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domenica 18 giugno 2023

Sappi tacere...

 


L'AMORE DEL SILENZIO

Applicati virilmente a reprimere la lingua. Tu la ricevesti per esprimere le cose utili: dunque si astenga da ogni frivolezza, da ogni inutilità. Per governarla meglio, non parlare mai se non per rispondere a domande necessarie o utili.

Una domanda vana non merita che il silenzio. Se poi a volte ti si rivolgesse qualche facezia, per modo di ricreazione, per non essere di peso agli altri, potrai benissimo accoglierla con volto ilare e benevolmente, però guardati dal parlare. Anche se il tuo silenzio dovesse provocare mormorazioni, tristezza o altre parole amare; anche se dovessi essere trattato da orgoglioso, esagerato e intollerabile; tu piuttosto prega Dio con fervore affinché conservi in pace il loro cuore.

Nondimeno qualche volta è permesso di parlare: in caso di necessità e quando la carità o l'obbedienza lo richiedono. Ma allora abbi cura di parlare solo dopo matura riflessione, di spicciarti con poche parole, umilmente e a voce sommessa. Lo stesso devi fare se hai da rispondere a qualcuno.

Sappi così tacere per alcun tempo: edificherai i tuoi fratelli, e il silenzio ti insegnerà a parlare quando sarà il momento opportuno. Frattanto prega Dio affinché si degni di supplire Lui, con buone ispirazioni, nel cuore dei tuoi fratelli, quei buoni pensieri che la legge del silenzio ti impedisce, per il momento, di comunicare loro.

In tal modo, con la povertà e con il silenzio, estirperai le numerose sollecitudini che soffocano il buon seme delle virtù, gettato ininterrottamente nel tuo cuore dalla ispirazione divina. (S. Vincenzo Ferreri)

AMDG et D.V.MARIAE

martedì 12 febbraio 2019

La Beata Maria di Gesù Crocifisso al Carmelo di Pau



«Margherita, Gesù mi ha dato cinque pratiche sul silenzio:

l. Il giorno passa, la notte trascorre senza rumore, trascorrono in silenzio. Conservate,
anche voi, il silenzio; passate sulla terra in silenzio per trovare la gioia in cielo.

2. Quando l'acqua sgorga dalla sua sorgente, sgorga senza rumore, senza intorbidirsi;
scorre poi in silenzio: praticate così il silenzio.

3. Quando si piantano le erbe, le piante, i roseti, si lasciano radicare in silenzio,
crescono in silenzio; spandono il loro profumo in silenzio; cadono, muoiono in si-
lenzio; fanno tutto in silenzio: fate lo stesso.

4. L'uva si lascia cogliere in silenzio; si lascia gettare nel torchio e pigiare in silenzio;
è allora che il vino è dolce. Il buon frutto diventa dolce grazie al silenzio: praticate il
silenzio.

5. Imitate il legno; si lascia tagliare in silenzio; si lascia dipingere del colore che si
vuole in silenzio; si lascia bruciare in silenzio. Lasciatevi umiliare in silenzio; la-
vorate, soffrite, fate tutto in silenzio. Il silenzio preserva per il cielo».

Questi insegnamenti della novizia estatica facevano infuriare Satana. Egli ottenne il
permesso di tentarla anche durante l'estasi. La suora lo raccontò alla Beata:

«Margherita, il demonio mi ha detto: 
Hai parlato troppo, non sei sola. 
Io ho risposto:
ma sì, qui sono sola insieme a Margherita; non ho parlato troppo, parlerei ancora;
Gesù lo vuole, è Lui che mi ha detto di continuare. 

Lascia l'abito; da religiosa sarai
sempre malata; ti si dovrà sempre curare. 

Ebbene, se mi si cura, lo si farà per l'amore
di Gesù e Lui sarà glorificato. 

Vattene nel mondo, e avrai un portamento da gran
signora. 
Per tutta risposta mi sono burlata di lui. 

Va nel mondo, farai del bene ai
poveri, invece qui, ti si fa l'elemosina: restare religiosa è umiliante. 
Vattene, Satana,
non otterrai niente. Come l'uva dà il vino quando è rinchiusa nel torchio dove la si
pressa, io voglio rimanere rinchiusa per dare a Dio il vino della purezza. 

Spogliati; nel
mondo, potrai fare molte penitenze, potrai seguire la tua volontà. 
Vattene, Satana, io
obbedirò; Gesù è stato obbediente fino alla morte».

«Margherita, voglio raccontarti ciò che Satana mi ha detto ancora: il mio martirio
all'età di tredici anni, è stato il più grande colpo che io gli abbia inferto. Satana, non
ama il martirio. 
Mi ha dunque detto: Se avessi potuto sapere ciò che tu saresti
diventata, avrei strangolato te, tua madre e tutti i tuoi familiari. 
Egli mi ha parlato così,
Margherita, ma io, io sono niente; sono solo miseria, debolezza, nulla, è Gesù che ha
operato in me. 

Satana mi ha anche rimproverata di essere fuggita e di essere, con ciò,
la causa della desolazione dei miei parenti. Avrebbe voluto farmi credere che avevo
commesso una grande colpa, gli ho risposto di aver agito sotto ispirazione divina e che
Gesù e Maria avevano fatto tutto. 

È vero, Margherita, che io, senza Gesù, mi sarei
persa da molto tempo. È Gesù che mi ha chiamata, ritirata dal mondo. È Maria che ha
vegliato su di me. Mi ama tanto, Maria! Mi lamentavo un giorno con questa Madre di
non essere morta all'epoca del mio martirio. Mi consolò dicendomi che sarei diventata
martire d'amore». 

«Margherita, voglio recitarti la mia preghiera a Maria: "Tu eri
vergine nel mondo, oh! Maria. Chi avrebbe mai pensato che saresti diventata Madre di
Dio? Sei la Madre di Dio, per la Tua umiltà. L'angelo del Signore è apparso a Maria
per annunciarle la sua maternità divina. La Vergine, illuminata dalla luce potente di
Dio, si umiliò pensando che Colui il quale ha creato il cielo e la terra stava per
diventare suo Figlio. L'angelo parlava spesso alla Vergine Maria, e ogni volta che
l'angelo parlava, Ella si umiliava. Oh Maria! quanto sei umile e amabile nella Tua
umiltà! " continua pag 31

AMDG et DVM

mercoledì 30 agosto 2017

La palabra es buena si brota del silencio.


1. Necesidad del silencio 
«Prestad oído y venid a mí; escuchad y vivirá vuestra alma» (Is 55,3) 

Presentar el silencio no es fácil. Hablar es un sin sentido porque el silencio es una práctica. Hay que ir por este camino de las no palabras sin adelantos, sin previsiones. Se puede decir, incluso, con ingenuidad, con pereza. 

Lo primero que hay que tener es una clara aceptación de la realidad del momento. Aceptar todo es lo importante para que aparezca la posibilidad del encuentro. Esto dará pie a que fluya lo que tiene que fluir. 

El silencio es una gran rebelión contra nuestro propio desorden. Es una rebelión contra el mundo interior. Se habla de rebeldía porque sospechamos que puede ser posible. Es una esperanza. Buscamos nuestra propia transformación atendiendo a nuestra propia profundidad íntima porque si Dios está dentro el reencontrarlo es nuestra tarea, nuestro derecho, nuestro deber. 

En mi propia aventura puedo advertir cómo las cosas del exterior me hipnotizan. Es posible que descubra cómo me dejo absorber por la superficie dejando la fuente interior desatendida. En el silencio se pueden romper los muros que nos separan de la vida. El silencio no es prisión. Es respirar libremente. Tengo que contactar con mi verdad interior porque todavía no sé lo que soy. En el silencio se puede disfrutar de uno mismo y gustarse. 

Pero puede ser costoso estar en rebeldía porque lo cotidiano es el constante movimiento y estar inmóvil nos resulta insoportable. Estamos llenos de gestos, de ruidos... Sólo el sospechar que se puede uno detener, sobresalta. Parar la actividad física y mental suele traer y crear un vacío insostenible. Cuando el silencio se hace presente se tiene la tentación de llenarlo cogiendo un libro, escuchando música... Todo con tal de no abrazar al silencio. Pero el silencio sólo es eso. Y es tan simple que aparece para vivirlo. 

 Por lo tanto, no es cuestión de leer ni de buscar soporte alguno que nos ayude a encontrarlo. Hay que enmudecer no solamente con la palabra. El reposo es absoluto. Una inmovilidad hasta celular. Nuestro cuerpo también tiene que permanecer quieto; así es como puede ocurrir lo impensable. 

Nuestro propio desorden ofrecerá resistencia al silencio. Tremenda resistencia. Ese sendero de nuestra agitación puede ser un camino precioso para el silencio. Es cuestión de saberlo de antemano y de no asustarse ante esta realidad porque desde ella misma encontraremos el camino. La mejor manera de pacificarse es dejar agotar nuestra agitación. 

Incorporar nuestro cuerpo al silencio es necesario porque nos llevará al reposo interior y a la paz. Muchas veces nuestro dolor físico se opondrá al silencio. Es bueno sentirlo porque este dolor puede ser el índice de nuestra falsedad, mentira, desasosiego, desamparo... 

El gesto hacia el silencio tiene que brotar cada día desde el corazón. Sin tensión, sin obligación, sin esperar ni tender a nada. Sólo así podremos ver cómo el silencio es nuestra verdad y nuestra salud. 

Cuando uno se sumerge en el silencio lo primero que, a veces, nos ocurre es que vemos desfilar sin parar las inquietudes de nuestras angustias. Nuestras complejidades, agresiones, luchas, errores...; pero no pasa nada, porque más allá estamos nosotros a salvo, puros y sin contaminación. Mi propia verdad habrá que recuperarla dentro. Estará esperándome en mi corazón. No hay nada que asuste. Todo es un sendero que se irá abriendo para llegar a nuestro corazón. Es necesario no dar marcha atrás en el silencio porque hay que llegar hasta el final. En esa tierra neutra se está bien, y ningún obstáculo me puede detener. Porque en realidad tengo que llegar a Dios y a mis propios y auténticos compromisos con la vida. Todo ello se consigue si labro mi propio corazón sin mirar atrás, sin pararme, sin detenerme
AMDG et BVM

giovedì 24 agosto 2017

Silentium est aureum


Il rumore del silenzio è quello più assordante. Anche quando siamo completamente da soli e contempliamo l'assenza di suoni ci sono delle belle citazioni, citazioni sul silenzio ovviamente, che possono farci compagnia e farci ascoltare qualcosa anche… quando non c'è davvero nulla da ascoltare. La maggior parte delle persone non può stare in silenzio nemmeno per un minuto, perché si parla tanto e c'è rumore ovunque.
Ci sentiamo a disagio quando c'è silenzio quando siamo in compagnia e abbiamo paura di stare in silenzio quando siamo soli. Ma bisogna saper apprezzarlo. Forse è ora di renderci conto che il silenzio è il nostro grande amico. Non solo ci aiuta a non rovinare, quando non abbiamo niente di meglio da dire, ma applicato correttamente può essere una risposta forte perché spesso i silenzi sono più eloquenti delle parole. 

Ecco dieci frasi che lo possono testimoniare alla perfezione.
1) Assicurati che le parole siano belle come i tuoi silenzi - Alejandro Jodorowsky.
2) Direi che è meglio essere re del tuo silenzio che schiavo delle tue parole - William Shakespeare.
3) Il silenzio è l'unico amico che non tradisce mai – Confucio.
4) La vera amicizia arriva quando il silenzio tra due persone sembra addirittura piacevole - Erasmo da Rotterdam.
5) Il silenzio è il rumore più forte, forse il più forte dei rumori - Miles Davis.
6) Non ogni distanza è assenza, non tutto il silenzio oblio - Mario Sarmiento.
7) Per ogni sorta di male ci sono solamente due rimedi possibili: il tempo e il silenzio - Alexandre Dumas.
8) Non rompere il silenzio, se non per migliorarlo - Ludwig van Beethoven.
9) Il silenzio è l'elemento con cui si formano tutte le grandi cose - Thomas Carlyle.
10) Ci vogliono due anni per imparare a parlare e settanta per imparare a stare zitto - Ernst Hemingw?

SE LO NOMINI 
NON C'E' PIU'

domenica 20 novembre 2016

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola.

Defende nos in proelio
Difendici nella battaglia

Lucifero - Satana

 (Lucifero) era il più bello degli arcangeli, godeva di Dio. Avrebbe dovuto essere contento di questo. Invidiò Dio e volle essere lui dio e divenne il demonio, il primo demonio. 131.2
  • Satana si presenta sempre con veste benevola, con aspetto comune. Se le anime sono attente e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da un canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto, sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene poi, è molto difficile.
    Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore.
    Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore – quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani – ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre più. Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure, ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza e con la preghiera alla sua seduzione.
  • E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca; e allora ricorrere a Dio che parli per noi, attraverso noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta. (…)
    Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male. 46.12

AVE MARIA PURISSIMA!

mercoledì 26 ottobre 2016

Il ministero sac. è un’opera divina

LA GRANDEZZA DEL MINISTERO
È LA MISURA DELLE VIRTÙ CHE RICHIEDE

Il ministero è un’opera divina: «Questa è l’opera di Dio credere in colui che egli ha mandato» (Gv. 6,29). San Paolo lo chiama opera del Signore: «Opus Domini» (I Cor. 16,10) Dio, infatti è il primo autore della salvezza degli uomini; fu il primo a volerla, il primo che ne pose le condizioni e ne istituì i mezzi, il primo che vi si è adoperato in Gesù Cristo Nostro Signore: «È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2 Cor. 5,19).

Dio chiamo gli uomini a suoi cooperatori nell’opera della salvezza degli uomini, tuttavia Egli è l’agente principale nell’esecuzione dell’opera divina: «Affidando a noi la parola della riconciliazione; noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (Ivi 19,20). Ne consegue che il sacerdote è veramente l’ambasciatore, l’incaricato d’affari, il ministro di Dio, e come dice San Paolo: l’uomo di Dio: «Homo Dei» (I Tim. 6,2).
Da questo San Paolo conclude che l’uomo di Dio è preparato, disposto, diremmo quasi equipaggiato per ogni ope ra: «L’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2 Tim. 3,17). Ossia l’uomo di Dio diventa così, a suo modo, l’uomo-Dio e per i poteri divini che esercita dev’essere ornato di ogni virtù. Dev’essere perfetto come il Padre celeste è perfetto (Matteo, 5,48).
Perciò abbiamo molto da fare prima di poter dire come San Paolo: «Ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza» (2 Cor. 3,6).
Fra tutte le virtù necessarie al sacerdote, al ministro della salvezza delle anime, al pastore, San Gregorio Magno ne richiede principalmente dieci: ne parla in modo ammirevole nella seconda parte del suo Pastorale: voglia egli perdonarci se scriviamo al suo seguito qualche cosa intorno a quelle virtù ch’egli possedeva e che noi non possediamo.


LA CASTITÀ

Dio è santo, anzi è la stessa santità; per questo egli vuole che i suoi ministri siano santi. Orbene: il carattere proprio della santità del sacerdote è la castità.
Il vescovo nell’atto di ordinare i diaconi dice loro: «Estote assumpti a carnalibus desideriis, a terrenis concupiscentiis; estote nitidi, puri, casti sicut decet ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei» (Pont. Rom). Per cui se nel diacono si deve effettuare un tale ministero di assunzione, tanto più deve divenir grande nel sacerdote. L’uomo di Dio non può essere uomo della carne, perché Dio è tutto spirito.
Il sacerdote sia che si consideri in faccia a Dio e in faccia a nostro Signore, vedrà che deve a Dio e a nostro Signore l’omaggio della più perfetta castità. Se poi si considererà in faccia ai fedeli vedrà che a tutti deve sempre castità per essere sempre per loro l’uomo di Dio, pronto a dare i sacramenti, pronto a lavorare per guarire le piaghe delle anime.
La castità del sacerdote dev’essere una castità eccellente; se no sarebbe in difetto rispetto a Dio per la quotidiana celebrazione del Sacrificio e per la comunione quotidiana; in difetto rispetto ai fedeli per i quali non sarebbe mai un medico capace, qualora diventasse un uomo colpevole.
La purezza del sacerdote esige da lui una vita seria, regolata, mortificata, assente alle dissipazioni mondane, una vita di preghiera, ritirata e di studio.
È a questo prezzo che il sacerdote sarà l’uomo di Dio e si manterrà in alto nello stato di assunzione che il vescovo gli ha augurato, ordinandolo diacono. In questo modo egli potrà ascoltare la voce di Dio nella preghiera; potrà vedere con tranquillità e dall’alto lo stato delle anime sulla terra: potrà impegnarsi a guarirle senza esporsi a contrarre egli stesso il male.
Insomma, la castità è una virtù così indispensabile al sacerdote che assolutamente non esitiamo di affermare che la potenza del sacerdote è in ragione diretta della sua castità.
Per giudicarne, si guardino da un lato i Santi e dall’altro un sacerdote caduto o che sta per cadere: i Santi sono potenti «in opere et sermone»; i sacerdoti caduti o che stanno per cadere non possono nulla: danno a sé stessi la testimonianza della loro impotenza ed hanno il solo diritto di tacere.



IL BUON ESEMPIO

«Sii esempio ai fedeli», dice San Paolo al suo discepolo Timoteo (I Tim. 4,12). «Offri te stesso come esempio in tutto», dice a Tito (Tit. 2,7).
Scrive San Giovanni Crisostomo che l’anima del sacerdote dev’essere più pura dei raggi del sole (De Sacerdotio lib. VI, cap. 2).
Scrive anche che i vizi di un sacerdote non possono restare nascosti e quando fossero poca cosa si rivelano molto presto: «Ne utiquam possunt sacerdotum vitia latere, sed etiam exigua cito conspicua sunt» (Ibid. lib. III, cap. 14).
Senza il buon esempio il sacerdote non può né agire, né parlare utilmente per le anime. Egli deve avere il diritto d’insegnare agli altri.

San Gregorio Nazianzeno non pensava altrimenti quando diceva: «Prima di purificare bisogna essere purificati e prima d’insegnare la sapienza bisogna averla acquistata. Prima di rischiarare bisogna diventare luminosi; prima di condurre gli altri a Dio bisogna esserne vicini noi stessi e prima di santificare, bisogna essere santo» (Oratio I o II).
Il sacerdote non saprà mai insegnare le virtù che non possiede e non riuscirà a far praticare il bene ch’egli non avrà praticato. L’esempio è la prima forma di predicazione e senza questa non servirà a nulla tutta l’eloquenza di questo mondo: «Bronzo che risuona o un cembalo che tintinna». 

San Girolamo suppone il caso di un sacerdote che avesse intorno a sé dei fedeli virtuosi senza essere virtuoso egli stesso, o meno di coloro che devono imparare da lui e nettamente afferma che un sacerdote così fatto è la distruzione, la rovina della Chiesa, e una rovina violenta: «Vehementer enim Ecclesiam Dei destruit -meliores esse laicos quam clericos».

È facile cogliere la ragione di questo detto. I fedeli non trovando nei loro pastori ciò di cui hanno bisogno per progredire nelle virtù e anche per preservarsi, andranno verso il declino che sarà tanto più rapido quanto il pastore sarà meno atto a sostenerli là dov’essi avrebbero potuto spiccare il volo.

L’esempio è perciò necessario e dev’essere tanto più perfetto quando si devono istruire delle anime più perfette.

LA DISCREZIONE NEL SILENZIO

Il sacerdote deve saper conservare un silenzio discreto, il rispetto che deve a Dio, a nostro Signore, al Santo Sacramento e alle anime, delle quali è pastore gl’impongono una legge indispensabile di discreto silenzio.

Una sua parola di troppo può compromettere il suo ministero e nuocere alla stessa parola di Dio quando l’annuncerà.

Il sacerdote dovrebbe parlare soltanto quando ha da Dio l’ordine di parlare: ciò appartiene agli obblighi del ministro che deve aprire la bocca soltanto secondo le intenzioni del principe che lo ha inviato. 
Se il sacerdote è uomo di preghiera non avrà difficoltà ad osservare la legge della discrezione e del silenzio: quando si ha l’onore d’intrattenerci con Dio nella preghiera, con Nostro Signore durante il Santo Sacrificio, non si ha punta inclinazione a conversare con gli uomini.
Il sacerdote chiacchierone non sarà mai considerato dalle anime come uomo di Dio e in questo le anime non sbagliano mai.

AMDG et BVM

domenica 10 luglio 2016

SE...


SE
nessuno sa
quello che sai
il tuo  sapere
serve a poco

!!!

Ad ogni modo di questi tempi è bene vigilare, esser forti, e parlar poco

lunedì 8 giugno 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Giovedì, 7 giugno 2012


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Roma, Giovedì, 7 giugno 2012


Cari fratelli e sorelle!
Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.



Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. 
E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. 
Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. 

In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. 

Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. 
In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare

Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. 
E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.



In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia
Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. 

L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.



A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di ColoniaLondraZagabriaMadrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso.

 Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. 
Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. 
Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. 

E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).



Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. 

E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. 

La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito
Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). 

Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita.



Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni
Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. 

Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. 

Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. 

Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen. 

AMDG et BVM

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 27 aprile 2015

Las palabras


*Las palabras
Tienen mucha fuerza:
con ellas Podemos
destruir
lo que
hemos Tardado tanto tiempo
En
construir.

sabato 11 aprile 2015

*DE LAS PALABRAS


*DE LAS PALABRAS
DEPENDE
-muchas vezes-
LA FELICIDAD o
LA DESGRACIA
LA PAZ o

LA GUERRA.

mercoledì 1 aprile 2015

IL POTERE DELLE PAROLE

IL POTERE DELLE PAROLE
*Le parole
curano o feriscono
una persona.

*Perciò,
i greci dicevano che
la parola era divina
i filosofi elogiavano
il silenzio.

lunedì 8 dicembre 2014

DISCRETO SILENZIO e UTILITA' DI PAROLA

La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio, utile con la sua parola


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La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio e utile con la sua parola affinché non dica ciò che bisogna tacere e non taccia ciò che occorre dire. Giacché come un parlare incauto trascina nell’errore, così un silenzio senza discrezione lascia nell’errore coloro che avrebbero potuto essere ammaestrati. Infatti, spesso, guide d’anime improvvide e paurose di perdere il favore degli uomini hanno gran timore di dire liberamente la verità; e, secondo la parola della Verità, non servono più alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma fanno la parte dei mercenari (cf. Gv. Jn 10,13), poiché, quando si nascondono dietro il silenzio, è come se fuggissero all’arrivo del lupo. 

Per questo infatti, per mezzo del profeta, il Signore li rimprovera dicendo: Cani muti che non sanno abbaiare (Is 56,10). 
Per questo ancora, si lamenta dicendo: Non siete saliti contro, non avete opposto un muro in difesa della casa d’Israele, per stare saldi in combattimento nel giorno del Signore (Ez 13,5). Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. 

Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio? Ma chi si espone in difesa del gregge, oppone ai nemici un muro in difesa della casa di Israele. Perciò di nuovo viene detto al popolo che pecca: I tuoi profeti videro per te cose false e stolte e non ti manifestavano la tua iniquità per spingerti alla penitenza (Lm 2,14). È noto che nella lingua sacra spesso vengono chiamati profeti i maestri che, mentre mostrano che le cose presenti passano, insieme rivelano quelle che stanno per venire. 
Ora, la parola divina rimprovera costoro di vedere cose false, perché mentre temono di scagliarsi contro le colpe, invano blandiscono i peccatori con promesse di sicurezza: essi non svelano le iniquità dei peccatori perché si astengono col silenzio dalle parole di rimprovero. In effetti le parole di correzione sono la chiave che apre, poiché col rimprovero lavano la colpa che, non di rado, la persona stessa che l’ha compiuta ignora.


Perciò Paolo dice: (Il vescovo) sia in grado di esortare nella sana dottrina e di confutare i contraddittori (Tt 1,9). Perciò viene detto per mezzo di Malachia: Le labbra del sacerdote custodiscano la scienza e cerchino la legge dalla sua bocca, perché è angelo del Signore degli eserciti (Ml 2,7).



Perciò per mezzo di Isaia il Signore ammonisce dicendo: Grida, non cessare, leva la tua voce come una tromba (Is 58,1). 
E invero chiunque si accosta al sacerdozio assume l’ufficio del banditore perché, prima dell’avvento del Giudice che lo segue con terribile aspetto, egli lo preceda col suo grido. 
Se dunque il sacerdote non sa predicare, quale sarà il grido di un banditore muto? Ed è perciò che lo Spirito Santo, la prima volta, si posò sui Pastori in forma di lingue (Atti, 2, 3), poiché rende subito capaci di parlare di Lui, coloro che ha riempiti. 
   Perciò viene ordinato a Mosè che il sommo sacerdote entrando nel tabernacolo si accosti con tintinnio di campanelli, abbia cioè le parole della predicazione, per non andare con un colpevole silenzio incontro al giudizio di colui che lo osserva dall’alto. 
È scritto infatti: Perché si oda il suono quando entra e quando esce dal santuario in cospetto del Signore, e non muoia (Ex 28,35). Così il sacerdote, che entra o che esce, muore se da lui non si ode suono, poiché attira su di sé l’ira del Giudice occulto se cammina senza il suono della predicazione. 

Inoltre, quei campanelli sono descritti come opportunamente inseriti nelle sue vesti, perché le vesti del sacerdote non dobbiamo intenderle altrimenti che come le sue buone opere, per testimonianza del profeta che dice: I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia (Ps 131,9). Pertanto, i campanelli sono inseriti nelle sue vesti, perché insieme al suono della parola, anche le opere stesse del sacerdote proclamino la via della vita. 
   Ma quando la guida delle anime si prepara a parlare, ponga ogni attenzione e ogni studio a farlo con grande precauzione, perché se si lascia trascinare a un parlare non meditato, i cuori degli ascoltatori non restino colpiti dalla ferita dell’errore; e mentre forse egli desidera di mostrarsi sapiente non spezzi stoltamente la compagine dell’unità. Perciò infatti la Verità dice: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi (Mc 9,49). Col sale è indicata la sapienza del Verbo. 

Pertanto chi si sforza di parlare sapientemente, tema molto che il suo discorso non confonda l’unità degli ascoltatori. Perciò Paolo dice: Non sapienti più di quanto è opportuno, ma sapienti nei limiti della sobrietà (Rm 12,3). 
   Perciò nella veste del sacerdote, secondo la parola divina, ai campanelli si uniscono le melagrane (Ex 28,34). E che cosa viene designato con le melagrane se non l’unità della fede? Infatti, come nelle melagrane i molti grani dell’interno sono protetti da un’unica buccia esterna, così l’unità della fede protegge tutti insieme gli innumerevoli popoli che costituiscono la Santa Chiesa e che si distinguono all’interno per la diversità dei meriti. 
   Così, affinché la guida delle anime non si butti a parlare da incauto, come già si è detto, la Verità stessa grida ai suoi discepoli: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi, come se attraverso la figura della veste del sacerdote dicesse: Aggiungete melagrane ai campanelli affinché, in tutto ciò che dite abbiate a conservare con attenta considerazione l’unità della fede. 
   Inoltre, le guide delle anime debbono provvedere con sollecita cura, non solo a non fare assolutamente discorsi perversi e falsi, ma a non dire neppure la verità in modo prolisso e disordinato, perché spesso il valore delle cose dette si perde quando viene svigorito, nel cuore di chi ascolta, da una loquacità inconsiderata e inopportuna. Questa medesima loquacità, poi, che è certamente incapace di servire utilmente gli ascoltatori, contamina anche colui che la esercita. Per cui è ben detto per mezzo di Mosè: L’uomo che soffre di flusso di seme, sarà immondo (Lv 15,2). 
   Di fatto, la qualità del discorso udito è seme di quel pensiero che gli terrà dietro nella mente degli ascoltatori, poiché la parola, ricevuta attraverso l’orecchio, nella mente genera il pensiero. È per questo che, dai sapienti di questo mondo, il bravo predicatore è chiamato seminatore di parole (cf. Atti, 17, 18). 
Dunque, chi patisce flusso di seme è dichiarato impuro, perché chi è soggetto a una eccessiva loquacità si macchia con quel seme da cui — se l’avesse effuso in modo ordinato — avrebbe potuto generare nei cuori degli ascoltatori la prole del retto pensiero; ma se lo sparge con una loquacità inconsiderata, è come chi emette il seme, non al fine di generare ma per l’impurità. 
   Perciò anche Paolo, quando esorta il discepolo ad insistere nella predicazione dicendo: Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che giudicherà i vivi e i morti, per il suo avvento e il suo regno, predica la parola, insisti opportunamente, importunamente (2Tm 4,1-2); prima di dire importunamente premise opportunamente, perché è chiaro che nella considerazione di chi ascolta, l’importunità appare in tutta la sua qualità spregevole se non sa esprimersi in modo opportuno.

AMDG et BVM

mercoledì 17 settembre 2014

PREGARE IL SILENZIO




PREGARE IL SILENZIO 


“....Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa
e la notte era a metà del suo corso
la Tua Parola onnipotente, o Signore,
venne dal Tuo trono regale....” (Sapienza 18, 14-15)

Il silenzio è il canto più perfetto
“ La preghiera ha per padre il silenzio e per madre la solitudine”   ha detto Girolamo Savonarola.
Solo il silenzio, infatti, rende possibile l'ascolto, cioè l'accoglienza in sé non solo della Parola, ma anche della presenza di Colui che parla.

Così il silenzio apre il cristiano all'esperienza dell'inabitazione di Dio: il Dio che noi cerchiamo seguendo nella fede il Cristo risorto, è il Dio che non è esterno a noi, ma abita in noi.

Dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: “...Se uno mi ama. osserverà la mia parola  e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui...”  (Gv. 14,23).
Il silenzio è linguaggio di amore, di profondità di presenza dell'altro.
Del resto, nell'esperienza amorosa, il silenzio è spesso linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo di una parola.

Purtroppo oggi il silenzio è raro, è la cosa che più manca all'uomo moderno assordato dai rumori, bombardato dai messaggi sonori e visivi, derubato della sua interiorità, quasi scalzato via da essa.
Non stupisce pertanto l'indirizzarsi di molti verso vie di spiritualità estranee al cristianesimo.
Dobbiamo confessarlo: abbiamo bisogno del silenzio!
Sul monte Oreb, il profeta Elia, sentì prima un vento impetuoso, poi un terremoto, quindi un fuoco, e infine  “....la voce di un silenzio sottile..” (1 Re 19,12): come udì quest'ultima, Elia si coprì il volto con il mantello e si mise alla presenza di Dio.
Dio si fa presente ad Elia nel silenzio, un silenzio eloquente.
La rivelazione del Dio biblico non passa solo attraverso la parola, ma avviene anche nel silenzio.
Il Dio che si rivela nel silenzio e nella parola esige dall'uomo l'ascolto, e all'ascolto è essenziale il silenzio.


Certo, non si tratta semplicemente dell'astenersi dal parlare, ma del silenzio interiore, quella dimensione che ci restituisce a noi stessi, ci pone sul piano dell'essere, di fronte all'essenziale.
E' dal silenzio che può nascere una parola acuta, penetrante, comunicativa, sensata, luminosa, perfino, oserei dire, terapeutica, capace di consolare.
Il silenzio è custode dell'interiorità.
Certo, si tratta di un silenzio definito sì negativamente come sobrietà e disciplina nel parlare e perfino come astensione da parole,ma che da questo primo momento passa ad una dimensione interiore: cioè al far tacere i pensieri, le immagini, le ribellioni, i giudizi, le mormorazioni che nascono nel cuore.
Infatti è  “...dal di dentro, cioè dal cuore umano, che escono i pensieri malvagi..”  (Marco 7,21).


E' il difficile silenzio interiore quello che si gioca nel cuore, luogo della lotta spirituale, ma proprio questo silenzio profondo genera la carità, l'attenzione all'altro, l'accoglienza dell'altro.
, il silenzio scava nel nostro profondo uno spazio per farvi abitare l'Altro, per farvi rimanere la Sua Parola, per radicare in noi l'amore per il Signore; al tempo stesso, e in connessione con ciò, esso ci dispone all'ascolto intelligente, alla parola misurata, E così, il doppio comando dell'amore di Dio e del prossimo, è ottemperato da chi sa custodire il silenzio.


Può dire Basilio: “Il silenzioso diventa fonte di grazia per chi ascolta”.
A quel punto si può ripetere, senza timore di cadere nella retorica, l'affermazione di E. Rostand: “Il silenzio è il canto più perfetto, la preghiera più alta”.
In quanto conduce all'ascolto di Dio e all'amore del fratello, alla carità autentica, cioè alla vita in Cristo, allora il silenzio è preghiera autenticamente cristiana e gradita a Dio.


Tacere e ascoltare

Dice la Legge:
Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo”  (Dt. 6,3).
Non dice:  “Parla”,  ma “Ascolta”.
La prima parola che Dio dice è questa: “Ascolta”.
Se ascolti, proteggerai le tue vie; e se cadrai, subito ti correggerai.
Come ritroverà il proprio cammino il giovane che ha smarrito la strada?
Meditando le parole del Signore.
Anzitutto taci, e  ascolta..... (S. Ambrogio)