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martedì 3 gennaio 2017

Qual'è la cosa più cara agli occhi di Dio?


15.VIII.1937.
Durante la meditazione la presenza di Dio è penetrata vivamente in me ed ho conosciuto la gioia della SS.ma Vergine al momento della Sua Assunzione in cielo... Durante la cerimonia che si è svolta in onore della Madre di Dio, verso la fine della stessa, ho visto la Vergine SS.ma, che mi ha detto: «Oh, quanto Mi è gradito l'omaggio del Vostro amore!». E in quello stesso momento ha coperto col Suo manto tutte le suore della nostra Congregazione. Con la mano destra ha stretto a Sé la Madre Generale Michaela e con la sinistra me, e tutte le suore erano ai Suoi piedi coperte dal Suo manto. Poi la Madre di Dio ha detto: «Ognuna di voi che persevererà nello zelo fino alla morte nella Mia Congregazione, eviterà il fuoco del purgatorio, e desidero che ciascuna si distingua per queste virtù: umiltà e mitezza, purezza e amor di Dio e del prossimo, compassione e Misericordia» . Dopo queste parole è scomparsa tutta la Congregazione, sono rimasta sola con la Madonna, la quale mi ha istruita circa la volontà di Dio, come applicarla nella vita, sottomettendomi totalmente ai Suoi santissimi decreti. È impossibile piacere a Dio non facendo la Sua santa volontà. «Figlia Mia, ti raccomando Vivamente di compiere fedelmente tutti i desideri di Dio, poiché questa è la cosa cara ai Suoi occhi. Desidero ardentemente che tu ti distingua in questo, cioè in questa fedeltà, nell'adempiere la volontà di Dio. La volontà di Dio anteponila a tutti i sacrifici ed olocausti». Mentre la Madre Celeste parlava con me, è entrata nella mia anima una profonda comprensione della volontà di Dio. O mio Gesù, delizia del mio cuore, quando la mia anima è imbevuta della Tua divinità, accetto con identico equilibrio la dolcezza e l'amarezza. L'una e l'altra cosa passeranno, una sola cosa conserverò nell'anima, l'amor di Dio; questo m'impegno a conquistarlo, per tutto il resto mi preoccupo relativamente.

martedì 27 maggio 2014

439- Aurea impara a fare la volontà di Dio: «Allora… benedicimi e sia fatta la volontà del Signore… >>


439. 
Maria Ss. riferisce sulla missione compiuta a Tiberiade. 

È molto stanca la Vergine quando rimette piede nella sua casetta. Ma è molto felice. E cerca subito del suo 
Gesù che ancora lavora, alle ultime luci del giorno che muore, intorno alla porta del forno che sta rimettendo 
a posto. Le ha aperto Simone il quale, dopo il saluto, si ritira prudente nello stanzone-laboratorio. Tommaso 
non lo vedo. Forse è fuori casa. 
Gesù posa i suoi attrezzi, appena vede la Madre, e va a Lei pulendosi le mani unte (sta rendendo scorrevoli i 
gangheri e i chiavistelli con dell’olio) nel suo grembiule da lavoro. Il loro reciproco sorriso pare far luminoso 
l’orto in cui decresce la luce. 
«La pace a te, Mamma ». 
«La pace a Te, Figlio ». 
«Come sei stanca! Non hai riposato… ». 
«Da un alba a un tramonto in casa di Giuseppe. Ma senza questi grandi calori sarei ripartita subito per venirti 
a dire che Aurea è tua ». 
«Sì?! ». il viso di Gesù si ringiovanisce persino nella sorpresa gioiosa. Sembra un volto poco più che 
ventenne, e nella gioia, perdendo quella gravità che generalmente è sul suo volto e nei suoi atti, viene ad 
assomigliare ancor più alla madre, sempre così serenamente fanciulla nelle movenze e nell’aspetto. 
«Sì, Gesù. E senza alcuna fatica ho ottenuto questo. La dama aderì subito. Si è commossa riconoscendo che lei, e con lei le sue amiche, sono troppo corrotte per educare una creatura a Dio. Un riconoscimento così umile, così schietto, vero! Non è facile trovare chi, senza esserne forzato, riconosca di essere difettoso ». 
«Sì, non è facile. Molti in Israele non lo sanno fare. Sono delle anime sepolte sotto una crosta di lordura. Ma 
quando la lordura cadrà… ». 
«Avverrà, Figlio? ». 
«Ne sono sicuro. Tendono istintivamente al Bene. Finiranno con l’aderirvi. Che ti ha detto? ». 
«Oh! poche parole… Ci siamo subito intese. Ma sarà bene avere subito Aurea. Le voglio dire io questa cosa, se Tu vuoi, però, Figlio mio ». 
«Sì, Mamma. Manderemo Simone », e chiama forte lo Zelote che viene subito. 
«Simone, và da Simone d’Alfeo e dì che mia Madre è tornata, poi vieni con la fanciulla e con Toma, che 
certo è là per finire quel lavoretto di cui lo ha pregato Salome ». 
Simone si inchina e va subito. 
«Racconta, Mamma… Il tuo viaggio… il tuo colloquio… Povera Mamma, come sei stanca per causa mia! ». 
«Oh! no, Gesù! Nessuna stanchezza quando Tu sei felice… », e Maria racconta il suo viaggio e le paure di 
Maria d’Alfeo, la sosta in casa del barcaiolo, l’incontro con Valeria, terminando: «Ho preferito vederla a 
quell’ora, posto che il Cielo lo permetteva. Più libera lei, più libera io, e Maria Cleofe consolata più presto, 
perché di essere due donne sole per Tiberiade aveva un terrore che soltanto l’amore per Te, il pensiero di 
servirti, poteva vincere… », e Maria sorride ricordando le ansie della cognata… 


E sorride Gesù dicendo: «Poveretta! È la vera donna d’Israele, l’antica donna, riservata, tutta casa, la donna 

forte secondo i Proverbi. (La donna, lodata in Proverbi 31, 10-31, è “forte” nella traduzione letterale della 
volgata, “perfetta” in quella della neo-volgata). Ma nella nuova Religione la donna non sarà soltanto forte 
nella casa… Molte saranno quelle che supereranno Giuditta e Giaele, essendo eroiche in sé, con eroismo da 
madri di Maccabei… E lo sarà anche Maria nostra. Ma per ora… è ancora così… Hai visto Giovanna? ». 
Maria non sorride più. Forse teme un’altra domanda su Giuda. E risponde svelta: «Non ho voluto imporre 
nuove ansie a Maria. Ci siamo chiuse in casa fino a metà fra nona e sera, riposando, e poi siamo partite… Ho pensato che presto la vedremo, sul lago… ». 
«Hai fatto bene. Mi hai dato la prova del sentimento delle romane verso di Me. Se Giovanna fosse 
intervenuta si sarebbe potuto pensare che cedevano all’amica. Ora attenderemo sino a sabato e, se Mirta non viene, andremo noi con Aurea ». 
«Figlio, io vorrei rimanere… ». 
«Sei stanca molto, lo vedo ». 
«No, non per questo… Penso che Giuda potrebbe venire qui… Come è bene che a Cafarnao sia sempre chi lo attende per accoglierlo da amico, anche qui è bene che ci sia chi lo accoglie con amore ». 
«Grazie, Mamma. Tu sola capisci cosa ancora lo può salvare… ». 
Sospirano tutti e due sul discepolo che dà dolore… 


Rientrano Simone e Tommaso con Aurea, che corre verso Maria. Gesù la lascia con la Madre, andando in 

casa con gli apostoli. 
«Tu hai molto pregato, figlia, e il buon Dio ti ha ascoltata… », inizia Maria. 
Ma la fanciulla la interrompe con un grido di gioia: «Resto con te! », e le getta le braccia al collo baciandola. 
Maria ricambia il bacio e, sempre tenendola fra le braccia, dice: «Quando uno fa un grande favore bisogna 
ricambiare, non è vero? ». 
«Oh! sì! E io ricambierò con tanto amore ». 
«Sì, figlia. Ma sopra di me è Dio. È Lui che ti ha fatto questo grande favore, questa grazia senza misura di 
accoglierti fra i membri del suo popolo, di farti discepola del Maestro Salvatore. Io non sono stata che lo 
strumento della grazia, ma la grazia Egli, l’Altissimo, te l’ha concessa. Che darai dunque all’Altissimo per 
dirgli che lo ringrazi? ». 
«Ma… non so… Dimmelo tu, o Madre… ». 
«Amore, questo è certo. Ma l’amore, per essere veramente tale, deve essere unito al sacrificio, perché se una cosa costa ha più valore, non è vero? ». 
«Sì, Madre ». 
«Ecco, allora io direi che tu, con la stessa gioia con cui hai gridato: “Resto con te!”, dovresti gridare: “Sì o 
Signore” quando io, povera serva, ti dirò la volontà del Signore su te ». 
«Dimmela, Madre », dice Aurea facendosi però seria in volto. 
«La volontà di Dio ti affida a due buone madri, a Noemi e a Mirta… ». 
La fanciulla ha grossi lacrimosi che lucono negli occhi chiari, ed essi rotolano poi sul visetto rosato. 
«Sono buone. Sono care a Gesù e a me. Ad una Gesù ha salvato il figlio, (Vedi Vol 4 Cap 248), all’altra io 
glielo ho allattato. (Vedi Vol 6 Cap 365). E che siano buone, lo hai visto… ». 
«Sì… ma io speravo stare con te… ». 
«Figlia, non tutto si può avere! Vedi che io pure non sto col mio Gesù. Ve lo dono, e sto lontana, tanto 
lontana da Lui, mentre Egli va girando per la Palestina a predicare, guarire e salvare le fanciulle… ». 
«È vero… ». 
«Se io lo volessi per me sola, tu non saresti stata salvata… Se io lo volessi per me sola, le vostre anime non 
verrebbero salvate. Pensa quanto è grande il mio sacrificio. Vi do un Figlio perché sia immolato per le vostre anime. Del resto, io e te saremo sempre unite, perché le discepole stanno e staranno sempre unite intorno a Cristo, formando una grande famiglia unita dall’amore per Lui ». 
«È vero. E poi… verrò ancora qui, non è vero? E ci vedremo ancora? ». 
«Certamente. Finché Dio lo vorrà ». 
«E tu pregherai sempre per me… ». 
«E io pregherò sempre per te ». 
«E quando saremo insieme mi istruirai ancora? ». 
«Si, figlia… ». 
«Ah! io volevo divenire come te! Lo potrò mai? Sapere, per essere buona… ». 
«Noemi è madre di un sinagogo e discepolo del Signore. Mirta di un figlio che ha meritato la grazia del 
miracolo ed è discepolo buono. E le due donne sono buone e sapienti, oltre che tanto piene d’amore ». 
«Me lo assicuri? ». 
«Sì, figlia ». 
«Allora… benedicimi e sia fatta la volontà del Signore… come dice l’orazione di Gesù. L’ho tanto detta… È giusto che ora faccia ciò che ho detto, per ottenere di non andare più dai romani… ». 
«Sei una buona fanciulla. E Dio sempre più ti aiuterà. Vieni, andiamo a dire a Gesù che la più giovane 
discepola sa fare la volontà di Dio… », e tenendola per mano Maria rientra con la fanciulla nella casa. 

AVE MARIA!

domenica 20 ottobre 2013

Pioggia di rose sul mondo.


IL ROSARIO DI MARIA SS.


8 maggio 1947.

Dice Maria Ss. di Fatima apparendomi come Ella mi appare...:

«Ti ho dato il 5 la vista intellettiva di ciò che è un Rosario ben det­to: pioggia di rose sul mondo. 

Ad ogni Ave che un'anima amante dice con amore e con fede io lascio cadere una grazia. Dove? Da per tutto: sui giusti a farli più giusti, sui peccatori per ravvederli. Quan­te! Quante grazie piovono per le Ave del Rosario!

  

Rose bianche, rosse, oro. 
Rose bianche dei misteri gaudiosi, rosse dei dolorosi, d'oro dei gloriosi. 
Tutte rose potenti di grazie per i meriti del mio Gesù. Perché sono i suoi meriti infiniti che danno valore a ogni orazione. Tutto è e avviene, di ciò che è buono e santo, per Lui. Io spargo, ma Egli avvalora. Oh! Benedetto mio Bambino e Si­gnore!


Vi do le rose candide dei meriti grandissimi della perfetta, perché divina, e perfetta perché volontariamente voluta conservare tale dall'Uomo, Innocenza di mio Figlio. 

Vi do le rose porpuree degli infiniti meriti della Sofferenza di mio Figlio, così volonterosamente consumata per voi.


Vi do le rose d'oro della sua perfettissima Cari­

Tutto di Mio Figlio vi do, e tutto di Mio Figlio vi santifica e salva. Oh! io sono nulla, io scompaio nel Suo fulgore, io compio solo il ge­sto di dare, ma Egli, Egli solo è l'inesauribile fonte di tutte le gra­zie!

E voi, mie dilette anime, ascoltate questa Mia parola: Fate con spirito ilare la Volontà del Signore. 


Fare la Sua Ss. Volontà con tri­stezza è dimezzare il grande merito del farla. La rassegnazione è già cosa che Dio premia. Ma la gioia del fare la Volontà di Dio centuplica il merito, e perciò il premio, del fare questa divina Volontà, sem­pre, sempre, sempre giusta, anche se forse all'uomo non pare tale. Fate dunque con spirito ilare ciò che Dio vuole. E sarete a Lui gradite e a me, Madre vostra, dilettissime. State in pace sotto lo sguardo mio che non vi abbandona.»
 (Fonte: Maria Valtorta, I Quaderni del 45-50,  8 maggio 1947, ed. CEV)


domenica 13 ottobre 2013

"Vita meravigliosa di san Gerardo Maiella"

  1. La vita di San Gerardo




Gerardo Maiella, Missionario Redentorista, è invocato in tutto il mondo come il Santo delle mamme e dei bambini. Spentosi a Materdomini il 16 ottobre del 1755 alla giovane età di 29 anni, la sua breve esistenza sarà nota come la "Vita meravigliosa di san Gerardo Maiella"

Al pari di qualsiasi altro personaggio, san Gerardo Maiella bisogna prenderlo così com'è: una copia del Cristo sofferente, un fanatico della volontà di Dio, un carismatico cacciatore di anime, un mistico spesso in estasi, un semina­tore di miracoli. Nascondere i suoi miracoli sarebbe come rifiutare la storia e scrivere un romanzo.

Sarebbe come negare, in Gerardo, la virtù che fu poi la fonte di tutte le altre: "una fede capace di trasportare le monta­gne", secondo la promessa del Signore (Mt 17,20). Certo l'entusiasmo che un taumaturgo lascia dietro di sé si ingrossa e si allarga sempre di più. Come in ogni altro Santo, è evidente che la luce irradiata da Gerardo non è autonoma: egli è solo luce riflessa del Cristo.

La sua vita non ci parla d'altro che della forza del Redentore, il quale, con il dono dello Spirito, ci libera, ci guarisce, ci rinnova; il suo insegnamento è eco fedele del Vangelo; gli orizzonti, verso i quali ci proietta, sono quelli aperti dalla croce e dalla risurrezione del Cristo. Riferirsi a Gerardo significa voler fissare lo sguardo, in maniera sempre più intensa, su Cristo; riconoscere in lui il solo nostro maestro (cf Mt 23,10); ripetergli con Pietro: «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).

Scrive Giovanni Paolo II: «Non si tratta di inventare un "nuovo programma". Il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace».

L'infanzia e l'adolescenza


Il «fratello inutile» era nato il 6 aprile 1726 a Muro Lucano (PZ), da Domenico Maiella e Benedetta Galella al battesimo lo chiamarono Gerardo. Ebbe un'infanzia difficile.


La povertà era l'unica cosa che non mancava mai nella sua casa, e quando mancava il necessario egli andava a rifugiarsi nella cappella della Vergine a Capodigiano.


«Il Figlio di quella bella Signora» pensava a Gerardo, e spesso si staccava dalle ginocchia della Mamma per donare al piccolo ami­co un panino bianco. Il fatto del pane bianco si ripeté più volte, «per molto tempo». Solo più tardi, da religioso, Gerardo dirà a sua sorella Brigida: «Ora so che quel fanciullo che mi regalava quel pane era lo stesso Gesù».


L'incontro con Gesù presente nell'Eucaristia

Il dono del pane bianco lo aveva indotto a scoprire un altro pane, anch esso bianco, benché più piccolo. Lo scorgeva in chiesa, alla messa, quando i fedeli si accostavano alla balaustra.
Qui aveva capito anzitempo che si trattava di Gesù. Andò anch egli una mattina, ma il prete lo vide piccolo e lo rimandò a sedere. A otto anni, in quel tempo, si era piccoli per l eucarestia, ma Gerardo s era incamminato da tempo verso la conoscenza del suo Signore.
Le lacrime versate in chiesa continuarono a bagnare il lettino scarno della sua povera stanzetta. Il prete aveva detto no, ma Gesù avrebbe risposto sì al suo piccolo amico.

Di notte gli inviò l arcangelo Michele a porgergli il pane consacrato. Al mattino seguente, felice e trionfante, confessava candidamente: «Ieri il prete mi ha rifiutato la comunione, questa notte l arcangelo san Michele me l ha portata». Anche questo episodio, apparentemente fantastico, verrà confermato dallo stesso Gerardo vent anni dopo.


L'esperienza del lavoro

Il murese monsignor Albini cercava un domestico. Ne aveva avuti tanti, ma nessuno aveva resistito. Il carattere del prelato scoraggiava chiunque. Al contrario entusiasmò Gerardo. Forse non sapeva cosa l'aspettava, ma egli cercava l'imitazione del Crocifisso, e per lui, sacrifici e rimproveri erano grazia. All'episcopio di Lacedonia ne trovò in abbondanza.
Alle occasioni che gli offre monsignore aggiunge digiuni, flagellazioni, notti di preghiera: pallido e vacillante, ma sempre sereno e sorridente. Anche quando per una malaugurata distrazione si lascia sfuggire di mano la chiave dell'appartamento, mentre attinge acqua dal pozzo. «Cosa dirà monsignore?».

Imperturbato nella sua serenità, sfreccia verso la cattedrale, stacca da una nicchia una statuetta di Gesù bambino e la lega al posto del secchio. Poi ordina: «Va' giù, e riportami la chiave!». Gesù obbedisce a Gerardo, e torna con la chiave in mano. Per i presenti, accorsi ammirati, quello sarà «il pozzo di Gerardiello».

Presso monsignor Albini impiegò tre anni di assiduo servizio, felice di essere impegnato e vilipeso per il carattere poco dolce del suo pastore.

Alla sua morte lo pianse sinceramente, forse lui soltanto, per «aver perduto il miglior amico». Ciò che effettivamente aveva perduto era l'occasione quotidiana di essere maltrattato e maltrattarsi. Tornato a Muro e fallito il progetto di farsi cappuccino, tentò con un amico l'esperienza del romitaggio. La solitudine e l'indigenza fecero ritirare il compagno sprovveduto, e Gerardo, rimasto solo, fu costretto anche lui al ritiro.


Di nuovo sarto

Si ricordò di essere stato sarto. Aprì bottega da solo. Non era bravo nel mestiere, e il desiderio della preghiera era più forte di quello del lavoro. Divenne noto come «il sarto fate voi», per la sua ridotta capacità e per il suo scarsissimo profitto.
Alla sua poca abilità però sopperiva con i prodigi: buono a nulla forse, ma santo. Perché le ore le trascorreva più in chiesa che in bottega. Doveva farsi violenza per strapparsi dal suo Gesù, «prigioniero» del tabernacolo. Quando non poteva passare con lui le ore del giorno, approfittava della notte, sacrificando il sonno per conversare con il suo Amico. Una volta dal tabernacolo uscì una voce misteriosa di dolce rimprovero: «Pazzerello!». E Gerardo spontaneo: «Più pazzo siete voi, Signore, che per amore ve ne state prigioniero nel tabernacolo».
Pazzia d'amore che si manifestò in altra circostanza. La terza domenica di maggio, a Muro, si preparava la solenne processione della statua dell'Immacolata. Gli occhi della gente erano puntati sulla dolce immagine. Anche quelli di Gerardo, immobile ed estatico. Improvvisamente, egli saltò sulla pedana del trono, si tolse l'anello che aveva al dito e lo infilò al dito della Vergine, esclamando ad alta voce: «Mi sono fidanzato alla Madonna!».

Per attuare il suo progetto di santità l'ambiente di Muro non gli bastava.


Gerardo conosce i Missionari Redentoristi


Ai primi di agosto 1748 due religiosi reden­toristi - abito talare ornato di una lunga corona alla cintura e collarino bianco - attraversata la Sella di Conza, salirono a Castel­grande e si diressero verso Muro Lucano. Ai loro occhi apparve una bianca cascata di case picchiettate di verde: qualcosa di fiabesco.

Dopo una pausa breve di ingenuo stupore, padre Francesco Garzilli e fratel Onofrio Ricca cominciarono a bussare alle porte questuando offerte per il santuario di Materdomini, a Caposele. Era in costruzione una nuova casa della Congregazione del Santissimo Redentore.

I Redentoristi erano stati ideati da Alfonso Maria de Liguori nel 1732 a Scala, sull altopiano di Amalfi. Lassù, a oltre 1000 metri, questo no­bile napoletano, già avvocato a sedici anni, poi sacerdote e missionario, nella solitudine di una chiesetta montana, Santa Maria dei Monti, ripensò alla sua città, teatro di sfarzi e di cultura, e sperimentò l abbandono dei pastori in terre povere e desolate. L impatto fra due realtà tanto stridenti fu l ultima spinta alla sua «conversione». La Congregazione nascente avrebbe dovuto avere come scopo la cura delle anime più abbandonate, prive di qualsiasi soccorso spirituale. Furono costruiti così i collegi di Ciorani, Pagani, Deliceto. Ora si pensava a Ca­po­sele. L arcivescovo di Conza, monsignor Giuseppe Nicolai, aveva offerto ad Alfonso il romitorio e la chiesetta di Materdomini per farne un centro di spiritualità nella diocesi.

Continuando il loro giro, i due ambasciatori di Alfonso de Liguori e della Vergine Materdomini, inconsapevoli apportatori di un messaggio divino, si imbatterono in un giovane alto e gracile, dalla testa grossa e dagli occhi profondi, che agucchiava nella sua botteguccia di sarto. Quel giovane, contro qualsiasi previsione umana, un giorno sarebbe stato redentorista.
Il 13 aprile 1749 alcuni Missionari Redentoristi intrapresero nella cittadina lucana una sacra missione. Scoccò l ora della chiamata definitiva. L ideale di santità vivente in quei missionari era il suo ideale: sentì che quella era la sua strada, la sua vocazione.
Però la sua richiesta ufficiale trovò l ostacolo della sua gracile costituzione fisica. Padre Paolo Cafaro, uomo di virtù e d intelligenza, lo fissò e fu inesorabile: «La nostra vita non è per te». Anche mamma Benedetta, per diverso motivo, era contraria alla decisione del figlio, e ne parlò al superiore della missione.

Conoscendo bene la testardaggine del figlio, lo serrò in casa il giorno della partenza dei missionari. Poteva una porta chiusa fermare la volontà di Dio?


Vado a farmi Santo

Le campane di tutte le chiese suonavano a gloria il commiato del popolo di Muro agli evangelizzatori partenti. La gente si riversava sulle vie, porgeva un ultimo saluto, chiedeva l ultima benedizione. Solo in casa, recluso, il giovane cercatore di Dio, dalla finestra al piano superiore ascoltava il tripudio delle campane e il brusio della folla. Smaniava. Ogni minuto rappresentava una distanza sempre più grande fra lui e i missionari.
Due obbedienze combattevano nel suo animo: alla madre o a Dio? Il bivio tremendo esigeva pronta soluzione. Scrisse su un foglio: «Mamma, perdonami. Non pensare a me. Vado a farmi santo!». Annodò due lenzuola, scavalcò il davanzale e fu in strada, correndo da disperato. I missionari avevano lasciato l abitato e si avviavano verso Rionero in Vulture.
Appena scorse i missionari, senza fermarsi, egli cominciò a gridare: «Padri, aspettatemi!». In mezzo alla via, nel sole e nella polvere, rinnovò la domanda. Padre Cafaro, dal canto suo, rinnovò il rifiuto: «Figliuolo, torna a casa; tu non puoi riuscire nel nostro Istituto». «Sperimentatemi, e poi mi licenzierete», insisteva logicamente il postulante.

L insistenza aprì la mente al santo missionario che scelse una via di mezzo: lo spedì al superiore di Deliceto con questo foglio di presentazione: «Vi mando un fratello inutile, riguardo alla fatica, perché è molto gracile di conformazione; per altro non ho potuto farne a meno, attesa la di lui insistenza e il credito di giovane virtuoso che gode nella città di Muro».


Gerado entra nei Redentoristi

Da redentorista la sua vita cambiò. Entrato nella casa di Deliceto, in Puglia, vero eremitaggio, a Gerardo parve di entrare nell anticamera del paradiso.
L accoglienza che ebbe non fu incoraggiante: tutti, a vederlo, scrollarono il capo. Che ne avrebbero fatto di un soggetto che pareva reggere l anima coi denti? Ma egli aveva chiesto di essere sperimentato; e il padre D Antonio, che reggeva quella comunità, lo mise alla prova. Al bosco, alla cucina, al refettorio, al forno, alle costruzioni, alle pulizie, dovunque si faticasse, invariabilmente giocondo e volenteroso, era presente Gerardo. Un grande miracolo di volontà e di energia, durato sei mesi, quanti bastarono per far cambiare opinione ai confratelli sul suo conto. Come se avesse previsto breve il corso della sua vita, cercò di guadagnare in intensità ciò che poteva costruirsi in lunghi anni. Scelse il rigido padre Cafaro come modello e moderatore nella virtù. Ecco i suoi primi impegni:

«Primo proposito: posuit me Deus in paradiso voluptatis. Sappi, o Gerardo, che Dio ha strappato te dal mondo e ti ha posto qual novello Adamo in questo paradiso della Congregazione, al solo fine che operi e che metta in esecuzione i precetti e i consigli del suo santo Vangelo, che hai nelle regole. Misero te, se le trascuri.

Secondo proposito: avrò cura d essere minuto osservatore d ogni cosa delle regole, di perseverare e crescere nel bene, di impegnarmi principalmente nell unione con Dio».
Nonostante questi propositi, ai confratelli Gerardo sembrò molte volte interprete libero delle regole della Congregazione. Egli era guidato dalla legge dello Spirito, che spesso lo liberava da quella scritta. Egli però riteneva di non essere ancora abbastanza sottomesso allo Spirito, quindi ce la metteva tutta per pregare e mortificarsi. Il suo direttore padre Cafaro insegnava: «Per farsi santo bisogna agonizzare e agonizzare sempre, attenendosi a mortificarsi in tutto, nel cibarsi, nel bere, nel dormire, e in ogni altra cosa». E Gerardo risolutamente si proponeva: «Una volta sola ho l occasione di farmi santo; se la perdo, la perdo per sempre».
Lo aiutarono in questo sforzo di imitazione del Maestro le circostanze ambientali. Già a Muro i ragazzi di strada avevano trovato in lui l esca del divertimento. In seguito fu una guardia campestre del duca di Bovino a malmenarlo col calcio del fucile e a colpirlo fino ad offendergli una costola. I confratelli, che poco credettero alla sua santità, lo derisero chiaman­dolo fan­nul­lone e pazzo. Per non dire dell abbandono in cui veniva lasciato, della solitudine dello spirito o dell aridità.

Il padre Antonio Tannoia, suo biografo e contemporaneo, racconta che si faceva stendere su una croce, a somiglianza di Gesù; che nella settimana santa si straziava con cardi, catenelle, discipline a sangue, veglie notturne e digiuni; che la sera di giovedì pareva entrare in un agonia interna misteriosa e torturante. La sua cella, con un saccone riempito di sassi per giaciglio e teschi di morto intorno, era il suo paradiso, dove si flagellava con punte di ferro e dormiva fasciato da cilizi.


Obbedienza eroica


Tutto questo eroismo ha una spiegazione: Gerardo aveva indirizzato la sua vita su questa massima: «Amare assai Iddio, unito sempre a Dio. Far tutto per Dio. Amare tutto per Dio. Conformarmi sempre al suo santo volere. Patire assai per Dio. È pena infinita patire; e non patire per Dio. Patire tutto e patirlo per Dio, è niente».


Proprio così: quell esemplare fratello era pervenuto a tal grado di rinunzia da non possedere più una volontà propria, ma da far vivere ed operare in lui la volontà di Dio. Di qui un obbedienza cieca, alla lettera, fino a rasentare l incredibile, l impossibile.

Ecco a riguardo un altro suo proposito: «Dio mio, per amor vostro, io obbedirò ai miei superiori come mirassi in essi Voi stesso ed ubbidissi alla vostra divina persona. E sarò come non fossi più mio, ma quello che voi stesso siete nell intelletto e nella volontà di chi mi comanda». Una decisione così radicale doveva sfociare in un obbedienza eroica. E Dio rispondeva con i miracoli. Poiché il suo pensiero assiduo era il Signore, lo si vedeva assorto e spesso estatico in contemplazione, tanto da sembrare trascurato e distratto. Però, ad un cenno del superiore, scattava come una molla: «Fratel Gerardo, mettiti subito in viaggio per Ascoli Satriano». E Gerardo parte immediatamente, vestito come si trova: uno straccio di tonaca e un paio di ciabatte che trascina per i pavimenti della casa.

venerdì 21 giugno 2013

METTIAMOCI ALLA SCUOLA DI

Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.

SAN FILIPPO NERI

L'Obbedienza

- L'obbedienza buona è quando si ubbidisce senza discorso e si tiene per certo quello
che è comandato è la miglior cosa che si possa fare.
- L'obbedienza è il vero olocausto che si sacrifica a Dio sull'altare del nostro cuore, e
bisogna sforzarci d'obbedire anche nelle cose piccole, e che paiono di niun momento,
poiché in questo modo la persona si rende facile ad essere obbediente nelle cose
maggiori.
- E' meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in
camera a fare orazione.
- A proposito di colui che comandava diceva: Chi vuol esser obbedito assai, comandi
poco.

La Gioia Cristiana

- Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate
allegri.
- Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa
mia.
- L'allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza,
mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti...Si
oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può
neanche assaporarla: le si oppone principalmente l'ambizione: le è nemico il senso, e
molto altresì la vanità e la detrazione. La nostra allegrezza corre gran pericolo e
spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto
degli spettacoli.
- Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva:
Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro, e state
allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati. E
quando doveva frenare l'irrequietezza dei ragazzi diceva: State fermi, e, sotto voce, se
potete.


La Devozione a Maria

- Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: siate devoti a Maria.
- Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente ad ottenere
le grazie da Dio che la Madonna Santissima.
- Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.
- La Madonna Santissima ama coloro che la chiamano Vergine e Madre di Dio, e che
nominano innanzi a Lei il nome santissimo di Gesù, il quale ha forza d'intenerire il
cuore.

La Confessione

- La confessione frequente de' peccati è cagione di gran bene all'anima nostra, perché
la purifica, la risana e la ferma nel servizio di Dio.
- Nel confessarsi l'uomo si accusi prima de' peccati più gravi e de' quali ha maggior
vergogna: perché così si viene a confondere più il demonio e cavar maggior frutto

dalla confessione.


La Mortificazione

- Figliuoli, umiliate la mente, soggettate il giudizio.
- Tutta l'importanza della vita cristiana consiste nel mortificare la razionale.
- Molto più giova mortificare una propria passione per piccola che sia, che molte
astinenze, digiuni e discipline.
- Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità, era solito provarla
con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto,
altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo: Ove non è gran mortificazione, non può
esservi gran santità.
- Le mortificazioni esteriori aiutano grandemente all'acquisto della mortificazione

interiore e delle altre virtù.


L'Umiltà

- Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi.
- Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò
possiate diventar grandi negli occhi di Dio.
- Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d'umiltà, e un sentir basso
di sè. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l'essere gonfiato della propria stima.
- Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e
gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare.
- Per fuggire ogni pericolo di vanagloria voleva il Santo che alcune devozioni
particolari si facessero in camera, ed esortava che si fuggisse ogni singolarità. A
proposito della vanagloria diceva: Vi sono tre sorta di vanagloria. La prima è
Padrona e si ha quando questa va innanzi all'opera e l'opera si fa per il fine della
vanagloria. La seconda è la Compagna e si ha quando l'uomo non fa l'opera per fine
di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha quando nel
far l'opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime.
- Per acquistare il dono dell'umiltà sono necessarie quattro cose: spernere mundum,
spernere nullum, spernere seipsum, spernere se sperni: cioè disprezzare il mondo,
non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso, non far conto d'essere disprezzato. E
soggiungeva, rispetto all'ultimo grado: A questo non sono arrivato: a questo vorrei
arrivare.
- Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: Figliuoli miei, prendete in bene le mie
parole, piuttosto pregherei Iddio che mi mandasse la morte, anzi una saetta, che il
pensiero di simili dignità. Desidero bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi,

ma non già le grandezze loro.



Desiderio di Perfezione

- Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni.
- Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio, e non accontentarsi di una
bontà mediocre, ma aver desiderio (se fosse possibile) di passare in santità ed in
amore anche S. Pietro e S. Paolo: la qual cosa, benché l'uomo non sia per conseguire,
si deve con tutto ciò desiderare, per fare almeno col desiderio quello che non
possiamo colle opere.
- Non è superbia il desiderare di passare in santità qualsivoglia Santo: perché il
desiderare d'essere santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le
cose: e questo desiderio, se si potesse, si dovrebbe stendere in infinito, perché Dio è
degno d'infinito onore.
- La santità sta tutta in tre dita di spazio, e si toccava la fronte, cioè nel mortificare la
razionale, contrastando cioè a se stesso, all'amore proprio, al proprio giudizio.
- La perfezione non consiste nelle cose esteriori, come in piangere ed altre cose simili,
e le lacrime non sono segno che l'uomo sia in grazia di Dio.

- Parlando il Santo di spirito e della perfezione diceva: Ubbidienza, Umiltà, Distacco!


La volontà di Dio

- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola

figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.

Presenza in Dio e confidenza in Lui

- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non

bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.



L'Amore di Dio

Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia. Chi dimanda
altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda. Chi opera e non per Cristo,
non sa quello che si faccia.
- L'anima che si dà tutta a Dio, è tutta di Dio.
- Quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio.
- All'acquisto dell'amor di Dio non c'è più vera e più breve strada che staccarsi
dall'amore delle cose del mondo ancor piccole e di poco momento e dall'amor di se
stesso, amando in noi più il volere e servizio di Dio, che la nostra soddisfazione e
volere.
- Come mai è possibile che un uomo il quale crede in Dio, possa amare altra cosa che
Dio?
- La grandezza dell'amor di Dio si riconosce dalla grandezza del desiderio che l'uomo
ha di patire per amor suo.
- A chi veramente ama Dio non può avvenire cosa di più gran dispiacere quanto non
aver occasione di patire per Lui.
- Ad uno il quale ama veramente il Signore non è cosa più grave, né più molesta
quanto la vita.
- I veri servi di Dio hanno la vita in pazienza e la morte in desiderio.
- Un'anima veramente innamorata di Dio viene a tale che bisogna che dica: Signore,
lasciatemi dormire: Signore, lasciatemi stare.
Presenza in Dio e confidenza in Lui
- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non
bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.
La volontà di Dio
- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola
figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.


La Tentazione

- Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e tenebroso, non si vincono meglio
che con l'umiltà del cuore, e col manifestare semplicemente e chiaramente senza
coperta i peccati e le tentazioni al confessore.
- Contro le tentazioni di fede invitava a dire: credo, credo, oppure che si recitasse il
Credo.
- La vera custodia della castità è l'umiltà: e però quando si sente la caduta di
qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà
in simili casi, è segno manifesto di dover prestamente cadere.
- Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cattive compagnie, non nutrire
delicatamente il corpo, aborrire l'ozio, fare orazione, frequentare i Sacramenti
spesso, e particolarmente la Confessione.

Giaculatorie

Padre Zazzara diceva che il Santo lodava molto le giaculatorie, ed in diversi tempi
dell'anno gliele insegnava e ne faceva dire ogni giorno quando una, quando un'altra.
- Per tenere vivo il pensiero della divina presenza ed eccitare la confidenza in Dio
sono utilissime alcune orazioni brevi e quelle spesse volte lanciare verso il cielo tra il
giorno, alzando la mente a Dio da questo fango del mondo: e chi le usa, ne ricaverà
frutto incredibile con poca fatica.

Ave, Gratia Plena!