tuo broncio.
Sarà sempre per me
una grande gioia
ricevere una lettera da un amico,
anche se un po' irritato.

Dunque, decìditi...
Esci dalla tua indolenza!
E non dire che non hai nulla da scrivere.
Se non hai nulla da scrivermi,
scrivimi che non hai nulla da scrivermi:
per me sarà già qualcosa
di importante e di bello!
Basilo Il Grande
Poesie d'Autore - da PensieriParole.it <https://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/>

AMDG et DVM

Siamo provvidenzialmente affidati agli Angeli. Serviamocene per la gloria di Dio.


LITANIE AGLI ANGELI

Signore, pietà Signore pietà
Cristo, pietà Cristo pietà
Signore pietà, Signore pietà
Cristo, ascoltaci Cristo, ascoltaci
Cristo esaudiscici Cristo esaudiscici
Padre del cielo, che sei Dio abbi pietà di noi
Figlio, redentore del mondo, che sei Dio abbi pietà di noi
Spirito Santo, che sei Dio abbi pietà di noi 
Santa Trinità, unico Dio abbi pietà di noi   
Per la creazione del mondo dei puri spiriti noi ti rendiamo grazie, Padre
Per aver affidato ogni uomo a un angelo con il compito di custodirlo sulla via del cielo noi ti rendiamo grazie, Padre
Per l'arcangelo san Michele, da te eletto condottiero delle milizie celesti noi ti rendiamo grazie, Padre
Per l'annunzio che tu stesso, con due angeli, recasti ad Abramo e Sara, per la nascita di Isacco noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per gli angeli inviati alla famiglia di Lot, per liberarla dalla distruzione di Sodoma e Gomorra noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo, inviato ad Agar, per salvare suo figlio Ismaele noi ti rendiamo grazie, Padre
Per l'angelo inviato per trattenere la mano di Abramo e benedirlo per la sua obbedienza noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato a Mosé, per sostenerlo come guida del tuo popolo noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per gli angeli, mandati in visione a Giacobbe, per annunciare la tua predilezione per lui noi ti rendiamo grazie, Padre
Per l'angelo, inviato con un cibo prodigioso al profeta Elia, per sostenerlo nel suo cammino noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo, inviato al re Ezechia, per liberare Gerusalemme dall'assedio di Sennacherib noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'arcangelo san Raffaele che inviasti a Tobia, per accompagnare Tobi e dare la guarigione a Tobia e a Sara noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato ai tre giovani, per liberarli dalla fornace ardente noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato al profeta Daniele, per liberarlo dalla bocca dei leoni noi ti rendiamo grazie, Padre
Per l'arcangelo san Gabriele, inviato a Zaccaria, per annunziare la nascita di Giovanni Battista noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'arcangelo san Gabriele, inviato a Maria, per annunziare l'incarnazione del Verbo noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato in sogno a Giuseppe, sposo di Maria, per illuminarlo e guidarlo come capo della sacra famiglia noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato ai pastori, per annunziare la nascita del Redentore noi ti rendiamo grazie, Padre
Per l'angelo inviato a Gesù nel deserto, per servirlo noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato a Gesù agonizzante nel Getsemani, per consolarlo noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato alle pie donne, per annunziare la risurrezione di Gesù crocifisso noi ti rendiamo grazie, Padre
Per i due angeli inviati agli apostoli dopo l'ascensione di Gesù, per annunziare la sua venuta gloriosa alla fine del mondo noi ti rendiamo grazie, Padre
Per l'angelo inviato agli apostoli incarcerati, per liberarli dal persecutore Erode Agrippa noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato al pio centurione Cornelio, per ammetterlo nel popolo redento come primizia dei popoli pagani noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato in prigione all'apostolo Pietro, capo della Chiesa, per liberarlo dalla minaccia di morte di Erode Agrippa noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'angelo inviato in visione all'apostolo Paolo per liberarlo dalla tempesta noi ti rendiamo grazie, Padre  
Per l'arcangelo san Michele, che hai promesso di inviare sulla terra al  giudizio finale con Cristo risorto, a capo di tutta la corte celeste con legioni di angeli noi ti rendiamo grazie, Padre
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo. Perdonaci, Signore.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo. Ascoltaci, Signore.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo. Abbi pietà di noi.
Preghiamo: O Padre, noi ti glorifichiamo perché, nella tua miste­riosa provvidenza, mandi dal cielo i tuoi angeli a nostra custodia e protezione, fa' che nel cammino della vita siamo sempre sorretti dal loro aiuto, per partecipare con loro alla ineffabile comunione eterna

Risorto “secondo le Scritture”.

Un’inedita omelia pasquale di Joseph Ratzinger

Omelie
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Dopo la clamorosa pubblicazione dei suoi “appunti” sullo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, dopo la pubblicazione del suo carteggiocon il rabbino capo di Vienna, ecco a ritmo serrato una nuova uscita pubblica del papa emerito Benedetto XVI, con la pubblicazione di venticinque sue omelie quasi tutte edite per la prima volta.
La maggior parte di esse risalgono agli anni Settanta ed Ottanta, la più recente è del 2003. Sono ripartite per tempo liturgico: l’Avvento, il Natale, la Quaresima, la Pasqua, e infine il tempo ordinario.
Ne ha curato la pubblicazione Pierluca Azzaro, che è anche autore della traduzione italiana di questa e di altre opere di Joseph Ratzinger.
L’edizione del volume in lingua italiana è la prima uscita in libreria, dal 2 maggio, affidata dal papa emerito all’editore Davide Cantagalli:
> Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, “Per Amore”, a cura di Pierluca Azzaro, Edizioni Cantagalli, Siena, 2019.
Ma presto seguiranno le edizioni in lingua inglese con Ignatius Press, in lingua francese con Parole et Silence, in lingua spagnola con Herder Spagna, in lingua portoghese con Principia, in lingua tedesca con Johannes Verlag, e poi ancora in croato, polacco, serbo.
Non solo. In settembre uscirà nelle librerie – di nuovo a cominciare dall’Italia – una seconda raccolta di omelie inedite di Ratzinger, dal titolo: “Sacramenti. Segni di Dio nel mondo”, questa volta a cura di Elio Guerriero.
Non deve sorprendere questo interesse del papa emerito Benedetto a pubblicare questi testi. I molti grossi volumi dei suoi “opera omnia”, in avanzata fase di pubblicazione in più lingue, mancano infatti delle omelie, che pure hanno un posto di assoluto rilievo nella vita di Ratzinger teologo, vescovo, cardinale e papa. Non è azzardato dire che, come papa Leone Magno, anche papa Benedetto passerà alla storia per le sue omelie.
Le omelie del suo pontificato sono tutte agli atti. Ma quelle degli anni precedenti erano state finora pubblicate solo in quantità minima e con difficile reperibilità. Ratzinger ha dunque voluto che almeno una parte di esse sia ora consegnata al grande pubblico.
Il testo che segue ne è un assaggio. É la parte iniziale di un’omelia da lui pronunciata il 15 aprile 1990, domenica di Pasqua, nel villaggio bavarese di Wigratzbad.
Il testo completo dell’omelia è tre volte più lungo. Ma in questo inizio c’è già in pieno il suo stile. Che sempre muove dai testi liturgici del giorno, in questo caso dai salmi e dall’antifona d’ingresso.
Buona lettura!
*S.Magister
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“SONO RISORTO, E ORA SONO SEMPRE CON TE”
“Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso” (Sal 118, 24). Queste luminose parole pasquali, con le quali oggi la Chiesa risponde al lieto annuncio della Risurrezione, sono tratte da una liturgia di ringraziamento antico-testamentaria celebrata alla porta del Tempio e tramandataci in un Salmo totalmente illuminato dal Mistero di Cristo. È il Salmo dal quale è tratto anche il “Benedictus” e l’”Osanna”; è anche il Salmo della “pietra scartata dai costruttori”, che “è divenuta testata d’angolo” (Sal 118, 22).
La peculiarità di questo Salmo sta però nel fatto che la salvezza di un personaggio sconosciuto, che dalla morte è risalito di nuovo alla vita, apre di nuovo le porte della salvezza per il popolo; in questo modo la salvezza di un singolo diventa liturgia di ringraziamento, un nuovo inizio, un nuovo raduno del popolo di Dio a favore di tutti.
All’interno dell’Antico Testamento non si trova risposta alla domanda su chi sia questo personaggio. Solamente a partire dal Signore, a partire da Gesù Cristo, l’intero Salmo acquista una sua logica, un suo chiaro senso.
È lui, in effetti, che è disceso nella notte della morte, che è stato avvolto e annientato da tutta la tribolazione del peccato e della morte. È lui che, risalendo, ha spalancato le porte della salvezza e ora ci invita a varcare le porte della salvezza e a rendere grazie insieme a lui. È lui, lui stesso in persona, il nuovo giorno che Dio ha creato per noi; per mezzo di lui il giorno di Dio risplende nella notte di questo mondo. Il giorno di Pasqua e ogni domenica è questo giorno che diviene presente, è incontro con il Risorto vivo, che come giorno di Dio viene in mezzo a noi e ci raduna.
Ma vediamo ora come l’Evangelista, il cui annuncio abbiamo appena ascoltato, descrive il sorgere e l’inizio di questo nuovo giorno (Mc 16, 1-7).
Ci sono le donne che vanno al sepolcro, le uniche che, ben oltre la morte, hanno l’audacia della fedeltà: anime semplici e umili che non hanno un nome da difendere, una carriera cui aspirare, possessi da salvaguardare; e che perciò hanno il coraggio dell’amore per andare ancora una volta da chi è stato oltraggiato e ora è fallito, per prestargli l’ultimo servizio di amore.
Nella fretta del giorno della Parasceve, all’approssimarsi del giorno della festa, avevano potuto fare solo le prime e le più necessarie cose della sepoltura, ma non avevano potuto portare a termine i riti che soltanto ora vogliono terminare: i lamenti funebri, che durante la festa non potevano risuonare e che ora, quale accompagnamento d’amore, lo conducono nell’ignoto, lo devono proteggere come forza di bontà; e poi l’unzione, che è come un vano gesto d’amore che vorrebbe dare immortalità (l’unzione mira infatti a preservare dalla morte, a preservare dalla putrefazione, come se volesse tenere in vita il morto con tutta l’inermità dell’amore, e tuttavia non può). Le donne sono venute dunque per dimostrargli ancora una volta un amore che non svanisce e, d’altra parte, per dargli il saluto di congedo verso la terra da cui non si torna più, la notte della morte da cui non si torna indietro.
Ma quando arrivano, scoprono che un Altro, un altro e più forte amore lo ha unto, che per lui si sono avverate le parole del Salmo: “Non lascerò che il mio Santo veda la corruzione” (Sal 16, 10). Dato che egli stesso sta nel circuito dell’amore trinitario, era unto con l’amore eterno e perciò non poteva rimanere nella morte. Infatti, esso solo è la potenza che è vita e dà vita per l’eternità.
E così per lui si compiono anche le altre parole del Salmo che la Chiesa tuttora pone come antifona d’ingresso della Messa del giorno di Pasqua: “Resurrexi, et adhuc tecum sum”… “Mi risveglio e sono ancora con te […] poni su di me la tua mano […] Tu mi scruti e mi conosci» (Sal 139, 18b.5.1).
Nell’Antico Testamento questa è la preghiera di un orante per metà spaventato e per metà meravigliato, il quale, nel suo confronto con Dio, diviene consapevole che in nessun luogo può fuggire dalla presenza di Dio. Se navigasse fino all’estremità del mare e se riuscisse a scendere negli inferi credendo di essere definitivamente lontano da Dio, tanto più egli sarebbe al cospetto di Dio, il quale tutto abbraccia e dal quale in nessun luogo si può sfuggire.
Ma quello che qui era rimasto per metà oscuro, per metà era timore e per metà gioia, ora è definitivamente compiuto nella grande grazia dell’amore divino, perché Gesù è stato capace dell’impossibile: egli con il suo amore ha raggiunto tutti i confini della terra. Egli è disceso nel regno della morte. E poiché egli stesso è il Figlio, insieme a lui è disceso ed è divenuto presente ovunque l’amore di Dio; per questo proprio nel discendere, e come colui che discende, egli è colui che risorge, che è risorto e che ora può dire: “Resurrexi, et adhuc tecum sum”… “Sono risorto e sono sempre con te, per sempre”.
[…]
AMDG et DVM