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lunedì 13 febbraio 2023

LEI CREDE?

     


    * CREDERE  vuol dire 

seguire la traccia indicataci dalla Parola di Dio.

CREDERE non é solo un tipo di pensiero, un'idea, 

è un agire, è una forma di vivere.

 P.P.Benedetto XVI

AMDG et DVM

giovedì 5 gennaio 2023

Può essere utile, anche per capire la fede


Il fondamento della nostra libertà


Il carnevale non è certo una festa religiosa. Tuttavia non è concepibile senza il calendario delle festività liturgiche. Perciò una riflessione sulla sua origine e sul suo significato può essere utile anche per capire la fede.

Le radici del carnevale sono molteplici: ebree, pagane, cristiane, e ci rimandano ad aspetti comuni dell’uomo di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Nel calendario delle festività ebraiche al carnevale corrisponde grosso modo la festa dei Purim, che ricorda la salvezza di Israele dall’incombente persecuzione degli ebrei nel regno di Persia, salvezza conseguita, secondo il racconto biblico, dalla regina Ester.
La gioia scatenata con cui la festa viene celebrata vuol essere espressione del senso di liberazione che, in questo giorno, non è solo memoria , ma promessa: chi è nelle mani del Dio di Israele, è libero in partenza dalle insidie dei suoi nemici.
Al tempo stesso, dietro questa festa scatenata e profana, che aveva e ha tuttavia il suo posto nel calendario religioso, c’è quella conoscenza del ritmo del tempo, validamente espressa nel libro di Qoèlet.
Tutto ha la sua ora e c’è un tempo per ogni cosa sotto il sole: un tempo per la nascita e un tempo per la morte, un tempo per piantare e un tempo per cogliere ciò che si è piantato…un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per lamentarsi e un tempo per ballare” (Qo 3,1ss.).
Ogni momento non è il momento giusto per ogni cosa: l’uomo ha bisogno di un ritmo, e l’anno gli dà questo ritmo, nel creato e nella storia che la fede presenta nel corso dell’anno.

Siamo così giunti all’anno liturgico, che fa percorrere all’uomo l’intera storia della salvezza nel ritmo del creato, ordinando e purificando così il caos e la molteplicità del nostro essere. In questo ciclo di creazione e storia non è tralasciato nessun aspetto umano, e solo così viene salvato tutto ciò che è umano, i lati oscuri come quelli luminosi, la sensorialità come la spiritualità. Tutto riceve il proprio posto nell’insieme che gli dà un senso e lo libera dall’isolamento.

Perciò è sciocco voler prolungare il carnevale come vorrebbero affari e scadenzari: questo tempo arbitrario diventa noia, perché in esso l’uomo diviene soltanto creatore di se stesso, è lasciato solo e si trova davvero abbandonato. Il tempo non è più il molteplice dono del creato e della storia, ma il mostro che divora se stesso, l’ingranaggio vuoto dell’eternamente uguale, che ci fa girare in un cerchio insensato e che distrugge infine anche noi.

Ma torniamo alle radici del carnevale. Accanto ai precedenti ebraici ci sono quelli pagani, il cui volto truce e minaccioso ci fissa ancora dalle maschere dei paesi alpini e svevo-germanici. Qui si celebravano i riti della cacciata dell’inverno, dell’esorcismo delle potenze demoniache: nel mutare del tempo si avvertiva la minaccia del mondo, la nuova creazione della terra e della sua fertilità doveva essere protetta contro il nulla a cui si avvicinava il mondo nel sonno dell’inverno.
A questo punto possiamo notare qualcosa di molto significativo : la maschera demoniaca si trasforma, nel mondo cristiano, in una divertente mascherata; la lotta pericolosissima con i demoni si cambia in gaudio prima della gravità della Quaresima. In questa mascherata avviene ciò che riscontriamo spesso nei salmi e nei profeti: essa diviene scherno di quegli dei che chi conosce il vero Dio non deve più temere.
Le maschere degli dei sono divenute uno spettacolo divertente, esprimono la gioia sfrenata di coloro che possono trovare motivi di comicità in ciò che prima faceva paura. In questo senso è presente nel carnevale la liberazione cristiana, la libertà dell’unico Dio, che rende perfetta quella libertà ricordata dalla festa ebraica dei Purim.
Si pone però un interrogativo: possediamo ancora questa libertà? Non è che ci siamo voluti liberare anche di Dio stesso, del creato e della fede, per essere completamente liberi? E la conseguenza non è forse che siamo di nuovo in balìa degli dei, delle potenze del denaro, dell’avidità, dell’opinione pubblica? Dio non è il nemico della nostra libertà, ma il suo fondamento; è questo che dovremmo imparare di nuovo oggi. Solo l’amore che è onnipotente può essere il fondamento di una gioia senza paura.

© Copyright 1986-2008 - Libreria Editrice Vaticana

AMDG et DVM

domenica 13 novembre 2022

Risposta: «La fede». «E che cosa ti dona la fede?» «La vita eterna».

 

"La vita felice". 

Riflessione di Papa Benedetto XVI sul senso della vita eterna




La vita felice

di Benedetto XVI

Dal libro di Benedetto XVI "La gioia della fede" (San Paolo, pp. 192, euro 9,90) ecco una riflessione sul senso della vita eterna.

Dobbiamo adesso domandarci esplicitamente: la fede cristiana è anche per noi oggi una speranza che trasforma e sorregge la nostra vita? È essa per noi «performativa» – un messaggio che plasma in modo nuovo la vita stessa, o è ormai soltanto «informazione» che, nel frattempo, abbiamo accantonata e che ci sembra superata da informazioni più recenti? 
Nella ricerca di una risposta vorrei partire dalla forma classica del dialogo con cui il rito del Battesimo esprimeva l’accoglienza del neonato nella comunità dei credenti e la sua rinascita in Cristo. Il sacerdote chiedeva innanzitutto quale nome i genitori avevano scelto per il bambino, e continuava poi con la domanda: «Che cosa chiedi alla Chiesa?». Risposta: «La fede». «E che cosa ti dona la fede?» «La vita eterna».

Stando a questo dialogo, i genitori cercavano per il bambino l’accesso alla fede, la comunione con i credenti, perché vedevano nella fede la chiave per «la vita eterna». Di fatto, oggi come ieri, di questo si tratta nel Battesimo, quando si diventa cristiani: non soltanto di un atto di socializzazione entro la comunità, non semplicemente di accoglienza nella Chiesa. 
I genitori si aspettano di più per il battezzando: si aspettano che la fede, di cui è parte la corporeità della Chiesa e dei suoi sacramenti, gli doni la vita – la vita eterna. Fede è sostanza della speranza. Ma allora sorge la domanda: Vogliamo noi davvero questo – vivere eternamente? Forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo. Continuare a vivere in eterno – senza fine – appare più una condanna che un dono.

La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine – questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile. È precisamente questo che, per esempio, dice il Padre della Chiesa Ambrogio nel discorso funebre per il fratello defunto Satiro: «È vero che la morte non faceva parte della natura, ma fu resa realtà di natura; infatti Dio da principio non stabilì la morte, ma la diede quale rimedio. [...] A causa della trasgressione, la vita degli uomini cominciò ad essere miserevole nella fatica quotidiana e nel pianto insopportabile. Doveva essere posto un termine al male, affinché la morte restituisse ciò che la vita aveva perduto. L’immortalità è un peso piuttosto che un vantaggio, se non la illumina la grazia». 
Già prima Ambrogio aveva detto: «Non dev’essere pianta la morte, perché è causa di salvezza...». Qualunque cosa sant’Ambrogio intendesse dire precisamente con queste parole, è vero che l’eliminazione della morte o anche il suo rimando quasi illimitato metterebbe la terra e l’umanità in una condizione impossibile e non renderebbe neanche al singolo stesso un beneficio.

Ovviamente c’è una contraddizione nel nostro atteggiamento, che rimanda ad una contraddittorietà interiore della nostra stessa esistenza. Da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall’altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente e anche la terra non è stata creata con questa prospettiva. Allora, che cosa vogliamo veramente? 
Questo paradosso del nostro stesso atteggiamento suscita una domanda più profonda: che cosa è, in realtà, la «vita»? E che cosa significa veramente «eternità»? Ci sono dei momenti in cui percepiamo all’improvviso: sì, sarebbe propriamente questo – la «vita» vera – così essa dovrebbe essere. A confronto, ciò che nella quotidianità chiamiamo «vita», in verità non lo è. 
Agostino, nella sua ampia lettera sulla preghiera indirizzata a Proba, una vedova romana benestante e madre di tre consoli, scrisse una volta: In fondo vogliamo una sola cosa – «la vita beata», la vita che è semplicemente vita, semplicemente «felicità». Non c’è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient’altro ci siamo incamminati – di questo solo si tratta.
Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente. Non conosciamo per nulla questa realtà; anche in quei momenti in cui pensiamo di toccarla non la raggiungiamo veramente. 
«Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare», egli confessa con una parola di san Paolo (Rm 8,26). Ciò che sappiamo è solo che non è questo. Tuttavia, nel non sapere sappiamo che questa realtà deve esistere. «C’è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza» (docta ignorantia), egli scrive. Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa «vera vita»; e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti. 
Penso che Agostino descriva lì in modo molto preciso e sempre valido la situazione essenziale dell’uomo, la situazione da cui provengono tutte le sue contraddizioni e le sue speranze. Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. Non possiamo cessare di protenderci verso di esso e tuttavia sappiamo che tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo. 
Questa «cosa» ignota è la vera «speranza» che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l’autentico uomo.
La parola «vita eterna» cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. «Eterno», infatti, suscita in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura; «vita» ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l’altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più.
Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia. Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (16,22). Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo.
AVE MARIA PURISSIMA!

martedì 14 agosto 2018

DONO BIBLICO PER TUTTI NOI

SE AMI "TOTO CORDE" LA BEATISSIMA VERGINE MARIA AMI DAVVERO LA CHIESA
Testo e commento

Capitolo     2   3   4   5   6  

Tutta l'antica tradizione (Frammento Muratoriano, sant'Ireneo, Clemente Alessandrino, Tertulliano, la grande maggioranza degli antichi codici, tutte le antiche versioni, afferma che la lettera agli Efesini fu originariamente scritta alla comunità di Efeso. Ma è un fatto che l'indirizzo “a Efeso” non sia presente in tutti i manoscritti antichi, e ovviamente ci si è domandato il perché.

Si è ipotizzato, vista l'assenza del destinatario in diversi autorevoli antichi manoscritti (P46: Papiro Chester Beatty: la copia più antica contenente le lettere di san Paolo; il codice onciale Vaticano, il codice onciale Sinaitico, citazioni di Origene, san Basilio, san Gerolamo: In Eph. 1,1), che la lettera agli Efesini sia una lettera circolare per più destinatari, con uno spazio vuoto dove potere apporre il nome degli stessi. Chi simpatizza per l'ipotesi della lettera circolare (la maggior parte dei critici protestanti, ma anche molti cattolici) conclude che la lettera ai Laodicesi (Col 4,16) è andata persa, ma è difficile pensarlo visto che certamente i Colossesi ne dovettero conservare una copia. L'ipotesi della circolare non spiega come mai alcuni manoscritti rimasero senza nome. Poi il procedimento dello spazio vuoto non ha riscontri, e si dovrebbe pensare alla preliminare formazione di numerose copie che poi venivano corredate del nome dei destinatari. I manoscritti senza desitinatari sarebbero delle copie in eccesso, il che non è pensabile. Ma poi ci dovrebbero essere pervenuti manoscritti intestati alla chiesa di Gerapoli, o ad altra, e ciò non è.
Si è ipotizzato che la lettera agli Efesini venne scritta alla Chiesa di Efeso e alle Chiese dell'Asia, ma in questo caso la lettera avrebbe dovuto avere la chiara dichiarazione di essere indirizzata anche alle chiesa d'Asia, come si ha nella lettera ai Galati indirizzata alle Chiese della Galazia.

Diversi autori hanno sottolineato come la lettera ai Colossesi (4,16) inviti a leggere la lettera da Laodicea, e con ciò concludono per l'ipotesi che la lettera agli Efesini fosse di passaggio a Laodicea e quindi si avrebbe un punto a favore dell'ipotesi della primaria destinazione agli Efesini, oppure della lettera circolare. Ma l'argomento non ha consistenza poiché l'espressione da Laodicea non vuol dire necessariamente che non fosse scritta ai Laodicesi.
Si è pensato così che la lettera agli Efesini sia in realtà quella spedita alla comunità di Laodicea (Col 4,16). Già l'eretico Marcione (85-160) l'aveva proposto come riporta Tertulliano (Adv. Marc. 5,17).
Questa attribuzione ai Laodicesi si avvale del fatto che non appare che Paolo abbia scritto ad una comunità che lo aveva conosciuto direttamente (1,15; 2,20; 3,1-2; 3,2; 4,21). E anche Timoteo, molto più conosciuto ad Efeso che a Colosse, nel saluto iniziale della lettera agli Efesini non compare, come invece in quella ai Colossesi (At 19,22; 1Tim 1,3).
Johann Jakob Wettstein (“Novum Testamentum”, II, Amsterdam, 1752, pag. 258s) espresse anche lui il pensiero che la lettera agli Efesini sia quella scritta ai Laodicesi. Secondo la sua visione, la lettera venne portata dai cristiani profughi di Laodicea a Efeso in seguito ad un terremoto, e con ciò venne attribuita alla Chiesa di Efeso. Ma a una tale opinione si oppone subito il fatto che il terremoto del 60 d.C., che colpì, oltre Laodicea, Colossi e Gerapoli, non fu tale da distruggere le tre città.
Adolf von Harnack (“Die Adresse des Epheserbriefes des Paulus”, in Sitzungsberichte der K. Preuss. Akademie der Wissensch, Phil. Hist. Classe, 37 (1910), pag. 696-709) presenta l'opinione che il nome di Laodicea venne omesso per una specie di "damnatio memoriae", in seguito alla riprovazione presente nell'Apocalisse (3,14).

Ma la "damnatio memoriae", sulla base di (Ap 3,14), non ha accolto consensi. Più giusto, a mio parere, pensare che la Chiesa di Efeso volle togliere alla Chiesa di Laodicea il vanto di essere stata destinataria di una lettera di Paolo. Vanto, si può supporre, accompagnato da un'aspirazione di autonomia dalla sede metropolita della regione, che era Efeso. Il titolo per questa pretesa sarebbe stato che Laodicea avrebbe avuto una lettera di san Paolo, mentre Efeso no. Se così fu, la risposta non poteva che essere l'affermazione che la lettera apparteneva a tutte le Chiese, e da qui la reazione di considerarla indirizzata anche, e poi senza anche, agli Efesini. Ciò indubbiamente innestava tra i copisti il problema di quale dei due era il vero destinatario, e così diversi preferirono non metterne nessuno, giungendo ad una tautologia (I santi sono tali perché in Cristo): “ai santi che sono in Cristo Gesù”. Alla fine prevalse l'attribuzione alla chiesa di Efeso, sotto il movente, ma secondario, della "damnatio memoriae" ipotizzata da Adolf von Harnack.

Concludendo credo che si possa accogliere l'opinione di coloro che dicono che la lettera agli Efesini è quella scritta ai Laodicesi (Col 4,16).

Certamente Paolo era prigioniero quando scrisse la lettera agli Efesini. Molti pensano che la lettera fu scritta durante la prima prigionia a Roma (La seconda prigionia a Roma avvenne dopo una nuova presenza di Paolo in Oriente, secondo la testimonianza delle lettere Pastorali). Tale indicazione poggierebbe sulla ragione che Paolo, prigioniero a Cesarea, non avrebbe avuto una sufficiente libertà di azione per scrivere la lettera, ma al contrario a Cesarea ebbe una certa libertà (At 24,23) di contatti e di azione, tanto che il governatore Antonio Felice (At 24,26) si aspettava che Paolo potesse dargli una somma di denaro, indubbiamente in cambio di una richiesta di libertà.
La lettera agli Efesini ha affinità di stile e anche di contenuti con la lettera ai Colossesi, per cui le due lettere sono state scritte nel medesimo arco di tempo e probabilmente nel medesimo luogo, cioè Cesarea.
Le recenti difficoltà circa l'autenticità paolina della lettera, fondate su argomenti eruditi e sottili, non sono state giudicate irrefutabili per cui vale inalterato il dato della tradizione che designa Paolo come autore. L'ipotesi di un autore diverso è fondata principalmente sul fatto che la lettera in diversi passi sembra dipendere dalla lettera ai Colossesi quasi che l'autore abbia accettato un tale modo di procedere, essendo nello stesso tempo un pensatore geniale e originale come san Paolo. Si avrebbe, in tale ipotesi, una curiosa personalità ibrida: geniale, e nello stesso tempo servile. Difficile è pensare ad un autore diverso da Paolo con una situazione esistenziale uguale. L'autore si presenta infatti prigioniero a causa della sua missione presso i pagani, e afferma che per rivelazione Dio gli fatto conoscere il mistero di cui ha scritto brevemente nella prima parte della lettera, e che ciò è noto (3,1-3). Pensare ad altro personaggio con queste note caratterizzanti (Gal 1,12; 2Cor 12,1.7) non è francamente possibile. I recenti studiosi disposti al compromesso con l'ipotesi di un autore diverso da Paolo calibrano la loro posizione affermando che l'autenticità paolina della lettera "è l'ipotesi più probabile" (Cf. "Bibbia di Gerusalemme", EDB, 2008, pag. 2672). La posizione di ritardare al II secolo la composizione della lettera risale alla maggior parte dei razionalisti (De Wette, Baur, Moffat, Dibelius, M. Goguel, ecc.), ma le loro motivazioni non hanno trovato accoglienza, anche da non pochi critici razionalisti di spicco (B. A. HarnacK, A. Deissman, A. Julicher, ecc.).

La lettera agli Efesini è centrata sull'ecclesiologia e sul rapporto di riconciliazione in Cristo tra Giudei e pagani. Quella ai Colossesi è centrata a rimuovere gli errori pregnostici diffusi da giudeo-cristiani nell'area di Colosse e Laodicea, sulla base di un'angelologia che oscurava il primato di Cristo su tutte le cose, menomando, quindi, il suo essere Figlio di Dio, capo delle schiere angeliche e capo della Chiesa (Col 2,18-19).

Indirizzo e saluto
1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso credenti in Cristo Gesù: 2 grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso credenti in Cristo Gesù”. In alcuni antichi manoscritti si legge: “ai santi che sono credenti in Gesù Cristo”. L'evidente troncatura dopo il “sono”, apre la possibilità di ipotizzare che origi che il “che sono” sia un'aggiunta e che perciò in origine la lettera avesse questo tenore: “ai santi in Efeso credent nariamente la lettera si riferisse: “ai santi che sono a Laodicea credenti in Cristo Gesù”. Alcuni sostengono i in Cristo Gesù”, il che può essere benissimo, ma non ha dimostrazione.
La Bible de Jerusalem ha adottato la soluzione drastica di omettere “che sono a Efeso”, ma in tal modo non è indirizzata a nessuno in particolare, mentre un destinatario, al contrario, compare (3,2).

Inno al Padre nel cui Figlio si ha la elevazione a figli adottivi nel sigillo dello Spirito Santo
3 Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
5 predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
7 In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
8 Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
9 facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
10 per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
11 In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati - secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà -
12 a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
13 In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
14 il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

Ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo”. Ai credenti in Cristo giunge ogni benedizione.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo”. Dio Padre da sempre ha conosciuto quanti avevano un cuore aperto a lui, sotto la Legge o sotto la sola legge della coscienza (Rm 2,16), e li ha mossi all'accoglienza di Cristo (Gv 35,44): "Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre". L'iniziativa salvifica è sempre di Dio, ed è libera, sovrana, decisa con decreto eterno, "prima della creazione del mondo". Questi giusti, peccatori ma pur di buona volontà, già erano aiutati dalla grazia ad essere orientati alla Verità, e sono chiamati ad avere accesso all'elezione (eklogè, da ek-légomai: "radunare da") di essere in Cristo tempio dello Spirito Santo. Dai giusti di Israele e dai giusti tra i Gentili, Dio ha formato il popolo della nuova alleanza, cioè la Chiesa. Con ciò non cessa di bussare alla porta del cuore di coloro che sono nelle tenebre dell'errore, affinché apertasi possano udire la chiamata ad essere eletti ("scelti") per il grande disegno di Dio, che è Cristo e la Chiesa.
Da sempre “
ci ha scelti”, cioè eletti in Cristo alla vita secondo lo Spirito Santo. Tutti sono chiamati alla salvezza in Cristo, ma non tutti accolgono Cristo diventando con ciò degli eletti, infatti “molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22,14), cioè molti rimangono allo stato di chiamati, rifiutando la proposta contenuta nella chiamata. Chi lo accoglie non è stato lui in primis a scegliere Cristo, ma è stato prima chiamato, poiché (Gv 6,44): “Nessuno può venire a me, se il Padre che mi ha mandato non lo attira”. L’iniziativa di Dio è su tutti, ma è accolta da chi è orientato alla verità, anche in maniera nebulosa e con il peso dei peccati, ma non da chi segue volutamente la menzogna. Paolo agì con durezza contro i cristiani, ma perché era in uno stato di ignoranza, e quando incontrò la Verità la accolse (1Tm 1,13). La scelta di Dio in Cristo non avviene per una aprioristica selezione di Dio, fatta per escludere qualcuno.
Predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo”. Tutti gli uomini sono predestinati alla grazia di essere rigenerati in Cristo, ma non tutti la accolgono e per questo rimangono nelle loro colpe (Gv 8,21). Quelli però che lo accolgono diventano in Cristo figli adottivi del Padre, nel dono dello Spirito Santo (Gv 1, 12) e diventano con ciò predestinati alla gloria (Rm 8, 30). Un cristiano può cadere nel peccato grave e con ciò viene sospesa la sua predestinazione alla gloria (Mt 24,13; Lc 21,19; 1Cor 10,12); ritornando in grazia di Dio il cristiano riattiva la sua predestinazione alla gloria.
In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia”. La salvezza viene dal sacrificio di Cristo. La salvezza è la salvezza dal peccato le cui catene sono in mano al Maligno.
Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza...”. La grazia, cioè l'essere figli di Dio in Cristo nel dono dello Spirito Santo. Tale grazia porta con sé l'abbondanza di ogni sapienza e intelligenza, cioè la capacità di cogliere nella fede il mistero dell'opera salvifica di Cristo e di approfondirne gli aspetti, senza tuttavia poter esaurirne sulla terra la comprensione. Solo in cielo tutto sarà svelato nella visione beatifica di Dio.
Ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra”. Nella lettera ai Colossesi si legge (1,20): “per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose”. Ciò vuol dire che il Padre ha riconciliate a sé tutte le cose per mezzo del sangue pacificatore (Col 1,20) del Figlio, che ha costituito capo di tutte le cose, “quelle nei cieli” (le schiere angeliche) e “quelle sulla terra” (Chiesa, suo corpo mistico; e anche le nazioni essendo egli il Re dei re e il Signore dei signori (Ap 19,16).
 
Rendimento di grazie e intenzioni di preghiera
15 Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, 16 continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, 17 affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; 18 illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 19 e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.

Quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”. “Fra i santi”: l'eredità gloriosa della salvezza ci viene data nell'appartenenza ad un solo corpo (Col 3,15), cioè la Chiesa.
Secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore”. Tre sostantivi quasi sinonimi (efficacia, forza, vigore) esprimono come la potenza di Dio, cioè l'azione dello Spirito, sia efficace, operante con risultato vittorioso a meno che l'uomo non vi si opponga.

La supremazia di Cristo
20 Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
21 al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
22 Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
23 essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

La grazia della salvezza nella fede in Cristo
2 Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2 nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. 4 Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, 5 da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. 6 Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
8 Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9 né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. 10 Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

Il principe delle Potenze dell’aria”. Le “potenze dell'aria” sono i demoni i quali hanno un principe: Satana. Sono dette “potenze dell'aria” perché gli angeli hanno un potere di azione non legato alla terra, sebbene agisca sulla terra. I demoni sono stati precipitati nell'abisso (Cf. Lc 8,31; 2Pt 2,4; Ap 20,1) tuttavia ne escono per tentare gli uomini, e se non respinti giungono ad esercitare un potere sugli uomini, diventando così “potenze dell'aria”.
Ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù”. Non è ciò che ora è, ma è ciò che certamente avverrà se si rimarrà fedeli a Cristo, che ci ha risuscitati dalla morte del peccato. Alla risurrezione spirituale operata nel Battesimo seguirà la risurrezione del corpo e quindi lo stare regalmente per sempre nel regno dei cieli: “sedere nei cieli”.
Ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere”. La fede è un dono di Dio. Dono che non è dato in conseguenza delle opere, ma dono che precede le opere che vanno fatte. Opere mosse e informate dalla carità e non dal legalismo dei farisei.
Che Dio ha preparato”. Non sono un elenco di opere che l'uomo deve eseguire passivamente, ma le opere  che l'inventiva della carità gli presenta. Posta la carità seguono le opere ispirate e informate dalla carità e queste non sono dentro delle rubriche preordinate. La carità muove l'inventiva, rimanendo sempre nel concreto delle situazioni della vita.

La distruzione del muro di divisione tra i popoli
11 Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, 12 ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. 13 Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

14 Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.
15 Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
16 e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l’inimicizia.
17 Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
18 Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.

19 Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20 edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21 In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22 in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.

Pagani nella carne”. La distinzione operata dai Giudei sui Gentili era sulla base della circoncisione. Essi erano i “non circoncisi” e quindi non partecipi dell'Alleanza. Ma i circoncisi “resi tali nella carne per mano d’uomo”, non lo erano poi nel cuore (Cf. Lv 26,41) dal momento che avevano rifiutato Gesù Cristo.
Eliminando in se stesso l’inimicizia”. I contrasti tra Pagani e Giudei non si sono sanati con un'azione violenta da parte di Dio, che nulla avrebbe potuto, ma attraverso il sacrificio di Cristo. Gli operatori di pace sono tali perché seguono l'esempio di Cristo.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio”. I Pagani credenti in Dio nei confronti dei Giudei non sono più come degli stranieri o degli ospiti in terra altrui (era lo stato dei timorati di Dio: At 10,2; 13,16), ma in Cristo dei concittadini, uguali in tutto ai santi, cioè a coloro che, sia Giudei che Pagani, sono rigenerati in Cristo e fanno parte della famiglia di Dio.
Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù”. La Chiesa è tempio dello Spirito, stabilita sul fondamento degli apostoli (Cf. Ap 21,14) e dei profeti (3,5; 4,11; At 11,27), che costituiscono con gli apostoli la forza del primo slancio apostolico della Chiesa. Cristo è la pietra angolare del tempio vivo che è la Chiesa, “abitazione di Dio per mezzo dello Spirito”.

Paolo ministro del Vangelo
3 Per questo io, Paolo, il prigioniero di Cristo per voi pagani... penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: 3 per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui vi ho già scritto brevemente. Leggendo ciò che ho scritto, potete rendervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cristo. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: 6 che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, 7 del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa secondo l’efficacia della sua potenza. 8 A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo 9 e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, 10 affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, 11 secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore,12 nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. 13 Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.

Per questo io, Paolo, il prigioniero di Cristo per voi pagani”. La prigionia di Paolo nasce dal suo essere annunciatore di Cristo chiamato ad essere tale a favore dei pagani (Gal 2,7).
Penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore”. Questo passo lascia intendere che i destinatari della lettera non fossero a conoscenza personale di Paolo. Se la lettera fosse stata scritta agli Efesini non si comprenderebbero tali parole. Si dovrebbe ricorrere al pensiero che Paolo si rivolga ai nuovi cristiani di Efeso che non lo hanno potuto vedere, ma evidentemente questo non è: Paolo si rivolge ad una Chiesa intera e non ai nuovi cristiani, di questa Chiesa; dire poi che la prima generazione dei cristiani di Efeso fosse ormai deceduta, è cosa del tutto improponibile anche se si pensasse che la lettera sia stata scritta a Roma e non a Cesarea.
Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero”. Paolo afferma nella lettera ai Galati (1,12) di avere ricevuto il messaggio cristiano direttamente da Cristo sia nella visione di Damasco (At 9,3) sia nelle visioni avute anni prima di andare a Gerusalemme (2Cor 12,1) ed esservi riconosciuto apostolo fra i Gentili (Gal 2,1).
Il vangelo di Paolo non va inteso come tutto il complesso dell'annuncio evangelico, che in questo dipende indubbiamente da Barnaba e dagli apostoli, ma particolarmente come annuncio che anche i pagani sono chiamati alla salvezza mediante la fede, formando un solo popolo con i cristiani provenienti dal giudaismo (3,6).
Di cui vi ho già scritto brevemente”: (1,3s; 1,20s; 2,14s).
Per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio”. Principati e le Potenze dei cieli sono le gerarchie celesti. Gli angeli vedono nella Chiesa l'attuarsi del disegno di Dio centrato in Cristo. Essi leggono nella Chiesa le ricchezze della multiforme sapienza di Dio, che l'ha costituita tempio dello Spirito per mezzo del Figlio. La Chiesa è la mistica continuazione dell'incarnazione del Figlio, poiché è il suo corpo mistico. San Pietro nella prima lettera dice (1,12): “Cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo”.
Sono gloria vostra”; Paolo soffre, ma le sue tribolazioni sono per la Chiesa (Fil 1,29; Col 1,24), e i fedeli le devono vedere non come oscuramento e sconfitta della sua persona, ma come loro gloria.

Preghiera di Paolo
14 Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, 15 dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, 16 perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. 17 Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, 18 siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, 19 e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.

20 A colui che in tutto ha potere di fare
molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che opera in noi,
21 a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.

Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre”. Paolo  si eleva in preghiera davanti al Padre ponendosi in ginocchio, come gesto di umiltà, di gratitudine, di sottomissione gioiosa e liberante. Probabilmente non si è inginocchiato realmente durante la dettatura della lettera, ma nel cuore aveva queste disposizioni.
Dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra”. La parola “discendenza” rende il termine greco patria (patrìa), che significa famiglia, etnia, gruppo, che costituito di figli fanno capo ad un padre.
Le patria del cielo sono le schiere angeliche. Gli angeli sono figli di Dio in quanto hanno accolto il futuro Figlio unigenito incarnato. Il Verbo si sarebbe incarnato anche in assenza del peccato degli uomini, e ciò venne presentato agli angeli. Satana si ribellò a questo disegno di Dio e trascinò nella riprovazione altri angeli che divennero come lui dei demoni. Quelli che accolsero il disegno di Dio vennero elevati alla gloria della visione beatifica dell'Essenza divina. Così, nel Figlio incarnato le schiere angeliche divennero patria del Padre. In modo molto più forte gli uomini e quindi i raggruppamenti umani divennero patria del Padre, poiché redenti dall'Unigenito del Padre incarnatosi nel grembo verginale di Maria. Nel Cristo, vero uomo e vero Dio, i credenti in lui diventano figli adottivi del Padre, nel dono dello Spirito Santo e nell'appartenenza all'unica Chiesa, espressa nelle Chiese locali.
Le patria del cielo e della terra sono in Cristo accumunate.
Paolo è ministro in Cristo di questa opera, fino ad essere  fondatore di comunità, per cui piega le ginocchia, pieno di gratitudine e commozione, davanti al Padre, che lo ha chiamato fin dal seno di sua madre (Cf. Ger 1,5; Gal 1,15), cioè da sempre, anche se poi la chiamata avverrà sulla via di Damasco.
La ricchezza della sua gloria”, è la gloria che il Padre ha ricevuto dall'azione obbediente del Figlio; obbediente fino alla morte di Croce.

Esortazione all'unità
4 1 Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, 2 con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. 4 Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5 un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

La differenza dei doni di ministero nell'unità
7 A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. 8 Per questo è detto (Ps 67/68,19):

Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri,
ha distribuito doni agli uomini”.

9 Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? 10 Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
11 Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, 12 per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, 13 finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. 14 Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. 15 Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. 16 Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.

A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”. L'unità nella Chiesa non vuol dire livellamento. Ci sono doni, che sono compiti per l'utilità comune, ai quali corrisponde la grazia necessaria per attuarli con frutto. Ma la grandezza non sta precisamente nei compiti, ma nel modo in cui questi vengono svolti, poiché il vincolo della perfezione è la carità (3,17; Col 3,14).

La nuova vita in Cristo nel dono dello Spirito Santo
17 Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, 18 accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. 19 Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità.
20 Ma voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, 21 se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, 22 ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, 23 a rinnovarvi nello spirito della vostra mente 24 e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. 25 Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. 26 Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, 27 e non date spazio al diavolo. 28 Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno. 29 Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano. 30 E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. 31 Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. 32 Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio”; da ciò nasce il santo timor di Dio, diverso dal timore servile che è paura del castigo di Dio. Il santo timor di Dio è timore di rattristare Dio, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.

5 1 Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2 e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi - come deve essere tra santi - 4 né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.
Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. 7 Non abbiate quindi niente in comune con loro. Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; 9 ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10 Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. 11 Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. 12 Di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare, 13 mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. 14 Per questo è detto (Is 26,19; 60,1):

Svegliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà”.

15 Fate dunque molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, 16 facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. 17 Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. 18 E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, 19 intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, 20 rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono”; sono le vuote parole di coloro che ricordano solo la misericordia, dimenticando che presso Dio c'è misericordia e ira (Sir 5,4): “Non essere troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato. Non dire: <La sua compassione è grande; mi perdonerà i molti peccati>, perché presso di lui c'è misericordia e ira, e il suo sdegno si riverserà sui peccatori”.

L'ordine nelle famiglie
21 Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: 22 le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; 23 il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. 24 E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26 per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, 27 e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. 29 Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, 30 poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. 32 Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! 33 Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.

Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie”. Innanzi tutto c'è l'invito ad essere sottomessi gli uni gli altri, il che equivale a porsi in stato di servizio verso gli altri, e quindi di non asservire gli altri a sé.  Dopo questo invito generale,  Paolo entra nel merito della famiglia. Essa è una piccola società e come tale è una società ordinata e dunque ha un capo, che è il marito, il quale tuttavia deve avere quello spirito di servizio verso la felicità della moglie quale l'ebbe Cristo verso la Chiesa.
Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”. Paolo prende l'immagine nuziale dal V.T. (Os 1,2; 2,4-15.21-22; Ger 2,2.23s; Ez 16,1s; 23,1s; Is 54,5; 62,5; Ct). Cristo è lo Sposo che ha attirato a sé la Sposa, che è la Chiesa, con vincolo indissolubile stabilito nel rito di sangue della croce.

1 Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. 2 Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: 3 perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terraE voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.

La carità nella condizione della schiavitù
5 Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, 6 non servendo per farvi vedere, come fa chi vuole piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, 7 prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini.
Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene.
9 Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il Signore, loro e vostro, è nei cieli e in lui non vi è preferenza di persone.

Paolo non fa una lotta contro la schiavitù, ma sa che il Vangelo è lievito che cambierà la storia a partire proprio dalla carità che è in Cristo e dal principio che davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali: “In lui non vi è preferenza di persone”.

La battaglia spirituale
10 Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. 11 Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. 12 La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
13 Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. 14 State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; 15 i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. 16 Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; 17 prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. 18 In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi. 19 E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, 20 per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare.

La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. Dietro gli uomini che in Cristo vanno amati, anche se persecutori, c'è l'azione di Satana. Paolo vede nelle sue catene le macchinazioni di Satana per portalo allo scoraggiamento e portare i fedeli a non ritenere Cristo vincente nei suoi apostoli. Per questo Paolo avvisa i fedeli che devono leggere le sue catene su di un piano diverso da quello di un'azione degli uomini. Si tratta della lotta tra la Luce e le tenebre, e Paolo sta vivendo quello che Cristo ha predetto per i suoi. Vincerà Cristo in lui, ma per mezzo dell'accettazione della croce.

Tichico inviato di Paolo e benedizione finale
21 Tìchico - fratello carissimo e fedele ministro nel Signore - vi darà notizie di tutto quello che io faccio, affinché sappiate anche voi ciò che mi riguarda. 22 Ve lo mando proprio allo scopo di farvi avere mie notizie e per confortare i vostri cuori.
23 Ai fratelli pace e carità con fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. 24 La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo con amore incorruttibile.

Quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo con amore incorruttibile”. L'amore corruttibile è quello che nasce dalla carne e dal sangue, intriso di passioniL'”amore incorruttibile” è quello che rimarrà in eterno (1Cor 13,8), ed è la carità dono, in Cristo, dello Spirito Santo (Rm 5,5).


AVE MARIA PURISSIMA!