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mercoledì 27 giugno 2018

Nessuno è tanto meschino che la sua preghiera non serva.


  • Chi prega ottiene e se proprio si pregasse fortemente per i peccatori, si otterrebbe la loro conversione. (…)
    Nessuno è tanto meschino che la sua preghiera non serva. Dio è attirato da una preghiera che sale dal mondo e scende come forza nel cuore di una mia sposa che vacilla in un convento. (…) La preghiera non sale quando ha una zavorra di umanità appesa alle ali e l’orazione non può svolgersi. La preghiera non si spande sulla terra per salvare i peccatori e non sale per consolare Me, se è resa spessa da molto fango umano. 15.6.43

  • Beate quelle labbra e quelle contrade in cui si pronuncia “Ave Maria”. Ave: io ti saluto. Il più piccolo al più grande, il bimbo al genitore, l’inferiore al superiore, sono tenuti, nella legge di educazione umana, a dire sovente il saluto rispettoso, doveroso, amoroso, a seconda dei casi. Il fratello mio non deve negare questo atto di amore reverenziale alla Mamma perfetta che abbiamo in Cielo. 3.9.43
  • Dio non ha mandato il suo angelo a dire “Ave” a Maria soltanto. Dio vi saluta. cari figli, con le sue attenzioni, Dio vi manda per angeli le sue sante ispirazioni, Dio vi porta le sue benedizioni da mattina sera e da sera a mattina. Siete sempre circondati dalle onde amorose e previdenti del pensiero di Dio. 4.9.43
AVE MARIA!

sabato 30 luglio 2016

DARDI VERSO IL CIELO

DARDI VERSO IL CIELO
di Cristina Campo

Anteo, il gigante, per rimanere invincibile, doveva toccar terra col piede. L'uomo religioso deve, nell'agone che gli è proprio, staccarsene il più sovente possibile: proiettando la sua mente in Dio, scagliandola, come si dà il volo a una rondine, verso il Creatore. Questo dardo d'oro della mente, questo batter d'ali che si gettano perdutamente a prender dimora un istante nel cuore stesso della luce, sono noti ai cristiani; e quando siano vocali (ma non necessaria­mente) si chiamano operazioni giaculatorie, da jaculum, appunto: dardo o freccia scoccata.

Il Vescovo di Roma ha ricordato di recente che "l'uomo è un essere costituzionalmente ordinato a trascendere se stesso, un essere proiettato verso Dio". Questa naturale conformazione spiega come la giaculatoria sia stata in ogni tempo istintiva sulle labbra del popolo: il più delle volte inconscia, puro grido, non di rado colma di affetti delicati. "Cuore di Cristo, Vergine dolcissima, Madre del Cielo, fateci santi" sono tra le locuzioni ancora in uso nelle campagne italiane. 

E non è detto che il lancio di questi lievi e caldi boccioli non compensi, sulle bilance invisibili, terrificanti pesi di blasfemia. Il dolore del popolo rinnova, in una gamma infinita, l'eco - umile e difforme finché si vuole - della suprema giaculatoria divina: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".

Nella storia cristiana la pratica assidua, metodica dell'orazione giaculatoria risale ai padri anacoreti della Tebaide. Nelle Vitae Patrum è perpetuato il ricordo dell'unica giaculatoria con la quale l'abate Pafnuzio condusse in tre anni la cortigiana Thais alla purificazione perfetta. Volta verso Oriente, ella doveva ripetere: "Tu che mi creasti, abbi pietà di me".

Ma vi è un nome al quale "si piega ogni ginocchio, in cielo, in terra e negli inferni". La giaculatoria dei Padri era soprattutto il nome di Cristo, reiterato all'infinito secondo il comandamento paolino "Pregate incessantemente" (1Ts 5,17), ora solo, ora in un breve contesto: "Signore Gesù, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore". La pratica risale a un grande mistico bizantino, Simeone il Nuovo Teologo, ma la ritroviamo, più o meno ac­centuata, in tutti i Padri d'Oriente (v. Philokalia on Prayer of the Heart, Faber & Faber, 1957, e in italiano la piccola Philocalia, LEF, 1963).

Come il sacro Nome venga dolcemente accordato al gioco del respiro e del battito cardiaco, finché per così dire non più l'uomo prega ma in lui si prega incessantemente, gioiosamente, così come in lui si pulsa e si respira, è narrato con incantevole realismo in un singolare romanzo composto in Russia nel XIX secolo, senza dubbio da un eminente conoscitore delle vie della contemplazione: La relazione (o Il raccontodi un pellegrino al suo confessore (LEF, a cura di don Divo Barsotti) : stupenda piccola opera costruita, come Le anime morte, in forma di itinerario attraverso un paese ed un popolo. 

Ma queste sono anime vive, incoercibilmente felici e soavemente possenti, che il magnete del Nome congrega intorno al pellegrino dovunque passi. Il mondo, blocco ottuso e cieco, racchiude in ogni tempo una filigrana di esseri che vivono secondo regole che non sono di questo mondo. E sono gli esseri che mutano il cuore del mondo. L'iniziazione alla "via del Nome" è ancora diffusa nei monasteri del Monte Athos (v.Invocazione del Nome di Gesù, di Ignoto, LEF, 1961) e, a quanto sembra, in molti paesi dell'Est.

Cassiano consacra un intero capitolo delle sue Collazioni alla giaculatoria "Deus, in adiutorium meum intende, Domine, ad adiuvandum me festina": versetto davidico che aprirà, in Occidente, ciascuna Ora canonica dell'Uffizio corale. Nelle Ore, anche certe coppie di versi e responsori brevissimi suonano quali giaculatorie di supplica: "Ostende nobis Domine / misericordiam tuam", o "Miserere / mei, Deus".

Ma l'amore vince il timore. Giaculatoria regale è la giaculatoria di pura dilezione, come quella che san Francesco ripeté per un'intera notte: "Mio Dio e mio tutto"

Affettuose giaculatorie chiudono ciascun capitolo dei piccoli trattati di sant'Alfonso
Non diversamente le intendeva san Francesco di Sales, le cui lettere di direzione spirituale si insinuano come dita delicate sino alle corde più fini della vita dell'anima, squisitamente accordandole alla volontà divina. 
A santa Francesca di Chantal egli raccomanda di salutare con una giaculatoria ogni rintoccar d'ora. Ad una giovane donna vessata dal terrore della morte, di esclamare frequentemente: "Voi siete mio Padre, o Signore". Ma è nelle lettere a due dame, a cui gli affari di Corte impediscono l'orazione metodica, che egli formula con maggior bellezza e precisione il carattere dell'orazione giaculatoria: "... soprattutto desidero che in ogni occasione, durante la giornata, voi ritiriate il vostro cuore in Dio, dicendogli qualche parola di fedeltà e d'amore". "... [supplite] alla mancanza degli altri esercizi con frequenti e ferventi orazioni giaculatorie o proiezioni (élancementsdello spirito in Dio" (Lettres, Garnier, vol. I).

Questo doppio e simultaneo movimento dello spirito, che si ritira in Dio cercandolo nella segreta stanza interiore, e trova in quel centro l'infinito nel quale lanciarsi, lo ritroviamo nella pratica religiosa dell'Islam. Secondo Frithjof Schuon (Comprendre l'Islam, Gallimard, 1961), "la preghiera canonica è diretta verso la Mecca, mentre la menzione di Dio - Non c'è Dio se non Dio - è diretta verso il cuore". Questa giaculatoria di lode, reiterata alla minima occasione, forma nell'Islam il tessuto stesso della vita.

La consuetudine di queste sacre formule riveste l'uomo di una speciale impassibilità, e non è raro incontrare ancor oggi delicati asceti di cui non si spiegherebbe la resistenza all'urto del mondo se non li sapessimo ricoperti da un'invisibile armatura di giaculatorie. 
Come sempre il santo è il miglior banchiere, secondo la parola di uno scrittore contemporaneo, e lo stato di orazione perenne, oltre ad assicurare un apporto continuo di energie spirituali, lo stato di gioia e la santa imperturbabilità, opera tutto un seguito di meraviglie minori, alle quali difficilmente si crederà senza esperienza. 
La recitazione del Nome e la giaculatoria in generale, isolando lo spirito in un cerchio al quale soltanto forze superiori hanno accesso, è una possente difesa psicologica ben nota agli uomini di preghiera. Più di un antico mistico sperimentò come questa fulminea intimità con Dio arrivasse a produrre in qualche maligno interlocutore la improvvisa balbuzie, inspiegabili capogiri o altri sintomi di confusione mentale.

Anche l'inscrutabile vincitore è più spesso di quanto non si creda, e al contrario di quanto usa credere, vir orationis
Uno studioso riferiva un caso: quello del potentissimo finanziere uso alla contemplazione che assistendo a conferenze d'affari, veri convegni di lupi pronti a sbranarsi, se ne isolava di tanto in tanto elevando la mente in breve orazione. "E con sorpresa, ogni volta, li vedeva placarsi, riconciliarsi uno dopo l'altro". 
Riviste hanno riferito del magnate giapponese dell'automobile che trascorre un intero giorno della settimana in meditazione religiosa nei templi di Kyoto.

Nell'ultimo libro di Jacques Maritain (Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, 1966), di un'importanza così unica per la storia del cattolicesimo contemporaneo e così affascinante nella titanica ironia delle sue condanne, è suggerita, ancora una volta, la pratica della giaculatoria. "Si può fare orazione nel treno, nella metropolitana, nella sala d'aspetto del dentista. Si può ricorrere con frequenza a quelle brevi preghiere lanciate come un grido che gli antichi raccomandavano tanto".

È certo che se l'uomo conoscesse la sterminata potenza della sua anima quando un costante movimento verticale l'assicuri come un canapo a Dio, persino un mondo qual è il nostro cesserebbe di atterrirlo e, beninteso, di affascinarlo.

da «Il Giornale d'Italia», 10-11 gennaio 1967, p. 3, ripubblicato in C. CAMPO, Sotto falso nome², a cura di M. FARNETTI, Milano, Adelphi, 1998, pp. 136-140.

sabato 27 giugno 2015

Domenica 28 Giunio 2015, XIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 28 Giunio 2015, XIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 5,21-43.
In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare.
Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi
e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva».
Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia
e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando,
udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti:
«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».
E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?».
I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?».
Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo.
E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.
Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».
Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».
Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».
E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.
Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.
Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!».
Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 230 pagina 20.

Apparsa mentre prego molto stanca e crucciata e perciò proprio nelle peggiori condizioni per pensare a simili cose di mio. Ma stanchezza fisica, mentale e cruccio si sono dileguati al primo apparire del mio Gesù, e scrivo.

Egli è per una strada assolata e polverosa che bordeggia le rive del lago. Si incammina verso il paese circondato da gran folla che l’attendeva di certo e che gli si pigia attorno nonostante che gli apostoli lavorino di braccia e di spalle per fargli largo e alzino la voce per indurre la folla a lasciare un poco di posto.
Ma Gesù non è inquieto per tanta confusione. Più alto di tutta la testa di chi lo circonda, guarda con un dolce sorriso la turba che gli si stringe intorno, risponde ai saluti, accarezza qualche bambino che riesce a insinuarsi fra la siepe degli adulti e giunge a venirgli vicino, posa la mano sul capo degli infanti che le madri sollevano oltre il capo dei presenti perché Egli li tocchi. E cammina intanto. Lentamente, pazientemente in mezzo a questo vocio, e a queste continue pressioni che infastidirebbero chiunque.

2Una voce d’uomo grida «Fate largo, fate largo». È una voce affannata e deve essere conosciuta da molti e rispettata come quella di persona influente, perché la folla si apre, con molta fatica tanto è pigiata, e lascia passare un uomo sulla cinquantina tutto coperto da un vestone lungo e sciolto e con una specie di fazzoletto bianco intorno al capo e ricadente con le falde lungo il viso e il collo.
Giunto davanti a Gesù, si prostra ai suoi piedi e dice: «Oh! Maestro, perché sei stato via tanto tempo? La mia bambina è tanto malata. Nessuno la può guarire. Tu solo sei la speranza mia e della madre. Vieni, Maestro. Ti attendevo con un’ansia infinita. Vieni, vieni subito. La mia unica creatura sta morendo...» e piange.
Gesù posa la mano sul capo dell’uomo piangente, sul capo curvo e scosso dai singhiozzi, e gli risponde: «Non piangere. Abbi fede. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei. Alzati! Andiamo!». Queste due ultime parole hanno il tono d’imperio. Prima era il Consolatore. Ora è il Dominatore che parla.
Si rimettono in moto. Gesù ha al fianco il padre piangente e lo tiene per mano. Quando un singhiozzo più forte scuote il pover’uomo, vedo Gesù che lo guarda e gli stringe la mano. Non fa altro, ma quanta forza deve rifluire in un’anima quando si sente trattata così da Gesù!
Prima al posto del padre era Giacomo. Ma Gesù gli ha fatto cedere il posto al povero padre. Pietro è dell’altro lato. Giovanni è di fianco a Pietro e cerca con lo stesso di fare argine alla folla, come fa Giacomo e l’Iscariota dall’altro lato, dopo il padre piangente. Gli altri apostoli sono parte davanti e parte dietro a Gesù. Ma ci vuol altro! Specie i tre di dietro, fra cui vedo Matteo, non ce la fanno a tenere indietro la muraglia viva. Ma quando brontolano un po’ troppo e quasi quasi insultano la folla indiscreta, Gesù volge il capo e dice dolcemente: «Lasciate fare a questi miei piccoli!…».

3Ad un certo momento però si volge di scatto, lasciando anche andare la mano del padre, e si ferma. Si volge non solo col capo. Ma con tutto il corpo. Sembra anche più alto perché ha preso un atteggiamento da re. Col volto e lo sguardo fatto severo, inquisitore, scruta la folla. I suoi occhi hanno lampi, non di durezza ma di maestà.
«Chi mi ha toccato?» chiede. Nessuno risponde. «Chi mi ha toccato, ripeto» insiste Gesù.
«Maestro» rispondono i discepoli, «non vedi come la folla ti pigia da ogni lato? Tutti ti toccano, nonostante i nostri sforzi».
«Chi mi ha toccato per ottenere un miracolo, chiedo. Ho sentito potenza di miracolo uscire da Me perché un cuore l’invocava con fede. Chi è questo cuore?».
Gli occhi di Gesù si chinano due o tre volte, mentre parla, su una donnetta sulla quarantina, molto poveramente vestita e molto sciupata nel volto, la quale cerca di eclissarsi nella folla, di farsi inghiottire dalla calca. Quegli occhi le devono bruciare addosso. Comprende che non può sfuggire e torna avanti e gli si butta ai piedi, quasi col volto nella polvere, le mani protese che però non osano toccare Gesù.
«Perdono. Sono io. Ero malata. Dodici anni che ero malata! Sfuggita da tutti! Mio marito mi ha abbandonata. Ho speso tutto il mio avere per non essere considerata obbrobrio, per vivere come vivono tutti. Ma nessuno ha potuto guarirmi. Lo vedi, Maestro? Sono una vecchia anzi tempo. La forza è defluita da me col mio flusso inguaribile, e la mia pace con essa. M’han detto che Tu sei buono. Me l’ha detto uno che è stato guarito da Te della sua lebbra e che per essere stato tanti anni sfuggito da tutti non ha avuto schifo di me. Non ho osato dirlo prima. Perdono! Ho pensato che solo se ti avessi toccato sarei guarita. Ma non ti ho reso immondo. Ho appena sfiorato il lembo della tua veste là dove striscia al suolo, sulle lordure del suolo... Sono io pure lordura... Ma son guarita, che Tu sia benedetto! Nel momento che ti ho toccato la veste il mio male è cessato. Sono tornata come tutte. Non sarò più schivata da tutti. Mio marito, i miei figli, i parenti potranno stare con me, li potrò accarezzare. Sarò utile alla mia casa. Grazie, Gesù, Maestro buono. Che Tu sia benedetto in eterno!».
Gesù la guarda con bontà infinita. Le sorride. Le dice: «Va’ in pace, figlia. La tua fede ti ha salvata. Sii guarita per sempre. Sii buona e felice. Va’».

4Mentre parla ancora, sopraggiunge un uomo, direi un servo, il quale si rivolge al padre che è stato tutto quel tempo in una attesa rispettosa ma tormentosa come fosse sulla brace. «Tua figlia è morta. Inutile importunare più il Maestro. Il suo spirito l’ha lasciata e già le donne ne fanno i lamenti. La madre ti manda a dire ciò e ti prega di venire subito».
Il povero padre ha un gemito. Si porta le mani alla fronte e se la stringe comprimendosi gli occhi e curvandosi come fosse colpito.
Gesù, che pare non debba vedere e udire nulla, intento come è ad ascoltare e rispondere con la donna, si volge invece e pone la mano sulle spalle curve del povero padre. «Uomo, ti ho detto: abbi fede. Ti ripeto: abbi fede. Non temere. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei». E si incammina tenendo stretto a Sé l’uomo annichilito.
La folla, davanti a quel dolore e alla grazia già avvenuta, si ferma intimorita, si divide, lascia camminare speditamente Gesù e i suoi, e poi segue come scia la Grazia che passa.
Si fanno così un cento metri circa, forse più - non sono calcolatrice - e si entra sempre più al centro del paese.

5Un affollamento di gente è davanti ad una casa di civile condizione e commenta a voce alta e stridula l’accaduto, rispondendo a più alti stridi che escono dalla porta spalancata. Sono stridi trillati, acuti, tenuti su una nota monocorde, e sembrano diretti da una voce più acuta che fa da a solo, e alla quale rispondono prima un gruppo di voci più esili, poi un altro di voci più piene. Un baccano da far morire anche chi sta bene.
Gesù ordina ai suoi di sostare davanti all’uscio e chiama con Sé Pietro, Giovanni e Giacomo. Entra con questi in casa tenendo sempre stretto per un braccio il padre piangente. Sembra voglia infondergli la certezza che Egli è lì per farlo felice, con quella stretta.
Le... piangenti (io le chiamerei: le urlatrici) nel vedere il capo di casa e il Maestro raddoppiano il gridio. Battono le mani, scuotono dei tamburelli, percuotono dei triangoli, e su questa... musica appoggiano i loro lamenti.
«Tacete» dice Gesù. «Non occorre piangere. La fanciulla non è morta, ma dorme».
Le donne gettano gridi più forti e alcune si rotolano per terra, si graffiano, si strappano i capelli (o meglio: ne fanno mostra) per mostrare che è proprio morta. I suonatori e gli amici scuotono il capo davanti all’illusione di Gesù. Loro la credono tale.
Ma Egli ripete un: «Tacete!» talmente energico che il baccano, se non cessa del tutto, diviene brusio. E passa oltre.

6Entra in una cameretta. Sul letto è stesa una fanciulla morta. Magra, pallidissima, ella giace già vestita e coi bruni capelli accomodati con cura. La madre piange presso quel lettino dal lato destro e bacia la cerea manina della morta.
Gesù... come è bello ora! Come poche volte l’ho visto! Gesù si accosta sollecito. Pare che scivoli sul pavimento, in volo, tanto si affretta a quel letticciuolo. I tre apostoli restano contro la porta che chiudono in faccia ai curiosi. Il padre si ferma ai piedi del letto.
Gesù va alla sinistra del lettuccio, tende la mano sinistra e prende con questa la manina abbandonata della morticina. La mano sinistra. Ho visto bene. È la mano sinistra tanto di Gesù che della bambina. Alza il braccio destro portando la mano aperta sino all’altezza della spalla e poi l’abbassa con l’atto di uno che giura o comanda. Dice: «Fanciulla, Io te lo dico. Alzati!».
Un attimo in cui tutti, meno Gesù e la morta, restano sospesi. Gli apostoli allungano il collo per vedere meglio. Il padre e la madre guardano con occhi straziati la loro creatura. Un attimo. Poi un sospiro alza il petto della morticina. Un lieve colore monta al visetto cereo e ne annulla le lividure di morte. Un sorriso si disegna sulle labbra pallide prima ancora che gli occhi si aprano, come la fanciulla facesse un bel sogno. Gesù le tiene sempre la mano nella sua mano. La bambina apre dolcemente gli occhi, li gira intorno come se si svegliasse allora. Vede per primo il volto di Gesù che la fissa coi suoi splendidi occhi e le sorride con bontà che incoraggia, e gli sorride.
«Alzati» ripete Gesù. E scosta con la sua mano gli apparati funebri che erano sparsi sul lettuccio e ai lati (fiori, veli, ecc. ecc.) e l’aiuta a scendere, le fa fare i primi passi tenendola sempre per mano.
«Datele da mangiare, ora» ordina. «Essa è guarita. Dio ve l’ha resa. Ringraziatelo. E non dite a nessuno ciò che è accaduto. Voi sapete che era avvenuto di lei. Avete creduto e avete meritato il miracolo. Gli altri non hanno avuto fede. Inutile cercare di persuaderli. A chi nega il miracolo Dio non si mostra. E tu, fanciulla, sii buana. Addio! La pace sia a questa casa». Ed esce rinchiudendo l’uscio dietro di Sè.
La visione cessa.

Le dirò che i due punti in cui essa mi ha particolarmente letificata sono stati quelli in cui Gesù cerca nella folla chi l’ha toccato e soprattutto quando, ritto presso la morticina, le prende la mano e le ordina di alzarsi. La pace, la sicurezza è entrata in me. Non è possibile che un Pietoso suo pari e un Potente non possa avere pietà di noi e vincere il Male che ci fa morire.
Gesù per ora non commenta, come non dice nulla su altre cose. Mi vede quasi morta e non giudica opportuno che io stia meglio questa sera. Sia fatto come Egli vuole. Sono felice abbastanza nell’avere in me la sua visione.

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

AMDG et BVM

venerdì 26 giugno 2015

L’importanza della preghiera in questi tempi.


10 Gennaio 2012 – Vergine Maria: tante anime scelgono
di ignorare i segnali che do.

Figlia mia, devi comunicare al mondo l’importanza della preghiera in questi tempi.

I Miei figli soffrono in tutto il mondo in tutti i paesi. E’ importante che adesso tutti i figli di Dio si
uniscano, in modo che le tenebre possono finalmente essere eliminate dalla terra.

Come piango di dolore quando le anime scelgono di ignorare le Mie visite ai veggenti della Terra.
Molti scelgono di ignorare i segnali che do per garantire che la fede possa essere ripristinata.

I loro cuori sono talmente freddi, compresi quelli dei sacerdoti e del clero che sono ciechi alla
verità, che molto tempo è stato sprecato.

Se solo avessero aperto il cuore ai messaggi che ho dato al mondo, allora a molte più anime
sarebbe stato dato il nutrimento di cui avevano bisogno.

Questi sono gli ultimi giorni in cui le Mie parole di incoraggiamento devono essere ascoltate.

Pregate, pregate, pregate che la voce di Mio Figlio sarà ascoltata nel modo in cui deve essere.

Pensavate, bambini, che Egli non avrebbe preparato l’umanità alla Sua Grande Misericordia?

Questo è quanto Egli si prefigge di raggiungere adesso, attraverso la conversione del maggior
numero possibile di anime.

I Suoi piani sono completati con una sola eccezione ha bisogno di più preghiere. Perché senza
queste preghiere, le anime saranno prese dal seduttore.

Figlia Mia, Mio Figlio presto porterà il tanto necessario sollievo ai Suoi amati figli. Nella Sua
Misericordia, Egli preparerà il mondo anche alla Sua Seconda Venuta.

Pregate che tutti coloro che credono in Mio Figlio apriranno i loro cuori alla verità dei Suoi Santi
messaggi. Se ascoltano e seguono le Sue istruzioni, tutto andrà bene. Se ignorano l’Avvertimento
dato loro per puro amore, essi negheranno ad altri la possibilità della salvezza.

Imploro la generosità delle anime di promettere la loro fedeltà al Figlio Mio diletto marciando
con Lui verso il Regno Glorioso del Nuovo Paradiso.

I messaggeri sono stati inviati nel mondo per un certo tempo per aiutare a preparare il mondo a
questo grande evento. Le fasi finali sono ormai in atto. Ascoltate adesso la voce di Mio Figlio che vi
parla. Non Lo rifiutate.

La vostra amorevole Madre

Regina del Cielo

Madre della Salvezza

mercoledì 16 ottobre 2013

MIO MARITO VOLEVA UCCIDERMI. .... Dio vuole salvare il consorte e le figlie per mezzo mio


5 – MIO MARITO VOLEVA UCCIDERMI



Nel mese di luglio del 1807, dopo i santi esercizi spirituali, il Signore mi visitò con una grave tribolazione, che alla meglio che posso mi accingo a raccontare, per obbedire a vostra paternità.

Il padre e la madre e sorelle del mio consorte credettero bene d’impedire al suddetto la cattiva amicizia che aveva con una donna di poco buon nome, come nei passati fogli si accennò. Pensarono dunque a questo oggetto di farne un ricorso ai superiori, vollero da me il consenso, senza del quale il loro ricorso sarebbe stato di nessun valore. Mi consigliai con il mio direttore, e dopo essermi raccomandata al Signore, detti a voce al padre e alla madre il mio consenso.


5.1. Mio marito in castigo



Fatto il ricorso, i superiori conobbero la ragione, procedettero contro il suddetto mio consorte e la sua amica. Per ordine dell’eminentissimo cardinal vicario fu il suddetto condotto ai Santi Giovanni e Paolo, consegnato ai Padri Passionisti con ordine di ritenerlo in castigo fino a nuovo ordine.

Questi buoni padri gli dettero gli esercizi spirituali, e procurarono di fargli conoscere le sue mancanze; ma invece di approfittarsi delle ammonizioni, ogni giorno più si ostinava nel sostenere la sua cattiva amicizia. Si infierì crudelmente contro di me, credendomi autore del suddetto ricorso. Mi scriveva lettere fulminative piene di minacce. Intanto gli si andava formando il processo, e così risoluto dai superiori che il suddetto fosse tornato alla sua casa quante volte avesse dopo i santi esercizi avesse dato riprova del suo ravvedimento; ma che se fosse tornato a trattare la suddetta donna, la sua pena sarebbe stata di essere ritenuta in castello tutto il tempo che sarebbe piaciuto al signor cardinale vicario. La donna poi, come più rea per altre mancanze, se fosse tornata a trattare il suddetto, condannata a san Michele per cinque anni.

Passati quindici giorni il suddetto scrisse una lettera di sottomissione al padre e alla madre. Il padre non credendo alle sue parole, ma ritenendo a memoria le ingiurie e le minacce che nei giorni passati aveva a me fatto per mezzo di una sua lettera, come già dissi, voleva assolutamente dai Santi Giovanni e Paolo farlo passare in Castello, ma la madre si interpose presso il padre, e pregandolo a non recare a lei questo disgusto, avesse perdonato il figlio. Mi chiamavano e mi comunicavano i loro diversi sentimenti, io con la grazia di Dio, che molto più del solito invocavo, mi raccomandavo per non sbagliare, mi mostravo indifferente e obbediente ai loro voleri. Il suddetto ogni giorno più manifestava il suo malanimo contro di me. Le sorelle del suddetto, dubitando di vedere qualche fatto micidiale, mi consigliavano di andare in casa terza e non espormi agli insulti del loro fratello, consigliavano ancora il padre a non farlo tornare a casa. Finalmente l’afflitta madre vinse tutti, sicché si risolvette di comun consenso di farlo tornare a casa il giorno 18 del medesimo mese di luglio, dopo averlo per 18 giorni tenuto in Santi Giovanni e Paolo, come si disse di sopra.


5.2. Diverse volte in pericolo di morire



Tornò in casa qual leone infierito, per vedersi privo della sua amica, la privazione di questa amicizia non ad altro servì che inferocirlo contro di me, sicché molto dovetti soffrire da quest’uomo forsennato. Finalmente con maltratti e con minacce, prese il partito di obbligarmi a dargli in scritto il consenso, per tornare liberamente a trattare la sua amica, ma questo non potevo farlo senza offendere Dio. Mi consigliai con il mio direttore, il quale mi disse che mi fossi piuttosto contentata di morire per le sue mani che dare questo consenso. Questo mi bastò, perché il mio spirito con la grazia di Dio, divenisse forte qual scoglio immobile alle furiose onde dell’agitato mare, con la grazia di Dio facevo io sola margine a questo uomo imbestialito, negando a costo della mia propria vita al suddetto il consenso. Sicché diverse volte corsi il pericolo di morire per le sue mani; ma particolarmente una sera che tornò a casa più del solito sdegnato e pieno di furore, risoluto di darmi la morte se non davo il consenso, con sottoscrivere una carta per giustificare presso i superiori la sua amicizia. Buono per me che erano buone due ore che mi trattenevo in orazioni, per mezzo delle quali Dio mi comunicò una forza di dare la vita piuttosto che offendere il mio Signore.

Il suddetto, dopo essersi servito delle ragioni per convincermi; mostrandomi che non ad altro fine voleva fare la mia sottoscrizione che per rendere la riputazione che con il ricorso si era tolto a questa donna; giurando di non più accostarsi alla casa di questa; ma io, nonostante le sue promesse, con la grazia di Dio, non mi feci vincere, ma valorosamente offrii la mia vita piuttosto che offendere Dio.


5.3. Offrii a Dio tutto il mio sangue



Nel vedermi così risoluta, divenne più fiero di un cane arrabbiato; mi si avventò addosso per uccidermi. La madre, allo strepito delle sue minacce, accorse per darmi aiuto, ma il mio spirito intrepido senza titolare invece di fuggire, mi inginocchiai avanti di lui, e pregando la madre, che lo riteneva, che avesse lasciato sfogare il suo sdegno contro di me. In questo tempo offrii al mio Dio tutto il mio sangue, per dimostrargli il mio amore, provando nel mio cuore gli affetti più vivi della sua carità, stavo tutta ansiosa aspettando il colpo, per dare al mio buon Dio un attestato dell’amor mio; ma quando speravo di trovarmi immersa nel proprio sangue, mi avvidi che era al suddetto mancata la forza di colpire il mio cuore, che con santo ardire stava aspettando il dolce momento di offrire il mio sangue. Ma il suddetto fu da forza superiore impossibilitato di mettere in esecuzione il suo disegno, confessando che forza superiore arrestò il suo braccio, ma pieno di timore, pallido nel volto, si adagiò sopra una sedia, perché gli era ad un tratto mancata la forza. Nel vedersi privo di forza, prese il partito di chiedermi perdono, confessando il grave torto che mi aveva fatto, ma questo proposito non fu durevole neppure un quarto d’ora, perché appena Dio gli restituì la primiera forza, che tornò di bel nuovo ad insultarmi, e preso dalla disperazione se ne partì, dicendo che per mia cagione si sarebbe da sé data la morte.

La madre, sentendo la espressione del figlio, vedendolo partire molto infuriato, si rivolse contro di me, facendomi dei rimproveri, per non aver condisceso alle sue voglie, ma il mio spirito era incapace di ogni apprensione, perché si trovava tutto immerso in Dio, godendo una mirabile unione con lui, che, sebbene in quei momenti mi avessero fatto in mille pezzi, non ero capace di risentimento.

Passai tutto il mese di agosto in questa fiera persecuzione; diversi erano i progetti che in questa occasione mi facevano i miei parenti: parte di loro mi consigliavano di ritirarmi in un monastero, mia madre voleva che fossi tornata in casa sua, il mio direttore mi consigliava di sciogliere il matrimonio, mostrandomi le forti ragioni che mi assistevano, in mezzo a tutti queste disparità di pareri, il mio spirito riposava dolcemente nelle braccia del mio Signore, tenendo per certo che l’affare sarebbe andato secondo la sua santissima volontà, di niente avevo paura, ai miei parenti recava molto meraviglia come io avessi tanto spirito di star sola di notte in camera con un uomo tanto imbestialito, senza paura di restar morta per le sue mani, ma questo spirito non a me, ma a Dio si doveva attribuire, che si degnava di trionfare della mia miseria, mentre parte della notte la passavo in ginocchio, occupata in alta contemplazione, e quando la necessità del corpo mi obbligava a prendere un poco di riposo, ero in quel tempo favorita da un raggio di luce, che mi circondava da ogni intorno e mi rendeva sicura il riposo.

Nella santa Comunione poi il Signore si degnava favorirmi in modo speciale, in questo tempo più volte fui visitata dal Signore, che sotto la forma di vago fanciullo, mi appariva consolandomi con farmi provare i dolci effetti della sua carità; sicché in mezzo alla tribolazione godevo nel mio cuore un paradiso di delizie e di dolcezza.


5.4. Dio vuole salvare il consorte e le figlie per mezzo mio



In questo tempo il suddetto si adoperò perché fosse bastato il consenso del suo padre e madre, perché i superiori gli avessero accordato di liberamente tornare alla sua amica. Il mio direttore mi consigliò di non mostrarmi per intesa di questo, che bastava per mia quiete di coscienza il non avergli dato il consenso; ma il mio direttore mi consigliava di separarmi dal consorte, con esporre le mie forti ragioni ai superiori. A questo oggetto mi comandò di raccomandarmi al Signore acciò degnato si fosse mostrarmi la sua volontà. Il Signore, mi fece conoscere che non dovevo abbandonare queste tre anime, cioè le due figlie e il consorte, mentre per mezzo mio le voleva salvare.

Dopo questa notizia, dissi al mio direttore: «Le basti così. Deponga ogni pensiero riguardo a questa separazione di matrimonio, perché io antepongo la salvezza di queste tre anime al mio profitto spirituale, perché di maggior gloria di Dio, il cooperare alla salvezza di queste tre anime non mi impedisce la perfezione. So bene che lei mi consiglia in mio vantaggio, mentre crede che nella quiete possa il mio spirito molto avanzarsi nella perfezione, ma io le dico che se Dio vuole, non mi saranno questi di inciampo, anzi mi aiuteranno ad esercitarmi nella virtù; ma per schivare ogni attacco che a questi potessi avere, fin da questo momento rinunzio ad ogni affetto sensibile che possa mai avere il mio cuore verso di loro, solo intendo di amarli per pura carità e cercare per questi tutti i vantaggi per la loro eterna salvezza, a costo di ogni mio incomodo».



AUXILIUM CHRISTIANORUM

venerdì 5 luglio 2013

Domenica 7 Luglio 2013, XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 7 Luglio 2013, XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 10,1-12.17-20.

<<Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe.
Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi;
non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.
Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.
Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi,
curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.
Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite:
Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino.
Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore.
Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare.
Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli»>>.

Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 278 pagina 372.

1Licienziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
«Avranno buona pesca» commenta Pietro che osserva.
«Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
«Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
«Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
«Non tutti, Maestro?» chiede Matteo.
«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
«Conversioni, eh?» domanda Giacomo di Zebedeo.
«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose!».

2«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».


«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».

Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».

3«E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».

«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».

E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.

4«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate fin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.

Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.

Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e bene d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò che fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto dolore - era un re buono - non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.

Il suddito se ne andò felice. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita.

La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.

5Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.
Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.

Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.


6La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo. Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.

Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici.

Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito.

Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. L’uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.

Andate dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
Andate in pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».


Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

AVE MARIA PURISSIMA!

lunedì 14 gennaio 2013

...come pregava Gesù?




"...Egli si ritirava in luoghi deserti a pregare..." (Lc 5, 16)


...il Redentore pur essendo tutto a tutti e pur prodigandosi senza risparmio, si ritirava in luoghi solitari per pregare. Egli così ci insegnava che le opere dello zelo e della carità non debbono distrarci dalla preghiera, senza la quale miseramente s'isteriliscono ed inaridiscono completamente.
...come pregava Gesù? ...in che modo, se Egli era Dio?
...era anche vero uomo e pregava come Sacerdote, Vittima, Mediatore.
Offriva al Padre se stesso in un Sacrificio perenne e si donava qual Vittima d'Amore.
Il Suo Cuore era un olocausto, il Suo corpo un sacrificio continuo, perché continuamente caricato delle nostre iniquità. ...Egli era mediatore tra l'uomo e Dio.
...non poteva non riguardare le umane infermità; le aveva tutte presenti e la Sua orazione era anche un'agonia di amore e di riparazione. Pregando incorporava a Sé tutti gli uomini e li presentava al Padre in Sé stesso come Sua discendenza e come Sua figliolanza. ...anche noi quando preghiamo per gli altri li riguardiamo come una cosa con noi e li presentiamo a Dio nell'attività della nostra vita spirituale.

Ecco Gesù in preghiera, prostrato innanzi al Padre, come lampada eterna innanzi a Lui
La Chiesa conserva un perenne ricordo di questa caratteristica della preghiera di Gesù nella lampada che accende innanzi al Santissimo Sacramento. Questo piccolo lume...esprime in un simbolo delicato la realtà del Verbo Incarnato, luce del Padre, e la realtà del Verbo Incarnato vittima che perennemente arde e si consuma. ...non è muta ma rappresentanza della Chiesa, non è un semplice lume ma un complesso di cuori accesi innanzi all'amore che si dona.

La lampada!...L'orante fiammella, tutta schiusa nel suo vasetto avvolto di pace nella placida umiltà dell'olio, liquido silenzioso espresso dall'immolazione dell'uliva nel torchio. ...
Gesù...come prigioniero d'amore nel santo Tabernacolo prega e ci insegna a pregare.
L'Eucaristia è la grande scuola della nostra orazione, e per questo le anime profondamente eucaristiche sono anime di grande preghiera. Basta concentrarsi innanzi a Gesù Sacramentato con fede e con costanza, per imparare da Lui a pregare. ...il silenzio che Lo circonda è una scuola di silenzio interiore per noi, e la pace che Egli diffonde d'intorno, ci abitua alla serenità e all'abbandono in Dio, indispensabili per la preghiera.

O mio Gesù, orante in quest'Ostia di amore, insegnaci a raccoglierci e a pregare, non permettere mai che, avendoti con noi vivo e vero, passiamo la vita agitandoci e non sappiamo renderti testimonianza di fede, di fiducia filiale e di vero abbandono di amore.
Soffriamo, è vero, ma le sofferenze non sono per noi un tesoro? Non sei Tu Vittima perenne per noi sull'altare e non ci insegni ad immolarci continuamente per amore?
Se ci duole per esempio un occhio, non è questo un segreto per guardarti di più Crocifisso?
E se ci duole un piede, non è un segreto per star confitti con Te sulla croce?
Mi insultano e che importa? Sono forse da più del mio Re nascosto che raccoglie solo ingratitudini ed ingiurie nel Santissimo Sacramento?
Mi guardano come un nulla, e che fa? Egli è totalmente nascosto e annientato, e le mie umiliazioni mi uniscono a Lui, alla Sua vita.
O Gesù Sacramentato...insegnaci avivere la tua vita e amutare la nostra vita in una perenne orazione e in un perenne olocausto!


[cf I Quattro Vangeli commentati da don Dolindo Ruotolo, p. 1101 ss]



* * *


Ad un parroco che si lamentava con il sac. Giovanni Maria Vianney dell’indifferenza dei suoi parrocchiani e della sterilità del suo zelo, il santo curato d’Ars rispose:
Voi avete predicato, ma avete anche pregato? Avete digiunato? Vi siete dato la disciplina?
Avete dormito sul pavimento? Fino a che non l’avrete fatto non avrete il diritto di lamentarvi”.

AVE MARIA, VIRGO POTENS!