Visualizzazione post con etichetta uomini apostolici. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta uomini apostolici. Mostra tutti i post

giovedì 29 gennaio 2015

San Francesco di Sales: “Dieu est le Dieu du coeur humain” [Dio è il Dio del cuore umano]


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 2 marzo 2011

San Francesco di Sales

Cari fratelli e sorelle,

“Dieu est le Dieu du coeur humain” [Dio è il Dio del cuore umano] (Trattato dell’Amore di Dio, I, XV): in queste parole apparentemente semplici cogliamo l’impronta della spiritualità di un grande maestro, del quale vorrei parlarvi oggi, san Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa. Nato nel 1567 in una regione francese di frontiera, era figlio del Signore di Boisy, antica e nobile famiglia di Savoia. Vissuto a cavallo tra due secoli, il Cinquecento e il Seicento, raccolse in sé il meglio degli insegnamenti e delle conquiste culturali del secolo che finiva, riconciliando l’eredità dell’umanesimo con la spinta verso l’assoluto propria delle correnti mistiche. La sua formazione fu molto accurata; a Parigi fece gli studi superiori, dedicandosi anche alla teologia, e all’Università di Padova quelli di giurisprudenza, come desiderava il padre, conclusi in modo brillante, con la laurea in utroque iure, diritto canonico e diritto civile. 

Nella sua armoniosa giovinezza, riflettendo sul pensiero di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino, ebbe una crisi profonda che lo indusse a interrogarsi sulla propria salvezza eterna e sulla predestinazione di Dio nei suoi riguardi, soffrendo come vero dramma spirituale le principali questioni teologiche del suo tempo. Pregava intensamente, ma il dubbio lo tormentò in modo così forte che per alcune settimane non riuscì quasi del tutto a mangiare e dormire. 

Al culmine della prova, si recò nella chiesa dei Domenicani a Parigi, aprì il suo cuore e pregò così: “Qualsiasi cosa accada, Signore, tu che tieni tutto nella tua mano, e le cui vie sono giustizia e verità; qualunque cosa tu abbia stabilito a mio riguardo …; tu che sei sempre giusto giudice e Padre misericordioso, io ti amerò, Signore […], ti amerò qui, o mio Dio, e spererò sempre nella tua misericordia, e sempre ripeterò la tua lode… O Signore Gesù, tu sarai sempre la mia speranza e la mia salvezza nella terra dei viventi” (I Proc. Canon., vol I, art 4). Il ventenne Francesco trovò la pace nella realtà radicale e liberante dell’amore di Dio: amarlo senza nulla chiedere in cambio e confidare nell’amore divino; non chiedere più che cosa farà Dio con me: io lo amo semplicemente, indipendentemente da quanto mi dà o non mi dà. Così trovò la pace, e la questione della predestinazione - sulla quale si discuteva in quel tempo – era risolta, perché egli non cercava più di quanto poteva avere da Dio; lo amava semplicemente, si abbandonava alla Sua bontà. E questo sarà il segreto della sua vita, che trasparirà nella sua opera principale: il Trattato dell’amore di Dio.

Vincendo le resistenze del padre, Francesco seguì la chiamata del Signore e, il 18 dicembre 1593, fu ordinato sacerdote. Nel 1602 divenne Vescovo di Ginevra, in un periodo in cui la città era roccaforte del Calvinismo, tanto che la sede vescovile si trovava “in esilio” ad Annecy. Pastore di una diocesi povera e tormentata, in un paesaggio di montagna di cui conosceva bene tanto la durezza quanto la bellezza, egli scrive: “[Dio] l’ho incontrato pieno di dolcezza e soavità fra le nostre più alte e aspre montagne, ove molte anime semplici lo amavano e adoravano in tutta verità e sincerità; e caprioli e camosci correvano qua e là tra i ghiacci spaventosi per annunciare le sue lodi” (Lettera alla Madre di Chantal, ottobre 1606, in Oeuvres, éd. Mackey, t. XIII, p. 223). 

E tuttavia l’influsso della sua vita e del suo insegnamento sull’Europa dell’epoca e dei secoli successivi appare immenso. E’ apostolo, predicatore, scrittore, uomo d’azione e di preghiera; impegnato a realizzare gli ideali del Concilio di Trento; coinvolto nella controversia e nel dialogo con i protestanti, sperimentando sempre più, al di là del necessario confronto teologico, l’efficacia della relazione personale e della carità; incaricato di missioni diplomatiche a livello europeo, e di compiti sociali di mediazione e di riconciliazione. 
Ma soprattutto san Francesco di Sales è guida di anime: dall’incontro con una giovane donna, la signora di Charmoisy, trarrà spunto per scrivere uno dei libri più letti nell’età moderna, l’Introduzione alla vita devota; dalla sua profonda comunione spirituale con una personalità d’eccezione, santa Giovanna Francesca di Chantal, nascerà una nuova famiglia religiosa, l’Ordine della Visitazione, caratterizzato – come volle il Santo – da una consacrazione totale a Dio vissuta nella semplicità e umiltà, nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie: “… voglio che le mie Figlie – egli scrive – non abbiano altro ideale che quello di glorificare [Nostro Signore] con la loro umiltà” (Lettera a mons. de Marquemond, giugno 1615). Muore nel 1622, a cinquantacinque anni, dopo un’esistenza segnata dalla durezza dei tempi e dalla fatica apostolica.

Quella di san Francesco di Sales è stata una vita relativamente breve, ma vissuta con grande intensità. Dalla figura di questo Santo emana un’impressione di rara pienezza, dimostrata nella serenità della sua ricerca intellettuale, ma anche nella ricchezza dei suoi affetti, nella “dolcezza” dei suoi insegnamenti che hanno avuto un grande influsso sulla coscienza cristiana. Della parola “umanità” egli ha incarnato diverse accezioni che, oggi come ieri, questo termine può assumere: cultura e cortesia, libertà e tenerezza, nobiltà e solidarietà. Nell’aspetto aveva qualcosa della maestà del paesaggio in cui è vissuto, conservandone anche la semplicità e la naturalezza. Le antiche parole e le immagini in cui si esprimeva suonano inaspettatamente, anche all’orecchio dell’uomo d’oggi, come una lingua nativa e familiare.


A Filotea, l’ideale destinataria della sua Introduzione alla vita devota (1607), Francesco di Sales rivolge un invito che poté apparire, all’epoca, rivoluzionario. E’ l’invito a essere completamente di Dio, vivendo in pienezza la presenza nel mondo e i compiti del proprio stato. “La mia intenzione è di istruire quelli che vivono nelle città, nello stato coniugale, a corte […]” (Prefazione alla Introduzione alla vita devota). Il Documento con cui Papa Pio IX, più di due secoli dopo, lo proclamerà Dottore della Chiesa insisterà su questo allargamento della chiamata alla perfezione, alla santità. Vi è scritto:“[la vera pietà] è penetrata fino al trono dei re, nella tenda dei capi degli eserciti, nel pretorio dei giudici, negli uffici, nelle botteghe e addirittura nelle capanne dei pastori […]” (Breve Dives in misericordia, 16 novembre 1877). 

 Nasceva così quell’appello ai laici, quella cura per la consacrazione delle cose temporali e per la santificazione del quotidiano su cui insisteranno il Concilio Vaticano II e la spiritualità del nostro tempo. Si manifestava l’ideale di un’umanità riconciliata, nella sintonia fra azione nel mondo e preghiera, fra condizione secolare e ricerca di perfezione, con l’aiuto della Grazia di Dio che permea l’umano e, senza distruggerlo, lo purifica, innalzandolo alle altezze divine. A Teotimo, il cristiano adulto, spiritualmente maturo, al quale indirizza alcuni anni dopo il suo Trattato dell’amore di Dio (1616), san Francesco di Sales offre una lezione più complessa. Essa suppone, all’inizio, una precisa visione dell’essere umano, un’antropologia: la “ragione” dell’uomo, anzi l’“anima ragionevole”, vi è vista come un’architettura armonica, un tempio, articolato in più spazi, intorno ad un centro, che egli chiama, insieme con i grandi mistici, “cima”, “punta” dello spirito, o “fondo” dell’anima. E’ il punto in cui la ragione, percorsi tutti i suoi gradi, “chiude gli occhi” e la conoscenza diventa tutt’uno con l’amore (cfr libro I, cap. XII). Che l’amore, nella sua dimensione teologale, divina, sia la ragion d’essere di tutte le cose, in una scala ascendente che non sembra conoscere fratture e abissi, san Francesco di Sales lo ha riassunto in una celebre frase: “L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è quella dello spirito, e la carità quella dell’amore” (ibid., libro X, cap. I).

In una stagione di intensa fioritura mistica, il Trattato dell’amore di Dio è una vera e propria summa, e insieme un’affascinante opera letteraria. La sua descrizione dell’itinerario verso Dio parte dal riconoscimento della “naturale inclinazione” (ibid., libro I, cap. XVI), iscritta nel cuore dell’uomo pur peccatore, ad amare Dio sopra ogni cosa. Secondo il modello della Sacra Scrittura, san Francesco di Sales parla dell’unione fra Dio e l’uomo sviluppando tutta una serie di immagini di relazione interpersonale. Il suo Dio è padre e signore, sposo e amico, ha caratteristiche materne e di nutrice, è il sole di cui persino la notte è misteriosa rivelazione. Un tale Dio trae a sé l’uomo con vincoli di amore, cioè di vera libertà: “poiché l’amore non ha forzati né schiavi, ma riduce ogni cosa sotto la propria obbedienza con una forza così deliziosa che, se nulla è forte come l’amore, nulla è amabile come la sua forza” (ibid., libro I, cap. VI). 

Troviamo nel trattato del nostro Santo una meditazione profonda sulla volontà umana e la descrizione del suo fluire, passare, morire, per vivere (cfr ibid., libro IX, cap. XIII) nel completo abbandono non solo alla volontà di Dio, ma a ciò che a Lui piace, al suo “bon plaisir”, al suo beneplacito (cfr ibid., libro IX, cap. I). All’apice dell’unione con Dio, oltre i rapimenti dell’estasi contemplativa, si colloca quel rifluire di carità concreta, che si fa attenta a tutti i bisogni degli altri e che egli chiama “estasi della vita e delle opere” (ibid., libro VII, cap. VI).

Si avverte bene, leggendo il libro sull’amore di Dio e ancor più le tante lettere di direzione e di amicizia spirituale, quale conoscitore del cuore umano sia stato san Francesco di Sales. A santa Giovanna di Chantal, a cui scrive: “[…] Ecco la regola della nostra obbedienza che vi scrivo a caratteri grandi: FARE TUTTO PER AMORE, NIENTE PER FORZA - AMAR PIÙ L’OBBEDIENZA CHE TEMERE LA DISOBBEDIENZA. Vi lascio lo spirito di libertà, non già quello che esclude l’obbedienza, ché questa è la libertà del mondo; ma quello che esclude la violenza, l’ansia e lo scrupolo” (Lettera del 14 ottobre 1604). Non per niente, all’origine di molte vie della pedagogia e della spiritualità del nostro tempo ritroviamo proprio la traccia di questo maestro, senza il quale non vi sarebbero stati san Giovanni Bosco né l’eroica “piccola via” di santa Teresa di Lisieux.

Cari fratelli e sorelle, in una stagione come la nostra che cerca la libertà, anche con violenza e inquietudine, non deve sfuggire l’attualità di questo grande maestro di spiritualità e di pace, che consegna ai suoi discepoli lo “spirito di libertà”, quella vera, al culmine di un insegnamento affascinante e completo sulla realtà dell’amore. San Francesco di Sales è un testimone esemplare dell’umanesimo cristiano; con il suo stile familiare, con parabole che hanno talora il colpo d’ala della poesia, ricorda che l’uomo porta iscritta nel profondo di sé la nostalgia di Dio e che solo in Lui trova la vera gioia e la sua realizzazione più piena.

sabato 24 marzo 2012

I sacerdoti custodi del Corpo di Gesù

Anton Mor van Dashorst, Calvario,
XVI sec., Museo Nacional de Escultura de Valladolid

I sacerdoti custodi 
del corpo di Gesù

Il Figlio di Dio disse: «Sono simile al signore che, dopo aver combattuto con fedeltà nel paese in cui si è recato in pellegrinaggio, torna con gioia nella terra natale. 

Questo signore ha un tesoro molto prezioso, la cui vista dà gioia agli occhi lacrimosi, consola gli infelici, rinvigorisce gli infermi e resuscita i morti. Ma, affinché questo tesoro venga custodito con onestà e determinazione, viene edificata una casa con magnificenza e gloria, abbastanza alta e dotata di sette livelli attraverso i quali si accede al tesoro stesso. 

Ora, Dio ha mostrato questo tesoro ai suoi servitori e lo ha affidato loro affinché ne abbiano cura e lo custodiscano con purezza, in modo che vengano apprezzate la carità del signore verso i suoi servitori e la fedeltà dei suoi servitori nei confronti del signore. 

Ma dopo qualche tempo il tesoro inizia ad essere disprezzato, la casa viene frequentata di rado, le cure dei custodi diminuiscono e l'amore di Dio viene trascurato... 

Io sono quel signore che è venuto al mondo per umiltà come un pellegrino, sebbene fossi potente in terra e in cielo secondo la divinità; perché in verità sulla terra ho dovuto sostenere una lotta tale che tutti i nervi delle mie mani e dei miei piedi si sono rotti per la salvezza delle anime. 

Salendo in cielo, da cui non mi sono mai allontanato, ho lasciato al mondo un memoriale altamente degno, ossia il mio corpo santissimo; infatti così come l'antica legge si gloriava dell'arca, della manna, delle tavole del Testamento e di altre cerimonie, allo stesso modo l'uomo nuovo si rallegra di una legge nuova, ossia il mio corpo crocifisso, che era insito nella legge stessa. 

Affinché al mio corpo fossero tributati gloria e onore, ho istituito la casa della Santa Chiesa, dove esso sarebbe stato custodito e conservato. 

I sacerdoti sono dei custodi particolari, in un certo senso più eminenti degli angeli, poiché toccano con la bocca e le mani colui che gli angeli hanno paura di sfiorare, dato il rispetto che provano nei suoi confronti. Ho reso ai sacerdoti sette tipi di onore, corrispondenti a sette caratteristiche

-i preti devono portare il segno del sacerdozio e distinguersi come miei amici per la purezza dello spirito e del corpo, perché la purezza è il primo livello per avvicinarsi a Dio, al quale non si addice nulla di corrotto; ai ministri della legge, che avevano il permesso di contrarre il matrimonio, non era concesso fare dei sacrifici, ma ciò non deve stupire: essi avevano solo la scorza e non il nocciolo. Ora, poiché questa figura è stata eliminata con l'avvento della verità, è necessario che si consacrino tutti alla purezza; il nocciolo, infatti, è più dolce della scorza... I chierici sono istituiti perché siano degli uomini angelici dotati di ogni sorta di umiltà; è vero infatti che con l'umiltà del corpo e dello spirito si entra in cielo e si vince la superbia del diavolo; a questo livello i sacerdoti vengono nominati per cacciare il diavolo, perché l'uomo umile è elevato al cielo da cui la superbia ha fatto sprofondare il demonio

-I preti vengono ordinati per essere discepoli di Dio attraverso la continua lettura dei testi sacri
per questo motivo la sacra Scrittura viene data ai sacerdoti come la spada al soldato; 
essi, infatti, devono sapere come placare la collera di Dio con la preghiera e la meditazione, affinché il popolo non muoia. 

-I sacerdoti sono designati custodi del tempio di Dio e studiosi delle anime; per questo motivo il vescovo consegna loro le chiavi: essi devono prendersi cura della salvezza delle anime dei loro fratelli, promuoverne il progresso con la parola e l'esempio e incitare gli infermi alla perfezione assoluta

-A loro viene affidata la cura dell'altare, perché, servendo sull'altare, vivano dell'altare stesso e non si occupino affatto delle cose mondane, se non per ciò che attiene alla loro carica ecclesiastica. 

-Vengono ordinati per essere uomini apostolici, che predicano la verità evangelica e conformano i loro costumi a ciò che predicano. Sono istituiti in modo da mediare fra Dio e l'uomo attraverso il sacrificio del mio corpo. Per questo motivo i sacerdoti sono in un certo modo superiori alla dignità degli angeli. 

Ora, mi lamento perché queste caratteristiche sono gravemente disattese, in quanto la superbia viene preferita all'umiltà, l'impudicizia alla continenza; non ci si attiene più ai libri di Dio, ma a quelli del mondo; gli altari vengono trascurati e la saggezza divina è reputata follia. Non ci si preoccupa affatto della salvezza delle anime e, come se non bastasse, si gettano via le mie vesti e si di-sprezzano le mie armi. 

E’ vero, sul monte Sinai ho mostrato a Mosè gli abiti che dovevano indossare i sacerdoti; questo non perché nella celeste abitazione di Dio ci fosse qualcosa di materiale, ma perché non si possono comprendere le cose spirituali senza quelle materiali. 

Quindi mostro ciò che è spirituale attraverso il mondo fisico: occorre sapere che a quanti detengono la verità viene richiesta la purezza e non una pura apparenza. A che scopo, dunque, avrei mostrato a Mosè un tale splendore di vesti materiali, se non perché attraverso esse si comprendessero lo splendore e la bellezza dell'anima?... 

Dall'oblazione dei ministri di Dio conseguono tre beni

-la mia pazienza che è lodata da tutte le schiere celesti, perché sono la medesima Persona tra le mani di un prete buono e di uno cattivo; non traggo senso dalla persona, infatti questo sacramento non dipende dai meriti o demeriti di chi lo somministra, bensì dalle mie parole; 

-tale oblazione è utile per tutti, indipendentemente dal prete che l'offre, inoltre giova anche a chi l'offre, sebbene cattivo; 

-quando ho pronunciato le parole Io sono, tutti i miei nemici sono caduti all'indietro; similmente, all'udire le parole: Questo è il mio corpo, i diavoli fuggono via e cessano di tentare le anime che fanno queste sante oblazioni, né oserebbero tornare ad assediarle con rinnovata audacia se in esse non si insinuasse una propensione a peccare. Per questo la mia misericordia perdona tutti e li tollera, ma la mia giustizia grida vendetta: perciò io grido e quanti siano quelli che mi rispondono, lo vedi da te. Ciononostante invierò ancora la mia Parola: chi l'ascolterà, trascorrerà e terminerà i suoi giorni con una gioia così grande che non è possibile dire, né pensare la dolcezza della mia Parola senza farle torto...» 
(Rivelazioni di S.Brigida, Libro IV, 58)

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!