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venerdì 7 agosto 2015

SIATE SANTI

12. GLI OSTACOLI ALLA SANTITA'

Mancanza di buon spirito
La mancanza di buon spirito ossia di spirito religioso, in contrasto con l'obbligo che abbiamo di tendere alla perfezione, può dipendere da varie cause. Accennerò ad alcune che più spesso si riscontrano nelle comunità religiose.
1. FINE NON RETTO - Di questo abbiamo diffusamente parlato. Il Signore non può benedire chi entra nell'Istituto con fine non buono. Impossibile quindi che costui avanzi nella santità, allo stesso modo che non può germogliare il seme gettato in terreno non adatto.
Ciò vale anche quando il fine non è per sé cattivo, ma non è quello dell'Istituto: ad esempio, se uno di voi pensasse di farsi religioso di altra Congregazione, non avrebbe dovuto entrare nell'Istituto; ora poi non dovrebbe restarvi, per non contrarre un grave obbligo verso l'Istituto stesso e per non privarsi dei mezzi di santificazione. Qui il Signore ha posto le grazie per la sola santificazione di quelli chiamati ad essere Missionari della Consolata, non per gli altri.
2. SPIRITO MONDANO: non lasciato fuori dell'Istituto, ma portato dentro; non rigettato ma coltivato. Può infatti avvenire che, dopo aver rinunziato al mondo, se ne conservi lo spirito. Invece di obliare il mondo si vive in esso con la mente; invece di abbominarlo lo si segue nelle sue massime e vanità. Non così ci ha insegnato Nostro Signore, il quale esige una separazione netta: Voi non siete del mondo, ma Io vi ho scelto dal mondo (174); la stessa separazione ch'Egli pose fra Sé e il mondo: Io non sono di questo mondo (175).
Gesù vuole dunque il distacco assoluto: o siamo con Lui, tutti suoi fino in un pensiero, fino nella più recondita fibra del cuore, o siamo contro di Lui. Non possiamo servire a due padroni: a Gesù e al mondo. Tanto meno possiamo desiderare efficacemente la santità, fino a che conserviamo alcun desiderio del mondo.
Esaminatevi. Vi sono taluni che si perdono dietro le notizie e le novità del mondo. Ciò avviene specialmente in parlatorio, dove costoro s'interessano un po' di tutto e di tutti, dove parlano più mondanamente che religiosamente, lasciando cattiva impressione persino nei parenti, che poi se ne lamentano. E intanto si esce di lì con la testa piena di mondo e la si porta così piena, allo studio e in cappella, persino alla santa Comunione. Come è possibile che uno possa pregar bene, vivere una vita d'intimità con Gesù? e come potrà santificarsi?
Questo spirito si manifesta inoltre nella smania di scrivere lettere o di uscire di casa senza necessità, o di leggere avidamente tutti i pezzi di giornali che capitano fra mano. Tutto spirito mondano, miei cari dal quale la perfezione religiosa dista come la luce dalle tenebre, come il fuoco dal freddo. Che bisogno c'è di queste cose? Vi sono per questo i Superiori, e anch'essi non vi si perdono dietro; due minuti e basta; come faceva S. G. Cafasso, il quale, quando gli si portava il giornale, domandava: "C'è qualche cosa per me?" - "No". E allora non lo leggeva neppure. State tranquilli che non ammalerete per questo.
Domandiamoci: quid hoc ad aeternitatem? Ah, che proprio non serve a nulla; se mai servirà ad allungarci il purgatorio. E alla mia santificazione che giova tutto questo? Nulla, piuttosto mi disturba, mi distrae, mi dissipa, mi allontana da essa. Son qui per farmi santo, santo missionario; voglio attendere unicamente a questo, non voglio curarmi d'altro. Quid ad te? Tu me sequere (176). Che importa a te del mondo, di ciò che avviene nel mondo, di ciò che si dice nel mondo. Seguire Gesù: ecco il nostro dovere. Seguirlo da vicino, con amore e fedeltà: ecco ciò che veramente porta alla santificazione ed ecco perciò la nostra unica occupazione.
3. SPIRITO DI DISSIPAZIONE - E' la conseguenza dello spirito mondano. Presenti nell'Istituto col corpo, si è fuori con la mente. Invece di tener la mente a bada e di chiuderla ad ogni rumore esterno, la si tramuta in una pubblica piazza, dove si danno convegno tutti i pensieri, i ricordi, le immaginazioni, le fantasie. Si passano così intere giornate con la mente a divago, col cuore vuoto di Dio, con lo spirito freddo per tutto ciò che è pietà, con la volontà fiacca in tutto ciò che e servizio di Dio e adempimento del proprio dovere. Impossibile, in tale stato di dissipazione, amare e coltivare lo spirito di preghiera, mantenersi nel fervore. Come possono costoro ascoltare ancora i movimenti e le ispirazioni della grazia?
Questo spirito di dissipazione, inoltre, è quasi sempre accompagnato dallo spirito di leggerezza, che fa sorvolare su quanto qui dentro è ordinato alla santificazione; e dallo spirito buffonesco, che mette tutto in ridicolo, persino le prediche. Purtroppo questo difetto non è tanto raro! Si lascia quanto di buono si è udito, non si pensa che ad ogni modo è sempre parola di Dio, della quale si dovrà rendere conto, e si va a cercare la pagliuzza, per gettare il ridicolo su tutto. Quanto male fa questo spirito buffonesco!
Esso è favorito dal fatto che, nelle comunità, regna purtroppo quel maledetto rispetto umano, per cui nelle conversazioni non si ha il coraggio di introdurre una buona parola, far entrare un discorso spirituale o almeno utile, per tema d'apparire singolare o che gli altri pensino che la si vuol fare da maestro.
4. SPIRITO DI CRITICA - Su questo punto è bene che diciamo le cose proprio come sono, come io le sento. Vedete, non voglio farvi un rimprovero, no, ma è per prevenire, affinché non entri qui dentro questo pessimo spirito. Taluni pensano sempre al contrario dei superiori. Appena i superiori prendono una disposizione, danno un ordine, essi subito trovano a ridire. Ora questo brutto vizio di giudicare gli altri e soprattutto i Superiori, di borbottare su ciò che noi facciamo, non lo voglio, non voglio che entri nell'Istituto.
E' proprio da compiangere che nelle comunità vi sia sempre chi ha questo spirito. "Io farei così... se fossi io non farei così... io... io...". Tutta superbia, superbia grossa. Ne avviene che in Missione si trova poi a ridire su tutti i Superiori, su tutti gli ordini, a borbottare su tutto. Ecco perché non si fanno miracoli!
State attenti. Guai a coloro che pronunziano o anche solo ascoltano con compiacenza parole di critica! No, no, per carità! Ricordatevi del castigo gravissimo con cui Dio punì la sorella di Mosè per le sue mormorazioni. Guai alle comunità nelle quali entra questo spirito! È il principio della fine, lo dico sempre.
Non si vuol dire che dobbiate affatto disinteressarvi della Casa. No, il bene e il male dell'Istituto riguarda tutti indistintamente; quindi chi scorge qualche disordine, fa bene a riferirne al Superiore. Non è far la spia questo, ma è una carità, un dovere. Ma borbottare, mormorare di nascosto, trovare a ridire coi compagni, no, no!
Io faccio le cose più grosse di quel che sono, perché son sicuro che qui dentro questo spirito non c'è, o almeno non è così radicato. Ma, ripeto, è per prevenire. Dunque, cacciamo via lo spirito di critica, così dannoso a chi l'ha e a tutta la comunità. Su qualunque disposizione prendano i Superiori, nessuno s'arroghi il diritto di giudicare. Non tocca a voi. Preghiamo invece, sì, e tanto, perché Gesù ci faccia umili di cuore e di spirito; preghiamo la SS. Consolata che tenga lontano dal nostro Istituto questa peste - che è lo spirito di critica - e allora tutto andrà bene e il Signore benedirà, e le cose dell'Istituto prospereranno.
5. SPIRITO DI PARTITO - Questo spirito è per lo più effetto di antipatie per diversità di caratteri o di simpatie. Si va con questo e non con quello, si parla all'uno e non all'altro. Tutti siamo uguali, disposto ognuno a passeggiare con tutti: vincendo, per amore ed esercizio di perfezione, la ripugnanza che si sentisse nel frequentare qualche compagno, a motivo del suo carattere o dei suoi difetti.
Non vi sia nessuna distinzione o di paese o d'altro, non simpatie o antipatie, ma un cuor solo in una perfetta uguaglianza. Siete tutti fratelli che dovrete vivere insieme tutta la vita. Quindi, anche per carità fraterna, non pretendere che gli altri non abbiano difetti. Emendiamo i nostri e sopportiamo quelli del prossimo.
Non di rado questo spirito nasce da una certa invidia, da un po' di gelosia. Non già che sia una mancanza il "sentire" invidia, ma dobbiamo reagire per non lasciarla entrare e che si cambi in mal animo verso qualche compagno.
6. SPIRITO DI CAPARBIETA' - Tratteremo a suo tempo della superbia e della virtù opposta. Qui accenno a quello spirito di ostinazione nelle proprie idee, per cui uno vuol sempre averla vinta, sempre dominare e non ammette che possa sbagliare; quindi mai il torto da parte sua, e guai a contraddirlo! Chi non combatte questo spirito non farà mai dei progressi nella via della perfezione. Che se poi si credesse già perfetto sarebbe un grande illuso ed un infelice.
Ancora una parola: come regolarci con gl'individui che sono manifestamente privi di buon spirito? Ecco: frequentarli il meno possibile. Voi lo capite: non è questione di avversione o di antipatie o d'altro. Si tratta con essi con carità, si prestano loro quei servigi che richiedono, si prega per essi, si procura anche di far loro del bene con il buon esempio, ma poi evitare il più possibile la loro compagnia, di modo che lo stesso isolamento in cui vengono a trovarsi, serva a scuoterli, a farli ravvedere. Ove tutti si comportassero così, dovrà infatti avvenire che costoro, volendo godere la compagnia di qualcuno, dovranno per forza cambiare il loro modo di pensare e di agire, per adattarsi a quello degli altri. E intanto resta evitato il pericolo di contrarre, da un troppo frequente contatto quel contagioso morbo della mancanza di buon spirito.
La tiepidezza
E' questo uno degli argomenti che amo sia trattato sempre negli esercizi spirituali al Clero e più ancora in quelli che si dettano a voi. Perché, vedete, se non la tiepidezza abituale, almeno per qualche giorno o settimana possiamo averla, e allora certe considerazioni servono a scuoterci.
Il Martini, nel commento al capo terzo dell'Apocalisse, chiama tiepido colui che ondeggia tra la virtù e il vizio; colui che vorrebbe fuggire i peccati, essere fedele a tutto, e intanto non si risolve mai a combattere coraggiosamente, perché teme la fatica della virtù. Vorrebbe essere santo, ma portato. E' come il pigro che vuole e non vuole. Non è questa una definizione della tiepidezza, ma una semplice spiegazione. Del resto la tiepidezza, come anche il fervore, non si possono definire; si comprendono meglio dai sintomi rivelatori di tali stati d'animo. Accenneremo ai principali di questi sintomi.
a) Cadere abitualmente e deliberatamente in peccati veniali e non farne caso; mentre il fervoroso evita con somma cura le stesse imperfezioni.
b) Omettere facilmente le preghiere d'obbligo, trovando sempre una scusa e aggrappandosi alle sentenze più larghe di morale. I fervorosi, al contrario, vi si mantengono scrupolosamente fedeli e, dovendo omettere qualche pratica di pietà, ne sentono pena e procurano di supplirvi in tutto o in parte.
c) Strapazzare le stesse pratiche di pietà, facendole per mestiere, per necessità, senza vivificarle con l'attenzione della mente, con l'affetto del cuore. Non parlo di aridità o di distrazioni involontarie, parlo di volontà. Invece il fervoroso gode di andare in chiesa, non si annoia a restarvi a lungo, prega con divozione, fa della preghiera - e soprattutto della santa Comunione - il cibo sostanziale dell'anima sua.
d) Perdere la stima e l'amore al proprio stato, quasi si fosse pentiti del passo fatto; quindi si cercano svaghi, distrazioni nel mondo e nelle conversazioni mondane, o negli interessi mondani. I fervorosi, all'opposto, procedono con crescente amore alla propria vocazione, ringraziandone ogni giorno il Signore e riconoscendosi indegni di tanta grazia.
Lo stato del tiepido è sommamente pericoloso. Si può più facilmente vedere uomini freddi e carnali giungere al fervore dello spirito, che non dei tiepidi riprendere il perduto fervore; specialmente quando la tiepidezza è già avanzata. Il P. Faber paragona la tiepidezza dell'anima all'etisia del corpo e voi sapete quanto sia difficile guarire di tale malattia (177). I danni della tiepidezza si possono inoltre rilevare dalle parole che nell'Apocalisse sono rivolte all'angelo della Chiesa di Laodicea: Mi sono note le tue opere, come non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Ma perché sei tiepido, e né freddo né caldo, comincierò a vomitarti dalla mia bocca (178).
Quali i rimedi per un sì deplorevole stato? Li troviamo indicati nell'Apocalisse al luogo citato:
a) Rientrare sinceramente in noi e chiedere al Signore la grazia di ben conoscere noi stessi: Perocché vai dicendo: sono ricco e dovizioso e nulla mi manca. E non sai che sei un meschino e miserabile povero e cieco e nudo (179).
b) Risvegliare in noi un ardente amore di Dio soprattutto con la preghiera ben fatta e la meditazione quotidiana, che è il fuoco in cui l'anima si riscalda:Ti consiglio a comperare da me dell'oro passato e provato nel fuoco, onde tu arricchisca (180).
c) Fare guerra continua, implacabile ai peccati veniali, confessandosi sovente e bene, e far uso dei sacramentali: Onde tu sia vestito delle vesti bianche e affinché non comparisca la vergogna della tua nudità (181).
d) Far bene gli esami di coscienza, per scoprire le radici dei difetti ed estirparle: E ungi con un collirio i tuoi occhi, acciò tu vegga (182).
e) Soprattutto volere seriamente, volere fortemente, volere costantemente, a costo di qualsiasi sforzo e sacrificio: Io, quelli che amo, li riprendo e castigo. Abbi dunque zelo e fa penitenza. Ecco che Io sto alla porta e picchio (183).
f) Possiamo aggiungere la divozione al Cuore di Gesù con giaculatorie lungo il giorno e tutto indirizzando a Sua consolazione, poiché Egli promise a Santa M. Margherita Alacoque, per i suoi divoti: I tiepidi diverranno fervorosi.
La rilassatezza
Molto affine allo stato di tiepidezza nella vita spirituale, è lo stato di rilassatezza nella via della perfezione. Questa porta a quella. La nostra fragile natura c'inclina a decadere dal primo fervore e da quella buona volontà che già avevamo. E' così facile scendere in basso, lasciarci rimorchiare verso il male! Esaminiamo i sintomi e le cause di questo rilassarsi nella vita dello spirito.
a) La poca stima di certi punti delle costituzioni, del regolamento, della vita comune; quindi negligenza nell'osservarli e facilità nell'ometterli.
b) Le scuse addotte contro le infrazioni della Regola e quando si è corretti.
c) Soffrire o anche burlarsi del fervore dei compagni, perché rimprovero alle nostre freddezze.
d) Lasciar passare tante ispirazioni e grazie di Dio inutilmente, mentre un po' di buona volontà ci farebbe attenti a non perderne neppur una.
e) Dissiparsi, lasciare volontariamente che il pensiero corra dietro alle cose del mondo. Dovremmo fare con questi pensieri come si fa coi cani, che non si lasciano entrare in chiesa perché disturbano.
f) Operare senza riflessione o per un fine puramente umano, invece di far tutto per un fine soprannaturale.
g) Mancanza di energia nel vincere la passione dominante, nel tendere alla perfezione. Talora sembra a noi che vogliamo vincerci, ma ci manca la volontà di ferro. Il Signore dà la grazia, ma bisogna che cooperiamo.
h) Far comunella coi meno perfetti, per poter vivere e parlare più liberamente.
I rimedi contro la rilassatezza sono gli stessi già indicati per la tiepidezza: scuoterci e riprendere il primiero fervore, costi quel che costi.
Il peccato veniale
Poiché la tiepidezza è in pratica la risultante di peccati veniali deliberati e scusati, ad evitare quella, dobbiamo concepire un vero e profondo aborrimento del peccato veniale.
Dei peccati veniali, gli uni si dicono di fragilità: un atto primo-primo, un momento di sorpresa, uno scatto d'impazienza, ecc. Sono miserie nostre, sono infermità. Non sarebbero neppur peccati, se non ci fosse niente di volontà. Di questi non possiamo liberarci perfettamente senza uno speciale aiuto di Dio. Possiamo però diminuirne il numero e la volontarietà, con più attenzione su noi medesimi e con maggior fervore nel servizio di Dio. Queste miserie non c'impediscono di farci santi, possono anzi essere mezzi di avanzare nella via della perfezione, se noi sappiamo valercene per gettare più profonde le radici dell'umiltà, per stringerci vieppiù a Dio mediante l'amore e la confidenza.
Gli altri, i veri peccati veniali, sono volontari. Ad esempio: so che è male conservare quel po' di rancore contro un compagno e tuttavia non faccio nessuno sforzo per vincermi; so che, affermando o negando la tal cosa, mentisco e lo faccio ugualmente, ecc. Ove poi questi peccati veniali pienamente deliberati siano anche abituali, fatti cioè con una certa frequenza, peggio poi se scusati, costituiscono, come abbiam detto, il peggiore stato di tiepidezza, il segno certo che il Religioso ha rinunziato ad ogni efficace proposito di perfezione.
La malizia del peccato veniale deve misurarsi in rapporto a Dio che viene offeso; quindi il peccato veniale non differisce dal mortale se non per la minor gravità dell'offesa. Ne consegue che, dopo il peccato mortale, quello veniale è il maggior male che esista. Si suol fare al riguardo delle supposizioni, che fanno assai bene comprendere la gravità di questo male.
1. - Tutti i mali del mondo: malattie, devastazioni, guerre, ecc., anche presi assieme, non bastano ad uguagliare il male che è un peccato veniale. La cosa è evidente: essendo tutti quei mali d'ordine puramente naturale, mentre il peccato veniale è d'ordine soprannaturale, perché offende Dio.
2. - Supponiamo, per impossibile, che con un peccato veniale si potessero liberare tutte le anime del Purgatorio e tutte quelle cadute nell'inferno dal principio del mondo sino al momento attuale: ebbene, non lo si potrebbe fare. L'offesa che fa a Dio il peccato veniale non può essere riparata da tutto quel bene che abbiam supposto.
3. - Supponiamo, per impossibile, che gli Angeli e i Santi commettessero un solo peccato veniale. Ebbene, Dio sarebbe obbligato ad espellerli dal Paradiso fino a che non se ne fossero liberati e ne avessero scontata la pena.
4. - Iddio, per il peccato veniale, anche solo per la pena che gli è dovuta (come per la pena temporale dovuta al peccato mortale già perdonato) creò il Purgatorio, la cui esistenza è di fede.
5. - Basta aver commesso un solo peccato veniale per poter ricevere il Sacramento della Penitenza tutti i giorni, né sarebbe sufficiente tutta la vita per piangere l'offesa fatta con esso a Dio.
Tutte queste cose le sappiamo e anche le ripetiamo agli altri, ma ce ne dimostriamo praticamente convinti? Convinti n'erano i Santi, che avrebbero preferito mille volte la morte e le stesse pene eterne dell'inferno, piuttosto che commettere un solo peccato veniale deliberato.
A parte ogni altra considerazione, non dimentichiamo che i peccati veniali dispongono al mortale. Non si vuol dire che molti peccati veniali, presi insieme, equivalgano al mortale, no; ma colui che non fa caso dei peccati veniali, commettendoli a occhi aperti e con frequenza, finirà per cadere nel mortale. E ciò per tre ragioni: a) Perché a poco a poco si perde l'orrore del peccato mortale: come chi non cura una malattia per sé leggera si espone, per il lento aggravarsi di essa, alla morte. - b) Perché d'ordinario Iddio non dà più le grazie abbondanti e speciali che concede ai fervorosi. - c) Perché il demonio potrà più facilmente tentarci e farci cadere, essendo noi men preparati alla tentazione, più deboli nella resistenza.
D'altronde, chi ti dice che quello che tu credi solo peccato veniale, sia proprio tale? Chi conosce il limite tra il veniale e il mortale? E come puoi tu essere sicuro di mai oltrepassarlo? Le angustie di certe anime anche non scrupolose, pel timore di aver commesso un peccato mortale, prova questa verità; né i Moralisti sciolgono altrimenti il caso che con la presunzione del nostro stato abituale di coscienza. Non è dunque miglior consiglio scuoterci, stare attenti alle nostre passioni, alle nostre parole e azioni, castigare in noi le piccole voglie difettose, darsi con coraggio alla virtù? Sì, voglio salvarmi e voglio santificarmi: questo debbo dire di continuo a me stesso. Lo voglio perché lo posso, essendo che qui dentro i mezzi a ciò sono sovrabbondanti; lo voglio perché lo debbo, essendo che proprio per questo ho abbracciato lo stato religioso e missionario.
I demoni
Tutti questi ostacoli alla nostra perfezione per lo più son mossi e coordinati dal nemico dell'anima nostra, il demonio. Può quindi tornar utile, per stimolarci alla vigilanza, il richiamare alla mente quello che la Chiesa insegna riguardo agli angeli ribelli. Avete già studiato in teologia - e gli altri lo studieranno - quale sia stato il loro peccato. A noi importa soprattutto conoscere i rapporti ch'essi hanno con l'uomo, nonché i mezzi per combattere le loro insidie.
Come gli angeli buoni hanno con gli uomini relazioni d'amore e di sollecitudine per promuovere il bene, così gli angeli cattivi hanno con gli uomini relazioni di odio e di sollecitudine per promuovere il male. Gli angeli buoni esercitano il loro ufficio d'amore per mezzo della custodia che hanno di noi; i demoni sfogano il loro odio per mezzo delle infestazioni. Queste sono morali o fisiche, secondo che tentano di nuocere alle anime o ai corpi. Le prime si dicono tentazioni, le seconde ossessioni.
Per tentazioni demoniache s'intendono tutti quegli atti con cui i demoni si sforzano d'indurre gli uomini al peccato e così impedir loro di conseguire la beatitudine eterna. A ciò son mossi dall'odio che hanno contro Dio, il quale chiama gli uomini a prendere i posti lasciati vuoti da essi in Cielo; nonché dall'odio contro gli uomini, che essi vorrebbero con sé nell'inferno. Questa è dottrina certa, cattolica, fondata sulla divina rivelazione. Basti ricordare, fra i fatti Scritturali, le tentazioni di Eva, di Giobbe, di Giuda e dello stesso Nostro Signore Gesù Cristo. Tra i testi scritturali basti citare quello di S. Paolo:Rivestitevi di tutta l'armatura di Dio, affinché possiate resistere alle insidie del demonio. E quello di S. Pietro: Siate temperanti e vigilate, perché il diavolo vostro avversario, come leone che rugge, va attorno cercando chi divorare (184).
Come gli uomini cattivi possono tentare gli altri uomini, tanto più lo possono fare i demoni, che son creature più intelligenti e di natura più perfetta; e lo vogliono fare per odio contro Dio e contro l'uomo.
I demoni non possono tentare directe, costringendo l'umana volontà a cedere, a peccare: ma solamente indirecte, cioè facendo qualche cosa per cui la volontà umana sia sollecitata al peccato. E ciò in due modi: per un'azione estrinseca, o con un'azione interna, producendo movimenti negli organi corporei, per cui si eccitano cattivi fantasmi e moti disordinati. Come il Signore, nei suoi imperscrutabili disegni, permette le tentazioni degli uomini contro altri uomini, così può permettere che i demoni tentino gli uomini, mai però oltre le nostre forze. Fedele è Dio il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione lo scampo, affinché la possiate sostenere (185). Frattanto Egli ci avverte, ci esorta e ci sostiene con la sua grazia e anche per mezzo degli Angeli Custodi.
Da parte loro, gli uomini per vincere le tentazioni debbono vivere vigilanti, per scoprire a tempo e fuggire le insidie diaboliche; non esporsi alle tentazioni pericolose; invocare con prontezza, umiltà e fiducia l'aiuto di Dio, raccomandarsi al patrocinio della SS. Vergine, dell'Angelo Custode e dei Santi. La Chiesa ci esorta a ciò fare nelle litanie dei Santi: Ab insidiis diaboli, libera nos Domine. E nelle preghiere del dopo Messa: O santo Michele Arcangelo, difendici nella lotta, sii nostro presidio contro la malizia e le insidie del demonio. E ancora nella bella preghiera di ogni giorno, a Compieta: Visita questa casa, o Signore, te ne preghiamo, e scaccia lontano da essa tutte le insidie del nemico, cioè del demonio, al quale la Chiesa oppone l'assistenza e la potenza degli angeli buoni: Che i tuoi santi angeli vi abitino e ci custodiscano nella pace.
Ancora una parola sulle ossessioni. I demoni possono, sempre per permissione di Dio, non solo nuocere all'anima degli uomini, ma anche al corpo e ai beni materiali. Questi mali si chiamano ossessioni o possessioni diaboliche. Quando il demonio prende reale possesso di un corpo entrandovi, dimorandovi e muovendolo, è vera ossessione o insessione, e il paziente si chiama energumeno. Quando invece si limita ad atti transeunti - e direi esterni - di molestare l'uomo nel corpo o nei beni materiali, è "possessione". Noto che nell'ossessione restano intatte le facoltà dell'anima, intatto il rapporto tra l'anima e il corpo; quindi il demonio non è sostanzialmente unito all'ossesso, ma unito solo estrinsecamente.
Le ossessioni sono possibili. Come infatti gli uomini più robusti possono imporsi ai più deboli, così, permettendolo Iddio, possono i demoni valersi della loro maggior forza a danno degli uomini; essendo spiriti, possono entrare nei corpi e vessarli. Moralmente poi lo possono perché desiderosi di far del male all'uomo anche nel corpo. Fin dai tempi più antichi si hanno esempi di ossessioni vere e proprie, come lo prova la Scrittura. Numerosi poi i fatti riportati dal Vangelo e dagli Atti degli Apostoli. Leggiamo in S. Marco che Nostro Signore curò molti infermi e cacciò molti demoni (186). Notate che qui si distinguono gli infermi dagli ossessi. La stessa potestà Nostro Signore la diede agli Apostoli e ai loro successori, i quali la esercitarono in tutti i tempi. A questo scopo la Chiesa istituì l'Ordine dell'Esorcistato. Anche al presente non mancano i casi di vera ossessione e già vi è noto quello di una donna liberata dal demonio con la medaglia della SS. Consolata. Come caso di possessione diabolica posso attestare, e con piena certezza, di altra persona che il demonio molto maltrattava, trasportandola or qua or là in diversi luoghi fuori della città. Questa prova durò per più anni e quell'anima ne soffriva terribilmente (187).
I segni per discernere la vera ossessione dalle malattie epilettiche, ciarlatanerie, ecc. sono di più specie. Segni di sospetto: istinti ferini, consacrazione di sé al demonio, ecc. Segni di probabilità: vociferazioni insolite, urla di belve, contrazioni strane delle membra, ecc. Segni di certezza: manifestazione di cose occulte, parlare lingue ignote o cose sublimi, orrore a toccare cose sacre e ad invocare i nomi di Gesù e di Maria, ecc.
Il Signore può permettere questi fatti per più fini. Anzitutto per provare i giusti e punire i colpevoli: Ut justi exerceantur et mali puniantur. Poi perché serva di ammonimento: imparino cioè gli uomini, dai mali del corpo, a temere i mali morali: Ut ex malis corporalibus discant homines timere mala moralia. In terzo luogo per manifestare la sua divina potenza nella liberazione degli ossessi: Ad manifestandam Dei virtutem in liberandis. Così, ai tempi di Nostro Signore e della primitiva Chiesa, queste liberazioni erano appunto una prova della divinità di Gesù e del Vangelo: Se io col dito scaccio i demoni, certamente a voi è venuto il regno di Dio (188).
Qual'è la conclusione pratica per noi? Quella di conservarci puri di anima e di corpo, per non cadere nel potere di colui che può perdere l'anima e il corpo eternamente nella geenna.

martedì 9 dicembre 2014

"Caritas non agit perperam". Chi ama Gesù Cristo fugge la tiepidezza ed ama la perfezione, i cui mezzi sono: 1. Il desiderio. 2. La risoluzione. 3. L'orazione mentale. 4. La comunione. 5. La preghiera.



18. Il terzo mezzo per farsi santo è l'orazione mentale.

Scrive Giovanni Gersone (De medit. cons. 7) che chi non medita le verità eterne, senza miracolo non può vivere da  cristiano. La ragione si è perchè senza l'orazione mentale manca la luce e si cammina all'oscuro. Le verità della fede non si vedono cogli occhi del corpo, ma cogli occhi dell'anima, quando ella le medita; chi non le medita non le vede e perciò cammina all'oscuro, e facilmente, stando nelle tenebre, si attacca agli oggetti sensibili, per li quali disprezza poi gli eterni. Scrisse Santa Teresa (Lettera 8) al vescovo di Osma: «Sebbene ci pare che non si trovino in noi imperfezioni, quando però apre Iddio gli occhi dell'anima, come suol farlo nell'orazione, ben elle compariscono». 

E prima scrisse S. Bernardo che quegli il quale non medita seipsum non exhorret quia non sentit: non abborrisce se stesso perchè non si conosce. L'orazione, dice il santo, regit affectus, dirigit actus, regola gli affetti dell'anima e dirige le nostre azioni a Dio; ma senza orazione gli affetti si attaccano alla terra, le azioni si conformano agli affetti, e così il tutto va in disordine.

19. È terribile il caso che si legge nella vita della Ven. Suor Maria Crocifissa di Sicilia (lib. 2. cap. 8). Mentre la serva di Dio stava orando, intese un demonio che si vantava di aver fatta lasciare l'orazione comune ad una religiosa; e vide in ispirito che dopo questa mancanza il demonio la tentava a dare il consenso ad una colpa grave, e che quella era già vicina ad acconsentirvi. Ella subito accorse, ed ammonendola la liberò dalla caduta. Dicea S. Teresa che chi lascia l'orazione «tra breve diventa o bestia o demonio».

20. Chi lascia dunque l'orazione lascerà di amare Gesù Cristo. L'orazione è la beata fornace ove si accende e si conserva il fuoco del santo amore: In meditatione mea exardescet ignis (Ps. XXXVIII, 4). S. Caterina di Bologna diceva: «Chi non frequenta l'orazione si priva di quel laccio che stringe l'anima con Dio. Onde non sarà difficile al demonio che trovando la persona fredda nel divino amore, la tiri a cibarsi di qualche pomo avvelenato». All'incontro dicea S. Teresa: «A chi persevera nell'orazione, per quanti peccati opponga il demonio, tengo per certo che finalmente il Signore lo conduca a porto di salvazione». In altro luogo dice: «Chi nel cammino dell'orazione non si ferma, benchè tardi pure arriva». 
Ed in altro luogo scrive che il demonio perciò si affatica tanto a distogliere l'anime dall'orazione, perchè «sa il demonio che l'anima la quale con perseveranza attende all'orazione egli l'ha perduta». — Oh quanti beni si raccolgono dall'orazione! Nell'orazione si concepiscono i santi pensieri, si esercitano gli affetti divoti, si eccitano i desideri grandi e si fanno le risoluzioni ferme di darsi intieramente a Dio; e così l'anima poi gli sagrifica i piaceri terreni e tutti gli appetiti disordinati. Dicea S. Luigi Gonzaga: «Non vi sarà molta perfezione senza molta orazione». Avverta chi ama la perfezione questo gran detto del santo.

21. Non già dee andarsi all'orazione per sentire le dolcezze dell'amor divino; chi vi va per tal fine, ci perderà il tempo, o poco profitto ne caverà. Dee la persona mettersi ad orare solo per dar gusto a Dio, cioè solo per intender ciò che voglia Dio da lui e per domandargli l'aiuto per eseguirlo. Il Ven. P. D. Antonio Torres diceva: «Il portar la croce senza consolazioni fa volare l'anime alla perfezione». L'orazione senza consolazioni sensibili riesce la più fruttuosa per l'anima. Ma povera quell'anima che la lascia per non sentirvi gusto! Dicea S. Teresa: «L'anima che lascia l'orazione è come se da se stessa si ponesse all'inferno, senza bisogno di demoni».

22. Dall'esercizio poi dell'orazione avviene che la persona sempre pensi a Dio: «Il vero amante, dice S. Teresa, sempre si ricorda dell'amato». E da qui nasce poi che le persone di orazione parlano sempre di Dio, sapendo quanto piace a Dio che gli amanti suoi si dilettino in parlar di lui e dell'amore ch'esso ci porta, e così procurino d'infiammarne anche gli altri. Scrisse la stessa santa: «Ai discorsi de' servi di Dio sempre si trova presente Gesù Cristo, e gli piace molto che si dilettino di lui».

23. Dall'orazione ancora nasce quel desiderio di ritirarsi ne' luoghi solitari per trattare da solo a solo con Dio, e di conservare il raccoglimento interno nel trattare gli affari esterni necessari. Dico necessari, o per ragion del governo della famiglia o degli offici imposti dall'ubbidienza; poichè la persona di orazione dee amar la solitudine e non dissiparsi in faccende ultronee ed inutili; altrimenti perderà lo spirito di raccoglimento ch'è un gran mezzo per mantenere l'unione con Dio. Hortus conclusus soror mea sponsa (Cant. IV, 12). L'anima sposa di Gesù Cristo dee essere un orto chiuso a tutte le creature, e non dee ammettere nel suo cuore altri pensieri ed altri negozi che di Dio o per Dio. Cuori aperti non si fanno santi. I santi che sono operari, in acquistare anime a Dio, anche in mezzo alle loro fatiche di predicare, prender le confessioni, trattar paci, assistere agl'infermi, non perdono il loro raccoglimento. 

Lo stesso corre per coloro che stanno applicati allo studio. Quanti per istudiare assai e farsi dotti non si fanno nè santi nè dotti, perchè la vera dottrina è la scienza de' santi, cioè il sapere amar Gesù Cristo, mentre all'incontro l'amor divino apporta seco e la scienza e tutti i beni: Venerunt autem mihi omnia bona... cum illa, cioè colla santa carità (Sap. VII, 11). Il Ven. Giovanni Berchmans avea un affetto straordinario per lo studio, ma egli, colla sua virtù, non permise mai che lo studio gl'impedisse il profitto spirituale. Scrisse l'Apostolo: Non plus sapere, quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem (Rom. XII, 3). Bisogna sapere, specialmente a chi è sacerdote; bisogna che sappia, perchè il sacerdote dee istruire gli altri nella divina legge: Labia enim sacerdotis custodient scientiam et legem requirent ex ore eius (Malac. II, 7); bisogna che sappia, ma usque ad sobrietatem. Chi per lo studio lascia l'orazione dà segno che nello studio non cerca Dio, ma se stesso. Chi cerca Dio lascia lo studio, quando non è attualmente necessario, per non lasciar l'orazione.

24. Inoltre il maggior male si è che senza l'orazione mentale non si prega. — In più luoghi delle mie opere spirituali ho parlato della necessità della preghiera, e specialmente in un libretto a parte intitolato: Del gran mezzo della preghiera, ed in questo capo brevemente anche ne dirò più cose. Basti solamente qui avvertire quel che scrisse il Ven. vescovo di Osma Monsig. Palafox (nell'Annot. alla lettera di S. Teresa 8, n. 10): «Come può durar la carità, se Dio non ci dà la perseveranza? Come ci darà la perseveranza il Signore, se non gliela chiediamo? E come gliela chiederemo senza l'orazione? Senza l'orazione non vi è comunicazione con Dio per conservar le virtù». E così è, poichè chi non fa orazione mentale poco vede i bisogni dell'anima sua, poco conosce i pericoli della sua salute, poco i mezzi che dee usare per vincere le tentazioni, e così, poco conoscendo la necessità che ha di pregare, lascerà di pregare e certamente si perderà.
25. In quanto poi alla materia della meditazione, non vi è cosa più utile che meditare i novissimi, la morte, il giudizio, l'inferno e 'l paradiso; ma specialmente giova il meditar la morte, figurandoci di star moribondi sul letto, abbracciati col Crocifisso e vicini ad entrare nell'eternità. Ma sovra tutto, a chi ama Gesù Cristo e desidera di sempre più crescere nel santo amore, non vi è pensiero più efficace che quello della Passione del Redentore. Dicea S. Francesco di Sales che «il monte Calvario è il monte degli amanti». Tutti gli amanti di Gesù Cristo se la fanno sempre su questo monte, ove non si respira altra aria che del divino amore. A vista d'un Dio che muore per nostro amore, e muore perchè ci ama — dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Ephes. V, 2) — non è possibile il non ardentemente amarlo. Dalle piaghe del Crocifisso escono sempre tali saette d'amore che feriscono i cuori anche di pietra. Oh felice chi se la fa continuamente sul monte Calvario in questa vita! O monte beato, monte amabile! O monte caro, e chi più ti lascerà? Monte che mandi fuoco ed infiammi l'anime che in te perseverantemente dimorano!

26. Il quarto mezzo per la perfezione ed anche per la perseveranza in grazia di Dio è la frequenza della santa comunione...

MATER BONI CONSILII,
ora pro nobis

martedì 7 gennaio 2014

AD JESUM PER MARIAM




AD JESUM PER MARIAM: 
PER ARRIVARE A GESÙ DOBBIAMO PASSARE ATTRAVERSO MARIA
P. LANTERI e altri

La devozione a Maria presenta al cristiano che riflette diverse questioni di primaria importanza. È bene che egli sappia affrontare e risolvere queste questioni perché riguardano la sua stessa salvezza eterna.

La prima questione è: È vero che la devozione a Maria è di necessità di salute, ossia che essa è un sussidio indispensabile per raggiungere la salvezza eterna?

Rispondiamo subito di sì. Tale è infatti la dottrina costante della Chiesa fin dai primi secoli della sua storia. S. Luigi M. Grignion de Montfort nel suo celebre Trattato sulla vera devozione a Maria (n. 40) stende un lungo elenco di Padri e teologi che sostengono questa dottrina: Agostino, Efrem di Edessa, Cirillo di Gerusalemme, Germano di Costantinopoli, Giovanni Damasceno, Anselmo di Aosta, Bernardo di Chiaravalle, Tommaso d'Aquino, Bonaventura da Bagnoregio, Bernardino da Siena, Leonardo Lessio, Francesco Suarez... Secondo questi dottori la devozione alle Vergine è necessaria alla salvezza e, per contrario, la mancanza di tale devozione, la negligenza o il disprezzo di essa, sono segni infallibili di riprovazione e di dannazione eterna. La ragione? Eccola in poche parole. Essendo Maria necessaria a Dio di una necessità che potremmo dire ipotetica o condizionata, Essa è molto più necessaria agli uomini (avendo così voluto e stabilito Dio stesso) per raggiungere lo scopo ultimo della loro vita. Perciò la devozione a Maria non è da mettere sullo stesso piano della devozione ad altri Santi o a altre Sante, la quale, a differenza della devozione mariana, è sempre facoltativa e talvolta addirittura supererogatoria.


Passiamo alla seconda questione: È più utile e facile avvicinarsi a Gesù attraverso Maria — secondo il noto assioma Ad Jesum per Mariam - oppure avvicinarci a Lui principalmente, o senz'altro esclusivamente, coi nostri mezzi personali senza passare attraverso Maria?


Anche per questa seconda domanda la risposta non lascia dubbi: E per noi molto più facile, più utile, più sicuro, arrivare a Gesù attraverso e per mezzo di Maria che coi soli nostri poveri mezzi personali. Anche questa è dottrina tradizionale della Chiesa.

Sembrerebbe a prima vista che la via retta dovrebbe essere anche la più breve - via recta, brevissima —. Noi arriviamo a Cristo da soli, senza intermediari, senza deviazioni, senza ritardi. La mediazione di Maria sembra, in pratica, superflua, e quindi da evitarsi, o per lo meno da ritenersi facoltativa.

E invece no. Il motivo è sempre da ricercarsi là, nella voIontà e disposizione di Dio riguardo alla nostra salvezza, che Egli vuole effettuata per mezzo di Maria, o non senza Maria. Coloro che danno a Maria soltanto il posto di una devozione, sia pure della devozione principale, dice Monsignor Gay, non comprendono bene l'opera di Dio e non hanno il senso del Cristo.

Lo stesso pensiero si trova nell'enciclica Octobri mense di Leone XIII: « Si può affermare che secondo la volontà di Dio niente ci è dato che non passi per le mani di Maria, di modo che come nessuno può avvicinarsi al Padre onnipotente se non attraverso il Figlio, così nessuno, per così dire, può avvicinarsi a Cristo se non attraverso la Madre ».

E S. Pio X incalza: « La Vergine Santissima è il più efficace aiuto per la conoscenza e l'amore di Cristo » (Ad diem illum, 5 febbraio 1904).

S. Esichio ne da un'altra testimonianza: « Se Cristo è il sole, Maria è il ciclo in cui brilla; se Cristo è la gemma, Maria è lo scrigno in cui essa è contenuta; se Cristo è il fiore, Maria è la pianta da cui procede » (P.G., 93, 1465).

S. Luigi di Montfort fa un'osservazione molto appropriata: « La santa Chiesa, con lo Spirito Santo, benedice prima di tutto la Santa Vergine, poi Gesù Cristo: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo ventre. E questo non perché la santa Vergine sia più di Gesù Cristo, o uguale a lui, ma perché per benedire più perfettamente Gesù Cristo bisogna dapprima benedire Maria » (ivi, n. 95).

Dante Alighieri, che nella teologia mariana era molto addentro, fa capire che per arrivare a Cristo bisogna passare per Maria:
Riguarda ornai alla faccia che a Cristo
più si somiglia, che la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo (Par. 32, 85-87).

Maria è, secondo Dante, Colei che più di chiunque altro assomiglia a Cristo perché è sua Madre secondo la carne, e le madri lasciano sempre nei figli i tratti della loro somiglianzà fisica conforme il vecchio detto filii matrizant, i figli assomigliano alle loro mamme. E perché Maria è tanto assomigliata a Cristo, partecipa della sua luce e del suo splendore: la sua « chiarezza » è il riflesso della « chiarezza » di Gesù, come la luce della luna è il riflesso della luce del sole. Dopo aver abituato l'occhio alla chiarezza di Maria, luce riflessa - dice Dante - si sarà disposti a vedere Cristo stesso, sorgente prima della luce. 

La visione di Maria è scala ad altra visione più alta, nota a questo punto Nicolo Tommaseo.
Già in altra occasione Dante aveva espresso in forma plastica, come fa sempre lui, lo stesso concetto:
... qual vuoi grazia e a Te non ricorre
sua desianza vuoi volar senz'ali (Par. 33, 9-11).
Se qualcuno intende arrivare a Cristo - ed è questa la massima grazia che si deve domandare nella preghiera - ma con mezzi propri, senza voler passare attraverso Maria che è la sola scala e il ponte insostituibile per valicare l'abisso che separa Dio dall'uomo, costui è come un povero uccellino implume che arranca invano per levarsi in volo senza le ali.

E per completare: "La Vergine Maria è il fiore più bello sbocciato dalla creazione, la "rosa" apparsa nella pienezza del tempo, quando Dio, mandando il suo Figlio, ha donato al mondo una nuova primavera. Ed è al tempo stesso protagonista, umile e discreta, dei primi passi della Comunità cristiana: Maria ne è il cuore spirituale, perché la sua stessa presenza in mezzo ai discepoli è memoria vivente del Signore Gesù e pegno del dono del suo Spirito" (Sua Santità Benedetto XVI)


Terza questione: è possibile raggiungere la perfezione cristiana in questa vita, o per lo meno uscire dalla mediocrità nell'esercizio delle virtù cristiane e nella fedele pratica del Vangelo, senza una profonda e convinta devozione a Maria?
Non, non è possibile. Non è mai stato possibile in passato - prova concreta dei fatti — e non sarà mai possibile in futuro per le diverse ragioni che saranno qui elencate basandoci sulla testimonianza dei teologi e dei Santi, specialmente di S. Luigi di Montfort il quale scrive:

« Io penso che nessuno potrà mai arrivare a un'intima unione con Dio e a una perfetta fedeltà e obbedienza alle ispirazioni dello Spirito Santo senza una molto grande e molto profonda unione con la Beata Vergine e un efficace contributo della sua protezione... Gesù è sempre e dovunque il frutto e il Figlio della B. Vergine, e Maria è sempre e dovunque il vero albero che produce il frutto della vita, e la vera Madre che lo genera. 

È soltanto Maria Colei alla quale Dio ha dato le chiavi della cella del divino amore e il potere di entrare nelle sublimi e segretissime vie della perfezione, e il potere, per così dire, di far entrare anche altri in queste vie segrete. 

È soltanto Maria che ha dato ai miseri figli di Eva la possibilità di entrare nel paradiso terrestre, che essi possono percorrere piacevolmente con Dio, nascondersi là in sicurezza dai loro nemici, e nutrirsi là deliziosamente senza più paura di morire, dei frutti dell'albero della vita e della scienza del bene e del male, e bere a larghi sorsi le acque celesti di quella beata sorgente che là sgorga con abbondanza; o meglio, Essa stessa è quel paradiso terrestre, quella terra vergine e benedetta da cui furono allontanati Adamo ed Eva, i peccatori, ed Essa non vi fa entrare se non coloro che a Lei piacerà far arrivare alla santità... » (ivi, n. 43-45).
Maria attinge l'Infinito!
La prima e più alta creatura

giovedì 28 novembre 2013

San Francesco Antonio FASANI :






RIFLETTI

che la tua dipendenza dal Signore è essenziale, assoluta, continua.

Perché, dunque, non tieni lo sguardo rivolto al cielo per lodare , benedire e  glorificare la divina Bontà?

Se tu indirizzassi ogni cosa a Dio, ti faresti santo. Orsù, rettifica le tue intenzioni, opera il bene, ama il bene,  ma unicamente per Dio, Dio solo. 


Studiati di imitare la perfettissima e Immacolata Vergine Maria, sempre aspirando ai carismi più grandi”




http://www.famigliacristiana.it/liturgia/san-francesco-antonio-fasani_31221.aspx

giovedì 31 ottobre 2013

"Chi ammira con religioso amore i meriti dei Santi e celebra con lodi ripetute la gloria dei giusti è tenuto ad imitare la loro vita virtuosa e la loro santità.


FESTA DI TUTTI I SANTI

La festa della Chiesa trionfante.
Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d'ogni nazione, d'ogni tribù, d'ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio  (Ap 7,9-10). Il tempo è cessato e l'umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Gb 7,1) un giorno terminerà e l'umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell'Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Ap 7,11-14).
E sarà la fine, come dice l'Apostolo (1Cor 15,24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l'eterno nemico, respinto nell'abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell'uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l'impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ivi 24-28).
Molto prima di san Giovanni, Isaia aveva cantato: Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del suo vestito scendevano sotto di lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l'uno all'altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della tua gloria (Is 6,1-3).
Le frange del vestimento divino sono quaggiù gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr 1,3), perché, capo della nostra umanità, il Verbo l'ha sposata e la sposa è la sua gloria, come egli è la gloria di Dio (1Cor 11,7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Ap 19,8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell'eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Ap 19,7).

Confidenza.
Beati gli invitati alle nozze dell'Agnello! (ivi, 9). Beati noi tutti che, come titolo al banchetto dei cieli, ricevemmo nel battesimo la veste nuziale della santa carità! Prepariamoci all'ineffabile destino che ci riserba l'amore, come si prepara la nostra Madre, la Chiesa. Le fatiche di quaggiù tendono a questo e lavoro, lotte, sofferenze per Dio adornano di splendenti gioielli la veste della grazia che fa gli eletti. Beati quelli che piangono!(Mt 5,5).
Piangevano quelli che il Salmista ci presentava intenti a scavare, prima di noi, il solco della loro carriera mortale (Sal 125) e ora versano su di noi la loro gioia trionfante, proiettando un raggio di gloria sulla valle del pianto. La solennità, ormai incominciata, ci fa entrare, senza attendere che finisca la vita, nel luogo della luce ove i nostri padri hanno seguito Gesù, per mezzo della beata speranza. Davanti allo spettacolo della felicità eterna nella quale fioriscono le spine di un giorno, tutte le prove appariranno leggere. O lacrime versate sulle tombe che si aprono, la felicità dei cari scomparsi non mescolerà forse al vostro rammarico la dolcezza del cielo? Tendiamo l'orecchio ai canti di libertà che intonano coloro che, momentaneamente da noi separati, sono causa del nostro pianto. Piccoli o grandi (Ap 19,5), questa è la loro festa e presto sarà pure la nostra. In questa stagione, in cui prevalgono brine e tenebre, la natura, lasciando cadere i suoi ultimi gioielli, pare voler preparare il mondo all'esodo verso la patria che non avrà fine.
Cantiamo anche noi con il salmista: "Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: Noi andremo nella casa del Signore. O Gerusalemme, città della pace, che ti edifichi nella concordia e nell'amore, noi siamo ancora nei vestiboli, ma già vediamo i tuoi perenni sviluppi. L'ascesa delle tribù sante verso di te prosegue nella lode e i tuoi troni ancora liberi si riempiono. Tutti i tuoi beni siano per quelli che ti amano, o Gerusalemme, e nelle tue mura regnino la potenza e l'abbondanza. Io ho messo ormai in te le mie compiacenze, per gli amici e per i fratelli, che sono già tuoi abitanti e, per il Signore nostro Dio, che in te abita, in te ho posto il mio desiderio" (Sal 121).

Storia della festa.
Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel IV secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la "memoria dei martiri di tutta la terra".
In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martyres. L'anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri, Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio "al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero".
Nell'anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell'imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata il 1° novembre. La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo XV Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa. Ora, sia la vigilia sia l'Ottava sono soppresse.

MESSA

"Alle calende di novembre vi è la stessa premura che vi è a Natale, per assistere al Sacrificio in onore dei Santi", dicono vecchi documenti in relazione a questo giorno" (Lectiones ant. Brev. Rom. ad hanc diem. Hittorp. Ordo Romanus). Per quanto generale fosse la festa, anzi in ragione della sua stessa universalità, non era forse la gioia speciale per tutti e l'onore delle famiglie cristiane? Le quali santamente fiere di coloro dei quali si trasmettevano le virtù di generazione in generazione e la gloria del cielo, si vedevano così nobilitate ai loro occhi, più che da tutti gli onori terreni.

Ma la fede viva di quei tempi vedeva anche nella festa l'occasione di riparare le negligenze volontarie o forzate commesse nel corso dell'anno riguardo al culto dei beati inscritti nel calendario pubblico.

EPISTOLA (Ap 7,2-12). - In quei giorni: Io Giovanni vidi un altro Angelo che saliva da oriente ed aveva il sigillo di Dio vivo, e gridò con gran voce ai quattro Angeli, a cui era ordinato di danneggiare la terra e il mare e disse: Non danneggiate la terra, il mare e le piante, finché non abbiamo segnato nella loro fronte i servi del nostro Dio. E sentii il numero dei segnati, centoquarantaquattromila di tutte le tribù d'Israele: della tribù di Giuda dodici mila segnati; della tribù di Ruben dodici mila segnati; della tribù di Gad dodici mila segnati; della tribù di Aser dodici mila segnati; della tribù di Neftali dodici mila segnati; della tribù di Manasse dodici mila segnati; della tribù di Simeone dodici mila segnati; della tribù di Levi dodici mila segnati; della tribù di Issacar dodici mila segnati; della tribù di Zabulon dodici mila segnati; della tribù di Giuseppe dodici mila segnati; della tribù di Beniamino dodici mila segnati. Dopo queste cose vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, d'ogni tribù, d'ogni popolo e linguaggio. Essi stavano davanti al trono e dinanzi all'Agnello, in bianche vesti e con rami di palme nelle loro mani, e gridavano a gran voce e dicevano: La salute al nostro Dio che siede sul trono e all'Agnello! E tutti gli Angeli che stavano intorno al trono, ai vegliardi e ai quattro animali, si prostrarono bocconi dinanzi al trono, e adorarono Dio, dicendo: Amen! Benedizione e gloria e sapienza e ringraziamenti e onore e potenza e forza al nostro Dio, nei secoli dei secoli. Così sia.

I due censimenti.
L'Uomo-Dio alla sua venuta sulla terra fece, per mezzo di Cesare Augusto, una prima volta il censimento della terra (Lc 2,1). Era opportuno che all'inizio della redenzione fosse rilevato ufficialmente lo stato del mondo. Ora è il momento di farne un secondo, che affiderà al libro della vita i risultati delle operazioni di salvezza.
"Perché questo censimento del mondo al momento della nascita del Signore, dice san Gregorio in una delle omelie di Natale, se non per farci comprendere che nella carne appariva Colui che doveva poi registrare gli eletti nella eternità?" (Lezione vii dell'Ufficio di Natale). Molti però, a causa dei peccati, si erano sottratti al beneficio del primo censimento, che comprendeva tutti gli uomini nel riscatto di Dio Salvatore, e ne era necessario un secondo che fosse definitivo ad eliminasse dall'universalità del primo i colpevoli. Siano cancellati dal libro dei vivi; il loro posto non è con i giusti (Sal 68,29). Le parole sono del re Profeta e il santo Papa qui le ricorda.
Nonostante questo, la Chiesa, tutta gioiosa, non pensa oggi che agli eletti, come se di essi soli si trattasse nel solenne censimento in cui abbiamo veduto terminare la vita dell'umanità. Infatti essi soli contano davanti a Dio, i reprobi non sono che lo scarto di un mondo in cui solo la santità risponde alla generosità del creatore e all'offerta di un amore infinito.
Prestiamo le anime nostre all'impronta che le deve "conformare all'immagine del Figlio unico" (Rm 8,29) segnandoci come tesoro di Dio. Chi si sottrae all'impronta sacra non eviterà l'impronta della bestia (Ap 13,16) e, nel giorno in cui gli Angeli chiuderanno il conto eterno, ogni moneta, che non potrà essere portata all'attivo di Dio, se ne andrà da sé alla fornace in cui bruceranno le scorie.

VANGELO (Mt 5,1-12). - In quel tempo: Gesù avendo veduto la folla, salì sul monte e, come si fu seduto, gli si accostarono i suoi discepoli. Allora egli aprì la sua bocca per ammaestrarli, dicendo: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che piangono, perché saranno consolati. Beati i famelici e sitibondi di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati sarete voi, quando vi oltraggeranno e perseguiteranno e, falsamente, diranno di voi ogni male per cagion mia. Rallegratevi (in quel giorno) ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Le Beatitudini.
La terra è oggi così vicina al cielo che uno stesso pensiero di felicità riempie i cuori. L'Amico, lo Sposo ritorna in mezzo ai suoi e parla di felicità.Venite a me voi tutti che avete tribolazioni e sofferenze. Il versetto dell'Alleluia era con queste parole l'eco della patria e tuttavia ci ricordava l'esilio, ma tosto nel Vangelo è apparsa la grazia e la benignità del nostro Dio Salvatore (Tt 2,11; 3,4). Ascoltiamolo, perché ci insegna le vie dellabeata speranza (ivi 2,12-13), le delizie sante, che sono ad un tempo garanzia ed anticipo della perfetta felicità del cielo.
Sul Sinai, Dio teneva l'Ebreo a distanza e dava soltanto precetti e minacce di morte, ma sulla vetta di quest'altra montagna, sulla quale è assiso il Figlio di Dio, in modo ben diverso si promulga la legge dell'amore! Le otto Beatitudini all'inizio del Nuovo Testamento hanno preso il posto tenuto nell'Antico dal Decalogo inciso sulla pietra.
Esse non sopprimono i comandamenti, ma la loro giustizia sovrabbondante va oltre tutte le prescrizioni e Gesù le trae dal suo Cuore per imprimerle, meglio che sulla pietra, nel cuore del suo popolo. Sono il ritratto perfetto del Figlio dell'uomo e riassunto della sua vita redentrice. Guardate dunque e agite secondo il modello che si rivela a voi sulla montagna (Es 25,40; Ebr 8,5 ).
La povertà fu il primo contrassegno del Dio di Betlemme e chi mai apparve più dolce del figlio di Maria? chi pianse per causa più nobile, se egli già nella greppia espiava le nostre colpe e pacificava il Padre? Gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i pacifici dove troveranno fuori di lui il modello insuperato, mai raggiunto e sempre imitabile? E la sua morte lo fa condottiero dei perseguitati per la giustizia! Suprema beatitudine questa della quale più che di tutte le altre, la Sapienza incarnata si compiace e vi ritorna sopra e la precisa e oggi con essa termina, come in un canto d'estasi.
La Chiesa non ebbe mai altro ideale. Sulla scia dello Sposo, la sua storia nelle varie epoche fu eco prolungata delle Beatitudini. Cerchiamo di comprendere anche noi e, per la felicità della nostra vita in terra, in attesa dell'eterna, seguiamo il Signore e la Chiesa.
Le Beatitudini evangeliche sollevano l'uomo oltre i tormenti, oltre la morte, che non scuote la pace dei giusti, anzi la perfeziona.

Discorso di san Beda [1].
"In cielo non vi sarà mai discordia, ma vi sarà accordo in tutto e conformità piena, perché la concordia tra i Santi non avrà variazioni; in cielo tutto è pace e gioia, tutto è tranquillità e riposo e vi è una luce perpetua assai diversa dalla luce di quaggiù, tanto più splendida quanto più bella. Leggiamo nella Scrittura che la città celeste non ha bisogno della luce del sole, perché 'il Signore onnipotente la illuminerà e l'Agnello ne è la fiaccola' (Ap 21,23). 'I Santi brilleranno come stelle nell'eternità, e quelli che istruiscono le moltitudini saranno come lo splendore del firmamento' (Dn 12,3). Là, non notte, non tenebre, né ammassi di nubi; non rigore di freddo, né eccessivo calore, ma uno stato di cose così bene equilibrato che 'occhio non vide e orecchio non udì e il cuore dell'uomo nulla mai comprese' (1Cor 2,9) di simile. Lo conoscono quelli che sono trovati degni di goderne e 'i nomi dei quali sono scritti nel libro della vita' (Fil 4,3) che 'hanno lavato il loro vestito nel sangue dell'Agnello e stanno davanti al trono di Dio, servendolo notte e giorno' (Ap 7,14). 'Là non c'è vecchiaia, né debolezze della vecchiaia, perché tutti sono giunti allo stato dell'uomo perfetto, nella misura dell'età del Cristo' (Ef 4,13).
Ma quello che tutto sorpassa è l'essere associati ai cori degli Angeli, dei Troni e delle Dominazioni, dei Principati e delle Potenze; il godere della compagnia di tutte le Virtù della corte celeste; il contemplare i diversi ordini dei Santi, più splendenti che gli astri; il considerare i Patriarchi illuminati dalla loro fede, i Profeti radiosi di speranza e di gioia, gli Apostoli preparati a giudicare le tribù di Israele e tutto l'universo; i Martiri, cinti del diadema splendente della porpora della vittoria e infine le Vergini con la fronte coronata di candidi fiori" (18 Discorso sui Santi).

Incoraggiamento alla pratica delle virtù.
La Chiesa dopo averci mostrato la bellezza e la gioia del cielo, dopo la seducente esposizione sulla eternità, avrebbe potuto presentarci la questione che san Benedetto pose al postulante, che bussava alla porta del monastero: Vuoi la vita? vuoi vedere giorni felici? (Prologo alla Regola). Avremmo anche noi prontamente risposto: sì. E pare che davvero la questione ce l'abbia silenziosamente posta e che abbia udito il nostro , perché prosegue adesso esponendoci le condizioni, necessarie per entrare nel regno dei cieli.
"La speranza di giungere alla ricompensa della salvezza ci alletti, ci attiri, lottiamo volentieri e con tutto l'impegno nello stadio della santità; mentre Dio e Cristo ci guardano. Dato che già abbiamo cominciato ad elevarci sopra il mondo ed il secolo, stiamo attenti, perché nessun desiderio terreno ci attardi. Se l'ultimo giorno ci trova svincolati da ogni cosa, se ci trova in agile corsa nel cammino delle buone opere, il Signore non potrà fare a meno di ricompensare i nostri meriti.
Colui che dà, come prezzo della sofferenza, a quelli che hanno saputo vincere nella persecuzione, una corona imporporata, darà pure, come prezzo delle opere di santità, una corona bianca a coloro che avranno saputo vincere nella pace. Abramo, Isacco, Giacobbe non furono messi a morte, ma sono stati tuttavia ritenuti degni dei primi posti fra i Patriarchi, perché tale onore meritarono con la fede e le opere di giustizia, e coloro che saranno trovati fedeli, giusti e degni di lode siederanno al banchetto con questi grandi giusti. Bisogna ricordare però che dobbiamo compiere la volontà di Dio e non la nostra, perché 'chi fa la volontà di Dio vive eternamente' (Gv 2,17) come vive eternamente Dio stesso.
Bisogna dunque che con spirito puro, fede ferma, virtù robusta, carità perfetta, siamo preparati a compiere tutta la volontà di Dio, osservando con coraggiosa fedeltà i comandamenti del Signore, l'innocenza nella semplicità, l'unione nella carità, la modestia nell'umiltà, l'esattezza nell'impiego, la diligenza nell'assistenza degli afflitti, la misericordia nel sollevare i poveri, la costanza nella difesa della verità, la discrezione nella severità della disciplina e infine bisogna che non lasciamo di seguire o dare l'esempio delle buone opere. Ecco la traccia che tutti i Santi, tornando alla patria, ci hanno lasciata, perché, camminando sulle loro orme, possiamo giungere alle gioie che essi hanno raggiunto" (Beda, 18 Discorso sui Santi).

È utile lodare i Santi.
Una esortazione per i suoi figli la Chiesa la chiede a san Bernardo, e ci parla con la sua voce.
"Dato che celebriamo con una festa solenne il ricordo di tutti i Santi, diceva ai suoi monaci l'abate di Chiaravalle, credo utile parlarvi della loro felicità comune nella quale gioiscono di un beato riposo e della futura consumazione che attendono. Certo, bisogna imitare la condotta di quelli che con religioso culto onoriamo; correre con tutto lo slancio del nostro ardore verso la felicità di quelli che proclamiamo beati, bisogna implorare il soccorso di quelli dei quali sentiamo volentieri l'elogio.
A che serve ai Santi la nostra lode? A che serve il nostro tributo di glorificazione? A che serve questa stessa solennità? Quale utile portano gli onori terrestri a coloro che il Padre celeste stesso, adempiendo la promessa del Figlio, onora? Che cosa fruttano loro i nostri omaggi? Essi non hanno alcun desiderio di tutto questo. I santi non hanno bisogno delle nostre cose e la nostra divozione non reca loro alcun vantaggio: ciò è cosa assolutamente vera.
Non si tratta di loro vantaggio, ma nostro, se noi veneriamo la loro memoria. Volete sapere come abbiamo vantaggio? Per conto mio, confesso che, ricordando loro, mi sento infiammato di un desiderio ardente, di un triplice desiderio.
Si dice comunemente: occhio non vede, cuore non duole. La mia memoria è il mio occhio spirituale e pensare ai Santi è un po' vederli, e, ciò facendo, abbiamo già 'una parte di noi stessi nella terra dei viventi' (Sal 141,6), una parte considerevole, se la nostra affezione accompagna, come deve accompagnarlo, il nostro ricordo. È in questo modo, io dico, che 'la nostra vita è nei cieli' (Fil 3,20). Tuttavia la nostra vita non è in cielo, come vi è la loro, perché essi vi sono in persona e noi solo con il desiderio; essi vi sono con la loro presenza e noi solo con il nostro pensiero".

Desiderare l'aiuto dei Santi.
"Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l'aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione.
Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere compassione.
Io spero inoltre che gli angeli stessi non disdegneranno di visitare la loro specie, perché è scritto: 'visitando la tua specie non peccherai' (Gb 5,24). Del resto, se io conto su di essi perché noi abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l'umanità e che sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle loro ossa e la carne della loro carne".

Confidenza nella loro intercessione.
"Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell'ultima festa, nella quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l'uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la sua discendenza. Così sia" (Discorso sui Santi, passim).

Imitare coloro che si lodano.
Troviamo in san Giovanni Crisostomo la dottrina già esposta: è cosa buona lodare i Santi, ma alla lode bisogna unire l'imitazione delle loro virtù.
"Chi ammira con religioso amore i meriti dei Santi e celebra con lodi ripetute la gloria dei giusti è tenuto ad imitare la loro vita virtuosa e la loro santità. È necessario infatti che chi esalta con gioia i meriti di qualche santo abbia a cuore di essere come lui fedelmente impegnato nel servizio di Dio. O si loda e si imita, o ci si astiene anche dal lodare. Sicché, dando lode ad un altro, ci si rende degni di lode e, ammirando i meriti dei Santi, si diventa ammirabili per una vita santa. Se amiamo le anime giuste e fedeli, perché apprezziamo la loro giustizia e la loro fede, possiamo anche essere quello che sono, facendo quello che fanno".

I modelli.
"Non ci è difficile imitare le loro azioni, se consideriamo che i primi Santi non ebbero esemplari innanzi a sé e quindi non imitarono altri, ma si fecero modello di virtù degno di essere imitato, affinché, con il profitto che noi ricaviamo imitando loro e con quello che il prossimo ricaverà, imitando noi, Gesù Cristo nella sua Chiesa sia glorificato perpetuamente dai suoi servi.
Così avvenne fin dai primi tempi del mondo. Abele, l'innocente, fu ucciso, Enoc fu rapito in cielo, perché ebbe la fortuna di piacere a Dio, Noè fu trovato giusto, Abramo fu approvato da Dio, perché riconosciuto fedele, Mosè si distinse per la mansuetudine, Giosuè per la castità, Davide per la dolcezza, Elia fu gradito al Signore, Daniele fu pio e i suoi tre compagni furono vittoriosi, gli Apostoli, discepoli di Cristo, furono designati maestri dei credenti e i Confessori, da loro istruiti combatterono da forti, mentre i martiri, consumati nella perfezione, trionfano e legioni di cristiani, armati da Dio, continuamente respingono il demonio. Per ciascuno di essi la lotta è diversa, ma le virtù sono simili e le vittorie di tutti restano gloriose".

Necessità del combattimento.
"Tu, o cristiano, sei soldato ben meschino, se credi di vincere senza combattere e di raggiungere il trionfo senza sforzo! Spiega le tue forze, lotta con coraggio, combatti, senza debolezze, nella mischia. Mantieni il patto, rimetti sulle condizioni, renditi conto di che cosa sia l'essere soldato, il patto che hai concluso, le condizioni che hai accettate, la milizia nella quale ti sei arruolato" (Giovanni Crisostomo, Discorso sulla imitazione dei Martiri).

La nostra risurrezione.
Ci giova oggi ricordare la dottrina sulla risurrezione dei morti, che san Paolo esponeva un giorno ai fedeli di Corinto, sulla grandiosa cerimonia liturgica che la seguirà, e sulla visione beatifica, che avremo in premio nell'eternità.
Noi risusciteremo, perché Cristo è risuscitato. Questa dottrina riassume in certo modo tutto il cristianesimo. Il battesimo è inserzione di ciascuno di noi in Cristo e dal momento che noi siamo entrati nell'unità della sua vita e formiamo con lui un solo corpo mistico e reale insieme, l'interesse è comune, la condizione nostra è legata alla sua, quello che è avvenuto in lui deve avvenire in noi: la morte, il seppellimento, la risurrezione, l'ascensione, la vita eterna in Dio. Le membra avranno la sorte del capo e potremmo dire, propriamente parlando, di essere già risuscitati in Gesù Cristo, perché la sua Risurrezione è causa, motivo, esempio, sicura garanzia della nostra.
Cristo non è risuscitato per sé solo, per conto suo, ma per noi tutti. Nella legge antica erano offerte a Dio le spighe mature, in nome di tutta la messe. Il Signore, se è un essere individuale, è pure il secondo Adamo, essere vivente, che comprende in sé la moltitudine di quelli che da lui son nati e perciò, se egli è risuscitato, tutti sono risuscitati, ma ciascuno a suo tempo; Cristo per primo, poi tutti quelli che sono di Cristo risusciteranno alla sua venuta. Dopo sarà la fine.

L'inizio della vita eterna.
"Sarà la fine. La fine del periodo laborioso nel corso del quale il Signore raccoglie il numero dei suoi eletti, stabilisce il suo regno e annienta i suoi nemici. Si potrebbe dire altrettanto bene inizio della vita nuova, compimento del disegno di Dio con il ritorno a lui di tutto quanto avrà acconsentito ad appartenere a Cristo Nostro Signore Gesù Cristo, dopo aver trionfato di tutte le potenze nemiche, debellata ogni autorità e scardinato ogni potere ostile al suo, porterà a Dio, suo Padre, tutte le nature umane delle quali è re e, avendo qual Figlio operato solo per il Padre, gli riconsegnerà il comando su tutta la sua conquista. Sì, noi lo sappiamo, tutto si piegherà davanti a Dio in cielo, sulla terra, e nell'inferno; tutto sarà sottomesso, fuorché Colui, che ha sottomesso a sé tutte le cose.
L'eternità comincerà con una cerimonia liturgica di infinita grandezza. Il Verbo Incarnato, nostro Signore Gesù Cristo, il re predestinato, circondato dagli Angeli, dagli uomini nati per la sua grazia e viventi la sua vita, si metterà alla testa della falange che il Padre gli ha dato e la guiderà e condurrà verso il santuario eterno. Si presenterà con essi davanti al Padre e presenterà e offrirà a lui la messe immensa degli eletti germogliati dal suo sangue e si sottometterà con essi alla paterna dominazione di Colui, che tutto gli donò e sottomise, rimettendogli lo scettro e la regalità della creazione da lui conquistata, che con lui entrerà nel seno della Trinità. La famiglia di Dio sarà allora completa e Dio sarà tutto in tutti".

Dio è tutto in tutti.
"Dio tutto in tutti: l'espressione ha per il nostro pensiero qualcosa di prodigioso e di meraviglioso... Oggi Dio non è tutto in me e io non sono in relazione diretta con lui, ma sempre tra noi sta l'importuna creazione e io arrivo a Dio a prezzo di un lento e penoso cammino sempre avvolto nella oscurità. Il mio pensiero non vede Dio e la fede stessa me lo vela: non sono un essere intelligente, e non lo sarò che quando Dio si offrirà come oggetto alla mia intelligenza finalmente desta, il giorno in cui Dio, per mostrarsi a me, si unirà alla mia intelligenza, perché io possa conoscerlo. Come dire questo? Dio sarà allora alla radice stessa del mio pensiero, perché io lo veda, alla radice della mia volontà, perché io lo possieda, alla radice e al centro del mio cuore, perché io l'ami. Egli allora sarà la bellezza che amo e sarà in me il cuore che ama la bellezza, sarà il termine e l'oggetto dei miei atti e in me ne sarà il principio.
Questa gloriosa appartenenza della mia anima a Dio si prepara sulla terra con l'unione a Cristo. Nell'eternità entreremo totalmente nella vita di Dio, se quaggiù saremo interamente conformati a Cristo. Questa è l'idea fondamentale del cristianesimo: essere con Cristo nel tempo, per essere con Dio nell'eternità (Dom Delatte, Epistole di san Paolo, I, 379-383)".

PREGHIAMO
O Dio onnipotente ed eterno, che ci hai concesso di venerare con una sola solennità i meriti di tutti i tuoi Santi; ti preghiamo di accordarci, in vista di tanta moltitudine di intercessori, l'abbondanza della tua misericordia.


[1] Il discorso, attribuito a san Beda, pare piuttosto di Walfrido Strabone, o più probabilmente ancora di Helischar di Treviri. Riv. Ben. 1891, p. 278

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1222-1234