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giovedì 24 ottobre 2013

Sia lodato Gesù Cristo!


Sua Ecc. Mons. Schneider alla Fondazione Lepanto

mons. Schneider(di Fabrizio Cannone) Il 30 settembre u.s. Sua Ecc. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Astana in Kazakistan, ha tenuto una seguitissima conferenza presso la Fondazione Lepanto in cui ha presentato il contenuto della sua ultima preziosa opera, Corpus Christi. La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, 2013, pp. 100, euro 9).

Mons. Schneider ha colpito i numerosi presenti per il suo portamento davvero episcopale e degno di un Successore degli Apostoli, portamento in cui è facile scorgere la perfetta coerenza dell’uomo con l’insegnamento che appassionatamente ha profuso sulla retta ricezione dell’Eucaristia.

Dopo un sentito Sia lodato Gesù Cristo, il prelato ha iniziato la sua conferenza spiegando che lo spirito cristiano autentico è spirito di adorazione e di preghiera. Solo Cristo, ha detto, può adorare degnamente e perfettamente Dio e noi lo possiamo solo ad imitazione del Figlio. 

Tutta la Tradizione, secondo Schneider, dà una importanza capitale alle norme liturgiche le quali debbono essere rispettate da tutti senza eccezione: popolo e celebranti. Nell’Antico Testamento per esempio esistevano delle norme codificate per il culto divino e il Nuovo Testamento, benché fondato sul concetto della giusta libertà dei figli di Dio, possiede uno spirito liturgico chiaro e preciso.

Nella storia gli gnostici, gli albigesi, i calvinisti e certi protestanti hanno contrapposto le norme del culto con il suo spirito, ma si tratta di una falsa contrapposizione: le norme esterne di legge restano fondamentali e senza norme non esiste un vero spirito di adorazione legittima.

D’altra parte la Chiesa di Roma, a detta del Prelato, ha sempre rifiutato l’innovazione liturgica come tale, e ciò in nome della Tradizione Apostolica (così si espressero sia i Papi del medioevo che lo stesso Concilio di Trento). La bolla Quo Primum tempore di san Pio V è affatto contraria alle innovazioni arbitrarie e lo stesso afferma la Sacrosanctum Concilium (n. 50 del Concilio Vaticano II). Non si può negare però che dopo la svolta conciliare furono introdotte ovunque delle novità del tutto sconosciute prima come l’orientamento del celebrante verso l’assemblea, la comunione data da laici e da donne, le letture di laici all’ambone, le chierichette, le danze profane, etc.

Secondo il Vescovo è urgente ripristinare alcuni elementi liturgici che si sono persi nell’ultimo mezzo secolo come il silenzio, la genuflessione, l’incenso, il canto sacro: tutte cose che si trovano come tali nel libro dell’Apocalisse. Tutto ciò deve riportare ad un culto teocentrico e non più antropocentrico, come avviene comunemente oggi, con il celebrante che diventa il solo protagonista del rito.

In tale contesto di risacralizzazione non più procrastinabile, la santa Comunione, che è il Corpo di Cristo, deve essere ricevuta in modo degno e pio, e non come un qualunque cibo. Mons. Schneider parla di «opzione preferenziale per il Povero» per eccellenza, ovvero Gesù Sacramentato, spesse volte esposto al disprezzo e all’indifferenza nelle nostre chiese e basiliche. Davvero oggi Cristo Eucaristico è alla periferia esistenziale della Comunità. 
Il Presule auspica da parte della Santa Sede delle nuove norme che rimettano ordine nella liturgia, nel culto e nella preghiera cristiana. (Fabrizio Cannone)


sabato 12 ottobre 2013

NON E' UNO SCHERZO! INDICAZIONE ORDINATA DE' DIFETTI PRINCIPALI CHE SOGLIONSI COMMETTERE NELLA CELEBRAZIONE DELLA MESSA. // Preghiamo per i SACERDOTI perché la liturgia ritorni al suo splendore.


Giuseppe Card. Morozzo
DELLE  SACRE  CERIMONIE

INDICAZIONE  ORDINATA
DE' DIFETTI  PRINCIPALI  CHE  SOGLIONSI  COMMETTERE
NELLA  CELEBRAZIONE  DELLA  MESSA

73. Per compiere esattamente a quanto sta dalle Rubriche ingiunto per la celebrazione della Messa gioverà non poco lo avere presenti, quasi sotto ad un solo punto di vista, i difetti principali, ne' quali non di rado si cade, or l'uno, or l'altro commettendo, affinché co' precetti che sin qui si sono dichiarati si possano quelli evitare. Per procedere adunque ordinatamente è difetto in primo luogo, se non iscusi un giusto motivo, il non aver recitato almeno il Mattutino colle Laudi prima della Messa. 
Non fare una sufficiente preparazione nella Chiesa, anche per edificazione altrui.

Lavarsi le mani avanti di aver trovata la Messa nel libro, o dopo aver accomodato il Calice, o dopo essersi parato.

Non acconciarsi il Calice per se stesso, oppure il non rivederne l'apparecchio prima di andare all'altare.

Mettere il corporale nudo fuori della borsa sopra il velo, e cosi portarlo all'Altare, o riportarnelo.

Parlare con altri mentre si vestono i sacri paramenti.

Appararsi a capo coperto, o porre sul Calice, o sul messale il fazzoletto, la berretta, il berrettino, gli occhiali. Fare inchino prima di mettersi l'amitto, o segnarsi già avendo il medesimo tra le mani.

Non sovrapporre, la parte destra alla sinistra de' sacri paramenti, ed aggiungere Amen alle preci stabilite nel vestirsene, essendo una sol volta prescritto.

Mettersi a cintola un fazzoletto lordo, ed in modo disporlo che oltrepassi la pianeta.

Porsi il manipolo al gomito; o far calare la stola sopra il dorso, o non aggiustarli onde la Croce torni nel mezzo, ovvero rimanga fuori della pianeta.

Non ricevere a mani giunte i paramenti se sono imposti dal Ministro, e baciare il camice, o la pianeta.

Non sapere le Orazioni secrete che lungo la Messa sono da recitarsi a memoria.

Girare per la sagrestia co' paramenti indosso tanto avanti, che dopo la Messa.

Fare la riverenza alla Croce, od Immagine principale della sagrestia colla berretta in mano; o levarsela per genuflettere al Ss.mo Sacramento chiuso nel Ciborio, andando all'altare.

Portare il Calice troppo in alto, o troppo declinato, e non avanti al petto; od andare all'altare, e ritornarvene, frettolosamente camminando, senza tenere gli occhi bassi.

Dopo aver fatta la genuflessione all'altare in cui è il Ss.mo Sacramento, aggiungere anche l'inchino alla Croce.

Mettere la borsa contro il gradino de' candelieri colla mano sinistra; o far aprire, e chiudere il messale dal Ministro.

Trattenersi nel mezzo dell'altare a guardare la Croce prima di scendere al dovuto luogo per cominciare la Messa.

Volgere le spalle alla Croce per non ritirarsi un poco dalla parte del Vangelo sì nello scendere per dar principio alla Messa, che nel partirsi dopo averla finita.

74. Non conservare la dovuta gravità; e frugacchiarsi le orecchie, il naso, strofinarsi gli occhi, acconciarsi i capelli, e simili.

Cominciare la Messa avanti che sieno accese le candele, o permettere, che si spengano al finirsi della Messa anzi che sia tutto letto l'ultimo Vangelo.

Stando colle mani giunte non tenere le dita distese, ed i pollici sovrapposti in forma di Croce.

Farsi il segno di Croce in aria, o in maniera dimezzata, ed imperfetta.

Essendo tre lo inchinazioni profondamediocre, e semplice, far l'una a vece dell'altra ne' tempi dalla Rubrica per ciascuna determinati.

Non lasciar finire al Ministro le risposte, e  potendolo, non avvisarlo de' suoi mancamenti nella pratica del suo ufficio.

Aggiungere la particola et nel ripetere l'Antifona Introibo del Salmo Judica me Deus.

Battersi il petto nel Confiteor a mano aperta, o con veemenza, od inchinarsi al Ministro nella Messa privata alle parole vobis Fratres, e vos Fratres; o rispondere Amen dopo fatta dal medesimo la Confessione.

Aggiungere le parole omnibus, oppure omnium ai versi Misereatur, ed Indulgentiam, dicendo pure in questo peccatorum vestrorum invece di nostrorum.

Alla preghiera Aufer e nobis non essere inchinato al tempo prescritto, e dopo aver baciato l'altare fare l'inchino prima di andare al libro.

Dire con troppa fretta e le cose che sono da recitarsi chiaramente, e quelle che deggionsi proferire in segreto con pericolo anche di sincopare le parole.

Trasportare le Cerimonie, cominciandole prima, o dopo del tempo assegnato.

Far le viste di baciare l'altare senza baciarlo realmente, o ciò compiere per canto, e non nel mezzo, o torcendosi nella vita.

Cominciare i Kyrie eleison prima di essere nel mezzo dell'altare; e tralasciare nell'Inno Angelico i voluti inchini.

Dire il Dominus vobiscum non volgendosi al popolo a mani giunte, o non tenendo gli occhi bassi, o senza deporre gli occhiali; e dire in seguito Oremusprima di arrivare al messale, menando anche per le lunghe, quasi che fosse raddoppiata, la prima lettera O.

Non fare gli inchini ai nomi di Gesù, di Maria, e dei Santi, di cui corre le festa, o la commemorazione; o nel conchiudere le Orazioni farlo anche quando non sonovi le parole Jesum Christum.

Recitare le Orazioni senza tenere a' suoi tempi unite, od aperte avanti al petto le mani.

Non alzare alla Croce gli occhi nei luoghi dalla Rubrica indicati.

Dire nel Munda cor meum nella Messa privata Jube, Domne, e non Jube, Domine, benedicere; o baciar l'altare dopo tale preghiera.

Appoggiare le mani sull'altare al Munda cor meum, e successivamente al Sanctus, ed all'Agnus Dei.

Non porre nel cominciare il Vangelo la mano sinistra sul messale per fare su di esso il segno di Croce, o sotto al petto segnando se stesso; e non fare tali segni colla parte inferiore del pollice; né tenendo le altre dita distese.

Fare l'inchino alla Croce, o verso di essa genuflettere leggendo il Vangelo, e non verso il messale come è comandato.

Cominciare il segno della Croce al finirsi del Simbolo prima dell'articolo Et vitam etc.

75. Dire l'Offertorio a mani aperte; o togliere mentre si recita il velo dal Calice; e dopo recitato questi mettere alla rinfusa, o collocarlo dietro al Calice a vece di piegarlo come si conviene.

Tergere con violenza il Calice; e cominciare la preghiera Deus, qui humanæ substantiæ etc. prima di aver deposto il bocciuolo del vino.

Abbassare il capo ai nomi di Gesù, e di Maria nel recitare la preghiera Suscipe, sancta Trinitas etc., essendo già il Sacerdote alla medesima inchinato.

Fare i segni di Croce sull'Ostia, e sul Calice piegando le dita nel tirare le linee per formarle, o tenendo la mano mezzo chiusa, o facendoli per punti, e per salti.

Non dire segretamente dopo le parole Orate, fratres etc., proferite con voce mediocre, tutto il restante della esortazione, o rispondere Amen prima che sia terminato il Suscipiat detto dal Ministro, proseguendo anche fuori di tempo le secrete.

Inchinare il capo alle parole ubique gratias agere della Prefazione, od alle altre per Christum Dominum nostrum tanto nella medesima, che altrove, fuorché dopo la commemorazione de' defunti.

Battersi il petto al Sanctus, e non proferire queste parole con voce mediocre; ed in seguito dire con voce alta ciò che debbe recitarsi segretamente.

Non avere giunte le mani prima di fare i segni di Croce; o tenere una mano per aria mentre l'altra sta operando.

Bagnarsi le dita colla saliva per volgere i fogli più facilmente.

Mettere i pollici sotto alla palma delle mani nel dire Hanc igitur oblationem etc.; e purificare accanto all'Ostia le dita prima di prenderla.

76. Tenere la mano sinistra appoggiata all'altare per benedire l'Ostia prima di consecrarla.

Prendere il Calice con una mano sola nel dire accipiens et hunc præclarum Calicem etc.; e stare colla bocca troppo vicina al medesimo, o tenerlo appoggiato, oppure inclinato verso di sé.

Non proferire segretamente le parole della consecrazione, o far gesti colla testa, e storcimenti in tale atto, o tenere il piede destro alzato in punta per essere presto a genuflettere.

Non portare verso la fronte dell'altare le giunture delle mani per fare più comodamente la genuflessione.

Non accompagnare l'Ostia, ed il Calice collo sguardo facendone l'elevazione, e tenerli fermi più del dovere a vista de' circostanti.

Dire le parole Hæc quotiescumque feceritis etc. nel tempo dell'elevazione, e non subito dopo la consecrazione.

Non tenere le dita pollici ed indici unite dalla consecrazione sino alla purificazione; o toccare l'Ostia colle altre dita; o non tenere, nel maneggiare l'Ostia le dita inferiori sempre distese.

Non fare le genuflessioni sino a terra, o praticarle senza garbo, o frettolosamente.

Mettere le mani giunte sopra l'altare totalmente dentro il corporale dopo la consecrazione senza seguire il metodo espresso una volta, e per sempre dalla Rubrica senza veruna distinzione.

Fare la pausa alla commemorazione dei defunti prima di aver dette le parole qui nos præcesserunt etc.; o dire con voce chiara le parole Memento etiam Domine: Ipsis, Domine, etc., quando esse pure, come nella commemorazione dei viventi denno essere segrete.

Non battersi il petto colle sole tre dita inferiori per non toccare colle unite la pianeta.

Inchinare il capo nel dire Nobis quoque peccatoribns etc.;
od aggiungere Amen alla conclusione che segue questa preghiera.

Stare inchinato al dire Præceptis salutaribus moniti etc., o recitarlo a mani aperte; ed estrarre la patena per nettarla prima di aver risposto Amen.

Non tenere al petto la mano sinistra nel farsi colla patena il segno della Croce; o non astergerla colla destra.

Baciar la patena nella parte di sotto, o per taglio, e ripulirla contro la pianeta, ovvero in altra parte dopo averla baciata.

Purificare le dita dai frammenti strofinandole l'un dopo l'altro contro il labbro del Calice.

Voltarsi da una parte per dire Domine non sum dignus etc., o appoggiare sull'altare il braccio sinistro, o portare sopra l'altare la destra mano ogni volta che si batte il petto.

77. Fare un segno di Croce coll'Ostia nell'atto di comunicarsi oltre i limiti della patena, e sputacchiare mentre si sta quella per ricevere.

Non raccogliere i frammenti colla dovuta diligenza; e non avere la patena fra le dita della mano sinistra nel fare verso di sé col Calice il segno di Croce.

Succiare al Calice facendo strepito, od avendo gli occhi innalzati al Cielo.

Mettere la palla sulla patena avanti di andare dalla parte dell'Epistola per lavarsi le dita sul Calice; o cercare di nuovamente mondarla nel purificatojo.

Appoggiare il Calice sull'altare nel ricevere il vino per la purificazione a vece di tenervelo alzato, o porgerlo verso il Ministro fuori della mensa senza necessità.

Dopo essersi lavate le dita nel Calice, e consumato il vino e l'acqua infusivi, astergersi colle dita le labbra, e non col purificatojo.

Tenere il Calice per aria mentre si piega il corporale, porre la borsa su di quello coll'apertura che non sia verso il petto.

Permettere che il Chierico Ministro copra, ed accomodi il Calice; e lasciare il medesimo col velo anteriormente alzato.

Non chiudere il messale pel suo verso, in modo cioè che l'apertura rimanga verso la parte del Vangelo.

Finire la conclusione dell'ultima Orazione camminando verso il mezzo dell'altare.

Inchinarsi al popolo nel dire Ite, Missa est; o stare inchinato per proferire Benedicamus Domino.

Prendere la berretta, allora che sta per partire dall'altare, prima di fare la riverenza, o la genuflessione; togliersela prima di aver fatto alla Croce, od Immagine principale della sagrestia inchino profondo.

Gettare i paramenti alla rinfusa nello spogliarsene senza accomodarli sul banco con rispetto; o non baciare quelli che si devono; e torsi il camice prima per lo capo, od al rovescio.

Mettersi a discorrere con altri, o partirsi dalla sagrestia, o dalla Chiesa prima di aver compiuto per un tempo competente il rendimento di grazie.

Altri molti sariensi dovuti difetti connumerare a schifamento di ogni contravvenzione alle Rubriche, ma perché per l'attenta lettura degli esposti insegnamenti di leggieri si ponno conoscere, per amore di brevità si sono tralasciati, a quelli rimettendo il diligente Sacerdote, onde ammendi qualunque maniera, che ai medesimi si opponga.

da: G. MOROZZO, Delle sacre cerimonie. Trattati proposti al ven. Clero della sua Diocesi, Novara, Rasario, 1827, pp. 74-81


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lunedì 8 luglio 2013

ARCHEOLOGITE LITURGICA - SACRILEGIO DILAGANTE

  


ARCHEOLOGITE  LITURGICA - SACRILEGIO DILAGANTE 
(6/96)
San Cirillo di Gerusalemme e la Comunione sulla mano
[A proposito della questione relativa alla cosiddetta "Comunione sulla mano",
riproduciamo un articolo del R. P. Giuseppe Pace, S. B. D.]



La ghianda è una quercia in potenza; la quercia è una ghianda divenuta perfetta. Il ritornare ghianda per una quercia, posto che lo potesse senza morire, sarebbe un regredire. Per questo nella Mediator Dei (n. 51) Pio XII condannava l'archeologismo liturgico come antiliturgico con queste parole: «… non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi, ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono, con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del Depositum Fidei affidatole dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò».

Di una tale ossessione morbosa - di archeologite - sono preda quei pseudoliturgisti che stanno desolando la Chiesa in nome del Concilio Vaticano II; pseudoliturgisti che talora giungono al punto di spingere con l'esortazione e con l'esempio i loro sudditi a violare quelle poche leggi sane che ancora sopravvivono, e da loro stessi formalmente promulgate o confermate.

Sintomatico a questo riguardo è il caso del rito della Santa Comunione. Qualche vescovo infatti, dopo aver proclamato che il rito tradizionale, di collocare le sacre Specie sulle labbra del comunicando, è tuttora in vigore, permette tuttavia che si distribuisca la santa Comunione in cestelli che si passano i fedeli dalla mano dell'uno a quella dell'altro; o lui stesso depone le sacre Specie nelle mani nude - e sempre pulite? - del comunicando. 

Se si vuole convincere i fedeli che la santissima Eucarestia non è che del pane comune, magari anche benedetto, per una refezioncella simbolica, certo si è imbroccata la via piú diretta: quella del sacrilegio.

I fautori della Comunione in mano fanno appello a quell'archeologismo pseduoliturgico condannato apertis verbis da Pio XII. Dicono infatti e ripetono che in tal modo la si deve ricevere, perché in tal modo si è fatto in tutta la Chiesa, sia in Oriente che in Occidente dalle origini in poi per mille anni.


È vero e certo che dalle origini in poi per quasi duemila anni i comunicandi dovevano astenersi da qualsiasi cibo e bevanda, dalla vigilia fino al momento della santa Comunione, in preparazione alla medesima. Perché quelli dell'archeologite non restaurano un tale digiuno eucaristico? che certamente contribuirebbe non poco a mantenere vivo nella mente dei comunicandi il pensiero della santa Comunione imminente, e a disporveli meglio.


È invece certamente falso che dalle origini in poi per mille anni ci sia stata in tutta la Chiesa, in Oriente e in Occidente, la consuetudine di deporre le sacre Specie nelle mani del fedele.


Il cavallo di battaglia di quei pesudoliturgisti è il seguente brano delle Catechesi mistagogiche attribuite a san Cirillo di Gerusalemme:
«Adiens igitur, ne expansis manuum volis, neque disiunctis digitis accede; sed sinistram velut thronum subiiciens, utpote Regem suscepturæ: et concava manu suscipe corpus Christi, respondens Amen». (Andando quindi [alla Comunione] accostati non con le palme delle mani aperte, né con le dita disgiunte; ma tenendo la sinistra a guisa di trono sotto a quella che sta per accogliere il Re; e con la destra concava ricevi il corpo del Cristo, rispondendo Amen).
Giunti a questo Amen, si fermano; ma le Catechesi mistagogichenon si fermano lí, ed aggiungono:
«Postquam autem caute oculos tuos sancti corporis contactu santificaveris, illud percipe… Tum vero post communionem corporis Christi, accede et ad sanguinis poculum: non extendens manus; sed pronus [in greco: 'allà kùpton, che il Bellarmino traduce genu flexo], et adorationis ac venerationis in modum, dicens Amen, sancticeris, ex sanguine Christi quoque sumens. Et cum adhuc labiis tuis adbaeret ex eo mador, manibus attingens, et oculos et frontem et reliquos sensus sanctifica… A communione ne vos abscindite; neque propter peccatorum inquinamentum sacris istis et spiritualibus defraudate mysteriis». (Dopo che tu con cautela abbia santificato i tuoi occhi mettendoli a contatto con il corpo del Cristo, accostati anche al calice del sangue: non tenendo le mani distese; ma prono e in modo da esprimere sensi di adorazione e venerazione, dicendo Amen, ti santificherai, prendendo anche del sangue del Cristo. E mentre hai ancora le labbra inumidite da quello, toccati le mani, e poi con esse santifica i tuoi occhi, la fronte e tutti gli altri sensi… Dalla comunione non staccatevi; né privatevi di questi sacri e spirituali misteri neppure se inquinati dai peccati). (P. G. XXXIII, coll. 1123-1126).

Chi potrà sostenere che un tale rito fosse sia pure un po' meno che per mille anni consueto nella Chiesa universale? E come conciliare un tale rito, secondo il quale è ammesso alla santa Comunione anche chi è inquinato di peccati, con la consuetudine certamente universale sin dalle origini che proibiva la santa Comunione a chi non era santo?: «Itaque quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem seipsum homo: et sic de pane illo edat, et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne, indicum, sibi manducat et bibit non diiudicans corpus Domini». (Perciò chiunque abbia mangiato di questo pane e bevuto del calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Si esamini dunque ognuno: e cosí [trovatosi senza peccati gravi] di quel pane si cibi e di quel calice beva. Colui infatti che ne mangia e ne beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non discernendo il corpo del Signore ). (I Corinti, 11, 27-29).
Un tal stravangante rito della Santa Comunione, la cui descrizione si conchiude con l'esortazione di fare la santa Comunione anche se inquinati di peccati, non fu certo predicato da San Cirillo nella Chiesa di Gerusalemme, né poté essere lecito in qualsivoglia altra Chiesa. Si tratta infatti di un rito dovuto alla fantasia, oscillante tra il fanatismo e il sacrilego, dell'autore delle Costituzioni Apostoliche: un anonimo Siriano, divoratore di libri, scrittore instancabile, che riversa nei suoi scritti, indigerite e contaminate dai parti della sua fantasia, gran parte di quelle sue stesse letture; che al libro VIII di dette Costituzioni apostoliche, aggiunge, attribuendo a san Clemente Papa, 85 Canoni degli Apostoli; canoni che Papa Gelasio I, nel Concilio di Roma del 494, dichiarò apocrifi: «Liber qui appellatur Canones Apostolorum, apocryfus (P. L., LIX, col. 163).
La descrizione di quel rito stravagante, se non necessariamente sempre sacrilego, entrò nelle Catechesi mistagogiche per opera di un successore di san Cirillo, che i piú ritengono sia il vescovo Giovanni, cripto-ariano, origeniano e pelagiano; e perciò contestato da sant'Epifanio, da san Gerolamo e sant'Agostino.


Come può il Leclercq affermare che: «… nous devons y voir [in detto rito stravagante] une exacte représentation de l'usage des grandes Eglises de Syrie»? Non lo può affermare che contraddicendosi, dato che poco prima afferma trattarsi di: «… une liturgie de fantasie. Elle ne procède et elle n'est destinée qu'à distraire son auteur; ce n'est pas une liturgie normale, officielle, appartenant à une Eglise déterminée» (Dictionaire de Archeologie chretienne et de Liturgie, vol. III, parte II, col. 2749-2750).


Abbiamo invece delle testimonianze certe della consuetudine contraria, e cioè della consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando, e della proibizione ai laici di toccare dette sacre Specie con le proprie mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, ci assicura san Basilio, si poteva derogare da detta norma, ed era concesso ai laici di comunicarsi con le proprie mani (P. G., XXXII, coll. 483-486).

Non intendiamo, è chiaro, passare in rassegna tutte le testimonianze invocate a dimostrare che nell'antichità vigeva la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando laico; ne indichiamo solo alcune sintomatiche, e peraltro sufficienti a smentire quanti affermano che per mille anni nella Chiesa universale, sia d'Oriente che d'Occidente, fu consuetudine deporre le sacre Specie nelle mani dei laici. 


Sant'Eutichiano, Papa dal 275 al 283, a che non abbiano a toccarle con le mani, proibisce ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati: «Nullus præsumat tradere communionem laico vel femminæ ad deferendum infirmo» (Nessuno osi consegnare la comunione ad un laico o ad una donna per portarla ad un infermo) (P. L., V, coll. 163-168). 


San Gregorio Magno narra che sant'Agapito, Papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarí un sordomuto all'atto in cui «
ei dominicum Corpus in os mitteret» (gli metteva in bocca il Corpo del Signore) (Dialoghi, III, 3). 
Questo per l'Oriente; e per l'Occidente, si sa ed è indubitabile che lo stesso san Gregorio Magno amministrava in tal modo la santa Comunione ai laici.


Già prima il Concilio di Saragozza, nel 380, aveva lanciato la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucarestia come se si fosse in tempo di persecuzione, tempo nel quale anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani (SAENZ DE AGUIRRE, Notitia Conciliorum Hispaniæ, Salamanca, 1686, pag. 495).


Innovatori indisciplinati non mancavano certo neppure anticamente. Il che indusse l'autorità ecclesiastica a richiamarli all'ordine. Cosí fece il Concilio di Rouen, verso il 650, proibendo al ministro dell'Eucarestia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: «[Presbyter] illud etiam attendat ut eos[fideles] propria manu communicet, nulli autem laico aut fœminæ Eucharistiam in manibus ponat, sed tantum in os eius cum his verbis ponat: "Corpus Domini et sanguis prosit tibi in remissionem peccatorum et ad vitam æternam". Si quis hæc transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem comtemnit, et quantum in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» ([Il presbitero] baderà anche a questo: a comunicare [i fedeli] di propria mano; a nessun laico o donna deponga l'Eucarestia nelle mani, ma solo sulle labbra, con queste parole: "Il corpo e il sangue del Signore ti giovino per la remissione dei peccati e per la vita eterna". Chiunque avrà trasgredito tali norme, disprezzato quindi Iddio onnipotente e per quanto sta in lui lo avrà disonorato, venga rimosso dall'altare). (Mansi, vol. X, coll. 1099-1100).


Per contro gli Ariani, per dimostrare che non credevano nella divinità di Gesú, e che ritenevano l'Eucarestia come pane puramente simbolico, si comunicavano stando in piedi e toccando con le proprie mani le sacre Specie. Non per nulla sant'Atanasio poté parlare dell'apostasia ariana (P. G., vol. XXIV, col. 9 ss.).

Non si nega che sia stato permesso ai laici di toccare talora le sacre Specie, in certi casi particolari, o anche in alcune Chiese particolari, per qualche tempo. Ma si nega che tale sia stata la consuetudine della Chiesa sia in Oriente che in Occidente per mille anni; e piú falso ancor affermare che si dovrebbe fare cosí tuttora. Anche nel culto dovuto alla santissima Eucarestia è avvenuto un sapiente progresso, analogo a quello avvenuto nel campo dogmatico (con il quale non ha nulla a che fare la teologia modernista della morte di Dio).
Detto progresso liturgico rese universale l'uso di inginocchiarsi in atto di adorazione, e quindi l'uso dell'inginocchiatoio; l'uso di coprire la balaustra di candida tovaglia, l'uso della patena, talora anche di una torcia accesa; e poi la pratica di fare almeno un quarto d'ora di ringraziamento personale. Abolire tutto ciò non è incrementare il culto dovuto a Dio nella santissima Eucarestia, e la fede e la santificazione dei fedeli, ma è servire il demonio.

Quando san Tommaso (Summa Theologica, III, q. 82, a 3) espone i motivi che vietano ai laici di toccare le sacre Specie, non parla di un rito di recente invenzione, ma di una consuetudine liturgica antica come la Chiesa. Ben a ragione il Concilio di Trento non solo poté affermare che nella Chiesa di Dio fu consuetudine costante che i laici ricevevano la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicavano da sé; ma addirittura che tale consuetudine è di origine apostolica (Denzinger, 881). Ecco perché la troviamo prescritta nel Catechismo di san Pio X (Questioni 642-645). Ora tale norma non è stata abrogata: nel Nuovo Messale Romano, all'articolo 117, si legge che il comunicando tenens patenam sub oresacramentum accipit (tenendo la patena sotto la bocca, prenda il sacramento).

Dopo di che non si riesce a capire come mai gli stessi promulgatori di tanto sapiente norma, ne vadano dispensando le diocesi una dopo l'altra. Il semplice fedele di fronte a tanta incoerenza, non può che concepire una grande indifferenza nei riguardi delle leggi ecclesiastiche liturgiche e non liturgiche.



Kyrie eleison!

giovedì 22 marzo 2012

"Questa storia ha da finì!"

GIOVEDÌ 22 MARZO 2012



Università La Sapienza di Roma: Religioso nega S. Comunione a fedele inginocchiatosi

"Questa storia ha da finì!"
Un lettore ci segnala un nuovo e gravissimo episodio di disobbedienza al Papa e alla Legge della Chiesa e soprattutto di "irriverenza" verso la Ss.ma Eucarestia.

Dopo il padre Cappuccino di San Remo (si veda qui il post), tanto per fare un esempio solo, anche un Gesuita a Roma (precisamente nella Cappella Universitaria della Sapienza) si è platealmente e illecitamente rifiutato di dare la S. Comunione ad un fedele che dopo aver partecipato alla S. Messa, si era inginocchiato per essere comunicato dal celebrante.Qui di seguito la lettera che Jacopo Parravicini ci ha inviato e che noi pubblichiamo perchè molti altri fedeli prendano coraggio per denunciare i comportamenti illeciti dei sacerdoti e, soprattutto perchè i responsabili, se mai ci dovessero leggere (e sappiamo che ci leggono!) prendano provvedimenti, fosse anche solo per non perdere la faccia!

Roberto




" Gentile redazione di MessaInLatino,

vi scrivo in merito al diritto dei fedeli di ricevere la Comunione in ginocchio per segnalarvi un gravissimo episodio recentemente occorsomi proprio a Roma.

Venerdì 16 marzo 2012 intorno alle 12.30 partecipavo alla celebrazione della Messa Feriale nella Cappella Universitaria dell’Università La Sapienza di Roma (foto), retta dai Gesuiti (http://www.uniroma1.it/sapienza/cappella/i-gesuiti): la celebrazione era presieduta dal vice cappellano, padre Franco Annichiarico, S.I. Già nel corso della Messa egli mostrava una certa imprecisione nel celebrare, oltre che una certa fretta (per esempio all’Offertorio ha offerto “il pane e il vino” contemporaneamente, non separatamente come, per quanto ne so, prevede il Rito Romano), anche se il peggio è venuto dopo.

Dopo la Comunione del sacerdote i fedeli, una quindicina circa, si sono messi disciplinatamente in coda per ricevere la Santa Eucarestia. Arrivato il mio turno, come mia consuetudine, mi sono inginocchiato innanzi al sacerdote per ricevere la Comunione.
Il sacerdote (visibilmente infastidito): “In piedi
Io: “No
Sacerdote: “Si alzi, glieLa do in piedi”.
Io: “No, il Papa ha detto che va bene così”.
Sacerdote: “Si alzi, non posso darglieLa così!”
Io: “Perché?
A quel punto, mentre ancora ero inginocchiato, il celebrante mi ha scansato aggirandomi e si è messo a distribuire la Comunione agli altri. Dopo un secondo di sbigottimento mi sono rialzato e sono andato a sedermi sulla prima panca. Inutile dire il mio sgomento e la mia desolazione: “Rifiutarmi la Comunione perché ho mostrato devozione per la Santa Eucarestia, come se fossi un eretico, uno scomunicato, uno che dà pubblico scandalo! Si concede la Comunione perfino a omosessuali praticanti e conclamati e la si nega a me solo perché mi sono inginocchiato!

Temendo di non saper resistere alla tentazione dell’ira, ho evitato di andare subito a parlare col sacerdote. Sono uscito dalla cappella per tornarvi un’oretta dopo, con in mano la stampa dellIstruzione Redemptionis Sacramentum debitamente sottolineata nei punti giusti (n. 90 e soprattutto 91"[91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che«i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli». Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi."Mi sono presentato negli uffici della cappellania: non ho trovato don Franco (“in questo momento non c’è”), ma un suo confratello, padre Giancarlo Pani S.I., che mi ha accolto con molta gentilezza. A lui ho potuto spiegare pacatamente quanto accaduto: egli mi ha dunque accompagnato in chiesa e, messosi camice e stola, mi ha comunicato personalmente. Gli ho quindi lasciato il testo della Redemptionis Sacramentum invitandolo a recapitarlo al confratello disobbediente e lui a sua volta mi ha invitato a tornare in futuro a parlare personalmente con don Franco.

Tuttavia una pubblica disobbedienza al Papa (meglio sarebbe dire “tradimento”) perpetrata nella città e nella diocesi di Roma proprio da parte di un gesuita è per lo meno qualcosa di vergognoso! Che cosa avrà trasmesso il suo atteggiamento agli altri fedeli presenti alla Messa? Quale irreparabile danno temeva nell’amministrarmi la Comunione mentre ero in ginocchio?

È per questo che, pur avendolo perdonato, ahimé non posso tacere su quanto accaduto, poiché se lo facessi sarei complice di quello stesso sopruso (e di quel disordine nella Chiesa che tanto preoccupa il Santo Padre) già perpetrato da preti come lui (anche non gesuiti) a tanti altri fedeli incapaci di difendersi o timorosi o rassegnati. Qui non si tratta soltanto dell’obbedienza alle norme liturgiche, non si tratta soltanto del dovuto ossequio al Papa, non si tratta soltanto di maltrattare pubblicamente la pietà dei fedeli, ma si tratta del Ministero Sacerdotale: per quale chiesa è stato ordinato quel prete? Se crede alla Presenza Reale, perché si è mostrato così scandalizzato nel vedere un fedele in ginocchio che desidera ricevere il Santissimo Sacramento?

Se foste stati in quel momento tra i fedeli, cosa avreste pensato, come avreste reagito? Mi auguro che don Franco trovi il tempo di domandarsi seriamente che cosa penserebbe sant’Ignazio di Loyola del suo operato.

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