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martedì 12 febbraio 2013

L'offerta della sofferenza e della preghiera: una risposta a tre domande




L'offerta della sofferenza e della preghiera: una risposta a tre domande

di Vittorio Messori


Ci sarà tutto il tempo per analisi, bilanci, previsioni. Oggi, ancora sconcertati, cercheremo solo di dare una possibile risposta a tre domande che ci sono subito sorte.

Innanzitutto: perché, un simile annuncio, proprio in questo giorno di febbraio? Poi: perché in una riunione di cardinali annunciata come di routine? Infine: perché il luogo scelto per il ritiro da papa emerito?
Riflettendoci, dopo la sorpresa quasi brutale tanto è stata imprevista (e per tutti, nella Gerarchia stessa), mi pare si possano azzardare delle possibili spiegazioni.

L’11 febbraio, ricorrenza della prima apparizione della Vergine a Lourdes, è stata dichiarata dall’<<amato e venerato predecessore>>, come sempre lo ha chiamato, Giornata mondiale del malato. Ha detto Ratzinger, nel latino della breve e sconvolgente dichiarazione: <<Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino>>.
Terenzio, e poi Seneca, Cicerone e tanti altri avevano ricordato mestamente: senectus ipsa estmorbus, la vecchiaia stessa è una malattia. Dunque, è infermo comunque chi, come lui, il prossimo 16 aprile compirà 86 anni. Ha aggiunto, infatti: <<Il vigore del corpo e dell’animo negli ultimi mesi in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato>>. Quale giorno più adeguato, dunque, per prendere atto davanti al mondo della propriainfirmitas di vegliardo di quello dedicato alla Madonna di Lourdes, protettrice dei malati? In fondo, anche in questo vi è un segno di solidarietà fraterna per tutti coloro che, per morbi o per anni, non possono più contare sulle proprie forze.

Ma perché (è la seconda domanda) dare l’annuncio, ex abrupto, proprio in un concistoro di cardinali per decidere la glorificazione dei martiri di Otranto, massacrati dalla furia dei turchi musulmani? Non crediamo che vi sia qui un qualche richiamo alla violenza di un certo islamismo, attuale ora come nel XV secolo della strage in Puglia. Crediamo, piuttosto, che in questi mesi Benedetto XVI abbia meditato sul primo e solo caso di abdicazione formale di un pontefice nella storia della Chiesa, quello del 13 dicembre 1294, da parte di Celestino V. Vi erano stati, nei “secoli bui“ dell’Alto Medio Evo alcuni casi di rinuncia papale, ma in circostanze oscure e sotto la pressione di minacce e di violenze. Ma solo Pietro da Morrone, l’eremita strappato a forza alla sua cella ed elevato al soglio pontificio, abdicò liberamente ed ufficialmente, adducendo anch’egli soprattutto l’età più che ottuagenaria e la debolezza che ne conseguiva. Prima di compiere l’inedito passo, aveva consultato discretamente i maggiori canonisti che gli confermarono che la rinuncia era possibile, ma andava fatta “davanti ad alcuni cardinali“. E’ proprio quanto ha deciso di fare Benedetto XVI, che non aveva che quel precedente cui rifarsi: precedente del resto, spiritualmente sicuro, in quanto il buon Pietro fu dichiarato santo dalla Chiesa e non meritava davvero l’accusa di “viltade“ lanciatagli contro dal ghibellino Dante per sue ragioni politiche. Insomma, in mancanza di altre regole, papa Ratzinger, sempre rispettoso della Tradizione, si è rifatto a quelle stabilite otto secoli fa dal confratello di cui voleva condividere il destino. Probabilmente, non è casuale anche il fatto che l’imprevisto annuncio sia stato letto solo in latino, quasi per richiamarsi anche in questo a quel precedente lontano.


Ma, per venire alla terza domanda, per quale ragione, dopo un breve soggiorno a Castelgandolfo (deserto, e dunque disponibile, durante la sede vacante) il già Benedetto XVI si ritirerà in quello che è stato un monastero di clausura, all’interno delle Mura Vaticane? Questo, almeno, il programma annunciato dal portavoce, padre Lombardi. Non sappiamo se quella sistemazione sarà definitiva ma, in ogni caso, neppure questa è una scelta casuale. Dicono le ultime parole dell’annuncio di ieri: <<Anche in futuro vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio>>. Negli anni di pontificato ha ripetuto spesso: <<Il cuore della Chiesa non è dove si progetta, si amministra, si governa, ma è dove si prega>>.

Dunque, il suo servizio alla Catholica non solo continua ma, nella prospettiva di fede, diventa ancor più rilevante: se non ha scelto un eremo lontano -magari nella sua Baviera o in quella Montecassino cui aveva pensato papa Wojtyla come estremo rifugio- è forse per testimoniare, anche con la vicinanza fisica alla tomba di Pietro, quanto voglia restare accanto a quella Chiesa cui vuole donarsi sino all’ultimo. Né è casuale, ovviamente, l’aver privilegiato mura impregnate di preghiera come quelle di un monastero di clausura. Comunque, se la sistemazione in Vaticano sarà stabile, la discrezione proverbiale di Joseph Ratzinger assicura che non vi sarà alcuna interferenza col governo del successore. Siamo del tutto certi che rifiuterà pure il ruolo di un “consigliere“ carico di anni ma anche di esperienza e di sapienza, pure se ci dovessero essere richieste esplicite del nuovo papa regnante. Nella sua prospettiva di fede, il solo vero “consigliere“ del pontefice è quello Spirito Santo che, sotto le volte della Sistina, ha puntato su di lui il dito.
Ed è proprio in questa prospettiva religiosa che vi è, forse, risposta a un altro interrogativo: non era più “cristiano“ seguire l’esempio del beato Wojtyla, cioè la resistenza eroica sino alla fine, piuttosto che quello del pur santo Celestino V? Grazie a Dio, molte sono le storie personali, molti i temperamenti, i destini, i carismi, i modi per interpretare e vivere il vangelo. Grande, checché ne pensi chi non la conosce dall’interno, grande è la libertà cattolica. Molte volte, l’allora cardinale mi ripeté, nei colloqui che avemmo negli anni, che chi si preoccupa troppo della situazione difficile della Chiesa (e quando mai non lo è stata?) mostra di non avere capito che essa è di Cristo, è il corpo stesso di Cristo. A Lui, dunque, tocca dirigerla e, se necessario, salvarla. <<Noi>> mi diceva <<siamo soltanto, parola di Vangelo, dei servi, per giunta inutili. Non prendiamoci troppo sul serio, siamo unicamente strumenti e, in più, spesso inefficaci. Non arrovelliamoci, dunque, per le sorti della Chiesa: facciamo fino in fondo il nostro dovere, al resto deve pensare Lui>>.

C’è anche, forse soprattutto, questa umiltà, nella decisione di passare la mano: lo strumento sta per esaurirsi, il Padrone della messe (come ama chiamarlo, con termine evangelico) ha bisogno di nuovi operai, che vengano dunque, purché consapevoli essi pure di essere solo dei sottoposti. Quanto ai vecchi ormai estenuati, diano il lavoro più prezioso: l’offerta della sofferenza e l’impegno più efficace. Quello della preghiera inesausta, attendendo la chiamata alla Casa definitiva.
Corriere della Sera   12 febbraio 2013


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Ecco altre riflessioni  del Prof. Roberto De Mattei
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Non ci troviamo di fronte ad una grave inabilità, come era il caso di Giovanni Paolo II nel suo ultimo scorcio di pontificato. Le facoltà intellettuali di Benedetto XVI sono pienamente integre, come ha dimostrato in una delle sue ultime e più significative meditazioni al Seminario Romano, e la sua salute è «complessivamente buona», come ha precisato il portavoce dalla Santa Sede, padre Federico Lombardi, secondo cui però il Papa ha avvertito negli ultimi tempi «lo squilibrio tra i compiti, tra i problemi da affrontare e le forze di cui si sente di non disporre».
Eppure, fin dal momento dell’elezione, ogni pontefice prova un comprensibile sentimento di inadeguatezza, avvertendo la sproporzione tra le capacità personali e il peso dell’incarico a cui è chiamato. Chi può dire di essere in grado di poter sostenere con le sue sole forze il munus di Vicario di Cristo? Lo Spirito Santo assiste però il Papa non solo al momento dell’elezione, ma fino alla morte, in ogni momento, anche il più difficile, del suo pontificato. Oggi lo Spirito Santo viene spesso invocato a sproposito, come quando si pretende che esso copra ogni atto e ogni parola di un Papa o di un Concilio. In questi giorni però è il grande assente dai commenti sui mass-media che valutano il gesto di Benedetto XVI seguendo un criterio puramente umano, come se la Chiesa fosse una multinazionale, guidata in termini di pura efficienza, a prescindere da ogni influsso soprannaturale.
Ma c’è da chiedersi: in duemila anni di storia, quanti sono i Papi che hanno regnato in buona salute e non hanno avvertito il declino delle forze e non hanno sofferto per malattie e prove morali di ogni genere? Il benessere fisico non è mai stato un criterio di governo della Chiesa. Lo sarà a partire da Benedetto XVI? Un cattolico non può non porsi queste domande e se non se le pone, esse saranno poste dai fatti, come nel prossimo conclave, quando la scelta del successore di Benedetto si orienterà fatalmente verso un cardinale giovane e nel pieno delle forze perché possa essere ritenuto adeguato alla grave missione che lo attende. A meno che il cuore del problema non sia in quelle«questioni di grande rilevanza per la vita della fede», a cui ha fatto riferimento il Pontefice, e che potrebbero alludere alla situazione di ingovernabilità in cui sembra trovarsi oggi la Chiesa.
Sarebbe poco prudente, sotto questo aspetto, considerare già “chiuso” il pontificato di Benedetto XVI, dedicandosi a prematuri bilanci, prima di attendere la fatidica scadenza da lui annunciata: la sera del 28 febbraio 2013, una data che rimarrà impressa nella storia della Chiesa. Prima, ma anche dopo quella data, Benedetto XVI potrebbe essere ancora protagonista di nuovi e imprevisti scenari. Il Papa infatti ha annunciato le sue dimissioni, ma non il suo silenzio, e la sua scelta gli restituisce una libertà di cui forse si sentiva privato. Che cosa dirà e farà Benedetto XVI, o il cardinale Ratzinger, nei prossimi giorni, settimane e mesi? E soprattutto, chi guiderà, e in che maniera, la navicella di Pietro nelle nuove tempeste che inevitabilmente l’attendono? (Roberto de Mattei)


GESU' MARIA AMORE
VENITE INSIEME NEL MIO CUORE

In vista del conclave uniamoci TUTTI per una FORTE preghiera e supplica allo Spirito Santo attraverso la potente intercessione del CUORE IMMACOLATO DI MARIA!



Così percossa, attonita, la Terra al nunzio sta.

"Dal Blog : Messa in latino"
Cari lettori,

ci voleva un evento epocale, come la rinuncia di Benedetto al pontificato, per farmi tornare a scrivere sul nostro blog dopo lunga assenza. Perché ho amato, e amo, il nostro papa Benedetto, è la venerazione per lui che mi risprona ad una battaglia che è stata anche la sua. Scrivo 'venerazione', sì, perché son convinto ch'egli assurgerà agli onori degli altari, e certo non solo per via dell'opinabilissima tendenza moderna a santificare tutti i papi "a prescindere". Ritengo anzi che un giorno diverrà perfino dottore della Chiesa.

Pressoché tutto ammiro nel suo tratto e nella sua personalità: il garbo, la timidezza, la correttezza, l'onestà, il senso del dovere, le capacità di studioso, ma soprattutto l'intelligenza, la lucidità, l'indipendenza di giudizio e il buon senso: validi antidoti in un'epoca ecclesiale di vuoti slogan e di ideologia.

Vivo questa notizia con profondo rammarico e preoccupazione. Comprendo che il peso del governo della Chiesa sia insopportabile per spalle umane, specie nella fralezza senile; ma un Papa, giustamente, non dovrebbe essere sovra-umano? Non perché fornito di un 'fisico bestiale', ma perché divinamente assistito anche nell'estrema debolezza del corpo e, forse, perfino della mente. Papa Ratzinger lo sa (ecco le sue stesse parole: "bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando"), ma ritiene che a questa 'essenza spirituale' di testimonianza orante (e paziente) si debba accompagnare un certo vigore "in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato".  

Questa affermazione mi turba. Nel nostro tempo di rapidi mutamenti e perturbato da gravi questioni per la vita - la sopravvivenza? - della fede, è il ruolo stesso del Papa che quindi muta. Fino a ieri, più simbolo che governante; più testimone, fino all'estrema agonia, che efficiente amministratore; più monarca che primo ministro; più padre che tutore. Ora, invece, un papa che, oltre ad avere una "messa di inaugurazione" (in luogo della ben più pregnante incoronazione) avrà pure una cerimonia di commiato in occasione delle dimissioni, come fosse un amministratore delegato che va in pensione o, peggio ancora, un arcivescovo di Canterbury in scadenza. Si tratta altresì di un ulteriore appiattimento (dopo la rinunzia alla tiara) del ruolo petrino su quello degli altri vescovi: non a caso nell'allocuzione di ieri il Papa ha usato l'espressione ingravescente aetate, la quale forma anche l'incipit del motu proprio di Paolo VI che impose il pensionamento ai vescovi.

Pensiamo anche a come questo precedente potrà giustificare pressioni sui futuri pontefici, non appena questi saranno percepiti come anziani o poco 'performanti' o non più telegenici.

Se qualcosa ci hanno insegnato questi ultimi decenni è che la Chiesa vive di simboli e nei simboli. Mutamenti in astratto comprensibili e in apparenza inessenziali, come abbandonare il latino, abolire il digiuno del venerdì, girare gli altari, hanno avuto un effetto sociologicamente ed antropologicamente devastante per i fedeli: la fede, già ontologicamente insidiata dal dubbio (giacché essa non è conoscenza diretta, ma solo sostanza di cose sperate, e argomento delle non parventi), vive di sicurezze trasmesse e perennemente riconquistate. Se la vita della Chiesa è un cantiere in perenne mutazione, come alimentare la vacillante fede? E che dire se il ruolo stesso di Pietro, consolidato in duemila anni che videro solo sporadiche e di solito traumatiche abdicazioni o deposizioni, si trasforma dastatus esistenziale a semplice 'incarico' con diritto al pensionamento?

Di qui la mia preoccupazione: la sacralità della Pietra su cui la Chiesa è fondata mi appare intaccata, allorché un dolce Cristo in terra, un Vicario di Cristo, un infallibile arbitro della fede e della morale, può tornare ad una normale quotidianità. Questa preoccupazione aumenta viepiù al pensiero che a Papa Benedetto questi rischi non sono certamente sfuggiti; sicché se si è deciso egualmente al 'gran rifiuto', gravi preoccupazioni a noi ignote devono averlo mosso; o quanto meno, una situazione interna ai Sacri Palazzi di completa deliquescenza, tale da costringerlo a gettare la spugna.

E sì, perché il gesto del Papa ha, purtroppo, l'insopprimibile apparenza di un'ammissione di impotenza e di fallimento, già solo per il fatto di sopravvenire dopo un periodo di straordinaria difficoltà nella conduzione della barca di Pietro e dopo un insieme di sfaceli che hanno trovato nel casoVatileaks l'ultimo esempio.

Questo retrogusto amaro di inefficienza non rischierà di rafforzare quel naturale effetto "pendolo", per cui i cardinali in conclave saranno portati a scegliere qualcuno che possa adottare una ben diversa linea del predecessore? L'effetto pendolo era stato determinante nell'elezione di Ratzinger, allorché la impietosa delibazione dello stato disgraziato della Chiesa ... aveva indotto i cardinali a votare qualcuno che aveva la lucidità e l'intelletto necessari per riconoscere i problemi e individuare (nel ritorno all'ortodossia, alla continuità e alla Tradizione) la soluzione. 

E ora invece? Una generazione migliore di sacerdoti sta crescendo, e i corifei della 'primavera conciliare' sono sulla via della pensione, se non del redde rationem. Ma quest'abdicazione del Papa giunge comunque troppo presto: se avesse resistito ancora una manciata di anni, o in alcuni casi anche solo pochi mesi, non avremmo un conclave nel quale siederanno invece e voteranno presuli come Daneels e Mahoney (quest'ultimo, fresco di ostracismo da parte del suo successore a Los Angeles per malagestione), Lehmann e Kasper, Monterisi e Tettamanzi. Mentre un Moraglia (patriarca di Venezia), un Nichols (arcivescovo di Londra) o un Chaput (arcivescovo di Filadelfia) ne sono ancora fuori.

E' tempo dunque che lo Spirito Santo si prepari a fare il Suo lavoro in vista del conclave. E per noi, di pregare. Mitiga l'amarezza la gratitudine per Benedetto XVI, il rispetto della sua difficile scelta e, in fondo in fondo, l'intimo sentimento che la sua ponderata decisione possa essere stato il minore dei mali possibili.

Enrico