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lunedì 25 novembre 2013

L’ossessione

CRUDELTA’
La crudeltà che l’uomo ha nei confronti del suo prossimo, il tutto a causa di un motivo in mente, la soddisfazione di sé, ha raggiunto il punto più alto. L’ossessione dei propri bisogni è un peccato agli occhi del Mio Eterno Padre.
Tante false scuse, costruite in nome dell’autostima, sono totalmente inaccettabili e contrari ai Miei insegnamenti. 
Amatevi gli uni gli altri; trattate gli altri come voi stessi vorreste essere trattati. Pensate ai bisogni degli altri prima che ai vostri. Impegnatevi per i diritti umani dei vostri fratelli e delle vostre sorelle quando sono vittime dell’ingiustizia degli altri.
Non giustificatevi mai di aver danneggiato una persona per il conseguimento di un vantaggio materiale. 
Mostrate amore e compassione anche per i vostri nemici. Non è un compito facile a causa dell’insicurezza materiale che i Miei figli patiscono. 
I sintomi dell’egoistica ossessione per la ricchezza, la bellezza e quello che si chiama successo, che molte persone credono essere naturali attributi dell’essere umano, creano una terribile confusione.
L’idea secondo la quale la gente è stata indottrinata di mettere i propri bisogni in primo piano nel nome del benessere personale, è stata seminata nello spirito umano da molto tempo, ma questa filosofia è stata rafforzata dalla potenza della comunicazione moderna. Quando i Miei figli sentono questi messaggi quasi quotidianamente attraverso la televisione, i media, il cinema, la musica e Internet, essi li accettano come cose molto importanti.
Malgrado le false promesse che queste convinzioni rappresentano, le quali sono interessanti poiché offrono auto-gratificazione che è difficile da rifiutare, i Miei figli accettano la menzogna. Menzogna che è stata impiantata dal Seduttore – Satana.   Continua a leggere...

giovedì 26 settembre 2013

Un uomo ricco e un mendicante. ...Meglio essere Lazzari che Epuloni, credetelo. Giungete a crederlo e sarete beati. Domenica 29 settembre 2013, XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 29 settembre 2013, XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 16,19-31.
C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 
Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 
bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 
Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 
Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 
Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 
Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 
E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 
perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 
Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 
E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 
Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi». 
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel 
"Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : 
Volume 3 Capitolo 191 pagina 231.

“Consegna a Michea tanto denaro che domani egli possa ricompensare quanto oggi si è fatto prestare dai contadini di questa zona”, dice Gesù a Giuda Iscariota, che generalmente amministra le… sostanze comuni.
E poi Gesù chiama Andrea e Giovanni e li manda in due punti in cui si può vedere la strada o le strade che vengono da Jezrael. Chiama poi Pietro e Simone e li manda incontro ai contadini di Doras con l’ordine di fermarli presso il confine fra le due proprietà. 
Infine dice a Giacomo e Giuda: “Prendete le cibarie e venite”. 
Li seguono i contadini di Giocana, donne, uomini e bambini, e gli uomini portano due piccole anfore, piccole per modo di dire, che devono essere colme di vino. Più che anfore sono giarre e conterranno su per giù quei dieci litri ognuna. (Prego sempre non prendere le mie misure per articolo di fede). Vanno là dove un folto vigneto, già tutto coperto di foglie novelle, indica la fine dei possessi di Giocana. Oltre vi è un largo fossato, mantenuto pieno d’acqua con chissà che fatica. 
“Vedi? Giocana si è litigato con Doras per questo. Giocana diceva: “Colpa di tuo padre se tutto è rovina. Se non lo voleva adorare, almeno lo doveva temere e non provocare”. E Doras urlava, pareva un demonio: “Tu ti sei salvato le terre per questo fosso. Le bestie non l’hanno varcato…”. E Giocana diceva: “E allora come a te tanta rovina mentre prima i tuoi campi erano i più belli di Esdrelon? È il castigo di Dio, credilo. Avete passato la misura. Quest’acqua?… C’è sempre stata e non è essa che mi ha salvato”. E Doras urlava: “Questo prova che Gesù è un demonio”. “È un giusto”, urlava Giocana. E sono andati avanti per un pezzo, finché ebbero fiato, e dopo Giocana fece con grande spesa derivare acque dal torrente e scavare per cercare altre acque nel suolo e fare tutto un ordine di fossi a confine fra lui e il parente e li fece fare più fondi, e a noi disse quello che ti abbiamo detto ieri… In fondo lui è felice di quanto è accaduto. Era tanto invidioso di Doras… Ora spera poter comperare tutto, perché Doras finirà col vendere tutto per due spiccioli”. 
Gesù ascolta con benignità tutte queste confidenze e intanto attende i poveri contadini di Doras, che non tardano a venire e che si prostrano al suolo non appena vedono Gesù al riparo di un albero. 
“Pace a voi, amici. Venite. Oggi la sinagoga è qui ed Io sono il vostro sinagogo. Ma prima voglio essere il vostro padre di famiglia. Sedete in cerchio, che vi dia un cibo. Oggi avete lo Sposo, e facciamo convito di nozze”. 
E Gesù scopre una cesta e ne trae pani che dà agli stupiti contadini di Doras, e dall’altra leva quelle cibarie che ha potuto trovare: formaggi, verdure che ha fatto cucinare e un piccolo caprettino o agnellino, cotto intero, che spartisce ai poveri disgraziati, poi versa il vino e fa circolare il rozzo calice perché tutti bevano. 
“Ma perché? Ma perché? E loro?”, dicono quelli di Doras accennando a quelli di Giocana. 
“Loro hanno già avuto”. 
“Ma che spesa! Come hai potuto?”. 
“Ci sono ancora dei buoni in Israele”, dice Gesù sorridendo. 
“Ma oggi è sabato…”. 
“Ringraziate quest’uomo”, dice Gesù accennando all’uomo di Endor. “È lui che ha procurato l’agnello. Il resto fu facile averlo”. 
Quei poveretti divorano — è la parola — il cibo da tanto sconosciuto. 
Vi è uno, piuttosto vecchio, che si stringe al fianco un fanciullo di un dieci anni circa; mangia e piange. 
“Perché, padre, fai così?…”, chiede Gesù. 
“Perché la tua bontà è troppa…”. 
L’uomo di Endor dice con la sua voce gutturale: “È vero… e fa piangere. Ma il pianto è senza amaro…”. 
“È senza amaro. È vero. E poi… io vorrei una cosa. È anche desiderio questo pianto”. 
“Che vuoi, padre?”. 
“Questo fanciullo lo vedi? È mio nipote. Mi è rimasto dopo la frana di questo inverno. Doras neppure sa che mi ha raggiunto, perché lo faccio vivere come una bestia selvatica nel bosco e solo al sabato lo vedo. Se me lo scopre, o lo caccia o lo mette al lavoro… e sarà peggio di un animale da soma questo tenero mio sangue… A Pasqua lo manderò con Michea a Gerusalemme per divenire figlio della Legge… e poi?… È il figlio di mia figlia…”. 
“Lo daresti a Me, invece? Non piangere. Ho tanti amici che sono onesti, santi e senza figli. Lo alleveranno santamente, nella mia via…”. 
“Oh! Signore! Da quando ho saputo di Te l’ho desiderato. E pregavo il santo Giona, lui che sa cosa è essere di questo padrone, di salvare il mio nipote da questa morte…”. 
“Fanciullo, verresti con Me?”. 
“Sì, mio Signore. E non ti darò dolore”. 
“È detto”. 
“Ma… a chi lo vuoi dare?”, chiede Pietro tirando Gesù per una manica. “A Lazzaro anche questo?”. 
“No, Simone. Ma ce ne sono tanti senza figli…”. 
“Ci sono anche io…”. Il viso di Pietro pare fino affilarsi nel desiderio. 
“Simone, te l’ho detto. Tu devi essere il “padre” di tutti i figli che Io ti lascerò in eredità. Ma non devi avere la catena di nessun figlio tuo proprio. Non ti mortificare. Tu sei troppo necessario al Maestro perché il Maestro possa staccarti da Sé per un affetto. Sono esigente, Simone. Sono esigente più di uno sposo gelosissimo. Ti amo con ogni predilezione e ti voglio tutto per Me e di Me”. 
“Va bene, Signore… Va bene… Sia fatto come Tu vuoi”. Il povero Pietro è eroico nel suo aderire a questa volontà di Gesù. 
“Sarà il figlio della mia nascente Chiesa. Va bene? Di tutti e di nessuno. Sarà il “nostro” bambino. Ci seguirà quando lo permetteranno le distanze, o ci raggiungerà, e suoi tutori saranno i pastori, loro che amano nei bambini tutti il “loro” bambino Gesù. Vieni qui, fanciullo. Come ti chiami?”. 
“Jabé di Giovanni, e son di Giuda”, dice sicuro il ragazzo. 
“Sì. Siamo giudei noi”, conferma il vecchio. “Io lavoravo nelle terre di Doras in Giudea, e mia figlia si è sposata con un di quelle parti. Lavorava ai boschi presso Arimatea e -quest’in-ver-no…”. 
“Ho visto la sventura”. 
“Il fanciullo si è salvato perché quella notte era da un parente lontano… Veramente si è portato il nome, Signore! L’ho detto subito a mia figlia: “Perché? Non ricordi l’antico?”. Ma il marito volle chiamarlo così, e Jabé fu”. 
“Il fanciullo invocherà il Signore e il Signore lo benedirà e dilaterà i suoi confini, e la mano del Signore è sulla sua mano, ed egli non sarà più oppresso dal male”. Questo gli concederà il Signore per consolare te, padre, gli spiriti dei morti, e confortare l’orfano. 
Ed ora che abbiamo separato il bisogno del corpo da quello dell’anima con un atto di amore al fanciullo, ascoltate la parabola che ho pensata per voi. 


Vi era un tempo un uomo molto ricco. Le vesti più belle erano le sue, e nei suoi abiti di porpora e di bisso si pavoneggiava nelle piazze e nella sua casa, riverito dai cittadini come il più potente del paese, e dagli amici che lo secondavano nella sua superbia per averne utile. Le sue sale erano aperte ogni giorno in splendidi banchetti in cui la folla degli invitati, tutti ricchi, e perciò non bisognosi, si pigiavano adulando il ricco Epulone. I suoi banchetti erano celebri per abbondanza di cibi e di vini -prelibati. 
Ma nella stessa città vi era un mendico, un grande mendico. Grande nella sua miseria come l’altro era grande nella sua ricchezza. Ma sotto la crosta della miseria umana del mendico Lazzaro vi era celato un tesoro ancor più grande della miseria di Lazzaro e della ricchezza dell’Epulone. Ed era la santità vera di Lazzaro. Egli non aveva mai trasgredito alla Legge, neppure sotto la spinta del bisogno, e soprattutto aveva ubbidito al precetto dell’amore verso Dio e verso il prossimo. 
Egli, come sempre fanno i poveri, si accostava alle porte dei ricchi per chiedere l’obolo e non morire di fame. E andava ogni sera alla porta dell’Epulone sperando averne almeno le briciole dei pomposi banchetti che avvenivano nelle ricchissime sale. Si sdraiava sulla via, presso la porta, e paziente attendeva. Ma se l’Epulone si accorgeva di lui lo faceva scacciare, perché quel corpo coperto di piaghe, denutrito, in vesti lacere, era una vista troppo triste per i suoi convitati. L’Epulone diceva così. In realtà era perché quella vista di miseria e di bontà era un rimprovero continuo per lui. 
Più pietosi di lui erano i suoi cani, ben pasciuti, dai preziosi collari, che si accostavano al povero Lazzaro e gli leccavano le piaghe, mugolando di gioia per le sue carezze, e giungevano a portargli gli avanzi delle ricche mense, per cui Lazzaro sopravviveva alla denutrizione per merito degli animali, perché per mezzo dell’uomo sarebbe morto, non concedendogli l’uomo neppure di penetrare nella sala dopo il convito per raccogliere le briciole cadute dalle mense. 

Un giorno Lazzaro morì. Nessuno se ne accorse sulla Terra, nessuno lo pianse. Anzi ne giubilò l’Epulone di non vedere quel giorno né poi quella miseria che egli chiamava “obbrobrio” sulla sua soglia. Ma in Cielo se ne accorsero gli angeli. E al suo ultimo anelito, nella sua tana fredda e spoglia, erano presenti le coorti celesti, che in un folgoreggiare di luci ne raccolsero l’anima portandola con canti di osanna nel seno di Abramo. 

Passò qualche tempo e morì l’Epulone. Oh! che funerali fastosi! Tutta la città, che già sapeva della sua agonia e che si pigiava sulla piazza dove sorgeva la sua dimora per essere notata come amica del grande, per curiosità, per interesse presso gli eredi, si unì al cordoglio, e gli ululi salirono al cielo e con gli ululi del lutto le lodi bugiarde al “grande”, al “benefattore”, al “giusto” che era morto. 

Può parola d’uomo mutare il giudizio di Dio? Può apologia umana cancellare quanto è scritto sul libro della Vita? No, non può. Ciò che è giudicato è giudicato, e ciò che è scritto è scritto. E, nonostante i funerali solenni, l’Epulone ebbe lo spirito sepolto nell’Inferno. 

Allora, in quel carcere orrendo, bevendo e mangiando fuoco e tenebre, trovando odio e torture in ogni dove e in ogni attimo di quella eternità, alzò lo sguardo al Cielo. Al Cielo che aveva visto in un bagliore di folgore, in un atomo di minuto, e la cui non dicibile bellezza gli rimaneva presente ad essere tormento fra i tormenti atroci. E vide lassù Abramo. Lontano, ma fulgido, beato… e nel suo seno, fulgido e beato pure egli, era Lazzaro, il povero Lazzaro un tempo spregiato, repellente, misero, ed ora?… Ed ora bello della luce di Dio e della sua santità, ricco dell’amore di Dio, ammirato non dagli uomini ma dagli angeli di Dio. 

Epulone gridò piangendo: “Padre Abramo, abbi pietà di me! Manda Lazzaro, poiché non posso sperare che tu stesso lo faccia, manda Lazzaro ad intingere la punta del suo dito nell’acqua e a posarla sulla mia lingua per rinfrescarla, perché io spasimo per questa fiamma che mi penetra di continuo e mi arde!”. 

Abramo rispose: “Ricordati, figlio, che tu avesti tutti i beni in vita, mentre Lazzaro ebbe tutti i mali. E lui seppe del male fare un bene, mentre tu non sapesti dei tuoi beni fare nulla che male non fosse. Perciò è giusto che ora lui sia qui consolato e che tu soffra. Inoltre non è più possibile farlo. I santi sono sparsi sulla Terra perché gli uomini di loro se ne avvantaggino. Ma quando, nonostante ogni vicinanza, l’uomo resta quello che è — nel tuo caso, un demonio — è inutile poi ricorrere ai santi. Ora noi siamo separati. Le erbe sul campo sono mescolate. Ma una volta che sono falciate vengono separate dalle buone le malvagie. Così è di voi e di noi. Fummo insieme sulla Terra e ci cacciaste, ci tormentaste in tutti i modi, ci dimenticaste, contro l’amore. Ora siamo divisi. Tra voi e noi c’è un tale abisso che quelli che vogliono passare da qui a voi non possono, né voi, che lì siete, potete valicare l’abisso tremendo per venire a noi”. 

Epulone piangendo più forte gridò: “Almeno, o padre santo, manda, io te ne prego, manda Lazzaro a casa di mio padre. Ho cinque fratelli. Non ho mai capito l’amore neppure fra parenti. Ma ora, ora comprendo cosa è di terribile essere non amati. E, poi che qui dove io sono è l’odio, ora ho capito, per quell’atomo di tempo che vide la mia anima Iddio, cosa è l’Amore. Non voglio che i miei fratelli soffrano le mie pene. Ho terrore per loro che fanno la mia stessa vita. Oh! manda Lazzaro ad avvertirli di dove io sono, e perché ci sono, e a dire loro che l’Inferno è, ed è atroce, e che chi non ama Dio e il prossimo all’Inferno viene. Mandalo! Che in tempo provvedano, e non abbiano a venire qui, in questo luogo di eterno tormento”. 
Ma Abramo rispose: “I tuoi fratelli hanno Mosè ed i Profeti. Ascoltino quelli”. 

E con gemito di anima torturata rispose l’Epulone: “Oh! padre Abramo! Farà loro più impressione un morto… Ascoltami! Abbi pietà!”. 
Ma Abramo disse: “Se non hanno ascoltato Mosè ed i Profeti, non crederanno nemmeno ad uno che risusciti per un’ora dai morti per dire loro parole di Verità. E d’altronde non è giusto che un beato lasci il mio seno per andare a ricevere offese dai figli del Nemico. Il tempo delle ingiurie per esso è passato. Ora è nella pace e vi sta, per ordine di Dio che vede l’inutilità di un tentativo di conversione presso coloro che non credono neppure alla parola di Dio e non la mettono in pratica”. 

Questa la parabola, il cui significato è così chiaro da non meritare neppure una spiegazione. 

Qui veramente è vissuto conquistando la santità il Lazzaro novello, il mio Giona, la cui gloria presso Dio è palese nella protezione che dà a chi spera in Lui. A voi sì che Giona può venire, protettore e amico, e ci verrà se sarete sempre buoni. 

Io vorrei, e dico a voi ciò che dissi a lui la scorsa primavera, Io vorrei potervi tutti aiutare, anche materialmente, ma non posso, ed è il mio dolore. Non posso che additarvi il Cielo. Non posso che insegnarvi la grande sapienza della rassegnazione promettendovi il Regno futuro. Non odiate mai, per nessuna ragione. L’Odio è forte nel mondo. Ma ha sempre un limite l’Odio. L’Amore non ha limite di potenza né di tempo. Amate perciò, per possederlo a difesa e conforto sulla Terra e a premio in Cielo. Meglio essere Lazzari che Epuloni, credetelo. Giungete a crederlo e sarete beati. 


Non sentite nel castigo di questi campi una parola d’odio, anche se i fatti lo potevano giustificare. Non leggete male nel miracolo. Io sono l’Amore e non avrei colpito. Ma, visto che l’Amore non poteva piegare l’Epulone crudele, l’ho abbandonato alla Giustizia, ed essa ha fatto le vendette del martire Giona e dei suoi fratelli. Voi imparate questo dal miracolo. Che la Giustizia è sempre vigile anche se pare assente e che, essendo Dio Padrone di tutto il creato, si può servire, per l’applicazione di essa, dei minimi quali i bruchi e le formiche per mordere il cuore del crudele e dell’avido e farlo morire in un rigurgito di veleno che lo strozza. 
Io vi benedico, ora. Ma per voi pregherò ogni nuova aurora. E tu, padre, non avere più affanno per l’agnello che mi affidi. Te lo riporterò ogni tanto perché tu possa giubilare vedendolo crescere in sapienza e bontà sulla via di Dio. Sarà il tuo agnello di questa tua povera Pasqua, il più gradito degli agnelli presentati all’altare di Geové. Jabé, saluta il vecchio padre e poi vieni al tuo Salvatore, al tuo Pastore buono. La pace sia con voi!”. 
“Oh! Maestro! Maestro buono! Lasciarti!…”. 
“Sì. È penoso. Ma non è bene che il sorvegliante qui vi trovi. Sono venuto apposta qui per evitarvi punizioni. Ubbidite per amore all’Amore che vi consiglia”. 
I disgraziati si alzano con le lacrime agli occhi e vanno alla loro croce. Gesù li benedice ancora e poi, con la mano del fanciullo nella sua, e con l’uomo di Endor dall’altro lato, torna per la via già fatta alla casa di Michea, raggiunto da Andrea e da Giovanni che, finito il loro turno di guardia, si ricongiungono ai confratelli. 

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

AVE MARIA!

martedì 30 luglio 2013

Domingo XVIII, T.O. - C - San Lucas, 12, 13-21: PARÁBOLA DEL RICO NECIO



LA AVARICIA Y EL RICO NECIO








Jesús está en una de las colinas de la ribera occidental del lago. A sus ojos aparecen las ciudades y poblados esparcidos en las playas de este y aquel lado. Exactamente bajo la colina están Mágdala y Tiberíades, la primera con su barrio de lujo, lleno de jardines, separado netamente de las casas de los pescadores, ciudadanos y gente del pueblo común por un arroyuelo que ahora está completamente seco. Tiberíades resplandece por todas sus partes, una ciudad que ignora lo que es miseria y decadencia. Bella y nueva ríe bajo el sol enfrente del lago. Entre una y otra ciudad están las huertas, más o menos cultivadas, de la estrecha llanura y luego los plantíos de olivos que en terrazas llegan hasta la cima de las colinas. Detrás de las espaldas de Jesús, de esta parte se ve la silla del monte de las Bienaventuranzas, a cuyos pies está el camino principal que va del Mediterráneo a Tiberíades. Probablemente debido a la cercanía de un camino concurridísimo, Jesús escogió esta localidad a la que se puede llegar de varias ciudades del lago o de la Galilea interior, y donde, al atardecer, es fácil volver a casa, o encontrar hospitalidad en varios lugares. El calor debido a las alturas es templado y más suavizado por los árboles que en la cima ocupan el lugar de los olivos.
Hay mucha gente además de los apóstoles y discípulos, gente que tiene necesidad de Jesús para que la cure, o para que le aconseje; gente que viene también movida por la curiosidad, por amigos o por espíritu de imitación. Mucha gente, en una palabra. La estación no ya canicular sino templada gracias al otoño invita más que nunca a caminar en busca del Maestro.
Jesús curó ya enfermos y habló a la gente, y seguro que fue sobre el tema de las riquezas injustas y de su despego de ellas, tema necesario a todos para que se ganen el cielo, pero indispensable para quien quiera ser su discípulo. Ahorita está respondiendo a las preguntas de estos y aquellos discípulos ricos que no saben cómo arreglárselas.

EL USO Y EL AMOR  DE LAS RIQUEZAS

Juan el escriba dice: "¿Debo entonces destruir lo que tengo, despojando a los míos de lo que les pertenece?"
"No. Dios te dio los bienes. Hazlos servir a la justicia y úsalos rectamente. Esto es, con ellos ayuda a tu familia: es un deber. Trata humanamente a tus siervos: es caridad. Haz bien a los pobres, acude a las necesidades de los discípulos pobres. De este modo tus riquezas no te serán tropiezo sino ayuda."
Y luego dirigiéndose a todos les dice: "En verdad os digo: el discípulo más pobre puede correr el mismo peligro de perder el cielo por amor a las riquezas, si hecho sacerdote mío, falta a la justicia pactando con el rico. El rico o el malo, muchas veces tratará de seduciros con regalos para que asintáis a su modo de vivir y a su pecado. Y habrá algunos de mis servidores que cederán a la tentación de los regalos. Mal hecho. El Bautista os lo enseña. En él existía verdaderamente la perfección del juez y magistrado, sin serlo, como loseñala el Deuteronomio: "No tendrás respetos personales, ni aceptarás donativos, porque cierran los ojos del sabio y alteran las palabras del justo". Muchas veces el hombre deja a que la espada de la justicia pierda su filo ante el oro que un pecador le pasa por encima. No debe ser así. Sabed ser pobres, sabed morir, pero no pactéis jamás con la culpa, ni siquiera con la excusa de que usaréis ese oro en beneficio de los pobres. Es oro maldito y no produciría ningún fruto. Es oro de compromiso infame. Se os ha hecho discípulos para que seáis maestros, médicos y redentores. ¿Qué seréis si fueseis participantes del mal por interés? Maestros engañadores, médicos que matan el enfermo, no redentores sino cooperadores de la ruina de los corazones."

¿ES LÍCITO RETENER EL DINERO DE OTROS?

Uno de entre la multitud se abre paso y dice. "No soy discípulo, pero te admiro. Responde, pues, a esta pregunta mía: "¿Es lícito retener el dinero de otro?". 
"No. Es robo como lo es el quitar el dinero al que pasa."
"¿Aunque sea dinero de la familia?"
"Aunque así sea. No es justo que alguien se apropie del dinero de los demás."
"Entonces, Maestro, ve a Abelmain, que está sobre el camino de Damasco y ordena a mi hermano que reparta conmigo la herencia de nuestro padre que murió sin haber dejado testamento. El se ha quedado con toda. Y ten en cuenta que somos gemelos, que nacimos del primero y único parto. Tengo, pues, los mismos derechos que él."
Jesús lo mira y dice: "Es una situación difícil, y tu hermano ciertamente no obra bien pero todo lo que puedo hacer es orar por ti y por él, para que se convierta e ir a tu tierra a evangelizar, para tocarle el corazón. No me pesa el camino si puedo poner paz entre vosotros."
El hombre lleno de rabia grita: "¿Y para qué quiero tus palabras? Más que palabras otra cosa se requiere en este caso."
"Pero no dijiste que ordenase a tu hermano que..."
"Ordenar no es evangelizar. El mandar va unido a la amenaza. Amenázalo de que lo herirás en su persona, si no me da lo mío. Tú lo puedes hacer. Como restituyes la salud, puedes provocar enfermedades.
"Oye, vine a convertir, no a herir. Pero si tienes fe en mis palabras, encontrarás la paz."
"¿Qué palabras?"
"Te dije que rogaré por ti y por tu hermano, para que él se consuele y se convierta."
"¡Cuentos, cuentos! No soy un estúpido para creerlo. Ven y ordena."
Jesús que ha sido paciente y manso, cambia su aspecto en severidad. Se endereza -antes estaba un poco inclinado hacia el hombrecillo fuerte e iracundo- y dice: "Hombre: ¿quién me hizo juez y árbitro de vosotros? Nadie. Para quitar una división entre dos hermanos acepté ir para ejercer mi misión de pacificador y redentor, y si hubieses creído en mis palabras, regresando a Abelmain, habrías encontrado a tu hermano ya convertido. No supiste creer. No tendrás el milagro. Tú, si hubieses sido el primero en apoderarte del tesoro, te habrías quedado con él, privando de él a tu hermano porque en verdad, como sois gemelos, así tenéis iguales pasiones, y tú como tu hermano tenéis un solo amor: el oro; una sola fe: el oro. Quédate, pues con tu fe. Adiós."
El hombre se va maldiciendo con escándalo de todos que quisieran pegarle, pero Jesús se opone. Dice: "Dejadlo que se vaya. ¿Por qué queréis ensuciaros las manos pegando a un animal? Lo perdono porque es un hombre poseído del demonio del oro que lo extravía. Perdonad también vosotros. Roguemos por este infeliz para que recobre la bella libertad."
"Es verdad. Aun su cara era horrible por la avaricia. ¿La viste?" se preguntan los presentes mutuamente.
"¡Es verdad! ¡Es la verdad! No tenía la cara de antes."
"Sí. Después cuando el Maestro se lo negó, por poco le pega mientras lo maldecía, y su cara se hizo como cara de demonio."
"Un demonio que tentaba. Tentaba al Maestro para hacer el mal..."

EN REALIDAD LOS CAMBIOS DEL ESPÍRITU 
SE REFLEJAN EN LA CARA

"Escuchad" dice Jesús. "En realidad los cambios del espíritu se reflejan en la cara. Ha sucedido como si el demonio se hubiese asomado a la superficie de su poseído. Pocos son los que siendo demonios, con acciones o con aspecto, no traicionen lo que son. Y estos pocos son los perfectos en el mal y completamente poseídos.
Por el contrario, la cara del justo es siempre bella, aunque si físicamente sea fea, con una hermosura sobrenatural que aflora del interior al exterior. Y no sólo por decir, sino que los hechos lo comprueban, vemos que él que no tiene vicios, aun en su carne respira frescura. El alma está en nosotros y nos envuelve todos. El hedor de un alma corrompida, corrompe también la carne. El perfume de un alma pura, preserva. El alma corrompida empuja la carne a pecados obscenos, y estos envejecen y deforman. El alma pura excita la carne a una vida pura, lo cual da frescura y comunica majestad.
Haced que en vosotros exista la juventud pura del espíritu, o resurja si se perdió, y alejaos de toda codicia, bien se trate de los sentidos, bien del poder. Ni esta vida ni la eterna dependen de la abundancia de bienes que se posean sino de la manera de vivir, y con la vida la felicidad de esta tierra y del cielo, porque el vicioso jamás es feliz, realmente feliz. El virtuoso lo es siempre con una alegría celestial, aun cuando sea pobre y solo. Ni siquiera la muerte lo hace prisionero, porque no tiene culpas ni remordimientos que lo hagan temer el encuentro con Dios, y no tiene ningún sentimiento por lo que deja sobre la tierra. Sabe que en el cielo está su tesoro, y a la manera de alguien que va a recibir la herencia que le corresponde, una herencia santa, va alegre, presto, al encuentro de la muerte que le abre las puertas del reino donde está su tesoro.
Haceos pronto vuestro tesoro, empezad ya desde la juventud, vosotros que sois jóvenes; trabajad incansablemente, vosotros ancianos que, por la edad, tenéis más próxima la muerte. Y ya que muerte significa un plazo desconocido, y frecuentemente cae el niño antes que el anciano, no dejéis de trabajar por haceros con un tesoro de virtudes y de buenas obras para la otra vida, de modo que no os sorprenda la muerte sin que hayáis colocado un tesoro de méritos en el cielo. Muchos son los que dicen: "¡Oh, soy joven y fuerte! Por ahora gozaré de la tierra, después me convertiré". ¡Gran error!

PARÁBOLA DEL RICO NECIO

Escuchad esta parábola. Los campos de un cierto hombre le habían producido muchos frutos, una cosecha, digamos, milagrosa. Contempla toda esa abundancia que se acumula en sus campos y eras, y que no encuentra lugar en sus graneros y que debe colocar en trojes provisionales y hasta en habitaciones de la casa. Dice: "He trabajado como un esclavo y la tierra no me engañó. Trabajé durante diez cosechas, y ahora quiero descansar otras tantas. ¿Cómo haré para arreglar toda esta cosecha? No quiero venderla porque me obligaría a trabajar para que el año siguiente tuviese otra cosecha. Haré así: destruiré mis graneros, los haré más extensos, de modo que quepa toda mi cosecha junto a mis bienes. Y luego diré a mi corazón: 'Corazón mío, tienes ahora muchos bienes para muchos años. Descansa, pues. Come, bebe y goza' ". Este, como otros muchos, confundía el cuerpo con el alma, y mezclaba lo sagrado con lo profano, porque realmente en las glotonerías y en el ocio el alma no goza sino languidece, y también él, como otros muchos, después de la primera cosecha en los campos del bien, se para, pareciéndole que hizo mucho.
¿Pero no sabéis que una vez puesta la mano en el arado es menester perseverar uno, diez y cien años, cuanto dure la vida, porque detenerse es un crimen contra sí mismo, a quien se niega una gloria mayor; es retroceder porque quien se detiene generalmente no sólo no adelanta más, sino vuelve atrás? Para que sea bueno el tesoro del cielo debe aumentar año por año. Pues si habrá misericordia para quien tuvo pocos años para forjar el tesoro, no la habrá para los flojos que después de una vida larga, han hecho poco. El tesoro del cielo es un tesoro en continuo aumento, de otro modo no será un tesoro fructífero, sino un tesoro muerto, lo que redunda en detrimento de la paz del cielo. Dios dijo al necio: "Hombre necio que confundes el cuerpo y los bienes de la tierra con lo que es espíritu, y te haces un mal de una gracia de Dios, ten en cuenta esta noche misma se te pedirá el alma y se te quitará, y el cuerpo yacerá sin vida. Cuanto has preparado ¿de quién será? ¿Te lo llevarás contigo? No. Te verás desnudo de cosas terrenas y de obras espirituales ante mi presencia y será pobre en la otra vida. Mejor te hubiera sido haber hecho con tus cosechas obras de misericordia al prójimo y a ti mismo. Porque siendo misericordioso con los demás, lo eres para con tu alma. Y en vez de haber nutrido pensamientos de ociosidad, hubieras tratado de cultivar una actividad de la que pudieses sacar utilidad para tu cuerpo y grande mérito para tu alma, hasta que Yo te hubiese llamado". Aquel hombre murió esa noche y fue severamente juzgado.
En verdad os digo que así sucede a quien atesora para sí y no se enriquece a los ojos de Dios. Ahora podéis iros y haceos un tesoro de la doctrina que os he dado. La paz sea con vosotros."
Jesús bendice y se retira a un lugar tupido del bosque con los apóstoles y discípulos para tomar sus alimentos y descansar. Pero mientras están comiendo, El continúa hablando de la lección que acaba de dar, repitiendo un tema que ya ha dicho a los apóstoles muchas veces y creo que no será suficiente el repetirlo, porque el hombre frecuentemente es presa de temores sin fundamento.

ES MENESTER PREOCUPARSE DE ENRIQUECERSE 
SÓLO DE VIRTUDES

"Creedme" dice, "que es menester preocuparse de enriquecerse sólo de virtudes. Y ved bien: que vuestra preocupación no tenga ni angustia ni intranquilidad. El bien es enemigo de las inquietudes, miedos, prisas que tienen todavía el sabor de avaricia, celos, desconfianza humana.
Que vuestro trabajo sea constante, lleno de confianza, de paz, sin empiezos bruscos y bruscas paradas.Así se comportan los burros salvajes, pero nadie los emplea a no ser que sea un necio, para hacer un viaje seguro. Tened paz en las victorias, paz en las derrotas. Aun el llanto por algún error cometido, y que os duele porque con él habéis desagradado a Dios, debe tener paz, confrontado con humildad y confianza. El abatimiento, la ira hacia sí mismo es siempre síntoma de soberbia y de desconfianza. Si uno es humilde sabe que es un hombre sujeto a las miserias de la carne que algunas veces triunfa. Si no es humilde tiene confianza no tanto en sí cuanto en Dios, y guarda la calma aun en las derrotas diciendo: "Perdóname, Padre. Conoces mi debilidad que ahora ha vencido. Creo que me compadeces. Tengo confianza que me ayudarás en lo futuro mucho más que antes, no obstante que en bien poco te pueda satisfacer".
No seáis ni apáticos, ni avaros de los bienes de Dios. Dad cuanto tenéis de sabiduría y virtud. Sed laboriosos en el espíritu como los hombres lo son por las cosas de la carne. Y respecto a esta no imitéis a los del mundo que tiemblan siempre por el mañana, por miedo de que les falte lo superfluo, por miedo de que se enfermen, de que les sobrevenga la muerte, de que los enemigos puedan hacerles daño y así en lo demás.
Dios sabe de lo que tenéis necesidad. No tengáis miedo por el mañana. Libertaos de ese miedo que es tan pesado, como pesadas son las cadenas para el galeote. No os preocupéis por vuestra vida, ni por la comida, ni por la bebida, ni por el vestir. La vida del espíritu vale más que la del cuerpo y el cuerpo vale más que el vestido, porque vivís no con el vestido sino con el cuerpo y con mortificar el cuerpo ayudáis al espíritu a conseguir la vida eterna. Dios sabe hasta cuándo dejará que el alma esté en el cuerpo, y hasta cuándo os dará lo necesario. Lo da a los cuervos, animales impuros que se alimentan de cadáveres y que tiene su razón de ser porque tienen ese trabajo de librar de putrefacciones ¿y no os lo dará a vosotros? Ellos no tienen alacenas, ni graneros y con todo Dios los alimenta. Vosotros sois hombres y no cuervos, y por ahora sois la flor de los hombres porque sois discípulos del Maestro, los evangelizadores del mundo, y siervos de Dios. ¿Y podéis imaginar que Dios que tiene cuidado de los lirios de los valles y que los hace crecer y los viste con tales vestiduras que ni siquiera Salomón tuvo, sin que ellos tengan otro trabajo que perfumar, puede dejaros sin el vestido?
Vosotros sí que no podéis poneros un diente en la boca, ni alargar un geme a la pierna tullida, ni dar fuerza a la pupila nublada. Y si no podéis hacer estas cosas ¿podéis pensar que sois capaces de apartar de vosotros las miserias y enfermedades y sacar comida del polvo? No podéis. No seáis gente de poca fe. Tendréis siempre lo que es necesario. No os aflijáis como la gente del mundo que se atarea por proveerse de objetos que no puede gozar. Tenéis a vuestro Padre que sabe de lo que tenéis necesidad. Debéis sólo buscar, y que sea vuestra primera preocupación, el reino de Dios y su justicia, y todo lo demás se os dará.
No temáis, vosotros, pequeña grey mía. El Padre se ha complacido en llamaros al reino para que lo poseáis. Podéis, pues, aspirar a él y ayudar al Padre con vuestra buena voluntad y santa laboriosidad. Vended vuestros bienes, haced con ellos limosna, si sois solos. Dad a los vuestros lo que os pertenece por seguirme, porque no es justo quitar el pan a los hijos y a la esposa. Y si no podéis sacrificar las riquezas, sacrificad la riqueza del afecto. También esta es moneda que Dios valúa en lo que es: oro más puro que cualquier otro; perla más preciosa que la que se arrebata a los mares, y rubí más raro del que se extrae de las entrañas de la tierra. Porque renunciar a la familia por Mí es caridad más perfecta que oro sin impureza alguna, es perla hecha de llanto, y rubí hecho de sangre que llora por la herida del corazón, que está desgarrado por la separación del padre, y madre, esposa e hijos.
Estas bolsas de dinero no se gastan, este tesoro nunca disminuye. Los ladrones no penetran en el cielo, el comején no corroe lo que allí se deposita. Tened el cielo en el corazón y el corazón en él cerca de vuestro tesoro, porque el corazón, tanto en el bueno como en el malvado, está donde está el tesoro que más se quiere. Por esto, como el corazón está allí donde está el tesoro (en el cielo), así el tesoro está allí donde está el corazón (esto es, en vosotros), mejor dicho, el tesoro está en el corazón y con el tesoro de los santos está en el corazón el cielo de los santos.
Estad siempre prontos, como quien está a punto de emprender un viaje o en espera del patrón. Sois siervos de Dios-Patrón. A cualquier hora os puede llamar a donde está, o venir a donde estáis. Por eso estad siempre prontos a ir o a presentarle los honores estando siempre con los cinturones puestos para el viaje o trabajo, y con las linternas encendidas en las manos. Al salir de una fiesta de nupcias con uno que os haya precedido en los cielos y en la consagración a Dios sobre la tierra, Dios puede acordarse de vosotros que estáis esperando y puede decir. "Vamos a donde están Esteban o Juan, o bien donde está Santiago, Pedro, etc.". Dios es veloz en venir y decir: "Ven". Por eso estad siempre prontos para partir si os llamare.

BIENAVENTURADOS LOS SIERVOS 
QUE EL PATRÓN ENCONTRARE VIGILANDO

Bienaventurados los siervos que el Patrón, al llegar, encontrare vigilando. En verdad, para premiarlos por la fiel espera, El se ceñirá el vestido y haciéndolos sentar a la mesa, se pondrá a servirles. Puede llegar a la primera vigilia, como a la segunda y tercera. No lo sabéis. Por eso estad siempre vigilantes. Bienaventurados si lo fuereis y así os encontrare el Patrón. No os hagáis ilusiones diciendo: "Hay tiempo. Esta noche no viene". Sería un mal para vosotros. No lo sabéis. Si uno supiese cuándo viene el ladrón no dejaría sin vigilar la casa para que el bandido no forzase la puerta y cerrojos. También vosotros estad preparados, porque cuando menos lo penséis vendrá el Hijo del hombre diciendo: "Es la hora". "
Pedro, que hasta se olvidó de terminar su comida por escuchar al Señor, al verlo se calla, pregunta: ¿Dices esto por nosotros o por todos?"
"Es por vosotros y por todos. Más bien, es por vosotros, porque sois como mayordomos del Patrón puestos a la cabeza de siervos y tenéis doble trabajo: de estar prontos, como mayordomos y como simples fieles. ¿Qué debe ser el mayordomo colocado a la cabeza de los familiares del Patrón para darles a cada uno a su tiempo su justa parte? Debe ser sagaz y fiel: para cumplir con su deber propio, para hacer que los que le están sujetos, cumplan con su deber. De otro modo padecerían menoscabo los intereses del patrón que paga al mayordomo para que haga sus veces y guarde sus intereses durante su ausencia. Bienaventurado el siervo que el patrón, al volver a su casa, encontrase que trabaja fielmente, con diligencia y justicia. En verdad os digo que lo hará mayordomo aun de otras propiedades suyas, de todos sus bienes, y descansará y se alegrará en su corazón porque está seguro del siervo.
Pero si el siervo dice: "¡Oh, qué bien! El patrón está lejos y me escribió que tardará en regresar, por eso puedo hacer lo que me parece y cuando previere que está por llegar, proveeré". Y empieza a beber hasta embriagarse, a dar órdenes de ebrio, y como los siervos buenos, que le está sujetos, rehúsan cumplir sus órdenes para no causar daño al patrón, se pone a golpearlos, y hasta hacerlos caer enfermos o débiles. Piensa en ser feliz y dice: "Finalmente llego a saborear lo que es ser patrón y que le teman a uno". Pero ¿qué sucederá? Sucederá que cuando menos se lo espere, llegará el patrón, y puede ser que hasta lo sorprenda cuando se echa dinero en la bolsa o corrompe a uno de los siervos más débiles. Entonces, os lo digo, el patrón lo arrojará del lugar de mayordomo y hasta del número de sus siervos, porque no es lícito tener infieles y traidores en medio de gente honrada. Y tanto más será castigado cuanto más el patrón lo amaba antes y le había instruido.
Porque quien conoce mejor la voluntad y el pensar del patrón, tanto más está obligado a realizarlos con exactitud. Si no hace como el patrón le explicó, con toda amplitud, más que a ningún otro, será castigado fuertemente; entre tanto que el siervo inferior, que poco sabe, y se equivoca creyendo hacer bien, tendrá un castigo menor. A quien mucho se dio, mucho se pedirá, y él que tuvo mucho bajo su cuidado, mucho deberá devolver, porque a mis mayordomos se les pedirá cuenta aun del alma de un niño que acaba de nacer.

MI ELECCIÓN NO ES UN FRESCO DESCANSO 
EN UN BOSQUE FLORIDO.

Mi elección no es un fresco descanso en un bosque florido. Vine a traer fuego sobre la tierra; y ¿qué puedo desear sino que arda? Por esta razón me fatigo y quiero que os fatiguéis hasta la muerte y hasta que la tierra sea una hoguera de fuego celestial.
Debo ser bautizado con un bautismo. ¡Y cuánto sufriré hasta que no se realice! ¿No preguntáis el por qué? Porque con él os haré portadores del Fuego, agitadores que muevan en todas las capas sociales y contra todas, para lograr una sola cosa: la grey de Cristo.
¿Creéis que vine a traer paz sobre la tierra? ¿y según el modo de ver de la tierra? No. Sino más bien discordia y separación. Porque de ahora en adelante, y hasta que la tierra no sea una sola grey, de cinco que haya en una casa dos serán contra tres, y el padre estará contra el hijo, y este en contra su padre, y la madre contra las hijas, y estas contra ella, y las suegras y nueras tendrán un motivo de más para no entenderse, porque habrá un lenguaje nuevo en sus labios, y será igual que una Babel, porque una agitación profunda sacudirá el reino de los afectos humanos y sobrehumanos. Pero luego llegará la hora en que todo se unifique en una sola lengua nueva, que hablarán todos los salvados del Nazareno, y se purificarán las aguas de sentimientos, yendo al fondo las escorias, y brillando en la superficie las límpidas ondas de lagos celestiales.
En verdad que no es reposo el servirme, según el hombre entiende esta palabra. Es necesario heroísmo y no cansarse jamás. Yo os digo: al fin estará Jesús, el mismo Jesús que se ceñirá su vestido para serviros, y luego se sentará con vosotros en el banquete eterno, y se olvidarán la fatiga y el dolor.
Ahora, como nadie nos buscó, vayamos al lago. Descansaremos en Mágdala. En los jardines de María de Lázaro hay lugar para todos, y ella puso su casa a disposición del Peregrino y de sus amigos. No es necesario que os diga que María Magdalena ha muerto con su pecado y ha renacido por su arrepentimiento María de Lázaro, discípula de Jesús de Nazaret. Lo sabéis, porque la noticia se extendió cual fuego en una floresta. Pero os diré lo que no sabéis: que todos los bienes personales de María de Lázaro son para los siervos de Dios y para los pobres de Cristo. Vamos..."
V.890-900

A. M. D. G. et B.V.M.

lunedì 13 maggio 2013

L'avarizia e il ricco stolto


(020)

Ad un uomo ricco aveva fruttato molto bene la campagna. Proprio un raccolto da miracolo. Egli contempla felice tutta questa dovizia che si accumula nei suoi campi e le sue aie e che non trova posto nei granai tanto che è ospitata sotto tettoie provvisorie e persino nelle stanze della casa, e dice: "Ho lavorato come uno schiavo, ma la terra non mi ha deluso. Ho lavorato per dieci raccolti, e ora voglio riposare per altrettanto. Come farò a mettere a posto tutta questa raccolta? Venderne non voglio perchè mi costringerei a lavorare per avere il prossimo anno nuovo raccolto. Farò così: demolirò i miei granai e ne farò di più vasti, che c'entrino tutti i raccolti e i miei beni. E poi dirò all'anima mia: Oh, anima mia! Tu hai ora da parte dei beni per molti anni. Riposati dunque, mangia e bevi e godi."

Costui, come molti, confondeva il corpo con l'anima, e mescolava il sacro al profano, perchè realmente nelle gozzoviglie e nell'ozio l'anima non gode ma languisce, e anche costui, come molti, dopo il primo buon raccolto nei campi del bene, si fermava, parendogli di aver fatto tutto.
Ma non sapete che posta la mano all'aratro occorre perseverare uno e dieci e cent'anni, quanto la vita dura, perchè fermarsi è delitto verso se stessi ai quali si nega una gloria maggiore, è regredire perchè chi si ferma generalmente non solo non progredisce più, ma si volge indietro? Il tesoro del Cielo deve aumentare anno per anno per essere buono. Chè se la Misericordia sarà benigna anche con chi ebbe pochi anni per formarlo, non sarà complice dei pigri che avendo lunga vita fanno poco. E' un tesoro in continuo aumento. Se no non è più tesoro fruttifero, ma inerte, e ciò va a detrimento della pronta pace del Cielo.

Dio disse allo stolto: "Uomo stolto che confondi il corpo e i beni della terra con ciò che è spirito, e di una grazia di Dio te ne fai un male, sappi che questa notte stessa ti sarà chiesta l'anima e levata, e il corpo giacerà senza vita. Quanto hai preparato di chi sarà? Lo porterai teco? Te ne verrai nudo di raccolti terreni e di opere spirituali al mio cospetto e povero sarai nell'altra vita. Meglio ti era dei tuoi raccolti farne opere di misericordia al prossimo e a te. Perchè essendo misericorde agli altri alla tua anima eri misericorde. E invece di nutrire pensieri d'ozio, coltivare attività da cui trarre onesto utile al tuo corpo e grandi meriti alla tua anima finchè Io ti avessi chiamato". E l'uomo nella notte, morì e fu severamente giudicato.
AVE MARIA!

sabato 6 aprile 2013

Messaggio profetico che la Madonna del Buon Successo affidò a Madre Marianna de Jesùs Torres ... La Beatissima Vergine .. le assicurò che avrebbe Ella stessa assunto il comando della battaglia decisiva, confermando di essere "Regina delle vittorie".




La parte più impressionante, e più interessante per noi, del messaggio profetico che la Madonna del Buon Successo affidò a Madre Marianna de Jesùs Torres il 2 febbraio 1634 a Quito (Ecuador), è quella che riguarda la situazione del mondo e della Chiesa. 




La notte del 2 febbraio 1634, mentre madre Mariana pregava nel coro della cappella, notò che la lampada del Tabernacolo si era spenta, lasciandola al buio quasi completo. Stava per andare a riaccenderla, quando si sentì come bloccata da una forza sconosciuta e restò quindi in attesa. Improvvisamente apparve per la terza volta la Madonna, vincendo le tenebre col suo splendore e illuminando la chiesa come se fosse giorno pieno. Confidando alla veggente un suo segreto, la Beatissima Vergine le spiegò il significato di questa apparizione.






"Lo spegnersi della lampada che arde davanti all’Amore prigioniero ha molti significati. 



Il primo è questo: alla fine del XIX secolo e per grande parte del XX, si diffonderanno varie eresie, e, sotto il loro potere, la luce preziosa della Fede si spegnerà nelle anime per opera della quasi totale corruzione dei costumi. In quel tempo vi saranno grandi calamità fisiche e morali, pubbliche e private. 
Le poche anime rimaste fedeli ala grazia soffriranno un martirio tanto crudele e indicibile quanto prolungato; molte di esse scenderanno nella tomba per la violenza delle loro sofferenze e verrano considerate come martiri sacrificatisi per la Chiesa e per la Patria. (…)




"Il terzo significato dello spegnimento della lampada è dovuto allo spirito avvelenato di impurità che in quel tempo dominerà, percorrendo le strade, le piazze e i luoghi pubblici come un mare immondo e godendo di una libertà talmente sorprendente che quasi non resteranno più nel mondo anime vergini.



"Il quarto significato è il riconoscimento del potere delle sette, che abilmente si introdurrà nelle famiglie estinguendo l’innocenza nei cuori dei piccoli, soffocando in tal modo anche le vocazioni sacerdotali. (...) Disgraziatamente, la Chiesa passerà allora attraverso una notte oscura in cui mancherà un prelato e un padre che vegli con amore, con dolcezza e forza, perspicacia e prudenza, e molte anime si perderanno mettendo in pericolo la loro stessa salvezza eterna.




"Il quinto motivo dell’estinzione della lampada sta nell’insensibilità e nel disinteresse di quella gente che, pur possedendo abbondanti ricchezze, resterà indifferente all’oppressione della Chiesa, alla persecuzione della virtù e al trionfo dei malvagi, trascurando di impiegare santamente le loro ricchezze per ottenere la distruzione del male e la restaurazione della Fede".



Questa epoca di tenebre culminerà con "una guerra terribile e spaventosa, in cui scorrerà sangue di ogni nazione. Questa sarà la più orribile delle notti perché, secondo umane apparenze, la malvagità sarà trionfante. Eppure sarà giunta la mia ora, in cui io, in maniera meravigliosa, detronizzerò il superbo e maledetto Satana, ponendolo sotto il mio piede e incatenandolo nell’abisso infernale, liberando infine la Chiesa e la Patria dalla sua crudele tirannia".



Molti saranno i fattori che cooperano alla rivincita di Maria e alla restaurazione della Chiesa e della Cristianità, ma uno solo, determinante, viene enunciato dalla Madonna: il ruolo che avrà un uomo privilegiato, un "gran prelato":





"Prega con insistenza, reclama senza stancarti e piangi con lacrime amare nel segreto del tuo cuore, chiedendo al nostro Padre celeste che, per amore del Cuore Eucaristico del mio santissimo Figlio, ponga fine quanto prima a questi tempi funesti inviando alla Chiesa quel prelato che dovrà restaurare lo spirito dei suoi sacerdoti. Questo mio amatissimo figlio verrà dotato di una capacità rara, di umiltà di cuore, di docilità alle divine ispirazioni, di fortezza per difendere i diritti della Chiesa e di un animo tenero e compassionevole, affinché, come un altro Cristo, provveda al grande e al piccolo, senza disprezzare i più infelici. (…) In sua mano verrà posta la bilancia del Santuario, affinché tutto venga fatto con peso e misura e affinché Dio venga glorificato. Alla rapida venuta di questo padre e prelato, però, sarà di ostacolo quella timidezza di tutte le anime consacrate a Dio, che è anche causa del dominio di Satana su queste terre".

* * *

Racconta il biografo che la madre Mariana, terribilmente impressionata dallo scenario di tenebre e di apostasia che la Madonna le aveva dipinto, si prostrò a terra tremante e le chiese arditamente di concederle il miracolo di mantenerla in vita fino al XX secolo, affinché potesse combattere sulla terra contro quell’ondata di empietà. 
La Beatissima Vergine non le concesse questa grazia, ma la rassicurò ripetendole che avrebbe Ella stessa assunto il comando della battaglia decisiva, confermando di essere "Regina delle vittorie".



Volendo lasciare alla veggente e alle suore del monastero un segno tangibile della sua visita e della sua protezione, la Madonna comandò a madre Mariana di far scolpire una statua che la rappresentasse il più fedelmente possibile. L’immagine doveva avere nella mano destra un bastone apostolico e le chiavi della clausura, in segno della autorità e della proprietà della Vergine sulla congregazione, sorreggendo invece nella mano sinistra il Bambino Gesù benedicente. 

Tutto fu fatto com’era stato comandato, e, al momento dell’intronizzazione della statua nella cappella, la mattina del 16 gennaio 1611, mentre le suore si avviavano in chiesa per recitare il Piccolo Officio della Madonna, udirono risuonare armoniose melodie: nell’entrare nella cappella, videro il coro illuminato di luce soprannaturale, mentre alcuni Angeli, cantando il "Salve sancta Parens" al suono di musiche celestiali, ponevano al suo posto la statua appena terminata. Questa immagine può ancor oggi essere venerata nella stessa cappella del monastero, sopravvissuto a molte persecuzioni e rovine.

La Chiesa ha sempre considerato queste apparizioni come attendibili, e quanto al messaggio che annunciano, il fatto stesso che in parte si sia già realizzato da tempo e in parte si stia ormai realizzando sotto i nostri occhi, è da solo una garanzia della sua veridicità. E’ facile inoltre mettere in evidenza la piena armonia che esiste tra questa profezia e quella di Fatima: entrambe descrivono il nostro secolo come l’epoca della grande apostasia, della persecuzione dei fedeli e del terribile castigo divino, ma entrambe aprono anche uno spiraglio per farci intravedere l’alba dell’immenso trionfo della Vergine sull’antico Serpente, della restaurazione della Chiesa e della Cristianità sulle rovine della Rivoluzione anticristiana: annunciano insomma il Regno di Maria e del suo Cuore Immacolato. 

Se la Madonna ha voluto turbare il cuore della sua veggente e di noi tutti facendoci vedere lo spegnersi della lampada che ardeva davanti al Tabernacolo, ossia l’estinzione quasi totale della vera Fede ad opera delle potenze delle tenebre, lo ha fatto non solo per mettere in guardia i fedeli da facili ma fallaci certezze e per spronarli alla vigilanza più rigorosa, ma anche per rassicurarli preavvisandoli dei tempi oscuri che dovranno attraversare e per dare loro in anticipo la certezza dell’imminente trionfo sulle avversità che dovranno affrontare.



Anche se per un certo tempo la lampada del Santuario resterà spenta, sappiamo già che la Madonna stessa avrà cura di riaccenderla, più splendente di prima. Resta allo zelo dei cattolici rimasti fedeli il compito di pregare e di agire per affrettare quel benedetto giorno del trionfo che madre Mariana agognò di vedere. 

Con una delle sue frasi folgoranti, sant’Agostino ci consola affermando che, se avremo l’animo di sperare in ciò che non possiamo ancora vedere, otterremo forse da Dio la grazia di vedere con i nostri occhi ciò che abbiamo eroicamente sperato.



SALVACI, O MADRE,
PER LA TUA MISERICORDIA!
AMDG et DVM

giovedì 14 febbraio 2013

SAN VALENTINO!




Il Pontefice pronuncia la sua omelia
per l'ordinazione sacerdotale di san Valentino.

«Battezzato nel giorno natale del martire Valente, il nuovo figlio della Chiesa Apostolica e Romana, e fratello nostro, ha voluto assumere il nome del martire beato, ma con quella modifica che l’umiltà attinta dal Vangelo - l’umiltà: una delle radici della santità - gli dettava. 

E non Valente, ma Valentino volle essere detto.
Oh! ma che in vero Valente egli è. Guardate quanto cammino ha fatto il pagano la cui religione era il vizio e la prepotenza. Voi lo conoscete quale è ora, nel seno della Chiesa. Qualcuno fra voi - e specie quelli che padri e madri di vera generazione gli sono stati, per essere quelli che con la parola e l’esempio l’hanno fatto concepire dalla Santa Madre Chiesa e partorire da essa per l’altare e per il Cielo - sanno quello che egli era non come cristiano Valente ma come il pagano di prima, il cui nome egli, e noi con lui, non vogliamo neppur ricordare. 

Morto è il pagano. E dall’acqua lustrale è risorto il cristiano. Ora egli è il vostro prete. Quanto cammino! Quanto! Dalle orgie ai digiuni; dai triclini alla chiesa; dalla durezza, dall’impurità, dall’avarizia, all’amore, alla castità, alla generosità assoluta.

Egli era il giovane ricco, e un giorno ha incontrato, portato a lui dal cuore dei santi, che anche senza parole illustrano Cristo - perché Egli traluce dal loro animo - ha incontrato Gesù, Signor nostro benedetto. 

Gli occhi dolcissimi del Maestro si sono fissati sul volto del pagano. E il pagano ha provato una seduzione che nessun piacere gli aveva ancor data, una emozione nuova, dal nome sconosciuto, dalla non descrivibile sensazione. Un che di soave come carezza di madre, di onesto come odore di pane testé sfornato, di puro come alba di primavera, di sublime come sogno ultraterreno.

Cadete voi larve del mondo e dell’Olimpo pagano quando il Sole Gesù bacia un suo chiamato. Come nebbie vi dissolvete. Come incubi demoniaci fuggite. Che resta di voi? Di voi che sembravate tanto splendida cosa? Un mucchio lurido di detriti inceneriti malamente e ancor fetidi di corruzione. 

“Maestro buono, che devo fare per seguire Te e avere la vita eterna?” ha chiesto. E il dolce, divino Maestro, con poche parole gli ha dato l’insegnamento di Vita: “Osserva questi comandi”. Oh! non gli poteva dire: “Segui la Legge!”. Il pagano non la conosceva. Gli disse allora: “Non uccidere, non rubare, non spergiurare, non essere lussurioso, onora i parenti e ama Dio e prossimo come te stesso”. Parole nuove! Mète mai pensate! Orizzonti infiniti pieni di luce. Della sua luce.

Il pagano non poteva dare la risposta del giovane ricco. Non poteva. Perché nel paganesimo sono tutti i peccati ed egli tutti li aveva nel cuore. 

Ma volle poterla dare. E venne ad un povero vecchio, al Pontefice perseguitato, e disse: “Dàmmi la Luce, dàmmi la Scienza, dàmmi la Vita! Un’anima dàmmi, in questo mio corpo di bruto!”, e piangeva. E il povero vecchio, che io sono, ha preso il Vangelo ed in esso ha trovato la Luce, la Scienza, la Vita per il mendicante piangente. Ho trovato tutto nel Vangelo di Gesù, nostro Signore, per lui. E gli ho potuto dare l’anima. L’anima morta evocarla a vita, e dirgli: “Ecco l’anima tua. Custodiscila per la vita eterna”.

Allora, bianco del bagno battesimale, egli si è dato a ricercare il Maestro buono e lo ha trovato ancora e gli ha detto: “Ora posso dirti che faccio ciò che Tu mi hai detto. Che altro manca per seguire Te?”. E il Maestro buono ha risposto: “Va’, vendi quanto hai e dàllo ai poveri. Allora sarai perfetto e potrai seguire Me”.

Oh! allora Valentino ha superato il giovane di Palestina! Non se ne andò via, incapace di separarsi da tutti i suoi beni. Ma questi beni mi ha portato per i poveri di Cristo e, libero dal giogo delle ricchezze, pesante giogo che impedisce di seguire Gesù, mi ha chiesto il giogo luminoso, alato, paradisiaco del Sacerdozio.

Eccolo. Lo avete visto sotto quel giogo, con le mani legate, prigioniero di Cristo, salire al suo altare. Ora vi frangerà il Pane eterno e vi disseterà col Vino divino. 
Ma lui, come io, per esser perfetti agli occhi del Maestro buono vogliamo ancora una cosa. Farci noi pane e vino: immolarci, frantumarci, spremerci sino all’ultima stilla, ridurci a farina per essere ostie. Vendere l’ultima, l’unica ricchezza che ci resta: la vita. Io la mia cadente vita di vecchio. Egli la fiorente vita di giovane.

Oh! non deluderci, Pontefice eterno. Concedici il beato martirio! Col sangue vogliamo scrivere il tuo Nome: Gesù Salvatore nostro. Un altro battesimo vogliamo, per la nostra stola che l’imperfezione umana sempre corrompe: quello del sangue. Per salire a Te con stole immacolate e seguirti, o Agnello di Dio che levi i peccati del mondo, che li hai levati col tuo Sangue! 

Beato martire Valente, nella cui chiesa siamo, al tuo Pontefice Marcello e per il tuo fratello sacerdote chiedi dal Pontefice eterno la stessa tua palma e corona.»

E non c’è altro.
(Maria Valtorta, da I Vangeli della Fede.)

AVE MARIA!